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Autore: Soly_D    21/02/2016    3 recensioni
SPOILER fino al cap. 815.
«Ehi, ragazzino, sai per caso dove ci troviamo?».
Perso nei ricordi, Sanji sobbalzò dalla sorpresa nell’udire la voce di Nami alle proprie spalle.
Be’, non che fosse la prima volta: nel corso di quegli anni trascorsi insieme, l’aveva sognata nei più svariati contesti, da quello più dolce a quello meno casto, ma mai avrebbe pensato di ritrovarsela in un sogno legato ai suoi ricordi d’infanzia.
Cosa poteva c’entrare Nami, così bella, così pulita, con il suo orribile passato?
[SaNami♥]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Sanji | Coppie: Sanji/Nami
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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d SPOILER FINO AL CAP. 815!
Questa fanfiction si ispira all'immagine qui a fianco e a dire il vero è parecchio surreale, ma se credete nella SaNami allora tutto è possibile :D ho cercato di dare un po' di spazio al passato di Sanji, basandomi sulle poche informazioni che abbiamo e mantenendomi sul vago, spero che il tutto vi sembri plausibile e soprattutto che i personaggi non risultino OOC perché ho questa vaga preoccupazione.
Buona lettura e che la SaNami sia con tutti voi! Grazie a chi leggerà e avrà voglia di recensire





A metà strada dello stesso sogno


La prima cosa che pensò Sanji nell’aprire gli occhi e ritrovarsi immerso in una distesa di bianco così infinita e omogenea, priva di qualsiasi dimensione e volume, fu che quello doveva essere per forza un sogno.
Guardandosi le mani, ne ebbe la conferma. Non erano mani da uomo, mani di cuoco e di pirata, ma mani piccole e rosee, abituate solo al gioco. Mani di bambino, del bambino che era stato. Lo stesso valeva per i piedi. Al posto delle solite scarpe nere abbinate alle camicie dai colori accesi e ai completi scuri ed eleganti, indossava un paio di scarpette marroni e lucide, con tanto di calzettoni che gli fasciavano le gambe corte e magre. Addosso aveva una camicetta bianca da marinaio e un paio di pantaloncini neri.
Era basso. Basso e smilzo come solo un bambino di otto anni poteva esserlo. Si portò due dita al mento e non si stupì di aver perso anche il pizzetto che si era lasciato crescere nei due anni a Kamabakka, come a voler sottolineare la propria virilità in mezzo a tutti quegli uomini vestiti e truccati in modo a dir poco imbarazzante. Il solo ricordo gli faceva accapponare la pelle. Non ebbe bisogno di toccarsi anche i capelli per sapere che erano l’unica cosa rimasta invariata. Lisci e biondi, gli coprivano solo metà di quel viso paffuto e infantile.
Era successo: il passato che aveva faticosamente cercato di nascondere per proteggere i suoi compagni era tornato a fargli visita, non solo nei suoi sogni ma anche nella realtà, mettendo in serio pericolo – ironia della sorte – proprio loro, a cui teneva di più al mondo.
In un gesto ormai automatico, come faceva spesso quando era agitato o nervoso, si portò una mano in tasca alla ricerca del pacchetto di sigarette, ma non trovò nulla.
Oh, già. A otto anni Sanji, terzo membro della famiglia Vinsmoke, non aveva ancora preso il vizio di fumare; a otto anni sua madre lo lasciava scorrazzare per i corridoi della casa facendo finta che il marito, di cui Sanji sapeva poco quanto niente, fosse costantemente via per lavoro, ma che sarebbe tornato presto, e così sarebbero stati una famiglia felice, normale.
Ma non era stato così. La verità era venuta a galla nel peggiore dei modi − i Vinsmoke non erano altro che assassini, sporchi assassini − e Sanji si era ritrovato sballottolato su una nave come aiuto-cuoco, finché non aveva incontrato Zeff e aveva visto in lui il padre burbero e severo, ma pur sempre presente, che non aveva mai avuto, e che gli avrebbe insegnato ad usare le mani per sfamare la gente, non per ucciderla.
«Ehi, ragazzino, sai per caso dove ci troviamo?».
Perso nei ricordi, Sanji sobbalzò dalla sorpresa nell’udire la voce di Nami alle proprie spalle.
Be’, non che fosse la prima volta: nel corso di quegli anni trascorsi insieme, l’aveva sognata nei più svariati contesti, da quello più dolce a quello meno casto, ma mai avrebbe pensato di ritrovarsela in un sogno legato ai suoi ricordi d’infanzia.
Cosa poteva c’entrare Nami, così bella, così pulita, con il suo orribile passato?
Si voltò a guardarla e la sua figura gli sembrò talmente luminosa che dovette socchiudere gli occhi e portare una mano a coprire il viso per non rimanerne accecato. Quando si fu abituato, tornò a guardarla: indossava lo stesso abito nero e gli stessi gioielli di perle che le aveva visto addosso l’ultima volta − più bella di una dea, aveva pensato in quell’occasione − e sembrava piuttosto disorientata. Continuava a guardarsi intorno con aria agitata alla ricerca di chissà cosa; i lunghi capelli rossi frusciavano ad ogni movimento della testa, accarezzandole le spalle nude.
«Nami-san», disse Sanji, e la voce gli venne fuori particolarmente acuta e infantile.
Nami portò lo sguardo su di lui, le sopracciglia inarcate per lo stupore. «Ci conosciamo?».
Sanji si diede mentalmente dello stupido. Era tornato bambino, era ovvio che lei non lo riconoscesse.
«Sono io». Si sollevò sulle punte dei piedi, come per raggiungerla. Nami gli sembrava così alta, così irraggiungibile da quella prospettiva. «Sono Sanji».
«Sanji-kun?», chiese Nami incerta. Sanji aveva sempre adorato il fatto di essere l’unico a cui Nami riservasse il –kun, un po’ come faceva lui che utilizzava il –chan per tutte le donne, ma il –san solo per lei, per lei che era diversa dalle altre, speciale.
Nami assottigliò gli occhi, scrutandolo dalla testa ai piedi con fare circospetto, poi gli puntò addosso l’indice in maniera accusatoria.
«Cosa mi hai offerto la prima volta sul Baratie?».
Sanji aggrottò la fronte, perplesso. «Nami-san, cosa c’entra ora...?»
«Rispondi!», si impuntò lei.
Quel momento era ben impresso nella mente di Sanji. Non poteva dire di essersi innamorato di Nami al loro primo incontro − il colpo di fulmine era una fantasia allettante ma poco credibile anche per uno come lui − tuttavia poteva affermare che la risata forte e spontanea di Nami, i suoi modi sensuali, la sua forte personalità, lo avevano colpito fin da subito.
«Una rosa, ti ho offerto una rosa rossa».
Gli occhi di Nami si accesero all’improvviso. «Sanji-kun!», esclamò piegandosi sulle ginocchia fino a raggiungere la sua altezza.
Sanji assistette inerme al repentino cambio d’umore della ragazza e gli venne da sorridere. Lo sapeva, quello era solo un sogno, ma la sua mente gli stava fornendo un’immagine particolarmente realistica della sua Nami, il che era la dimostrazione che la conosceva abbastanza bene e che... be’, , un po’ la amava. Decisamente più di un po’.
«Sanji-kun, cosa ci fai nel mio sogno?».
Ora Nami lo guardava con sguardo curioso, un po’ come si guardano i bambini piccoli. Il che lo fece sentire ancora più piccolo. E lui non voleva che Nami lo guardasse in quel modo. Voleva che lo considerasse un vero uomo, sicuro di sé, affidabile, un uomo che avrebbe potuto restarle accanto per tutta la vita e proteggerla e amarla come meritava, un uomo con cui costruirsi una famiglia.
«Nami-san, potrei farti la stessa domanda. Io pensavo che questo fosse il mio sogno». Un pensiero assurdo gli attraversò la mente e non esitò un secondo a palesarlo. «Forse stiamo facendo lo stesso sogno, forse... le nostre menti... i nostri cuori sono collegati! Oh, è così romantico, Nami-swan~♥!».
«Non credo proprio».
Dal canto suo, nemmeno Nami esitò un secondo. Di fronte a quegli occhietti a cuore, la prima cosa che le venne in mente fu rifilare un bel pugno sulla testa bionda di Sanji e metterlo a tacere. Perché, immaginario o no, bambino o meno, quello che le stava davanti era pur sempre Sanji. E non poteva permettergli di viaggiare in quel modo con la sua dannatissima fantasia perversa, nemmeno nei suoi sogni.
Tuttavia, nell’osservarlo massaggiarsi il bernoccolo con gli occhi lucidi di lacrime, il suo faccino gli fece tanta tenerezza che quasi si pentì di averlo colpito così forte. «Né, Sanji-kun», disse allora, con il tono affettuoso di una mamma rivolta al figlio, «perché ti vedo così piccolo?».
«Per il matrimonio e tutto il resto, credo».
Nami annuì. Ora il centro dei suoi pensieri era salvare Sanji dal fardello del suo passato, era abbastanza plausibile ritrovarselo in sogno nelle fattezze di un bambino, no? Quale altro motivo poteva esserci, in fondo?
«Hai intenzione di sposarla davvero, questa Pudding?», gli chiese, come se quello di fronte a lei fosse il vero Sanji.
Entrambi stavano ormai perdendo la cognizione che si trattava solo di un sogno.
Il bambino le sorrise di sbieco. «Sei gelosa, Nami-san?~♥».
«No, idiota», lo rimproverò lei, colpendolo lievemente ad una spalla.
Sanji ridacchiò. Nami era bella quando si arrabbiava. Era bella sempre, in realtà.
«Voglio solo sapere se continuerai il viaggio insieme a noi», specificò allora la navigatrice.
Sanji sospirò, infilando le mani nelle tasche, e nonostante fosse fisicamente bambino, Nami rivide l’uomo che era in realtà. Gli mancava solo la sigaretta stretta tra le labbra.
Per un momento Sanji fu tentato di risponderle che no, non avrebbe mai sposato Pudding perché non era lei la donna che amava, bensì quella che gli stava di fronte.
«Ci sono delle questioni importanti che devo sbrigare, Nami-san. Questioni che riguardano me e la mia famiglia, ma ti prometto che tornerò. Altrimenti chi lo sente Rufy?!». Cercò di sdrammatizzare ma non ottenne l’effetto sperato. Nami sembrava avercela un po’ con lui.
«Quello che non capisco, Sanji-kun, è perché ci hai tenuto nascosto il tuo passato. Non ti fidi di noi?». Attese qualche secondo, incerta se continuare o meno. «Non ti fidi... di me?».
Sanji abbassò la testa, mortificato. «Certo che mi fido di tutti voi, ma me ne vergognavo, Nami-san. Pensavo che non mi avreste accettato, pensavo che voi... che tu, più di tutti...», si corresse, fissandola intensamente, «...mi avresti guardato con occhi diversi».
Nami assunse un’espressione incredula. «Perché avrei dovuto?».
«La mia famiglia faceva delle cose orribili, cose che nemmeno ti immagini».
«Erano assassini, lo so».
Sanji spalancò gli occhi. «Come l’hai saputo?».
«Lo sappiamo tutti, a dire il vero, e francamente non ce ne importa un accidenti. Tu non sei un assassino». Gli sorrise dolcemente, portando una mano sulla sua testa. «Tu sei un cuoco eccezionale, un coraggioso pirata, un ottimo amico e il prode cavaliere di ogni principessa di questo mondo».
Sanji avrebbe voluto aggiungere che sarebbe stato il suo cavaliere, suo e di nessun altro, se solo lei glielo avesse permesso, ma Nami non gli diede il tempo di rispondere.
«Tu non sei la tua famiglia, Sanji-kun».
Nami lo aveva detto con una tale convinzione che Sanji sentì gli occhi inondarsi di lacrime.
«Grazie», sussurrò mordendosi le labbra per non scoppiare a piangere come un bambino, il bambino che era in quel momento.
Nami scese con la mano ad accarezzargli una guancia, intenerita. «Sanji-kun...?».
«N-non sto piangendo. È solo colpa di questo stupido corpo da bambino... troppo, troppo sensibile».
«Oh, avanti, non fare l’orgoglioso. Vieni qui».
Nami lo attirò a sé per le spalle esili e se lo strinse addosso, premendogli una mano sulla nuca per fargli poggiare la testa sulla sua spalla. Lo abbracciò stretto e Sanji, inizialmente rigido a causa dello stupore, impiegò qualche secondo per cingerle il collo con le braccia sottili e sfogare le lacrime che aveva represso durante la sua infanzia. Non gli capitava spesso di abbracciare la sua Nami-san, era un’occasione più unica che rara, imperdibile.
«Somigli tanto alla mia mamma, Nami-san», si lasciò sfuggire con aria nostalgica.
Nami immaginò una donna, alta, bionda e snella. «Come mai?».
«Quando ne combinavo una, mi prendeva a sberle».
«Ehi!». Nami gli diede un buffetto sulla testa.
Sanji rise, reprimendo un singhiozzo. «Ma soprattutto era bella, bella come te. E aveva il tuo stesso profumo».
Nami socchiuse gli occhi, le labbra piegate in un sorriso. Stentava a credere che tutto quello fosse solo frutto della sua immaginazione, non era da Nami credere a stupidaggini del genere, ma forse lei e Sanji si erano davvero incontrati a metà strada dello stesso sogno. Non trovava altre spiegazioni a quel calore che sentiva nello stringere il corpo minuto di Sanji, a quella sensazione di completezza e sollievo. In qualche modo, in quell’occasione Sanji aveva deciso di aprirsi a lei, di mostrarle le sue debolezze, le sue paure, e ora sì che Nami lo avrebbe guardato con occhi diversi, da una prospettiva migliore. Perché si era resa conto che in fondo lei e Sanji avevano entrambi lottato per lo stesso sogno: riscattarsi dal proprio passato ed essere persone migliori.
E chissà quanti e quali altri sogni avrebbero condiviso, in futuro, insieme.
«Promettimi che non verrete a cercarmi, Nami-san».
«Sai che Rufy non se ne resterà mai con le mani in mano. Per una volta dovrai impersonare il ruolo della donzella in pericolo».
«Ma io...».
«Troppo tardi, Sanji-kun».
Sanji, a malincuore, sorrise. Be’, avrebbe dovuto immaginarselo. Quelli erano pur sempre i suoi stupidi, scalmanati, preziosi nakama.

  
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