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Autore: myavengedsevenfoldxx    20/02/2016    1 recensioni
alla fine siamo tutti degli eroi, però anche l'eroe più coraggioso e impavido ha paura, tutti abbiamo paura. alla fine cosa vuol dire vivere? viviamo in attesa della morte sperando che essa giunga il più lontano possibile.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
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marzo 1942


Chi è un eroe? Eroe è colui che compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che può portare al sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune. Tutti noi possiamo essere degli eroi nel nostro piccolo e possiamo portare grandi cambiamenti.  Eroe è colui che affronta la vita a testa alta e non ha paura di niente, anche se sotto sotto un po’ di paura ne abbiamo tutti, anche non dandola a vedere.

Mi chiamo Andrea, ho 12 anni e il mio eroe è il mio papà. Il mio papà ha 45 anni, e sono due anni che è partito e non è mai tornato a casa. Ha preso uno di quei treni che partono ogni giorno e percorrono tantissimi kilometri per portarti via. La mamma diceva sempre che papà era andato a combattere per poi garantirmi un futuro, io ci credevo, ma nello stesso momento mi mancava. Mi mancava tantissimo. Volevo tornare a giocare a palla in strada, andare a prendere le legna per accendere il fuoco d’inverno e stare disteso nel letto in mezzo alla mamma e al papà e sentirmi al sicuro, anche se loro erano i primi ad avere paura e ad essere insicuri della situazione in cui continuavamo a vivere.
Avevo 10 anni quando siamo entrati nella Seconda Guerra Mondiale a fianco della Germania, nel 1922 Mussolini era salito al governo e nel giro di breve tempo aveva instaurato il regime fascista e aveva creato delle leggi, ero troppo piccolo per capire la politica, ma ogni tanto sentivo i miei parlare di cose troppo grandi per me e perciò non comprendevo a pieno. Una cosa però la sapevo, ero un Balilla, così venivano chiamati i ragazzini della mia età, vestivamo tutti con camicia nera, fazzoletto azzurro, pantaloni grigioverde, fascia nera e fez. La mamma mi aiutava a vestirmi, mi sistemava ogni mattina il fazzoletto e fissandomi negli occhi mi diceva “sei il mio piccolo eroe”.
“è papà l’eroe” rispondevo io fissando quegli occhi azzurri e i capelli biondi raccolti; aveva gli occhi stanchi di chi dormiva poco e che piangeva tanto, odiavo vedere mia mamma così, ma non ci potevo fare nulla. Così prima di andare a scuola le ripetevo che io sarò sempre il suo eroe e che se avesse avuto bisogno di me sarei corso ad aiutarla. Da quando siamo entrati in guerra ho visto la mia vita precipitare come se fosse un sasso gettato in un buco nel terreno dove non si vedeva la fine, tutto era nero e gli anni a venire erano così: neri e non si vedeva la fine. Ero un eroe per mia mamma, ma anche gli eroi avevano paura, e la paura ce l’avevo anche io.
I primi di giugno si iniziò a parlare di un patto, il patto d’acciaio dove veniva sancita l’alleanza con i tedeschi e perciò con Hitler.
Hitler e Mussolini apparivano in televisione sempre insieme, sorridenti ed era come se dessero speranza a tutta la nazione, era una sorta di “insieme ce la faremo”, ma io non ci credevo, ero piccolo, ma non ingenuo. La guerra non portava a niente e l’Italia ne sarebbe stata uscita distrutta, avrei scommesso tutti i miei giocattoli.
Poi un giorno vennero a bussare alla porta di casa, non lo fecero lo calma, entrarono urlando e la mamma piangeva, mi prese per mano, prese una valigia e  uscimmo di casa. Con la forza ci fecero salire su una vettura e ci portarono alla stazione della provincia.
“Mamma dove andiamo?” chiesi ingenuo, lei tra le lacrime mi rispose che stavamo prendendo lo stesso treno di papà e stavamo andando al sicuro. Lei piangeva e mi prese in braccio. La guardavo e non capivo.

 

Settembre 1998

 

“NONNO! NONNO!” mi urlava mio nipote appena sceso dalla macchina, mi corse incontro abbracciandomi forte. Aveva 10 anni e si chiamava Alessio. Lo accompagnai al tavolo che io e mia moglie avevamo allestito in veranda, era una calda giornata di settembre e festeggiavo il mio settantesimo compleanno, era il 1998.
“Nonno raccontami ancora di quando eri piccolo”. Ogni volta che Alessio veniva da me voleva che gli raccontassi di quando ero piccolo, nel 1940. In quell’anno l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania. Per la centesima volta lo accontentai e così iniziai a narrare di ciò che mi era successo e di come era sopravvissuto al campo di Sterminio. Ogni volta il mio nipotino rimaneva affascinato come se fosse la prima volta che gli raccontavo quella storia.
Ero sopravvissuto al campo di concentramento di Birkenau, anche conosciuto con il nome di Auschwitz II, eravamo saliti sul treno e percorso terre desolate e distrutte dalla guerra, poste sotto la neve e calcate solamente da quei treni infernali dove le persone stavano ammassate e anche respirare risultava difficile. Mia madre morì due giorni dopo essere arrivati. Io me la cavai, ringrazio ancora oggi Dio per avermi dato questa opportunità. Non so come riuscii a sopravvivere e trovare la forza ogni giorno di andare avanti, ma pensavo al mio papà che aveva preso quel treno e ora giaceva nell’aria. Avevo 12 anni, ma appena misi piede su quel treno capii che mio padre non era  andato in guerra, ma era andato in un campo di concentramento. Ero piccolo, ma non ingenuo.
La forza di volontà che mi permise di andare avanti penso siano state da sempre le parole di mia madre che riecheggiavano nella mia mente: “sei il mio piccolo eroe” e alla fine lo fui, fui l’eroe non tanto per mia madre che non salvai, ma di me stesso, dei miei figli e dei miei nipoti. Ero il loro eroe, ero colui che era riuscito a sopravvivere allo sterminio. Non ero un semplice eroe, con la ‘e’ minuscola, ma Eroe con la maiuscola. Ero sopravvissuto, nonostante la paura di morire.

“nonno, sei il mio eroe” disse Alessio sorridendomi sia con la bocca che con gli occhi.

   
 
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