*La
Partita
Crudele*
“Shadows settle on the place that
you left
Our minds are troubled by the
emptiness.
Destroy the middle it’s a waste
of time
from the perfect start to the
finish line.”
“Youth”,
Daugther
Il suono
squillante dei flauti danza nel cortile, penetrante come un sottile graffio di
artiglio affilato.
La melodia
allegra, ritmata dalle bacchette che battono lente sulla pelle tesa dei
tamburi, nulla può per risollevargli l’animo. Il refolo d’aria troppo calda,
che fa tremare appena le fiamme delle fiaccole, gli si insinua sotto la stoffa
del farsetto e della camicia, incollata alla pelle umida.
Giornea e
giubbone [1] giacciono abbandonati sulla panca di legno ancora tiepida del suo
calore – certe libertà sono concesse a spiantati e poeti persino all’esimia
presenza del cardinale di Santa Sabina, che, dal suo trespolo a capotavola,
veglia sugli invitati alla festa come un avvoltoio benevolo.
Nerio dubita
di offendere con la sua vista discinta i grandi occhi acuti di Bernardo Eroli,
tondi come quelli di uno sparviero su un letto di pelle giallastra e rugosa:
per quanto onnivedenti come quelli del Signore Iddio, il Cardinale è troppo
impegnato a esplorare ogni anfratto addobbato in suo onore – non senza fare una
stima di quanti denari si alleggerirà la sua borsa per soffiarlo a quei folli
Capococcia.
Vendicare le
povere Benedettine sfrattate da quegli arricchiti è la sua nuova segreta
missione; tanto segreta che se ne sussurra persino a Castel Bufone, che pure è
così lontano da certi intrighi.
Gli unici
ignari, gli ingenui padroni della casa, entusiasti come fanciulli di
raccogliere nella loro umile dimora le genti più nobili del paese. E che gran
bella collezione di gradassi di sangue blu, tutti presi in conversazione
davanti a calici di vinello e vassoi cacciagione arrostita; quegli stessi che
snuderebbero le daghe a incontrarsi in un vicoletto buio: Eroli e Cardoli,
Maffei e Montoro e Marinata, divisi tra Papa e Imperatore [2] ma tutti
egualmente ansiosi di ingraziarsi il gran Cardinale.
Le
sottigliezze dell’arte dei politicanti non catturano l’attenzione di Nerio; il
suo sguardo è tutto calamitato dalle coppie che danzano, disposte in due file,
di fronte all’alto pozzo di pietra al centro della piazzola, dove le loro ombre
si disegnano a ogni nuova figura del ballo.
Segue con gli
occhi i lunghi ricci biondi che ondeggiano a ogni movimento del
proprietario, il giovane dall’aria ridente che rincorre, spezzando i passi [3],
la sua dama – una Cardolina dalla chioma liscia che veleggia libera oltre le
spalle tonde, fasciate di impalpabile seta.
Si sente
soffocare, Nerio, e avverte forte la mancanza di Castel Bufone e dei suoi venti
indomabili, che, pure in estate, paiono spirare dall’abisso su cui si affaccia.
Il bel palazzo dei Capococcia non è poi tanto lontano da casa sua, ma gli pare
di aver viaggiato per il mondo intero prima di ritrovarsi lì, esausto come
un naufrago sbattuto dalla corrente dove meglio le è parso.
Porta il
calice che stringe nella mano destra alle labbra, lasciando che il vino denso
offerto dalla casa alimenti il fuoco che sente nel ventre.
Di fronte a
lui, Angelo danza con sfacciata gaiezza: il riso gli allarga la bocca e gli scopre
i denti dritti, forma rughe precoci attorno agli occhi distanti.
È innamorato,
il suo signore: Nerio non è cieco di fronte alla verità.
Il pensiero
scatena dentro di lui l’eco di un sentimento, senza che esso possa increspare
la superficie. I fumi dell’ebrezza, incipiente dopo l’ennesimo fiume mostoso
che gli caracolla in gola, lo avvolgono come un bozzolo di ghiaccio che le
emozioni non riescono penetrare.
Neppure
quando incrociano per caso gli sguardi, mentre Angelo con una mezzavolta [4] si
gira a fronteggiare la sua inafferrabile Cardolina e le fa una riverenza –
quando il rosso delle sue guance, tanto visibile alla luce della torcia
postagli accanto, potrebbe benissimo essere vergogna, la piega degli occhi,
rimpianto – neppure allora rabbia o dolore riescono realmente a sfiorare Nerio.
Che ballino
pure l’Amoroso [5]: la fanciulla e la sua dote rimarranno irraggiungibili per
il suo Angelo, quanto egli lo è ormai per Nerio – che volta loro le spalle e si
ritira nell’oscurità del porticato.
---
“Messer Nerio
mio.”
Il padrone di
casa chioccia giulivo al suo indirizzo, come una gallinella ruspante, ma l’ha
scovato col fiuto di una faina. Posa un’enorme mano da contadino sul ventre
prominente cinto dal cordone del gonnellino troppo corto; l’altra è sulla
spalla di Nerio, che quasi barcolla sotto l’energia delle sue pacche.
Il calice del
giovane, sempre rapido a riempirsi di nuovo liquido scuro come la Nera [6] di
notte, giace abbandonato nella nicchia in cui si è rintanato. Il vino
se l’è scolato tutto, e gli rende molli le gambe e leggera la testa.
“Messer
Nerio, il vostro signore ci ha promesso da voi un poemetto, un sonetto, un
vostro scherzo
per allietare la festa. Niente ci farebbe più piacere, alla Signora mia e
a me, di sentirvi cantare per il Cardinale nostro e per noi tutti.”
Non gli sta
domandando un piacere – persino così annebbiato, l’ordine celato nelle sue
parole è per Nerio cristallino. Vagamente concepisce l’idea di rifiutarsi, ma
il pensiero è presto abortito; si passa un palmo sudato sulla fronte che pulsa,
scostando la frangia nera dal viso, caldo e freddo assieme, e si avvia con un
cenno d’assenso al centro della scena.
Le risa degli
ospiti sono un’eco cupa e spezzata alle orecchie, le luci dardeggianti gli
confondono i sensi.
Le danze si
sono quietate, e i musici accordano gli strumenti in una cacofonia di suoni
scomposti. Nerio, per qualche ragione, immagina il maestro di casa Capococcia
fissare male il padrone, carezzandosi la lunga barba gialla – la bocca, una
fessura contrariata.
Da qualche
parte tra nobili impigriti, avvicinatisi ai tavoli per riprendere le forze, e
servi alacri che si affrettano a tagliare carni e a svuotare botti, Brunella lo
starà fissando e disapprovando. Non gli interessa; Nerio monta sul piccolo
palco allestito per lui traballando sui bassi gradini di legno.
A malapena
ascolta il rombo tonante di Capococcia mentre lo introduce (“Aprite le orecchie per Nerio Anerio, musico e poeta, il Dante narnese
che ci canterà di scherzi d’amore”), più occupato di far cenno al suonatore
di liuto di passargli lo strumento – il proprio giace disertato, intoccato da
giorni a Castel Bufone.
Affatto
diverso dal proprietario, dunque.
Gli viene in
mente che dovrebbe dir qualche parola, ma riesce solo a inchinarsi – basta
quella semplice mossa a fargli girare la testa, ma la sua riverenza è profonda
e beffarda, a tutti e a nessuno – a Angelo, solo per lui. Si raddrizza e si
schiarisce la voce mentre dalla bocca i settenari [7] rotolano fuori di loro
volontà, le dita che pizzicano le corde del liuto. La musica è un dolce,
malinconico accompagnamento al suo canto stonato.
“In
’lo loco che lasciasti,
Ombra
ormai si stende
In
poggi tanto vasti
El
pensier nostro sperde.
Quel
che in mezzo venne
Distrutto
sia. Son che ore
Gettate
via, tra fine
Trista
e bell’albore.
E
se anco avete l’fiato
In
corpo, cieca Dea dona
A
voi bacio bendato.
‘Ché
noaltri de ‘sto lato
Faticando
respiriam
De
polmone ruinato.” [8]
Oh, terribile
carme [9] di ubriaco.
Brunella
l’odierà – che faccia.
Solo dopo che
l’ultima nota si è dissolta nel silenzio agghiacciato Nerio si concede di
respirare. Lacrime prive di suono scorrono dagli angoli degli occhi e si
mescolano al salato del suo sudore mentre discende dal palco (“Non possiamo più, Nerio: è peccato mortale
questo trasporto che mi lega a te. Il Mondo, il Signore, la Natura stessa ci
remano contro. Alla luce accecante del giorno, pure i sogni più belli si
rivelano per le illusioni che sono.”), quasi caracollando e rabbrividendo
nella brezza calda.
Una mano
ferma, secca e asciutta, lo prende per il polso con la stretta di tenaglie di
ferro.
Riconoscerebbe
quel piglio tra tutti.
La sente
parlare senza ascoltarla. Non si rivolge a lui, lo capisce dal tono
cinguettante: quello, lo riserba agli altri, a chi sta sopra di loro. Il suo
canto di fragile, allegro uccellino.
Chi lo
trascina a danzare è una cupa gazza, avvolta nel nero del vestito, la chioma
sciolta come ali lucide. [10]
Sono i primi
a giungere in mezzo alla piazzola, mentre i musici si affrettano a riempire la
quiete imbarazzata prendendo a suonare una bassadanza. Prima, un gemito di
viola; poi, Nerio riconosce la melodia.
La Partita Crudele diffonde i suoi cupi accordi: la sua
avversaria gli tiene la mano, il suo carnefice gli passa accanto con una Cesi
al braccio, fantasmi neri e arancio.
Gli occhi
chiari di Angelo scivolano su di loro, Anerio fratello e sorella, bruni di
fuori e bruni di dentro. Si morde le labbra sottili mentre indugia il tempo di
un attimo e si posiziona con la sua dama da qualche parte dietro di loro,
assieme alla fiumana di altre coppie che si unisce a quello spettacolo di
pupazzi danzanti nei propri affanni.
Nerio credeva
di non poter sentire più nulla, ma è disgusto quello che gli invade la gola,
dal sapore di bile, mentre le suole delle loro calze [11] prendono a risuonare
sui sanpietrini.
---
“Ti guarda tanto, il nostro giovane
signore. E con l’occhio ammirato.”
Le dita magre di Brunella gli
scivolano lungo il collo nudo fino sulle spalle e Nerio rabbrividisce di
piacere mentre le sue labbra gli sfiorano uno zigomo affilato – ruvide e riarse
sulla guancia sbarbata.
“Sul serio…?”
Non osa sperare.
Da quel primo giorno a Castel Bufone,
lo scirocco, che soffia senza posa ululando fuori dalla sua finestrella, pare
avergli portato via il senno e il buonsenso: mai avrebbe pensato di trovare un
protettore che sapesse comprenderlo; la corrispondenza di sensi [12] che lo
lega a Angelo Arca ha del miracoloso.
Nerio abbassa le palpebre e su quella
membrana di carne vede disegnarsi il volto del giovane come un affresco
d’artista. Ha davvero qualcosa di un messo del Signore, che traspare dalle
iridi pallide come una moneta d’oro sul fondo di marmo di un’antica fontana.
Usano sedere vicini, mentre Nerio gli
mostra i suoi – i loro
– versi, tenendo stretti i fogli di
pergamena per non lasciarseli strappare dall’aria dispettosa. Il profumo di
Angelo è quello del sole, gentile come i suoi sorrisi; spesso le loro mani si
sono sfiorate giocando coi fili dell’erba scura che viene su nei boschi attorno
a Bufone, le membra accostate tanto da scambiarsi il calore.
Il suo cuore trema come scosso dalla
febbre.
“Mi guarda, dici…?” ripete, e le
unghie di sua sorella gli artigliano la carne nuda sulle clavicole fino a
fargli male, imprimendo le loro mezzelune come un marchio.
---
Due graziose
continenze [13], sinistra, destra, poi prendono a camminare, e ogni passo è una
pugnalata di rabbia alla pietra del pavimento. Nerio fissa Brunella mentre
avanzano, un semplice [14] poi un altro, riverenza, mezzavolta.
Non è
graziosa, Brunella.
Nerio ha
posato gli occhi su donne, uomini più belli di lei; ha conosciuto – e ha visto
così poco, nella sua vita – creature più mansuete, più accomodanti, pronte a
piacere e a compiacere. C’è però una fiamma, in sua sorella, più luminosa di
qualunque torcia.
Non c’è in
lei il tiepido calore di Angelo, tenero alito che odora di buono; Brunella
brucia quanto le sue parole.
“Che
sciocchezza hai fatto, folle. Come t’è venuto in mente di recitare
quell’obbrobrio proprio stasera? Se il vino di casa ti ha dato al cervello,
potevi dir di no. Pure scappare via con la coda tra le gambe avrebbe avuto più
dignità di quel disgraziato piagnisteo.”
Mentre si
inchinano, Nerio strizza le dita di lei nelle proprie tanto forte da spezzare quasi
le fragili ossa. “Mi spiace che i parti del mio animo tormentato non siano di
tuo gusto, sorella cara,” le sputa velenoso prima di procedere per sbieco nella
direzione opposta, separandosene volentieri.
Nel tragitto,
Angelo le passa accanto – troppo vicino.
Una mano
pallida sfiora quella color oliva di Brunella in un gesto intimo che spezza il
cuore di Nerio una volta di più; la nebbia che l’ha avvolto sta svanendo, e
ogni sentimento pungola la carne viva come una punta di daga.
Si sbagliava,
infine: può ancora sentire qualcosa.
Gira su se
stesso in una mezzavolta, per tornare faccia a faccia con l’avversaria. Si
fissano, Nerio e la traditrice, e si avvicinano di nuovo a passi lenti, a ritmo
del lamento di cornamusa e viola.
“Se non
riesci a produrre nulla che non faccia lacrimar sangue è meglio che lasci a me
il comporre, per il momento,” sibila lei, quando sono l’uno di fronte all’altra
– le altre coppie troppo lontane per poterli ascoltare.
“Non possiamo
perdere il prezioso favore degli Arca per i tuoi sciocchi colpi di testa.”
Nerio
vorrebbe agguantarla per il collo lungo fino a spremerne la vita; invece, si
porta dietro di lei, per poi allontanarsi di nuovo di gran passo doppio. [15]
“Fortunata tu
che, nella tua felice condizione di donna, puoi vivere senza pensieri il nuovo
amore,” ribatte mentre si inchina, derisorio, e le afferra il polso
sinistro.
“Fortunata io?”
L’ira di
Brunella quasi si taglia e lo taglia. “Fortunata io che, per quello che il
Signore ha voluto mettermi tra le gambe, mi trovo a essere un peso per i miei
cari e a nascondere il mio unico talento dietro la penna di mio fratello?”
“Non fare la
vittima. Conosco bene il tuo giardino e ancor meglio chi altro vi sia penetrato.”
Ha visto la
verità scritta sui loro volti: è stata lei a stappargli via il suo Angelo – non
perché sia più bella, più cara, più geniale di lui, no. Per quel taglio tra le
cosce.
Brunella gli
trema tra le dita. La pelle è morbida ma secca, abbarbicata all’osso.
“Come avresti
potuto tenerlo legato a te?” gli chiede, tra un passo semplice e l’altro. “I
dubbi lo divorano ed egli teme il peccato ben più di quanto facciamo noi. Credi
che mi ami? Forse, ma con me pensa di poter essere perdonato, ché la sodomia è
ben più grave colpa di una semplice ruzzolata tra le lenzuola. [16] Ecco cosa
gli importa.”
Sodomia: a
parole a tutti odiosa, ma lo sa il Signore Iddio quanti, anche tra i più
stretti collaboratori di Sua Santità, si dedichino al piacere greco, dietro le
porte chiuse delle loro alcove grasse di sete e broccati. Davvero il loro amore
può essere ridotto a un semplice motto, e da esso così distrutto? Bel
sentimento, che cede alle convenzioni e al biasimo altrui, divorando se stesso
e lasciando solo tradimento e morte.
“Tu per primo
lo hai spinto a sposarsi, a trovarsi una giovane che gli desse dei figli.
Essere la sua sposa non posso, ma fossi io a concepire un bastardo,
resteremmo legati agli Arca finché viviamo. Chi vorrebbe mai una zitella che ha
superato i venti inverni? La reputazione è per me poco sacrificio.”
Nerio non
vuole ascoltare.
(“Dovrete sposarvi, prima o poi, amor mio, e
perpetuare la vostra casata. Forse che una moglie al vostro fianco renderà meno
puro, meno forte il nostro sentimento?”)
Si strappa
via da lei nuovamente, affrettando i passi e scrollando il capo come uno
stallone che, ostinato, rifiuta la briglia. Quando urta contro un altro corpo,
riconosce subito a chi appartiene – col cuore sciocco prima che con la mente
appena sveglia.
Si guardano,
lui e Angelo, per un lunghissimo momento.
Attorno a
loro, gli altri danzatori continuano le figure del ballo, imperterriti nel
lento trascinarsi della bassadanza; si muovono aranciati alla luce delle torce,
chiacchierando sopra la musica struggente che si insinua discreta nelle
orecchie di Nerio.
Sono vicini, più
di quanto lo siano stati dacché Nerio voglia ricordare; tanto da respirare il
fiato l’uno dell’altro – quello di Angelo porta ancora le tracce della carne di
fagiano arrostito offerta per cena.
Le labbra
dischiuse di Angelo fremono, come volesse dire qualcosa ma le parole gli si
incagliassero in gola. Con un guizzo di sopracciglio scuro, Nerio lo invita a
parlare, ma nessun suono esce dalla bocca che ha baciato mille e più volte – la
stessa che con poche frasi lo ha distrutto.
“Mio Signore,
mio fratello è stanco. Concedeteci un attimo di riposo, prima di riprendere le
danze.”
Sempre in
agguato, la gazza dal becco appuntito.
La malia si
rompe, e gli occhi di Angelo non sono più nei suoi. Nerio afferra saldo la mano
di Brunella – un poco per farle male, un poco per tenersi a lei come un
naufrago allo scoglio affilato.
“…
Certamente.”
La replica di
Angelo non è pronta. Esita. La sua dama anch’ella lo reclama, gridando il suo
nome.
Nerio li
guarda, prima Angelo, poi Brunella.
Poi, si
lascia condurre via.
---
Non è
morbido, il seno di Brunella.
Nerio ci
tiene accostato il viso, premuto contro la stoffa scura del vestito, contro la
carne che si nasconde al disotto.
Le dita di
Brunella si inanellano coi suoi capelli, mentre la Crudele suona in sottofondo,
nel cerchio di luce dalle torce. La nicchia che sua sorella ha scelto per loro
è avvolta in misericordiosa oscurità.
Nerio
socchiude le palpebre, ascoltando il respiro lento e regolare di lei,
avvertendolo allargarle e restringerle la gabbia del torace. Brividi di piacere
lo attraversano mentre si calma.
Angelo è poco
lontano, al tavolo delle cibarie.
Il Cardinale
in persona gli sta parlando, ma il giovane fissa un punto lontano oltre
la folla – verso di loro. Il mirto ha lasciato il suo viso, che pare quasi un
teschio dalle orbite vuote.
“Te l’ho
portato via perché sono gelosa.”
Brunella lo
carezza con l’amore di una madre, mentre parla. Nerio non riesce a ricordare un
singolo attimo bello passato con Angelo – i loro pomeriggi sotto gli abeti
dalle foglie scure, a sognare che il loro amore fosse sempreverde come quei
rami.
“Ami più lui
che me.”
Un gemito
sfugge dalla bocca di Nerio.
La Partita Crudele termina, e il muro di ballerini si
sgretola. Nerio si sistema meglio contro Brunella, senza staccare gli occhi da
Angelo – e intanto le carezza la mano libera, dove si staranno formando i segni
della sua stretta.
“Ma ora
penso, fratello mio… che la Crudele
si possa ballare anche a tre.”
POSTFAZIONE
Questo pezzo
è ambientato nella mia città, Narni, in Umbria, ai tempi parte dello Stato
Pontificio, nell’anno 1470. I luoghi nominati sono tutti realmente esistenti
tra le località di Narni e Montoro.
Castel
Bufone, che probabilmente prende nome dagli “sbuffi” di vento scirocco
particolarmente avvertiti per via della posizione a picco di un precipizio,
viene abbandonato nella prima metà del 1500 a causa di pestilenza e carestia.
Ad oggi resta solo la torre, trasformata in una torre campanaria.
Il palazzo
dei Capococcia, precedentemente un convento di benedettine, è oggi il Castello
di San Girolamo, che a lungo ha ospitato prima un’abbazia e poi una scuola.
Venne ceduto dai Capococcia (famiglia realmente esistente, così come tutte le
nobili nominate nel pezzo) a Berardo Eroli, illustre membro dell’élite locale e
cardinale di Santa Sabina, nel 1471.
Nonostante
Nerio e Brunella siano personaggi inventati, il loro cognome, Anerio, è
realmente esistente. Felice Anerio, originario di Narni, fu un famoso
compositore nella Roma degli inizi del 1500, e così suo fratello.
La figura di
Angelo vuole rifarsi a quella di Egidio Angelo Arca, nato attorno al 1450 e
morto a sessant’anni nel 1510. In età matura, egli ebbe importanti incarichi
presso Stato Pontificio e fu un prediletto di papa Giulio II.
Per quanto
riguarda i balli citati, le coreografie e i passi sono quelli originali citati
nel trattato quattrocentesco di Guglielmo Ebreo da Pesaro, uno dei primi
sull’arte del danzare, in cui si catalogano bassedanze e balli del tempo.
La Partita Crudele, o La Crudele è una bassadanza che, a quanto ho compreso dalle mie
ricerche, può realmente essere danzata sia in coppia che in tre sulla medesima
base musicale.
Esclusi
personaggi e ambientazione, le vicende sono frutto della mia fantasia.
NOTE
[1]: Nel XVesimo
secolo, la giornea (precedentemente una veste militare) divenne una sopravveste
senza maniche stretta in vita da una cintura e aperta ai lati, indossata sopra
gli abiti da uomini di ogni condizione. Il giubbone era una giacca corta alle
costole portata sopra al farsetto e alla camicia.
[2]:
Nonostante le lotte tra Guelfi e Ghibellini fossero terminate nel secolo
precedente, nella città erano ancora molto sentiti gli antichi schieramenti.
[3]: Lo
spezzato è un passo di danza eseguito partendo col piede sinistro e strisciando
il piede destro.
[4]: La
mezzavolta si esegue ruotando di centottanta gradi su se stessi, utilizzando
passi diversi a seconda della danza.
[5]: L’Amoroso
è una bassadanza (danza che prevede più di una coppia o di un trio di
ballerini) a due citata nel trattato quattrocentesco di Guglielmo Ebreo da
Pesaro, più notoriamente a servizio di Alessandro Sforza. Essenzialmente, nella
danza prima l’uomo si fa rincorrere dalla donna, poi i ruoli si invertono.
[6]: Fiume
che scorre nei pressi di Narni, aggettivata dagli abitanti al femminile.
[7]: Versi a
sette sillabe. Il sonetto in settenari è una variante realmente esistente di
quello in endecasillabi, diffusosi nel XVesimo secolo.
[8]: Si
tratta di una rivisitazione della quote iniziale, riscritta da me nello stile
del tempo.
[9]: Sinonimo
latineggiante di “componimento poetico cantato”.
[10]: Il
vestito si diffonde nel XVesimo secolo. Si tratta di un abito che si stringe in
vita, indossato sulla sopravveste e la camicia, ed è una variante estiva in
seta della gamurra invernale, in lana. In quanto appartenente al ceto medio,
Brunella indossa un tessuto scuro e privo di fronzoli.
[11]: Uomini
e donne usavano indossare calze suolate piuttosto che scarpe vere e proprie.
[12]: Una
citazione quasi perfetta da I Sepolcri
di Foscolo.
[13]: La
continenza è un passo di danza eseguito saltellando sul posto in modo da
posizionarsi leggermente di trequarti.
[14]:
“Semplice”, “scempio” o “sempio” è la denominazione di un singolo passo,
eseguito partendo col piede sinistro e chiudendo col destro. Viene chiamato,
appunto, anche “singolo”.
[15]: Un
passo doppio si esegue partendo col piede sinistro. Si tratta di una sequenza
di tre passi chiusa col piede destro, alzandosi leggermente sulla punta del
sinistro.
[16]: Nella
graduatoria dei peccati, la Lussuria figurava come peccato minore rispetto alla
Sodomia.