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Autore: RedSonja    24/02/2016    1 recensioni
Qual'è il confine tra Follia e Utopia?
Chi lo stabilisce?
E cos'è la Libertà se non l'innegabile necessità dell'Anima di volare?
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                     L'Ultima Luce Dell'Aurora

 

 

 

Grigio.
 
Ogni cosa, in quel luogo dimenticato da Dio, era semplicemente grigia e tetra: le pareti, il soffitto, il letto... perfino le luci erano di un colore asettico e freddo.
Non un raggio di sole filtrava nella cella che gli avevano riservato, in cui era stato recluso come un criminale, o un folle perchè, in una società affetta dal dogmatismo e dalla dittatura - del pensiero comune e non solo - chiunque si discostasse da un etica accettata come tale poteva essere nient'altro che un pazzo, o un sovversivo.
 
Minuti? Ore? Da quanto tempo era lì, immobile, sdraiato su un materasso, avvolto in coperte consunte, a fissare l'espandersi di una macchia d'umidità nell'angolo a nord del soffitto?
Credeva che fosse notte, anche se era impossibile determinarlo con certezza, in mancanza di un qualsiasi pertugio - sperare in una finestra era un lusso che non poteva permettersi, viste le sue attuali condizioni-
Eppure, nonostante i secondi trascorressero uguali a se stessi, aveva imparato come tenere il filo del tempo che si trascinava lento e persistente - come l'afrore della sofferenza che toglieva il fiato - alcuni degli ospiti, infatti, sembravano più inquieti dopo che l'ultimo pasto era stato servito loro: le grida di delirio lo avevano tenuto sveglio per giorni, risuonandogli nella mente anche quando intorno a lui c'era solo il silenzio.
 
Ora, in un'altra ala dell'immenso limbo, anche quel flebile appiglio con la realtà gli era stato sottratto, lasciandolo solo a domandarsi se la sentenza di salvezza fosse realmente tale.
Il giorno precedente - o forse era quello prima ancora?-  uno dei nerboruti infermieri, che si occupavano del suo reparto, l'aveva prelevato dalla camerata, invitandolo a seguirlo fino al suo nuovo alloggio, dove avrebbe atteso di essere dimesso la mattina seguente.
 
Un sorriso - più simile ad una smorfia amara - gli segnò le labbra.
 
Per un attimo si era crogiolato nell'illusione della normalità - della libertà - poi, con una lentezza tale da far male al cuore, era tornato in sè, al presente: tutti sapevano quale era il destino di chi, come lui, era stato internato per un trattamento di "igiene mentale" - un modo altisonante per dire che eri stato scaricato lì, come feccia, in compagnia di altri poveri sventurati -
 
I pochi che ne uscivano - che fossero realmente malati, o sani - erano spogliati di ogni loro bene e diritto, sia civile che politico; ciò aveva un impatto disastroso non solo per quanto riguardava la quotidianità, ma anche le relazioni: ogni possibilità di matrimonio era loro preclusa, poichè nessuno intendeva passare la propria vita con una persona instabile che, con ogni probabilità, avrebbe trasmesso la propria follia ad un'eventuale discendenza.
Le famiglie si disgregavano; genitori e fratelli rinnegavano qualsiasi legame di sangue, qualsiasi parentela: quale vergogna sarebbe stata essere additati come parenti del matto.
 
In un clima dove vigeva il ritorno ai costumi degli antenati, alla mitizzazione della perfezione, non c'era spazio per i diversi che, inevitabilmente, finivano per diventare degli emarginati, mentre la società fingeva di dimenticarli.
Lui era uno dei tanti che, per fortuna o disgrazia, aveva avuto la forza di ribellarsi ad un sistema che li voleva schiavi, ma il prezzo da pagare era stato maledettamente elevato.
 
Ed ora, il destino si faceva ancora una volta beffe di lui: libero, sì, ma incatenato da un regime che lo voleva cieco, sordo e muto davanti ai soprusi perpetuati nei confronti della sua gente.
Per questo, si era preparato all'azione.
Nei reparti più turbolenti vigeva la massima sorveglianza, sia di giorno che di notte: a nessuno era permesso lasciare la propria camerata senza l'autorizzazione scritta del direttore; inoltre, tutte le porte, di metallo massiccio, erano chiuse a chiave dai secondini, che le aprivano solo per il tempo in cui veniva servito il rancio. Il trasferimento era stato, quindi, provvidenziale per la riuscita del suo progetto: nel piano in cui si trovava, infatti, la vigilanza era molto più blanda, essendo esso riservato a coloro che attendevano la dimissione; di conseguenza, attraversare indisturbato il corridoio che portava alla rampa di accesso alla terrazza si rivelò semplice.
 
Perfino il pianerottolo era incustodito, sgombero da qualsiasi addetto alla sicurezza.
 
La relativa facilità con cui  stava raggiungendo la vetta suonava sbagliata, la sensazione di pericolo strisciante come il sibilo di una vipera; forse, dopo tutto il tempo passato in un luogo dove lo credevano uscito di senno, ciò era accaduto, infine.
 
Un velo di sudore freddo gli bagnava la pelle febbricitante della fronte, mentre avanzava verso la propria meta, ripetendosi le ragioni della sua decisione e mettendo a tacere - tentando di mettere a tacere - l'istinto di autoconservazione: qualunque strada avesse scelto, l'esito della storia era già scritto - a nulla sarebbero valsi i suoi sforzi per cambiarlo - e allora, se è vero che ogni uomo nasce con il dono del libero arbitrio, che almeno gli fosse concesso di scegliere quando e come porre fine al proprio viaggio in questo mondo
 
Con tutta la propria forza di volontà, si  costrinse a sporgersi oltre la balaustra della terrazza, osservando il terreno sottostante, ascoltando un richiamo atavico che lo invitava a ricongiungersi con la terra dalla quale era nato.
 
Per un'ultima volta si soffermò ad accarezzare con gli occhi i contorni di quei colli che lo avevano visto nascere e crescere, che erano stato il riparo delle mille avventure di un ragazzino scapestrato, mentre Venere mostrava il suo volto lucente.
 
C'era una certa ironia nel sapere che sarebbe stata la Stella del Mattino, la Luce dell'Aurora, a salutare la sua dipartita: avrebbe assistito all'atto finale della sua vita, come era stato per l'angelo che ne portava il nome.
 
Un tributo ad una libertà che, a volte, attraversava così profondamente un'anima da sopravvivere ad essa, divenendo testimonianza immortale della propria imprescindibilità.
 
In un ultimo respiro, aprì le braccia e volò.
 
Sorrideva.
  
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