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Autore: Lady I H V E Byron    22/02/2016    3 recensioni
“Dominik era il mio migliore amico.” cominciò “Andavamo abbastanza d’accordo. C’erano i soliti scherzi, ma quello è normale. Avrei dovuto sapere che c’era qualcosa che non andava, da quando ha smesso di frequentare le lezioni, a scuola. Ma il suo suicidio ha colpito tutti noi, e io mi sento in qualche modo responsabile di tale gesto. Dominik non meritava di morire. Come lui non c’era nessun altro al mondo.”
A sentire tali parole, l’ira dentro Sylvia divenne incontrollabile: serrò le labbra, aggrottò le sopracciglia e sparò ad una delle statue della chiesa.
“IPOCRITI! FALSI! BUGIARDI!” urlò, quando si voltarono tutti, spaventati, verso di lei.
La ragazza avanzò con passi a scatto, come fosse un robot, mentre le lacrime scendevano a cascata sulle sue guance, sbaffandole il trucco. “A voi non è mai importato nulla di Dominik! Non siete mai riusciti a comprenderlo! E’ solo colpa vostra se è morto!”
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: dopo quasi un anno ce l'ho fatta a finire questa storia sul mio film preferito. Vi dico subito che la vicenda si svolge dopo la scena del pianto di Sylvia, quando è venuta a conoscenza della morte di Dominik.
Scusate la lunghezza, ma spero che vi piaccia.


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Mondo Ipocrita, Lacrime di Pentimento




Il mio nome è Beata Santorsky. Sono la madre di Dominik. Ero indecisa se venire qui o meno, ma alla fine ho deciso di farlo. Vi ringrazio per essere rimasti accanto a mio figlio, a supportarlo. Dominik… è morto. Si è tolto la vita non molto tempo fa. Questo può essere uno shock per tutti voi… ma pensavo aveste dovuto saperlo.”
Queste erano le parole di colei che si è dichiarata la madre di Dominik, l’ultimo arrivato nella “Camera dei Suicidi”. Tali parole fecero spezzare il cuore ghiacciato di Sylvia, sciogliendosi nelle lacrime che per tre anni aveva trattenuto.
Mai fino ad allora si era sentita così.
Staccando tutti i fili collegati al computer e al Wi-Fi, facendosi strada tra piatti sporchi e aprendo la porta della sua camera, la ragazza comprese che quanto era avvenuto era solo colpa sua.
Nella sua mente regnava il caos e il suo cuore era più pesante di un macigno, pieno di colpa.
Uscendo per la prima volta dopo tre anni, Sylvia sfogò tutto il suo dolore, piangendo e urlando nel giardino di fronte casa sua, come se volesse che tutto il mondo venisse a conoscenza di quanto stesse soffrendo.
Dominik… colui che voleva incitare la ragazza a non morire, si era tolto la vita.
E questo era colpa sua.
Di nessun altro.
Per tre anni ella desiderava togliersi la vita, per scappare da un mondo falso e ipocrita che non riusciva a comprenderla. Era vicina nel farlo, ma l’incontro con Dominik le aveva cambiato la vita, come lei aveva cambiato la sua.
“In effetti, non riesco a capire perché certe persone vogliono togliersi la vita. Uno deve avere il coraggio di vivere. Loro sono solo dei codardi. Egoisti narcisisti che credono che il mondo si evolva solo ed esclusivamente intorno a loro. Come puoi privarti del dono più prezioso che possiedi? Come puoi fare questo a te stesso e a coloro che ami? Non riesco a capirlo e non voglio farlo. Tu vivi per dare agli altri il meglio che puoi.”
Quelle parole fecero riflettere Sylvia sulla sua situazione, oltre a rendersi conto di essersi innamorata veramente di Dominik.
Da quando aveva incontrato il ragazzo, in quel sito, il suo desiderio di suicidarsi continuava a vacillare.
Entrambi si erano aiutati l’un l’altro, raccontandosi le proprie vite: lei gli aveva insegnato a reagire alle umiliazioni dei suoi compagni, dopo quanto era successo al ballo dei “100 giorni” e alla lezione di Judo, e lui le aveva insegnato ad apprezzare la vita.
Ma ad essere morto non era lei, ma lui.
Ora che non era più la Regina della “Camera dei Suicidi”, per cosa doveva vivere? Non lo sapeva nemmeno lei. Continuava a piangere la morte del ragazzo di cui si era innamorata, anche se troppo tardi. Rimpiangeva l’occasione che aveva per incontrarlo veramente, in faccia, e dirgli tutto quello che si dicevano in webcam. Ma non era mai successo.
“Cosa mi rimane, adesso, per il quale vale la pena vivere?” domandò Sylvia, continuando a piangere.
La risposta la ebbe durante la cena, la prima con i suoi genitori dopo tre anni. Essi non sapevano cosa dire alla figlia, per questo, da quando la videro uscire dalla sua stanza, erano rimasti in silenzio. Sembrava troppo turbata per avere una conversazione.
Il televisore era acceso sul canale del telegiornale.
Stavano annunciando la morte di un ragazzo di diciotto anni, avvenuta in una discoteca in un’altra zona della Polonia. Stando alla testimonianza di due ragazzi, il ragazzo ad un certo punto aveva cominciato ad urlare, a piangere, a vomitare sul pavimento del bagno per poi svenire. La scena era stata ripresa da un telefonino. La scientifica aveva dichiarato che il ragazzo aveva ingerito dei farmaci insieme alla birra.
“Io vorrei sapere cosa passa per la testa a certi ragazzi…” commentò, quasi disgustata, la madre di Sylvia.
La ragazza riconobbe il ragazzo: Dominik.
Si era suicidato nella stessa maniera in cui voleva suicidarsi lei: alcool e medicinali. Il modo in cui agonizzava non faceva altro che aumentare il dolore nel suo cuore, incrementando i suoi sensi di colpa.
Ma le dichiarazioni del padre, della madre, degli amici (in particolar modo di Alex e Karoline) e di tutti coloro che conoscevano Dominik, la fecero disgustare:
“Dominik era un bravo ragazzo.”
“Era destinato ad un futuro brillante.”
“Era un buon amico, il migliore che avessi mai avuto.”
“Mi piaceva stare insieme a lui.”
“Non aveva motivo di uccidersi. Ha avuto tutto quello che un ragazzo poteva avere.”
La disperazione nel cuore di Sylvia si tramutò in ira: come osavano quelle persone parlare di Dominik in quel modo, dopo tutto quello che gli avevano fatto quando era in vita?
Non era stata lei la causa del suo suicidio, ma LORO!
Loro non hanno saputo vedere dentro Dominik, a comprenderlo, a restare accanto a lui nel momento del bisogno, come invece c’era riuscita lei! Loro lo avevano umiliato, deriso, dopo il bacio con Alex. Era colpa loro se Dominik era cambiato e diventava sempre più aggressivo con il prossimo.
Lei gli aveva solo insegnato a reagire a tali ingiustizie.
“I funerali si terranno domani, alla chiesa della Madonna dei Miracoli, alle 15:00.” aveva annunciato l’inviata “Parteciperà anche il Ministro dell’Economia, per il quale il signor Andrzej Santorsky lavora.”
“Ipocriti…” pensò Sylvia, ingoiando il boccone di zuppa. “In vita non vi è mai fregato nulla di Dominik! Perché ora partecipa mezzo mondo al suo funerale?”
Durante la notte, nella stessa stanza in cui la ragazza si era rinchiusa per tre anni, ella giaceva sul letto, sveglia. Non riusciva a prendere sonno. Nella sua mente regnava solo il ricordo di Dominik e tutto ciò che le aveva raccontato sulla sua vita reale.
“Quella gente…” pensò, mentre l’ira ribolliva nelle sue vene “Devono essere puniti per quello che hanno fatto a Dominik! Non meritano di essere lasciati in vita!”
Doveva fare qualcosa, per onorare il ricordo del ragazzo che amava.
Senza farsi sentire dai genitori, uscì di casa, per dirigersi alla stazione del treno.
Promise a se stessa di vendicare la morte ingiusta di Dominik.
Nel treno non faceva altro che osservare la sua immagine riflessa sul vetro della finestra: vide una ragazza di quasi vent’anni, con i capelli rosa e gli occhi verdi che esprimevano ira e disperazione insieme. Si immaginò con il suo amato seduto accanto a lei, che la baciava sul collo e la stringeva a sé, mentre partivano insieme per un viaggio, lontani dalle proprie famiglie e dalle loro “inutili” vite.
Ma lui non c’era. Era da sola.
Ritornò a piangere silenziosamente.
Era ormai il primo pomeriggio quando raggiunse la stazione più vicina alla chiesa in cui si sarebbe celebrato il funerale di Dominik.
Uscì, alla ricerca di un taxi.
“Scusi, accetta carte di credito?” aveva domandato ad un tassista, mostrando la carta di credito di suo padre.
“Certo. Dove deve andare?”
Raggiunse la chiesa della Madonna dei Miracoli in mezz’ora.
Delle persone vestite di nero stavano già entrando in chiesa, vestiti di nero. Sembravano tutti tristi e Sylvia non poté fare a meno di osservarle con disprezzo, dando loro degli ipocriti.
Riconobbe, dalle foto mostrate da Dominik, anche i suoi genitori. Andrzej Santorsky, per sbaglio, non aveva chiuso la macchina.
Dominik le aveva raccontato che suo padre portava sempre una pistola nel portaoggetti.
Attese fino a quando entrarono tutti in chiesa, dopodiché, senza farsi vedere o sentire, aprì lo sportello passeggero della macchina del signor Santorsky, aprì il portaoggetti e prese la pistola.
Si avvicinò alla chiesa, con aria da omicida.
“… abbiamo sempre voluto il meglio per nostro figlio…” stava dicendo il padre di Dominik, vicino all’altare. La madre stava piangendo, accanto a lui. “Non meritava una fine simile. Era destinato al successo, ad una vita dura, ma fruttuosa. Ignoriamo le cause del suo suicidio, ma vogliamo pensare che sia stato solo un incidente. Grazie.”
I presenti applaudirono, ma Sylvia aveva ascoltato tutto con disprezzo. Era disgustata da tali parole e da tale ipocrisia: a nessuno dei genitori di Dominik importava di quello che pensasse o volesse il figlio, altrimenti sarebbero sempre e comunque stati al fianco di loro figlio, invece che pensare solo alla loro carriera.
Un ragazzo, poco dopo, prese il loro posto: Alex. Appariva dispiaciuto.
“Dominik era il mio migliore amico.” cominciò “Andavamo abbastanza d’accordo. C’erano i soliti scherzi, ma quello è normale. Avrei dovuto sapere che c’era qualcosa che non andava, da quando ha smesso di frequentare le lezioni, a scuola. Ma il suo suicidio ha colpito tutti noi, e io mi sento in qualche modo responsabile di tale gesto. Dominik non meritava di morire. Come lui non c’era nessun altro al mondo.”
A sentire tali parole, l’ira dentro Sylvia divenne incontrollabile: serrò le labbra, aggrottò le sopracciglia e sparò ad una delle statue della chiesa.
“IPOCRITI! FALSI! BUGIARDI!” urlò, quando si voltarono tutti, spaventati, verso di lei.
La ragazza avanzò con passi a scatto, come fosse un robot, mentre le lacrime scendevano a cascata sulle sue guance, sbaffandole il trucco. “A voi non è mai importato nulla di Dominik! Non siete mai riusciti a comprenderlo! E’ solo colpa vostra se è morto!”
Alex, sebbene impaurito, si rivolse a Sylvia con tono impavido e un po’ sfrontato.
“E tu chi ti credi di essere per accusarci così?”
Consumata dall’ira, la ragazza riconobbe Alex dalla descrizione di Dominik e dalla televisione e gli sparò alla spalla sinistra.
“Chi ti credi di essere TU a parlare così di lui!?” tuonò, continuando a piangere e puntando la pistola a tutti i presenti “Non vi siete mai chiesti cosa abbia spinto Dominik a rinchiudersi in camera e poi al suicidio…?! E’ stato quel figlio di puttana cui ho appena sparato! E tutti coloro che lui chiamava “amici”! Lo avete preso in giro per un’erezione e lo avete discriminato! Dominik meritava meglio di merde come voi! E voi due…” continuò, rivolta ai genitori di Dominik “Non siete mai stati capaci di comprenderlo. Non vi siete mai chiesti cosa volesse veramente o cosa pensasse. No! Voi pensavate solo a voi stessi, al vostro lavoro, al successo, e pretendevate la stessa cosa per Dominik! Avevate già programmato la sua vita e non vi è mai importato cosa ne pensasse LUI! E dov’eravate quando lui era depresso? Eravate via, magari a tradirvi l’un l’altro! Quale genitore lascerebbe da solo un figlio, durante un periodo in cui ha bisogno più che mai delle persone che ama? E la lettera che gli avete scritto? Lasciatemelo dire, era PATETICA! Un pessimo modo per ripulirvi la coscienza per ciò che gli avete fatto! E non saltate fuori con la scusa “Lui ha avuto tutto!”. Sì, lui poteva avere tutto, ma non quello che gli serviva veramente: l’amore. L’unica cosa che non gli avete mai dato! Noi, della “Camera dei Suicidi” siamo stati gli unici ad accettarlo, a comprenderlo, a supportarlo! Dite che le persone che si rinchiudono in una stanza davanti ad uno schermo siano dei mostri, dei deviati, ma i veri mostri siete VOI, che create quelli come noi!”
Andrzej, offeso da tali parole, scattò in piedi, con aria severa, nonostante la pistola puntata verso di lui.
“Signorina!” esclamò “Non so chi lei sia o cosa avesse a che fare con Dominik, ma non le permetto di rivolgersi a noi con queste parole! E’ vero, mia moglie ed io non avevamo molto tempo per nostro figlio, ma noi LAVORAVAMO per garantirgli un futuro migliore del nostro! Quando si è genitori si cerca sempre di fare del nostro meglio per garantire la felicità per i propri figli e lei non ha alcun diritto di giudicarci per questo! Anzi, la avverto: se non esce immediatamente da qui, io chiamo la polizia, per tentato omicidio e per minaccia con arma. Lei sta offendendo il ricordo di Dominik!”
Sylvia, continuando a puntare la pistola verso il padre di Dominik, osservò i presenti: i loro volti erano spaventati, alcuni severi nei suoi confronti. Non poteva fare niente. Spaventarli non serviva a niente. Avrebbero continuato a fare gli ipocriti nei confronti di Dominik. Dovette accettare la frase di Santorsky e abbassò la pistola, a malincuore.
“Quelli che stanno offendendo il ricordo di Dominik…” mormorò, con aria minatoria “Siete tutti voi, IPOCRITI!”
Detto ciò, uscì dalla chiesa, correndo e piangendo a singhiozzi. Mai si era sentita più debole di quel giorno. Era per quel motivo per cui lei non voleva più uscire dalla sua stanza: non era mai riuscita ad integrarsi con il resto del mondo o essere convincente nelle sue parole.
Non se ne andò subito dalla chiesa: attese due ore (nel frattempo era anche arrivata un’ambulanza per Alex), seduta sotto un albero nella parte opposta della chiesa, prima che uscissero tutti per la via del cimitero, in cui avrebbero sepolto Dominik.
Infatti li vide, tristi, con le candele in mano e lo sguardo basso. Non sapeva se per il lutto o le parole dette da lei poco prima, ma tali espressioni la disgustarono.
“Ipocriti.” mormorò, continuando a piangere “Nient’altro che ipocriti…”
Ciò che la fece piangere fu la bara nera sulle spalle del padre di Dominik oltre che su quelle di altre cinque persone.
Seguì la processione, senza farsi vedere da qualcuno, fino all’entrata del cimitero, da cui assistette alla sepoltura di Dominik. Il suo cuore si fece sempre più pesante quando vide la bara scendere nella buca; i suoi occhi diventavano sempre più rossi a causa delle continue lacrime che versava.
Avrebbe dovuto esserci lei in quella bara, non Dominik. Dominik non meritava quanto gli era avvenuto. Non meritava nemmeno la vita a cui era destinato e le persone cui era circondato. Forse nemmeno i membri della Camera dei Suicidi erano adatti per lui.
Lui meritava di meglio e Sylvia lo sapeva, ma non sapeva cosa. Se veramente si fossero incontrati nella realtà, avrebbero potuto trovare la loro felicità insieme.
Fu questione di un’ora prima che il cimitero fosse completamente vuoto. Gli ultimi ad uscire furono Beata e Andrzej.
Sylvia non li osservò in cagnesco: da quando Dominik le aveva parlato di loro, non aveva fatto altro che odiarli.
Appena entrata nel cimitero, si mise alla ricerca della lapide del ragazzo. Non era molto distante dall’entrata.
Almeno dalla foto che avevano messo sembrava felice.
 
Dominik Santorsky
Un ragazzo strappato ingiustamente da una vita piena di successi
 
Questo c’era scritto sulla lapide, sotto le date di nascita e morte.
Sylvia si buttò sulle sue ginocchia, senza smettere di piangere. Accarezzò la foto con un dito, immaginando di toccare il vero volto di Dominik, prima di baciarla sul punto in cui si trovava la bocca.
“Dominik… Amore mio…” mormorò “Mi dispiace. Troppo tardi mi sono resa conto di amarti. Troppo tardi mi sono resa conto che quello che provavi per me era vero. Troppo tardi mi sono pentita di aver gettato l’occasione di vederti dal vivo. Forse la vera ipocrita sono io, che non ho fatto altro che usarti per condurmi alla morte. E forse veramente sono io la vera causa della tua morte e ho accusato ingiustamente le persone che volevano solo il meglio per te. E ora sono qui che piango davanti alla tua tomba. Se solo potessi fare qualcosa per rimediare a ciò che ti ho fatto…”
Si accorse di avere ancora la pistola del signor Santorsky nella tasca della sua giacca.
Sì, forse quello era il momento per lei tanto atteso. Il giorno in cui non avrebbe più fatto parte del mondo ipocrita in cui viveva. Forse era quello il modo per redimersi da quanto aveva fatto a Dominik.
Con la mano e il respiro che tremavano, si puntò la pistola alla tempia.
Persino il dito sul grilletto tremava, togliendole via via la forza di premerlo.
Improvvisamente, però, si ricordò di un sogno fatto settimane prima di essere venuta a conoscenza della morte di Dominik, sul loro primo bacio.
Lui le aveva implorato di lasciarlo morire con lei e lei gli aveva risposto: “Tu devi vivere.”
Sylvia lasciò la pistola.
Che fosse proprio per quello il motivo per cui Dominik aveva deciso di suicidarsi? Per farle apprezzare la vita? O forse era stato solo un incidente?
“No…” mormorò lei “Tu non volevi e non vuoi che io muoia, vero? Mi sento responsabile per quanto ti è avvenuto, Dominik, ma non devo lasciarmi prendere dalla tristezza. Farò in modo che il tuo sacrificio non sia vano. Tu sei morto affinché io viva, non è vero? Così sia, allora. Vivrò la vita che tu non vivrai mai, amore mio, e la vivrò nel modo più felice possibile, se questo riuscirà a farmi redimere da quanto ti ho causato. E’ una promessa!”
Sylvia si alzò in piedi, buttò la pistola di Andrzej Santorsky in un bidone della spazzatura e uscì dal cimitero, con il sorriso sulle labbra.
Oltre quel cancello la attendeva una nuova vita.
   
 
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