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Autore: WillofD_04    20/02/2016    11 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Sai chi sei? Capisci che cosa ti è successo? Vuoi vivere in questo modo?”
 
 
Di sicuro avevo sbattuto la testa. Come lo sapevo? Mi faceva un male cane. Un’altra cosa di cui ero sicura era di essere a letto, sotto di me sentivo il morbido contatto con il materasso. Ancora nell’oscurità, cercai di pensare a cosa poteva essere successo. Probabilmente, come mio solito, ero inciampata sul gradino della mia portafinestra e avevo picchiato la testa da qualche parte. Però c’era qualcosa che non tornava. Insomma, sarebbe stato tipico di me cadere come una pera cotta, ma non poteva essere successo, non quella volta. Era come se fosse successo tutto in un attimo, come se all’improvviso fossi stata risucchiata da qualcosa. Cercai di ricordarmi cosa potesse essere successo e mi venne in mente che poco prima di sentirmi misteriosamente inghiottita, avevo udito qualcuno che mi diceva qualcosa. Non mi ricordavo le parole precise, ma dicevano più o meno “scusa per il ritardo, ma non ho molta memoria e faccio confusione”. Chi poteva essere? Ero sola in casa e non era nessuno dei ragazzi, perché se ne erano chiaramente andati e davanti ai miei occhi per giunta e non ero abbastanza pazza da sentir parlare il gatto della vicina. Quindi, come al solito mi ritrovavo davanti a un mistero. Immaginavo non fosse né l’unico, né l’ultimo. Decisi che dovevo scoprire cosa stava succedendo. La stanza – ammesso che fosse una stanza – in cui mi trovavo era buia e l’unica fonte di luce proveniva da un oblò situato al centro di una delle pareti. Ok, era chiaro che non mi trovavo nella mia camera, perché la mia camera non aveva oblò, fino a prova contraria. Mi imposi di rimanere calma e di scendere dal letto per cercare l’interruttore della luce. Fui sicura che quella non era la mia stanza quando, allungando le gambe per posarle sul pavimento, mi accorsi che dal lato da cui scendevo di solito – il sinistro – c’era un muro. Provai dalla parte opposta e una volta in piedi, constatai che la testa mi girava anche leggermente. Qualsiasi cosa fosse successa, dovevo aver dato una bella botta. Sfruttai la fioca luce che proveniva dall’oblò per guardarmi in giro e provare a vedere se riuscivo a riconoscere qualcosa. Niente. Cercai a tastoni per tutta la stanza l’interruttore della luce, senza però trovarlo. Andai nel panico un paio di volte, prima di rimettermi a cercare più ossessivamente di quanto non avessi fatto in precedenza. Avevo troppa paura per uscire dalla stanza, ma avevo altrettanta curiosità di scoprire dove accidenti mi trovavo. Non sapevo che fare e non sapere che fare mi metteva in agitazione. Prima di tutto però, dovevo trovare quel maledetto interruttore. Dopo circa cinque minuti – che mi parvero secoli e secoli di errare umano – riuscii finalmente a trovarlo. Prima di premerlo, però, aspettai un attimo. Se avessi acceso la luce sarei potuta trovarmi davanti a uno spettacolo che non mi sarebbe affatto piaciuto. Avrei potuto perdere la testa. Quindi inspirai ed espirai lentamente. Chiusi gli occhi, strizzando le palpebre. “Non di nuovo, non di nuovo, ti prego, non di nuovo”. Lo premetti, ancora con gli occhi chiusi e quando li riaprii non ebbi la reazione che mi immaginavo. Come pensavo ero sola nella stanza. Stanza in cui non ero mai stata, non avevo la benché minima idea di dove fossi. Ma non mi agitai, anzi rimasi calma. Quella camera mi sembrava di averla già vista, aveva qualcosa di familiare. Era fatta interamente di legno, muri compresi, e non era grandissima. C’era un solo letto e dalla parte opposta una scrivania con una sedia girevole. Non ci avevo fatto caso fino a quel momento, ma la camera profumava di erbe e unguenti. Dopo una rapida occhiata decisi che quella doveva essere un’infermeria o qualcosa di simile. Cercai di sforzarmi e di fare mente locale su dove fossi finita e perché, o cosa fosse successo, ma l’agitazione del momento e il male alla testa non aiutarono affatto. Poi mi ricordai che esistevano i cellulari, e che potevo tranquillamente chiamare i miei genitori. Per fortuna lo avevo nella tasca degli shorts. Feci per andare a prenderlo, quando mi accorsi che nella tasca non c’era niente. Sgranai gli occhi e lasciai il posto nel mio cervello a tutti i pensieri negativi che potevo fare. Stavo sognando? No, no, quello non era un sogno, ne ero certa. Ero morta e mi trovavo in Paradiso? O mi trovavo all’Inferno? Ero finita in coma? Mi trovavo in una dimensione alternativa parallela? Ero andata a un rave e qualcuno mi aveva drogata? Tra tutte, ne spiccò una in particolare. Mi avevano rapita.
«Merda» sibilai muovendo appena le labbra per evitare di essere sentita. Poi vidi una cosa che mi rassicurò un minimo. Lì, sulla scrivania, in bella vista e splendente, c’era il mio amato cellulare accompagnato dalle mie cuffiette e molto sorprendentemente, dal caricabatterie. Lo presi, digitai la password e senza pensarci due volte composi il numero di mia madre. La vocina registrata dell’operatrice telefonica che mi diceva che non ero abilitata alla chiamata mi fece perdere ogni speranza. Solo dopo aver riprovato tre o quattro volte notai che effettivamente non c’era campo. Ma dove cavolo ero finita? E perché tutte a me dovevano capitare? Se quella non era l’occasione per impazzire, ero a prova di manicomio.
Notai che c’era uno specchio, subito dopo il letto. Nel dubbio che mi avessero fatto qualche strano intervento chirurgico, decisi, raccogliendo tutto il mio coraggio, di andare a guardarmi. Rimasi di lato allo specchio per qualche secondo. Presi un bel respiro di incoraggiamento e feci un passo, posizionandomi al centro di esso. Quasi mi ruppi una mascella per quanto la mia bocca si era spalancata nel fissarmi. Non ero io quella. O meglio, ero io ma ero...diversa. La prima cosa che mi saltò all’occhio fu il decolleté più prorompente e i fianchi più stretti. Mi girai anche per controllare il mio posteriore. Non male neanche quello. Per quanto riguardava il viso, dovetti strizzare gli occhi e avvicinarmi. Ignorando il fatto che la mia testa era fasciata, i capelli castani e mossi mi ricadevano sempre sotto il seno, ma erano meno voluminosi. Gli occhi erano più grandi e dalla forma strana, delle mie spesse e folte sopracciglia non c’era più traccia, ora c’era solo una linea sopra alle palpebre. Le iridi erano bordate da una linea circolare nera, mentre dentro erano color nocciola caldo. Il viso invece era perfettamente ovale, ma la bocca si era ridotta a poco più di un segmento leggermente incurvato dello stesso colore della carnagione – rimasta del colore olivastro di cui era prima – e solo il labbro inferiore era vagamente visibile. Il naso, prima leggermente a patata, ora era leggermente alla francese. Infine, come ultimo particolare, notai una cintura metallica che avevo alla vita che prima non avevo. O comunque, non che ricordassi. Non potevo credere di essere io. Ero stata rapita, portata da dei chirurghi esperti che mi avevano cambiato i connotati così nessuno avrebbe potuto riconoscermi e probabilmente mi avevano venduta come schiava in qualche paese inesistente sulla cartina geografica. Mi avevano anche affibbiato una cintura che chissà cosa faceva, magari succhiava la mia energia vitale o funzionava come il collare degli schiavi dei Draghi Celesti. Forse sarei esplosa da un momento all’altro! Magari avevo un marchio di riconoscimento, tipo un codice a barre o un tatuaggio. No, no, non poteva essere. Dio, dovevo smetterla di guardare film polizieschi. Feci una specie di saluto alla me nello specchio, per vedere se davvero quella là davanti ero io o me lo stavo solo immaginando. La figura riflessa faceva i miei stessi movimenti. Quella ero io. Effettivamente, come potevo non esserlo? Avevo sempre avuto i capelli castani e mossi e gli occhi nocciola. E c’ero solo io in quella camera, che ora mi sembrava angusta ed opprimente. Non poteva esserci intrappolata un’altra ragazza simile a me dall’altro lato dello specchio. Nel dubbio lo toccai. Era un normalissimo specchio. E se invece fosse stato uno di quegli specchi a doppio vetro che usano gli scienziati per studiare i soggetti dei loro esperimenti? Poteva essere, mi avevano tramortito dandomi una botta in testa e mi avevano portato lì, togliendo la sim al cellulare così non potevo essere rintracciata. L’angoscia si impadronì di me. Mi misi a camminare avanti e indietro per tutta la stanza, cercando di tranquillizzarmi. “Ti prego, non di nuovo. Qualsiasi cosa, ma non qualcosa di brutto, ti prego”. Mi misi le mani tra i capelli, fermandomi a metà dopo essermi ricordata delle fasciature e del dolore alla testa. Mi sedetti sul bordo del letto scuotendo con convinzione la testa, per evitare che la disperazione prendesse il sopravvento. “No. No. No. No. No. No, no, no, no, no”. Affondai la faccia negli avambracci, poggiati sulle ginocchia e rimasi per un po’ in quella posizione. Mi ci volle tutta la mia forza di volontà per non iniziare a singhiozzare senza ritegno. All’improvviso però, alzai la testa. Mi ero ricordata delle cuffiette ancora sulla scrivania. Le presi e le attaccai al cellulare. La musica mi aiutava molto in questi momenti di sconforto. Misi una canzone piuttosto azzeccata per una situazione del genere, “Keep breathing” di Ingrid Michaelson. In pratica la canzone diceva che tutto ciò che dovevo fare era continuare a respirare, e lo feci. Sembravo una donna in gravidanza ad un corso pre-parto. Quando l’ebbi ascoltata a sufficienza, avevo respirato tutta l’aria che c’era in quella stanza. Avevo bisogno di altra aria. Aria vera. Ossigeno puro. Nemmeno a farlo apposta, sentii una voce abbastanza lontana provenire dall’altra parte della porta. Mi voltai di scatto e fissai l’oblò. Era arrivata l’ora di uscire di lì. Rimisi in tasca i miei effetti personali. Mi alzai e mi diressi verso l’unica via d’uscita da quella stanza. Inspirai ed espirai un’ultima volta. Stavo per farlo. Stavo per fare una gran cazzata o la cosa più intelligente che potessi fare. Misi la mano sulla maniglia. Chiusi gli occhi. La abbassai.
«Tutto ciò che ti chiedo, è di farmi ritrovare davanti la mia amata camera una volta che avrò aperto questa porta. Vedi di non deludermi, Manny. Ti prego, non di nuovo. Non un’altra volta.» supplicai l’Uomo della Luna, esattamente come avevo fatto prima di accendere l’interruttore.
Tirai indietro la porta e riaprii gli occhi. Quando lo feci, la luce mi investì a tal punto che per vederci qualcosa dovetti portarmi una mano alla fronte. Quando le mie pupille si furono abituate ai travolgenti raggi solari mattutini, misi a fuoco la situazione. Un odore salmastro mi invase le narici. Ero sul ponte di una nave. A giudicare dalla posizione in cui ero dovevo essere a poppa. Decisi di scoprirne di più. Raccolsi tutto il mio coraggio e mi avventurai in giro per l’imbarcazione. Dalla parte opposta a dove stavo si sentivano degli schiamazzi. Appoggiandomi alla ringhiera e procedendo con molta cautela, seguii i rumori. Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.



Angolo autrice:
Ciao a tutti! Eccomi qui, sono tornata con il (forse) tanto atteso seguito di "Lost boys". Non penso ci sia molto da dire su questo primo capitolo, spero solo che vi sia piaciuto. Vi starete chiedendo (ma anche se non ve lo state chiedendo ve lo dico lo stesso) perchè ho pubblicato la storia proprio oggi. Ebbene, ci tenevo a pubblicare il seguito proprio oggi perchè è un giorno speciale. Oggi è il compleanno della mia amica Mariaace e questo è il mio regalo per lei. Quindi tanti auguri Mariaace e spero che questo primo capitolo ti piaccia! :* <3
   
 
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