Serie TV > Castle
Ricorda la storia  |       
Autore: cristalskies    24/02/2016    8 recensioni
E se, dopo Rise, Beckett non si fosse più fatta sentire fino alla rapina in banca di Cops & Robbers?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sembrava una giornata qualunque e quella mattina Kate Beckett si era alzata presto, come suo solito.

Era pronta per affrontare un’altra giornata di scartoffie. Il lavoro burocratico la teneva impegnata dal mattino alla sera, garantendole giornate perfettamente noiose.

Arrivata al distretto decisamente prima dell’orario d’ufficio, ne aveva approfittato per usare la palestra del distretto, un po’ per abitudine e un po’ per consolidare quanto di buono aveva fatto con la riabilitazione. Un po’, o forse in buona parte, anche per la valvola di sfogo che l’esercizio fisico le offriva.

Dopo il giusto riscaldamento aveva trovato un collega del Vice come sparring partner e, senza più bisogno di pensare, aveva lasciato che il suo istinto prendesse il sopravvento, affidandosi all’adrenalina dello scontro.

 

Gli ultimi mesi erano stati una sofferenza continua. La sparatoria aveva cambiato molte cose.

La prima era che ora lavorava di nuovo da sola.

La seconda che in realtà non stava lavorando affatto.

Era tornata in servizio circa un mese prima e, nonostante le mancasse tantissimo, si era imposta di non contattare Castle.

I Bro avevano chiesto spiegazioni, avevano provato a dirle quanto lui si fosse dato da fare in sua assenza, ma lei era stata irremovibile.

Aveva chiuso ogni discorso dicendo che avevano tutti molto lavoro da fare e pregandoli di essere lasciata in pace.

E senza riferimenti al suo ex partner, grazie.

Poi, quando le era stato finalmente assegnato un vero caso, il primo dopo la sparatoria, si era trovata con un fucile puntato in faccia.

Doveva aver completato proprio bene la fisioterapia. Infatti, quando era stato il momento di inseguire l’assassino, aveva corso più veloce che poteva e seminato anche i colleghi, trovandosi a tu per tu con il ragazzo. Armato. Completamente soli dentro ad un magazzino abbandonato.

Tutte le sue terminazioni nervose si erano ribellate a quella sensazione, avrebbe solo voluto dare le spalle all’assassino e correre a nascondersi nell’anfratto più vicino.

Solo un carattere eccezionalmente forte e controllato le aveva permesso di restare dov’era.

Le era però mancato qualunque altro stimolo, lo shock di trovarsi con un’arma puntata a meno di un metro di distanza era stato troppo forte da affrontare e superare in autonomia.

Era come paralizzata, non era riuscita a dire o fare nulla, nelle braccia le era mancata la forza di sollevare l’arma che teneva in mano.

L’assassino era fuggito e lei non aveva fatto nulla per fermarlo, se non accasciarsi al suolo poco dopo per cercare di riprendere fiato.

Se non fosse stato per Ryan, che una volta iniziato l’inseguimento del ragazzo era andato a tagliare le vie di fuga esterne per precauzione, l’assassino sarebbe probabilmente stato ormai all’estero. Ne aveva i mezzi e probabilmente anche la possibilità.

Esposito era arrivato giusto in tempo per vedere l’omicida fuggire, e lei crollare a terra. Nonostante non ci fosse stato nessun rumore di spari, doveva aver pensato che l’avessero ferita ed era subito corso ad aiutarla, rendendosi presto conto che si trattava di un attacco di panico.

Non ne avevano mai parlato, non era quello il rapporto che avevano, ma sapeva che, se avesse voluto, Espo le avrebbe coperto le spalle.

Avrebbe fatto finta che non fosse successo nulla.

Kate era abbastanza certa che non avesse detto nulla nemmeno a Ryan, anche se sicuramente ormai anche lui si immaginava cosa fosse successo.

Esposito la credeva così in gamba da superare subito la cosa, senza doverne fare rapporto.

Lei la vedeva diversamente.

Infatti, aveva capito che sarebbe stato un errore non considerare grave la cosa e, seguendo il consiglio del suo psicologo, si era fatta assegnare a lavori d’ufficio a tempo indefinito.

 

Conclusa l’attività in palestra e dopo aver fatto una bella doccia rigenerante si sentiva finalmente viva e attiva e si apprestava ora a iniziare la sua giornata di routine.

Arrivò al piano della omicidi e, uscendo dall’ascensore, salutò Ryan ed Esposito, così presi a discutere sull’ultima novità in casa Electronic Arts da salutarla a malapena.

La prima cosa che notò, quando raggiunse la sua scrivania, fu la mancanza di una tazza di caffè pronta ad aspettarla, nonostante questo non fosse esattamente una novità nell’ultimo periodo.

Si diresse verso la saletta e, seppur con un risultato mediocre, riuscì a tornare alla sua postazione dotata di una fumante dose di caffeina liquida.

Erano ormai mesi che non vedeva Castle ma nonostante tutto faticava ad abituarsi a non averlo attorno, pensò sorseggiando il caffè.

Tutto questo sarebbe stato impensabile solo qualche anno prima.

Iniziava a rendersi sempre più conto di come la sua presenza avesse intossicato tutto ciò che conosceva, grandi cose e piccoli dettagli continuavano a ricordarle che lui non era lì con lei.

Sentiva distintamente quanto fossero noiose le sue giornate ora che lui non gironzolava più per il distretto a caccia di spunti “artistici” e le mancavano le serate in cui, dopo la risoluzione del caso, uscivano assieme o con il resto del team per mangiare qualcosa.

Si ribellava al pensiero che la sua felicità,  o quanto meno una buona parte, potesse dipendere da lui.

Una parte di lei reagiva così naturalmente al solo pensiero di Castle da costringere la sua metà irrazionale ad alzare delle difese. Era  stata convinta di quel bisogno di erigere un muro attorno a se. Ne era stata così certa che ora non riusciva più a farne a meno.

Un istinto saldo e irrazionale suggeriva malignamente al suo inconscio che lei sapeva bene cosa si provava a stare senza nessuna difesa. Era stata una giovane donna solare ed indifesa e, alla morte della madre, aveva pagato a caro prezzo la sua precedente spensieratezza.

 

Era su questo a cui stava lavorando, seduta dopo seduta, con il dottor Burke.

Sulle sue difese.

Su come abbattere quelle difese.

Era un’altra delle cose su cui gli eventi della precedente primavera avevano segnato un punto di svolta.

Era stata in bilico tra la vita e la morte, e quello che l’aveva spinta a lottare, quello che le aveva permesso di non abbracciare il baratro, era stata la voce di Castle.

Castle che la chiamava.

Castle che le diceva di amarla.

Castle che la guardava disperato, chiedendole di non lasciarlo.

 

Si era risvegliata con accanto Josh e suo padre.

Il dolore era ovunque, la stanchezza le impediva di ragionare. Si era lasciata nuovamente cadere nell’oblio del sonno, un unico pensiero nella sua mente.

Josh non avrebbe dovuto trovarsi li. Dov’era Castle?

 

Il risveglio successivo non era stato migliore.

Non riusciva a parlare e tutto sembrava confuso.

Di nuovo un’unica certezza: Josh non avrebbe dovuto esser li ad accarezzarle il viso, a tenerle la mano. Sembrava così profondamente sbagliato che lui fosse li. Lei di certo non lo avrebbe voluto presente. Era un estraneo, non voleva la sua empatia.

 

Il giorno successivo la morfina aveva iniziato a lasciarle scampo e quel sonno disturbato che l’aveva avviluppata dopo la sparatoria le aveva dato tregua per qualche ora.

Era decisamente più lucida e affrontava razionalmente il fatto che Josh aveva un valido motivo per essere li. Lui in fondo era il suo fidanzato.

Sembrava anche essere piacevole sentire la sua mano sulla sua, a tracciare lievi carezze.

Poi era arrivato Castle.

Pur nella confusione del suo stato aveva colto la profonda sofferenza del suo sguardo nel vederla con Josh, ma in quel momento non era in grado di gestire quello che sentiva.

Aveva bisogno di più tempo.

Più spazio.

Meno paure.

Così, gli aveva detto di non ricordare nulla, e gli aveva chiesto del tempo.

Lo avrebbe richiamato lei quando fosse stato il momento.

 

Poi era stato il momento della riabilitazione e della fisioterapia.

Aveva lottato per riprendersi. Era stata una dura battaglia e non aveva voluto nessuno vicino.

Josh meno di tutti. Non aveva nessun bisogno di lui, così come lui non ne aveva di lei. Anche se probabilmente se ne sarebbe reso conto solo più tardi.

L’unico ad avere il permesso di vederla, se non di aiutarla, era stato suo padre.

 

Aveva vinto la guerra contro se stessa ed era tornata fisicamente sana in quello che i medici definivano un tempo record.

Tornare al distretto le aveva fatto bene, era una persona metodica e amava avere una routine quotidiana da seguire. Peccato si fosse poi accorta di come non fosse in grado di affrontare la situazione in caso di emergenza.

A quella consapevolezza si aggiungeva ora il fatto di non sentirsi pronta nemmeno per affrontare Castle.

Bugiarda e vigliacca.

Così si sentiva.

 

L’unico a sapere delle sue bugie, ormai da mesi, era Burke, e le stava facendo capire quanto si stesse perdendo a causa del suo blocco ad instaurare relazioni profonde e durature.

Quello che stavano affrontando in quel momento era il fatto che Castle, a quel punto, era già ben più di una semplice relazione duratura nella sua vita.

Era probabilmente un pezzo indispensabile.

Se ne stava privando da mesi, soffrendo ogni giorno la sua mancanza. Quasi come una punizione autoinflitta per avergli mentito.

L’altro punto all’ordine del giorno, quando andava alle sedute, era chiedersi come poteva permettersi di vivere tranquillamente la sua vita.

Viveva con la certezza costante che un killer si aggirava ancora libero, probabilmente aspettando il momento migliore per chiudere il conto con lei.

Sarebbe stato giusto aprirsi con Castle quando la sua vita era appesa ad un filo sottile?

Questo era forse il principale motivo per cui non lo aveva ancora richiamato.

Certo era che, da diversi anni ad oggi, quello era probabilmente il lasso di tempo più lungo nel quale non si fossero visti e doveva ammettere che la compagnia dello scrittore iniziava a mancarle parecchio.

Ne avrebbe dovuto parlare con Burke quella sera, si appuntò mentalmente prima di riprendere a lavorare.

 

Ad interrompere i suoi pensieri, poco meno di mezz’ora dopo, arrivò il suono del telefono.

-Kate…- La voce della più giovane di casa Castle le arrivò spezzata da quelle che sembravano disperazione e paura - Loro sono là dentro. Sono là dentro da più di un’ora ormai.-

Aveva risposto senza neanche guardare da dove provenisse la chiamata e sentire la rossa l’aveva fatta tornare indietro col pensiero a diverso tempo prima.

Una volta sarebbe stato abbastanza normale ricevere una sua chiamata. In fondo era la partner lavorativa del padre.

Ora la situazione era molto diversa, doveva essere successo qualcosa di grave per indurla a chiamare lei.

-Calmati, Alexis, che succede? Dove si trovano?- In quanto ai soggetti della frase, aveva capito benissimo a chi si riferiva la ragazza.

-Erano andati in Banca, stamattina. Alla New Amsterdam, quella sulla Lexington- Cercò di spiegarsi Alexis.

Un primo campanello d’allarme le risuono in testa a quel nome. Era successo qualcosa sulla Lex quella mattina, l’aveva sentito mentre era in sala relax per preparare il suo caffè. Ma non aveva prestato grande attenzione alla cosa.

-Beckett, sono stati presi in ostaggio!- concluse poi la ragazza.



Ho deciso di iniziare questa storia perchè ho sempre amato l'episodio Cops & Robbers. Il sorriso che lei gli rivolge quando lo vede credo sia una delle scene più belle di Castle.
Credo di aggiornare settimanalmente, ma forse riuscirò a farlo anche un po' più spesso.
Ogni recensione, positiva o negativa, è ben gradita!
CDR
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: cristalskies