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Autore: Stellalontana    24/02/2016    0 recensioni
"Da piccola volevo anche io una storia d’amore come quella di Anna e il re del Siam, un amore così forte da poter superare gli ostacoli di ceto, cultura e religione, ma da grande mi sono accorta che è un po’ come volere una storia d’amore stile Romeo e Giulietta.
​Per quanto possa essere meravigliosa, dura tre giorni e muoiono tutti. "
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cap. 1 – Emma Rinaldi. Professione segretaria.
 

Ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi è un dono. Per questo si chiama Presente.

(dal film “Kung Fu Panda” di Mark Osborne)
 

C’erano poche cose di cui ero sicura in vita mia, una di queste era che il principe azzurro non esiste e che, anche se esistesse, non sono affatto sicura che mi fiderei di uno che va in giro con i collant azzurri. Avevo smesso di credere al principe azzurro dopo aver visto Biancaneve.
Andiamo, ragazze. Non mi direte che sognate un imbecille canterino che non spiccica una parola nemmeno a pregarlo in turco?
Perciò, accantonato il principe azzurro, avevo deciso che me la sarei sempre cavata da sola, senza mai chiedere aiuto a nessuno, meno che meno ad un uomo.
Non bisogna essere un indovino per sapere che questo non è successo, ovviamente. Però dal mio errore ho imparato qualcosa di nuovo, ossia che a volte non è necessariamente sbagliato ammettere di aver bisogno di qualcuno.
Non sono mai stata brava a chiedere aiuto, ma per una volta in vita mia potrei farlo. Insomma, l’ho fatto. Perché le persone cambiano, se hanno voglia di cambiare. E non sempre cambiano per il peggio.
La mia storia, che non è proprio la mia storia, ma anche quella di un uomo, di un fratello, di una madre, di un’amica, comincia con me. E con lui.
Soprattutto con lui.

*

Ero entrata in quell’ufficio senza la più piccola speranza di essere assunta, e mentre sto seduta a guardare gli altri correre di qua e di là mi chiedo se non sia il caso di mettermi a correre pure io, tanto per fare qualcosa. Prendo una rivista dal tavolino di vetro al mio fianco, senza nemmeno guardare cosa sia esattamente. Ho bisogno di questo lavoro. Voglio questo lavoro. E non solo perché devo pagare l’affitto e le bollette. Sono stanca di stare sempre in mezzo ai cadaveri, sono stanca di dover essere sempre alle prese con cartelline di autopsie e sono stanca di dovermi sempre togliere l’odore di disinfettante dai vestiti. Sono stanca perfino di prendere la metro per entrare in ospedale. Ho voglia di qualcosa di nuovo e vorrei davvero tanto che fosse qui alla Kavanough Tower.
Appoggio il giornale sulle ginocchia. Edward Kavanough. Il multimilionario erede del grande Howard Kavanough, imprenditore immobiliare dagli anni settanta, ha costruito mezza Roma, e suppongo anche mezza Londra. Mentre ci penso quasi mi tremano le mani. Da qui a poco potrei essere la segretaria personale dell’uomo più ricco d’Italia. Potrei davvero esserlo. Guardo distrattamente la hall degli uffici. Sembra di essere in un alveare: persone che parlottano tra loro, il rumore sommesso dei computer, qualcuno che scrive, i rumori di sottofondo delle fotocopiatrici. C’è una porta proprio di fronte a me, e deve essere quella il sancta sanctorum, l’ufficio del signor Kavanough. Mi tremano le mani a pensare che potrei davvero lavorare per lui, essere ogni giorno a stretto contatto con l’uomo che ha rivoluzionato il modo di concepire l’energia rinnovabile.
Mi chiedo quanto devo ancora aspettare, ma in fondo non importa. Non importa se il colloquio andrà bene, non importa se lunedì potrò di nuovo essere qui e mettere il cartellino con su scritto E. Rinaldi, Kavanough Inc. sulla giacca.
Una ragazza mi passa davanti con un grosso plico di fogli tra le braccia, urta un giovane con gli occhiali e i fogli finiscono a terra, in uno svolazzo di carta stampata. Lei impreca, e io vorrei poter ridere. A dire la verità vorrei alzarmi ad aiutarla, ma mi rifugio dignitosamente dietro la rivista, prima di scoppiare a ridere. Quando la ragazza finisce di ordinare, finalmente quella che sembra una segretaria con un tailleur color pesca si ferma davanti a me.
“Emma Rinaldi?” chiede. Mi alzo annuendo, prendo la borsa e mollo la rivista, seguendo la ragazza dentro lufficio. Ma appena entrata mi accorgo che non è esattamente un ufficio. È un appartamento. In fondo, a circa un metro di distanza dalla vetrata, la scrivania di mogano è lunga almeno tre metri. Il resto è bianco e avorio, con rifiniture di legno chiaro, i mobili, le pareti. Il pavimento è di parquet scuro che probabilmente qualcuno lava e lucida ogni mattina. Per la prima volta in vita mia mi sento piccola e insignificante all’interno di quello spazio enorme, reso ancora più grande dalla vetrata che dà su Roma. Da quest’altezza si vedere perfino il Colosseo.
Nell’ufficio non c’è nessuno. La ragazza, che scopro chiamarsi Francesca, mi fa mettere una firma su un registro, e alza lo sguardo per sorridermi.
“Il sig. Kavanough si scusa per l’attesa, arriverà a momenti” mi informa. Alzo le spalle.
“Non importa, grazie.”
Lei annuisce. “Intanto può dirmi se ha risposto all’annuncio o se è qui tramite le risorse umane?”
“Sono stata contattata da Davide Di Francesco delle Risorse Umane. Dovrebbe aver spedito il mio curriculum ieri.”
“Bene. Il sig. Kavanough deve averlo ricevuto sicuramente” fa una pausa, armeggiando con il registro in bilico sopra un braccio. Scribacchia qualcosa su una agenda rossa, poi si rivolge di nuovo a me. “Sa che lavoro fa il sig. Kavanough?”
Deglutisco e annuisco lentamente. “Imprenditore immobiliare, impegnato per le risorse rinnovabili della fondazione. Azioni da milioni di euro e ristrutturazioni in tutta Roma.”
Scorgo un accenno di sorriso sul viso di Francesca. “Penso che debba aggiungere un altro zero” sorride di nuovo “Ha mai lavorato in questo campo?”
“Sono stata segreteria all’azienda ospedaliera per due anni, ma non ho mai lavorato per qualcuno così... in alto.”
A questo punto lei ride sommessa. Perfetto. Ho un’alleata.
“Capisco, ma non si preoccupi. Il sig. Kavanough può sembrare autoritario ma è un buon capo. Il lavoro che dovrà svolgere sarà per lo più di segreteria, come probabilmente le avranno già spiegato, quindi dovrà occuparsi dell’agenda del sig. Kavanough, dei suoi appuntamenti, delle riunioni. Il sig. Kavanough è un uomo molto impegnato” chiude l’agenda e va a riporla sulla scrivania “Dovrà accompagnarlo alle conferenze e occuparsi di trascrivere i suoi discorsi.”
Mi appunto mentalmente di comprarmi un registratore, qual ora ce ne sarà bisogno.
“Oh, e ovviamente,” continua Francesca “dovrà occuparsi di intrattenere gli ospiti quando il sig. Kavanough è assente. Le consiglio, se la assumerà, di documentarsi bene sul lavoro svolto in quest’ufficio. Le risulterà utile.”
Sospiro. “Tampinare la scrivania, rispondere al telefono, controllare l’agenda” riassumo con un mezzo sorriso “credo di potercela fare.”
Anche Francesca mi sorride. Ci capiamo. Poi la porta si apre, io mi volto ed entra Mister Universo. Francesca mi lancia un’occhiata e sorride professionale rivolgendosi al sig. Kavanough.
“La signorina Emma Rinaldi, sig. Kavanough” mi presenta. Lui mi porge una mano, che stringo.
“Piacere di conoscerla” mi saluta con un sorriso sottile.
“Anche per me, sig. Kavanough.”
Lui mi fa cenno di avvicinarmi alla scrivania per farmi sedere. Non mi volto, ma sento la porta chiudersi. Sono sola insieme ad Edward Kavanough nel suo ufficio. Mi pizzico discretamente il braccio, cercando di capire se sto ancora sognando. Lui siede sulla poltrona dall’alto schienale, dall’altra parte della scrivania, davanti a me.
Non ci sono molte immagini pubbliche di Edward Kavanough. Poche fotografie scattate da lontano mentre entra o esce dalla sua villa in periferia, o dal suo appartamento in centro, o piccoli scatti rubati a qualche festa. Il sig. Kavanough è un uomo discreto, recitano di solito i giornali, che non si fa riprendere facilmente e soprattutto che non ama la notorietà. Quegli scatti sfocati erano tutto ciò che avevo per farmi un’idea su Edward Kavanough. E ovviamente la mia idea era sbagliata.
Il suo viso ha i tratti appuntiti, lineamenti maschili, gli zigomi alti e pronunciati, una lieve ruga d’espressione che gli corre sulla fronte quando abbassa gli occhi. I capelli sono tagliati corti, ma sono folti e ondulati probabilmente se fossero più lunghi sarebbero ricci, color rame. Dubito che arrivi ai trentacinque anni. Appoggia le braccia sulla scrivania, mentre alza la testa per guardarmi. I suoi occhi, dietro le lenti degli occhiali rettangolari, sono di un azzurro perfetto, vellutato e profondo, un colore che vira dall’azzurro del cielo al verde del mare. Si toglie con due dita gli occhiali reggendoli tra il pollice e l’indice della mano destra. La camicia azzurra che porta ha le maniche arrotolate fino ai gomiti.
“Francesca le ha spiegato il suo lavoro?” mi chiede diretto. Annuisco.
“Sì, signor Kavanough.”
“Bene” annuisce, poi alza il foglio e io riconosco il mio curriculum perché in alto a destra c’è la mia fotografia. “Non ha esperienza in questo campo.”
“No, è vero. Ma ho già avuto esperienza come segretaria.”
“Sì, vedo” replica lui serio “ha lavorato con il dottor Dominici, il direttore di Medicina Legale.”
“Sì, due anni.”
“Non è stato un problema per lei? Con tutti quei...” sembra cercare la parola adatta, così gli vengo in aiuto.
Cadaveri?” chiedo. Lui mi fissa per un momento, poi sul suo viso compare un mezzo sorriso.
“Esattamente.”
“Beh, se devo essere sincera le prime volte è stata dura. Tutte le mattine mi dicevo che era l’ultima mattina della mia vita lì dentro ma,” alzo gli occhi e mi accorgo che è tornato serio, che mi guarda attento, ascoltandomi “il lavoro è lavoro e io non potevo fare la schizzinosa.”
Lui annuisce un paio di volte e lascia andare il foglio, appoggiando il mento tra le mani e i gomiti sulla scrivania.
“Per l’università, immagino.”
“Immagina bene, sì. Ho accettato il posto a Medicina Legale perché l’orario era flessibile e lo stipendio buono. Mi ha permesso di laurearmi in fretta e con poco spreco di tempo.”
D’accordo. Forse così suono troppo cinica, ma non importa. Ho fatto i miei cinque anni di università, una scelta che mi è costata sangue e sudore, notti insonni per preparare gli esami e tanti rospi che ho dovuto ingoiare, ma nella vita non si sa mai che cosa ti può capitare, perciò è meglio tenere aperte tutte le strade prima di ritrovarsi persi nell’uragano.
“Vedo che è laureata in lingue” aggiunge.
“Inglese e tedesco” rispondo.
“Perché ha scelto proprio questo lavoro? Non sarebbe stato meglio per lei l’insegnamento, o la ricerca?”
Sollevo le spalle. “Per fare l’insegnante ci vuole la vocazione e io, sinceramente, non credo di averla” replico in fretta “e la ricerca non è proprio il mio campo. Mi piace organizzare, e credo di essere brava. Mi piace stare in mezzo alla gente.”
“Eppure ha fatto un percorso molto specifico. Tre anni di lingue e letterature e due anni di specializzazione in lingue europee. Si direbbe che una laurea del genere debba portare all’insegnamento, quasi come passo obbligato.”
Lo guardo per un momento. I suoi occhi sembrano più grandi senza gli occhiali, le ciglia lunghe e arcuate.
“Il fatto è che nella vita non si può mai sapere che cosa ci riserva il futuro. Non voglio che un domani mi si chiuda una porta in faccia solamente perché quando potevo non ho firmato un pezzo di carta.”
A questo punto sembra quasi impressionato. “Pensa che io non la assumerò?”
Non riesco a dissimulare una risata. “Beh, non tutti possono lavorare con lei signor Kavanough.”
“Edward” mi ferma subito “la prego. È mia abitudine chiamare per nome i miei dipendenti e questo vale anche per lei. Emma, giusto?”
Annuisco. Mi ha appena messo alla pari dei suoi dipendenti, perciò penso che sia un buon segno.
“Sa, di solito non assumerei una persona qualificata come lei” aggiunge e il mio entusiasmo si sgonfia immediatamente “e le suggerirei di cercare qualcosa che valga tutto il gran lavoro che ha fatto. Ma credo che con lei non sarebbe la cosa giusta da fare.”
Lo guardo. Non so come voglia che io risponda ad una constatazione simile, ma mi metto più comoda sulla poltrona cercando di prendere tempo.
“Perciò le farò una sola domanda” dice, togliendomi dall’impiccio “perché è qui, esattamente?”
La sua domanda mi stupisce e francamente mi preoccupa un po’. Da qui le cose possono solo peggiorare se la mia risposta non sarà all’altezza delle sue aspettative.
“Signor Kavanough io...”
“Edward” mi interrompe subito alzando una mano. Deglutisco.
“Edward” ripeto e lui sembra compiaciuto “sono qui perché voglio lavorare con lei.”
Mi ero ripromessa di dire la verità. Beh è questa la verità, pura e semplice.
“E perché dovrei assumere proprio lei?” mi domanda “Non sto nemmeno a dirle quanti curriculum mi arrivano ogni mattina. Lo ha detto lei stessa che non tutti possono lavorare con me, ed è vero. Perché proprio lei dovrebbe essere quella giusta?”
Già, perché? Bella domanda. Favolosa, proprio quella a cui volevo rispondere.
“Perché so fare il mio lavoro” rispondo e anche questa è la verità. Non voglio fare l’immodesta, o quella che si vanta, ma è vero. Dominici mi ha sempre detto quanto ero brava nel tenere la sua agenda e io gli credo. Era un brav’uomo e mi ha aiutato moltissimo negli ultimi due anni. “Perché so di potercela fare. So anche che lei è un uomo molto impegnato e che non si farebbe mai affiancare da un’incompetente. Perciò se mi assumerà saprò di avere fatto la scelta giusta. Quella di non arrendermi.”
Cade il silenzio. Solitamente proverei a riempirlo con altre parole, ma quel giorno non credo che esistano parole abbastanza sicure per non farmi sentire a disagio. Lui sembra soppesarmi, come se non credesse alle proprie orecchie, la fronte aggrottata percorsa da rughe d’espressione. I suoi occhi mi scrutano quasi volesse trapassarmi e io non so più dove guardare. Non posso abbassare gli occhi, non voglio che lui sappia che sono in imbarazzo e non voglio nemmeno guardarlo, come se stessi cercando di sfidarlo.
“Lei mi piace.”
Sollevo la testa con uno scatto e lui scoppia in una breve risata.
“Sì, ha capito bene. Lei mi piace. Non sembra intimidita dalla mia presenza, né dal fatto che potrebbe essere assunta da uno degli uomini più ricchi del pianeta. La cosa sembra solo un effetto collaterale per lei.”
Beh, non necessariamente, ma diciamo che è vero. “Come moltissime altre persone in questo paese io la ammiro, si... Edward” mi riprendo all’ultimo “ammiro quello che fa per le persone più sfortunate e ammiro l’impegno che la Fondazione mette nel progetto per le risorse rinnovabili.”
Lui mi fissa per un lungo momento, rigirandosi una penna tra le dita.
“Non ha risposto alla mia osservazione” contesta lentamente. Vero.
“I soldi non sono la mia motivazione,” rispondo onestamente “anche se mi sono serviti per pagarmi l’università e le bollette. Se lo fossero probabilmente avrei scelto un altro lavoro. Ma non lo sono. E con un po’ di fortuna non lo saranno mai.”
Edward sembra di nuovo soppesarmi, guardandomi con i suoi occhi penetranti, come se volesse scavarmi l’anima.
“In realtà credo che in lei ci sia molto di più di quello che riesco a capire per il momento” risponde le labbra curvate in un sorriso “ed è fortunata, perché a me piacciono le sfide.”
Sento il mio viso andare a fuoco in un secondo netto. Cavolo, perché devo sempre rovinarmi il finale? Ma Edward probabilmente fa finta di non accorgersene perché non commenta né dà a vedere di averlo notato.
“Posso farle un paio di domande di carattere personale?” chiede a quel punto. Evito il suo sguardo posandolo sulle mie mani strette in grembo.
“Non vedo perché no” rispondo.
“Ha un fidanzato?”
Rialzo lo sguardo. Di tutte le domande che potevo aspettarmi quella proprio non era sulla lista.
“Un fidanzato?” domando a costo di sembrare idiota “No, perché?”
Lui alza le spalle. “Viaggio molto,” risponde semplicemente “avrò bisogno della mia segretaria ovunque andrò. Sono un uomo molto impegnato come ha detto lei prima, perciò ho bisogno di qualcuno che si occupi della mia agenda, che trascriva i miei discorsi, che prenda appunti durante le riunioni. Ma voglio una collaboratrice, non una schiava.”
Deve aver letto qualcosa di sbagliato nella mia espressione, giudicando dalla sua ultima frase.
“Io non...”
“Dovrà anche tenere in ordine la mia scrivania” riprende, ignorandomi “controllare che tutto sia al suo posto. E dare una rinfrescata all’archivio.”
Il mio sguardo cade sulla scrivania ingombra di documenti. Immagino che l’ordine non sia il suo forte. Lui segue il mio sguardo e quando lo rialza incontra i miei occhi.
“Non sono un tipo ordinato,” conferma annuendo “ma tornando a noi, la verità è che voglio essere sicuro che lei non abbia problemi a viaggiare. Un fidanzato geloso, per esempio.”
Sollevo un sopracciglio. Ha appena definito un fidanzato un problema. Decido di non ribattere, anche se ci sarebbe da disquisire su questo.
“Non ho problemi a viaggiare” rispondo invece.
“Molto bene, è una cosa fondamentale per me” replica Edward. Si fa un po’ di spazio e appoggia i gomiti sulla scrivania. “La mia ex... segretaria mi accompagnava anche a ricevimenti e altre sciocchezze del genere. Lei dovrà fare lo stesso. E vorrei che questo fosse chiaro fin da subito: lei è la mia segretaria. Non tollererò che il suo aspetto sia meno che decoroso.”
Ok, Edward, adesso stai esagerando. A parte il fatto che mi ha appena definito la sua segretaria, per cui evito di dire nulla, sia mai che cambi idea, non ho assolutamente l’intenzione di lasciarlo sindacare sul mio modo di vestire.
“Nessuno si è mai lamentato del mio guardaroba, Edward, e sono convinta che non lo farà nemmeno lei.”
Edward mi rivolge uno sguardo inclinando la testa. “Questo è tutto da vedere,” mi risponde “ma non ho tempo per queste sciocchezze.”
"Sopravviverò egregiamente ad un abito da sera, Edward” ribatto cauta. È a questo punto che lui ghigna. Sì, è un ghigno. L’espressione del gatto che ha appena catturato il topo con cui stava giocando.
“Lo spero proprio” dice. Il suo atteggiamento mi irrita, e lui deve accorgersi che mi sono rabbuiata perché torna serio.
“Senza offesa, si intende.”
Forzo un sorriso a labbra strette. “Ci vuole ben altro per offendermi, sig. Kavanough.”
Ed è in questo momento che lui sfodera uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto. A tutta bocca che gli fa brillare gli occhi azzurri in un modo che credo sia praticamente impossibile descrivere. Il suo viso si illumina di genuina ilarità, quasi che avesse assistito a una scena particolarmente divertente. Ciò mi spaventa per un secondo. Un uomo capace di cambiare così repentinamente espressione dovrebbe essere dichiarato illegale.
“Per fortuna. Tutti i miei assistenti si lamentano in continuazione dei miei sbalzi d’umore,” si tira indietro appoggiandosi alla poltrona “spero che per lei non sia troppo da fronteggiare.”
“No, Edward non lo sarà.”
Lui continua a guardarmi, ancora con quell’espressione da predatore. “Molto bene, Emma. Allora diciamo che ci rivediamo lunedì. Le manderò il contratto questa sera stessa. La prego di leggerlo con molta attenzione e di prepararsi le sue domande quando ci vedremo la prossima settimana.”
Lo guardo mentre dentro di me si agitano gioia e preoccupazione in egual misura. Sono la segretaria di Edward Kavanough. Mi ha assunta.
“Lo farò Edward” rispondo alzandomi. Lui si alza con me e mi accompagna alla porta.
“Un’ultima cosa Emma” mi ferma mentre la mia mano si appoggia sul pomello della porta. Lo guardo da sotto in su. È alto almeno un metro e novanta e troneggia su di me che sono un metro e settanta scarso. Mi sento così piccola che devo alzare la testa e scostarmi appena per ritrovare il mio contegno.
“Amo la mia privacy” comincia, la voce che si abbassa “perciò la pregherei di usare tutta la discrezione possibile. Lei sembra una brava persona, perciò voglio fidarmi di lei. Non mi faccia ricredere.”
Annuisco. Edward si scosta dalla porta e mi sorride leggermente. “Non lo farò, Edward. Glielo prometto.”
Lui mi apre la porta sempre sorridendo con quel suo modo sghembo e sento i suoi occhi che mi fissano fino a che non arrivo all’ascensore. Lui è ancora lì sulla porta quando io mi volto. I suoi occhi mi scrutano mentre l’ascensore si chiude. Mi appoggio alla parete. Oh, santa padella sono la segretaria di Edward Kavanough! Sono la sua segretaria. Ho voglia di ballare. Finalmente il mondo gira nel verso giusto!
Ma con la fortuna che mi ritrovo tutto questo ovviamente non durerà a lungo.

*

Sto cenando sul divano di casa mia con la mia migliore amica Stefania, con un cartoccio di spaghetti di soia con verdure stretto in una mano e le bacchette nell’altra. Stefania ha preso a noleggio il suo film preferito, Anna and the King e in questo momento Anna Leonowens sta cercando di insegnare alla corte come si mangia con le posate. Senza niente togliere a Chow-You Fat e al cast, avrei preferito un altro film. Amo questa storia ma di piangere, perché piango sempre alla fine di questo film, proprio non avrei voglia. Ma Stefania lo adora e io non posso far altro che accettare quando si tratta della mia migliore amica. Ci conosciamo da quando andavamo all’asilo, abbiamo fatto tutte le scuole insieme, tranne l’università. Sei anni fa lei è partita per Venezia per studiare lingue orientali all’università Ca’ Foscari, e ci siamo viste a fasi alterne, più che altro durante le vacanze di Natale e in agosto, quando lei tornava per stare con i suoi. Mentre io mi destreggiavo tra Medicina Legale e lezioni obbligatorie di letteratura lei se la godeva a Venezia. I suoi genitori sono molto ricchi di famiglia perciò non hanno avuto difficoltà a mantenere la figlia a Venezia per tutti quegli anni. Nonostante questo Stefania non mi ha mai fatto pesare la nostra differenza economica. E io gliene sarà sempre estremamente grata. Adesso io sono la segretaria di Edward Kavanough e lei insegna arabo agli adulti.
“Sei corrucciata” osserva mangiando la coda di un gambero fritto. Sospiro.
“No che non lo sono.”
Stefania afferra il telecomando e mette in pausa il film, proprio nella scena che preferisco, quella del ballo.
“Emma” mi avverte “che cosa ti è successo di così sconvolgente stamattina?”
Non serve a niente nascondere qualcosa a Stefania, tanto prima o poi me la tirerà fuori con le pinze.
“Ti ho detto che stamattina avevo un colloquio, giusto?” chiedo sedendomi più comoda sul divano. Lei annuisce, addentando un altro gambero. “Era alla Kavanough Tower.”
Stefania rimane in silenzio, il gambero a mezz’aria, l’espressione di chi non crede alle sue orecchie. “Cioè” mi guarda incredula “quella Kavanough Tower?”
“Ne conosci altre?” domando divertita. Stefania scuote la testa, senza dire nulla. “Beh, mi hanno assunta.”
Stefania mi fissa stranita per un momento. Forse è troppo stupita per assorbire la mia risposta, ma sta comunque esagerando. Crede così poco nelle mie possibilità? Ma mentre sto per tirarle un calcio dall’altro lato del divano lei apre le braccia e lancia un urlo che spero non svegli tutto il vicinato. Si lancia su di me e mi abbraccia, soffocandomi.
“Sei un mito!” mi strilla in una orecchio. “E com’è la Tower?”
Rido, sollevata. “Enorme. Persone che corrono dappertutto, telefoni che squillano in continuazione...” scuoto la testa “non so proprio come farò ad abituarmi.”
“Oh, tranquilla, con lo stipendio che ti daranno non sarà molto difficile” sorride Stefania “Allora, come si chiama il tuo superiore?”
Mi mordo le labbra. Stefania andrà fuori di testa quando le dirò che il capo in persona mia ha assunta, che sono diventata la segretaria di Edward Kavanough.
“In effetti lo conosci bene” rispondo “anche se solo di nome. Sono stata assunta da Edward Kavanough.”
Stefania rimase ancora con l’ennesimo gambero a mezz’aria, la bocca aperta.
Quell’Edward Kavanough?” sillaba “Quello che ha fatto Babbo Natale per i bambini orfani?”
Annuisco. “Quello.”
“Mio Dio, Emma! Lo scorso anno ha ridestinato le vecchie fabbriche, che sarebbero state demolite, ad appartamenti per i disoccupati in attesa di lavoro. E ha costruito un asilo in un intero piano della Kavanough Tower. Oddio non ci posso credere! Edward Kavanough!”
Annuisco di nuovo. “Sì lo so. Ho letto l’articolo, sai?”
Stefania ghigna. “Oh, sì che lo so, te l’ho portato io. E com’è? Dimmi, com’è di persona.”
Rimango in silenzio un momento, cercando di trovare le parole giuste. “È... molto affascinante” rispondo “intelligente, gentile e molto professionale. Il suo ufficio è grande quanto questa casa.”
“E che impressione ti ha fatto?”
“Non lo so” ribatto sinceramente mettendomi comoda sul divano “credevo che fosse più... non lo so, freddo. Invece mi è sembrato molto alla mano, insomma, un uomo normale. Anche se so che non è un uomo normale.”
Stefania annuisce pensierosa. “Beh, guarda quello che ha fatto da quando è subentrato a suo padre alla guida della Kavanough Enterprise.”
“Sì, lo so, però... non lo so, sarà il fascino degli inglesi.”
“Sua madre è italiana, però,” commenta Stefania porgendomi il sacchetto con i biscotti della fortuna “e se non sbaglio sono molti anni che vive qui.”
“Mh” rispondo aprendo un biscotto “sì, suo padre è morto qui a Roma. E credo che Edward si sia anche sposato qui.”
“Sì, con quella Rachel” lei storce il naso, aprendo il suo biscotto “quell’oca giuliva. L’ho vista solo una volta e da lontano, ma aveva l’espressione più antipatica che ho mai visto sul viso di una donna. Se non sbaglio sono divorziati da tre anni.”
L’occhiata che Stefania mi lancia non mi piace per niente. È l’espressione che mi lancia ogni volta che conosco un ragazzo carino.
“Stefania” l’avverto. Lei ride.
“Cosa? È bellissimo, ricchissimo, divorziatissimo e senza figli” elenca “e tu sei bella, buona e brava nel tuo lavoro. Se non ti cade ai piedi entro l’estate non mi chiamo più Stefania Lazzeri!”
“Quello divorziatissimo e bellissimo sarebbe il mio capo.”
“E allora? Che importanza ha? Anzi meglio” mi guarda e mi strizza l’occhio.
“Meglio?”
“Sesso mattutino sulla scrivania” schiocca la lingua sul palato e mi lancia un’occhiata che la dice lunga sul perché lei è una donna di mondo e io no “non puoi di certo chiedere di meglio. Scommetto che ha una poltrona comodissima...”
“Stefania!”
“Cosa?”
Le lancio il mio biscotto ma purtroppo lo afferra al volo e mi fa una linguaccia, ficcandoselo in bocca e sganasciando senza ritegno. Non posso trattenermi dal ridere a crepapelle. Apriamo un altro biscotto e leggiamo i bigliettini.
“Che cosa dice il tuo?” domanda Stefania srotolando il suo bigliettino.
Una piacevole e attraente personalità piena di talento incrocerà la tua vita e farà brillare la tua fantasia” recito.
Lei mi fissa e mi fa di nuovo l’occhiolino. “Più che brillare io dire imbizzarrire, giusto?”
Le faccio una linguaccia. “E il tuo che dice?”
Colui che ha immaginazione senza imparare ha le ali e non i piedi” aggrotta la fronte, infilandosi in bocca la metà del biscotto “Pazzesco. Avrei voluto qualcosa sulla vita sentimentale, almeno.”
Rido. “Oh, tranquilla la tua vita sentimentale è al sicuro. In una botte di ferro, anzi.”
Lei mi guarda masticando esageratamente. “Non è colpa mia se tutti gli uomini sono degli stronzi.”
“Con questo sono d’accordo” sospiro “ma tu, bimba mia, dovresti anche mettere un freno ogni tanto, no?”
“Perché dovrei? Sono bella, intelligente e con un buon lavoro. Posso avere tutti gli uomini che voglio. E anche tu, cara mia.”
Sbuffo, rimettendo le carte dei biscotti dentro la busta con i cartocci della nostra cena ormai finita. “No, Stefania. Io ho già dato.”
“Sì, come no. Aspetta soltanto che Edward venga ad alitarti sul collo e poi me lo racconti.”
“Edward non mi alita sul collo... o almeno non credo...” rispondo incerta.
Stefania ride, tirandomi un pizzicotto. “Tesoro” mi avverte “non perdere l’occasione quando ti si presenta. Il tuo capo è il tuo capo e sono d’accordo, ma non è off-limit, a meno che non sia gay e non credo proprio.”
Soppeso la sua osservazione. È vero, Edward di certo non è off-limit per le altre donne, ma lo è per me. Primo perché è il mio capo, e secondo perché non voglio affezionarmi a nessuno. L’ultima volta non è andata bene e non voglio ritrovarmi di nuovo in lacrime per un uomo. Non se lo meritano e io per prima non mi merito di essere infelice.
“Beh, vedremo” ribatto alzando le spalle. Stefania mi guarda in tralice.
“Non è che è tornato Marco alla ribalta vero?” domanda minacciosa. Scuoto la testa.
“No, no, figurati. E anche se fosse tornato non credo che la cosa mi avrebbe toccato” rispondo. Stefania si volta verso di me, guardandomi inclinando la testa.
“Tesoro sei ancora attaccata a quella canaglia” afferma. Scuoto la testa.
“No che non lo sono!” ma è una bugia e Stefania lo sa. Mi fa ancora male pensare a Marco, mi fa ancora male vederlo con altre donne, e mi fa ancora male ogni qualvolta che lo incontro e non mi degna di uno sguardo, come se non avessi passato otto anni della mia vita insieme a lui. Come se fossi soltanto una delle tante.
“Emma” mi avverte Stefania “è morto per te, ricordatelo. Ti meriti di meglio. Te lo meriti davvero bimba mia. Soprattutto non hai niente da rimproverarti. Tu non hai fatto niente di male.”
Annuisco. “Lo so, lo so. È solo che... a volte mi chiedo se anche io ho fatto qualcosa di sbagliato. Dove ho sbagliato. Magari potevamo farcela e invece...”
“E invece lui ti ha mollato a un mese dal matrimonio per scoparsi una brasiliana!” mi interrompe Stefania infervorandosi. Deglutisco. Bonjour finesse.
“Sì, ok, ma...”
“Ma niente, Emma! Lui è uno stronzo opportunista e tu non hai niente da rimproverarti. Smettila di arrovellarti il cervello e lascialo andare. Quando le cose che fa e che dice non ti toccheranno più sarai sicura che è davvero finita.”
Ha ragione, lo so che ha ragione, ma non ci posso fare niente. Ho praticamente passato un terzo della mia vita con Marco e per quanto le cose fossero sull’orlo della distruzione tra di noi io lo amavo ancora. Per questo avevo accettato di sposarlo, lo avrei fatto davvero, avrei davvero passato tutta la mia vita con lui, prima di scoprire che mi tradiva da un anno.
“Ti prego, adesso ho davvero voglia di piangere sull’amore finito” piagnucolo fintamente. Stefania se la ride e fa ripartire il film. Da piccola volevo anche io una storia d’amore come quella di Anna e il re del Siam, un amore così forte da poter superare gli ostacoli di ceto, cultura e religione, ma da grande mi sono accorta che è un po’ come volere una storia d’amore stile Romeo e Giulietta.
Per quanto possa essere meravigliosa, dura tre giorni e muoiono tutti.


Note.
Salve e benritrovati a tutti! Dopo anni di silenzio, ho deciso che era ora di far leggere questo piccolo mostro a qualcuno. 
Mi servirebbe davvero un parere sincero, perciò i commenti sono graditi, aiutate a sfamare un autore affamato di recensioni e vi guadagnere il paradiso!
Con affetto, 
la vostra Stella

   
 
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