Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Grimmjowswife    24/02/2016    2 recensioni
Jean Kirschtein è sempre stato impulsivo, ed un giorno questa impulsività lo porta a commettere uno sbaglio che lo porterà in tribunale. Nonostante il suo aspetto non è mai stato davvero un criminale o un trasgressore delle regole, ma questo non gli impedisce di essere condannato a tre mesi di lavori socialmente utili in un ospedale. Ed è proprio qui che incontra Marco Bodt, malato di cancro, e da qui tutto sembra perdere senso, mentre memorie - o forse solo allucinazioni? - vanno a mischiarsi alla realtà.
Reincarnation!AU [JeanMarco] [Ereri] Jean&Eren!Punk; Marco!Cancer; Levi!Cop.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo deliri

I: *cerca di sgusciare fuori dalla tana del coniglio in cui per poco era precipitata*
Akaneki: Dove pensi di andare?
I: *si blocca sul posto e alza lo sguardo, guardando il BianNerconiglio guardarla* Ehm... io...
Ak: Sei in ritardo, Alice. *si aggiusta gli occhiali prima di farmi perdere la presa, facendomi precitare nel buco*
L: Jack, di cosa è accusata la nostra imputata?
Eren: Alice è accusata di tortura sui lettori, che aspettavano il capitolo da quasi tre mesi, cosa che lei ha procrastinato solo per fare i comodi suoi.
L: Tagliatele la testa.
I: Ehi! Non è colpa mia se prima c'è stata la questione dei capelli rossi, che tra parentesi devo anche rifare, poi del mio compleanno-
E: È accusata anche di aver attentato alla vita di uno di noi, Nnoitra è ancora in coma etilico.
L: Tagliatele la testa.
I: ... Non sembrava vi dispiacesse quando abbiamo iniziato a giocare a strip poker aggiungendo vodka man mano che sparivano i vestiti.
L: Tagliatele la testa.
I: E poi è iniziata scuola e... ugh... i corsi di recupero... e poi Deadpool...
L: Tagliate-
I e E: Possibile che tu non sappia dire altro?!
L: ... Liberate il Grafobrancio?
Grimmjow: ECCOMI! Allora, che essere insignificante devo lacerare fino alle ossa?
L: Comincia a piacermi, lo terrò.
E: Ehm, sua maestà...
L: Zitto, ho deciso.
E: Maestà... il Grafobrancio...
L: Cosa?
E: È stato sconfitto.
I: *si siede sul corpo inerme di Grimmjow, la padella stretta in mano* Abbiamo finito?

 





 

 

Capitolo 9: Esami importanti, amici e entrate improvvise.


Mi rigirai per l'ennesima volta nel letto, per poi calciare via le coperte sbuffando. Dopo aver riaccompagnato Marco all'ospedale avevo iniziato a fare il solito giro, riordinando letti e mettendo in ordine le diverse stanze del piano, e, di rado, anche parlando con alcuni pazienti del più e del meno, finendo la giornata con la stessa routine di sempre, portando di nascosto una pizza a Marco e cenando in sua compagnia, sempre di nascosto. Durante il tragitto mi ero ritrovato a pensare di nuovo alla giornata passata con Marco, alle sue lentiggini, al suo sorriso, alle sue labbra... Mi ero riscosso proprio a quest'ultimo pensiero, autoconvincendomi che fosse la stanchezza a farmi parlare, parcheggiando la macchina al suo solito posto e chiamando l'ascensore, lasciandomi trasportare fino al piano, per poi bloccarmi di fronte alla porta del mio appartamento, osservando con un'espressione corrucciata Eren, seduto a terra e con la testa nascosta tra le gambe.
«Che è 'sta storia?» chiesi, non ricevendo risposta.
«Ah? Eren, si può sapere che cazzo ci fai... qui?» provai ancora, interrompendomi quando lui alzò lo sguardo, gli occhi arrossati dal pianto.
Non gli chiesi cosa fosse successo, o il perché avesse appena smesso di piangere, lo feci spostare e aprii la porta, aspettando che entrasse, prima di seguirlo chiudendomela alle spalle.
Mi alzai dal letto, evitando di far rumore, raccogliendo una maglietta ai piedi del letto e infilandomela, facendo lo stesso con un paio di jeans strappati a caso, per poi infilarmi le Vans ormai consumate e afferrare le chiavi di casa, e infilandomi una giacca pesante, fermandomi poco prima di aprire la porta, osservando Eren che dormiva ancora sul mio divano, l'espressione contratta in una smorfia, e il braccio sinistro che sfiorava il pavimento. Il mio sguardo venne poi catturato dal mio vecchio skate appoggiato affianco al divano, rimasto inutilizzato da quasi un anno, senza pensarci troppo lo afferrai e, stando attento a non svegliare Eren, uscii di casa.
 
Mi ero quasi dimenticato di che sensazione si provasse, l'aria fredda sulla pelle, l'impressione di riuscire a volare lasciandosi trasportare da quella piccola tavola.
Mi spostai appena in tempo per evitare un randagio sbucato da un vicolo, e per poco non persi l'equilibrio, interrompendo quelle sensazioni per evitare una caduta rovinosa scendendo dallo skateboard e attraversando la strada, entrando nel bar più vicino, con l'intenzione di comprare qualcosa anche per Eren e Marco, dato che più tardi sarei passato da quest'ultimo. L'aria calda mi investì non appena varcai la soglia, riscaldandomi dell'aria gelida di inizio ottobre, mentre mi avvicinavo al bancone per ordinare tre cornetti e due caffè da portar via, dato che Marco in ospedale non poteva berlo.
La ragazza ci mise pochi minuti a preparare l'ordine, dato che il bar era stranamente deserto, per poi consegnarmi tutto non appena le ebbi dato la somma calcolata, stampandomi lo scontrino. Feci per uscire, chiedendomi se ce l'avrei fatta a tornare con lo skate senza farmi cadere il caffè addosso, quando un'altra persona aprì la porta, rischiando di farmi cadere tutto dalle mani. Feci per dirgli di stare attento, ma mi bloccai non appena gli occhi gelidi dell'uomo mi bloccarono le parole in gola.
Levi mi scoccò un'occhiataccia, schioccando la lingua contro il palato mentre mi superava dandomi una spallata.
Rimasi interdetto, possibile che avevo visto bene? Erano davvero segni di pianto e di una notte insonne quelli che avevo visto nei suoi occhi?
 
«È successo qualcosa tra te e lo stronzo»
Eren sbiascicò contro la stoffa del mio divano, la bocca ancora impastata dal sonno. A fatica riuscì ad alzarsi, provocando rumori sinistri da parte della maggior parte delle proprie vertebre mentre si stendeva.
Ripetei la mia affermazione, questa volta accompagnandola dal caffè che gli avevo comprato poco prima.
«Smettila di dire stronzate di prima mattina» ringhiò, prendendo un sorso della bevanda ancora fumante, riuscendo non so come a non bruciarsi la lingua.
Lo guardai un'ultima volta, decidendo che non era il caso di iniziare una discussione di prima mattina, sbuffando e lasciandomi andare sul divano al suo fianco, addentando un cornetto e passandogli la busta, in modo che potesse prendere l'altro.
«Perché ne hai presi tre? Cos'è, non sai più contare?>»
Soffiai sul mio caffè, prima di rispondergli con tutta calma che il terzo forse per Marco.
«Marco?» mi guardò interrogativo lui.
«Sì insomma, hai mai visto il cibo dell'ospedale? Già il colore fa pensare al vomito...»
Eren mi richiamò, interrompendomi, per chiedermi chi fosse Marco.
Oh.
Non mi ero reso conto di non aver mai detto niente riguardo Marco dopo praticamente un mese che passavamo insieme, nonostante i miei amici mi avevano chiesto più volte di quella che in teoria sarebbe dovuta essere una pena, ma che senza rendermene conto si era rivelata qualcosa che, in fin dei conti, non mi dispiaceva così tanto fare; al contrario, ero rimasto sempre vago sull'argomento, e, ad eccezione di Shasha che mi aveva praticamente obbligato a darle un nome, arrivando anche a minacciarmi sul fatto che mi avrebbe seguito pur di scoprirlo, nessuno di loro sapeva dell'esistenza del ragazzo lentigginoso della stanza 231.
«Terra chiama Jean, ti si è liquefatto il cervello di colpo o cosa?»
Le parole - o meglio dire insulti - di Eren mi riportarono coi piedi a terra.
Ultimamente mi succedeva sempre più spesso di distaccarmi dalla realtà, sempre quando i miei pensieri erano legati a Lentiggini, per giunta, ma cercavo di non farci caso, non era nulla di che in fondo. Tirai una gomitata al cretino seduto al mio fianco, per ripicca al suo commento di poco prima, provocandogli però un gemito di dolore troppo forte per essere finto.
«Stai bene?»
«Quelle teste di cazzo... ieri... sto bene»
La rabbia, la tristezza e la freddezza attraversarono il volto di Eren mentre parlava, facendo chiaramente capire, nonostante non fosse nel suo interesse, che ci fosse dell'altro in quella storia, di cui non aveva assolutamente intenzione di parlare, e di cui ovviamente non avrei chiesto niente. Non potevo comunque ignorare l'espressione sofferente provocatagli dalla mia gomitata, e dopo ciò che gli era capitato e conoscendo la sua tolleranza al dolore, non mi era difficile immaginare come fosse ridotto sotto quei vestiti.
«Alza il culo, su» gli ordinai, precedendo l'azione e restando ad aspettare si muovesse.
Restio fece come gli avevo detto e mi seguì, arrivando a sedersi affianco a me in macchina, nello stesso posto dove poco meno di ventiquattro ore fa si era seduto Marco, e mi chiese dove stessimo andando.
«Devo andare in ospedale, e credo anche tu» risposi semplicemente, indicando con lo sguardo il sacchetto contenente la parte di Marco, senza però aggiungere nient'altro.
Il resto del viaggio fu silenzioso, tutti e due persi nei propri pensieri, Eren con la testa contro il finestrino, probabilmente ripensando a qualcosa di legato alla sera precedente, e io guardando alla strada, cercando di ignorare come sempre più spesso essi comprendevano un ragazzo ricoperto di lentiggini e sempre sorridente, e quasi meccanicamente ci ritrovammo nel parcheggio dell'ospedale.
 
«Jean, sei arrivato presto oggi» mi salutò lei non appena mi vide fuori dall'ospedale, usando la mano che impugnava le chiavi per attirare la mia intenzione, mentre con l'altra andava a slegarsi i capelli, raccolti in una coda alta.
«Ciao, - ricambiai il saluto, notando il fatto che si fosse tolta il camice - Stai andando via?»
«Ho fatto più di cento ore questa settimana, sono distrutta, perché i miei pazienti sembra debbano essere operati sempre quando sono io di turno? - si lamentò lei, per poi sorridermi stanca. - Ho proprio bisogno di una bella dormita oggi. Marco deve fare degli esami oggi pomeriggio, quindi questo - disse afferrando il sacchetto di carta contenente il cornetto - non può mangiarlo. E tra parentesi avevo anche fame io, grazie Jean» finì di dire strappandone un pezzetto con le dita e mangiandolo.
«E lui sarebbe?» chiese dopo aver spostato lo sguardo alle mie spalle, indicando Eren, che era rimasto in disparte finora.
«Un coglione che si è fatto pestare» dissi tranquillamente indicandolo, facendolo scattare verso di me, venendo fermato da Aurora, che ci bloccò poggiando le mani sulle nostre spalle.
«Su voi due, non litigate. Tu piuttosto, - disse rivolgendosi a Eren - vai al pronto soccorso e fatti visitare, ne ho visti tanti uscire da una rissa con costole rotte e facce messe meglio della tua, e tu, - continuò rivolgendosi questa volta a me - vai da Marco, oggi è più debole del solito e non...»
Senza neanche lasciarle il tempo di terminare la frase scattai, chiedendole come stesse, non riuscendo neanche a mascherare l'agitazione nella mia voce.
Sia Eren che Aurora mi guardarono stupiti, poi quest'ultima mi rispose dicendomi che stava bene, tranquillizzandomi, prima di dare un'occhiata al suo cellulare e defilarsi verso il parcheggio, salutandoci nel mentre.
Il silenzio che si era formato tra di noi venne interrotto da Eren, quando la parola "Allora" gli uscì dalle labbra.
«Cosa?»
«Tu e quel Marco... Non mi avevi detto di avere certe inclinazioni...»
«Ah? Cosa vorresti dire, scusa?»
Rimase a fissarmi per alcuni secondi, prima di scuotere la testa e sospirare, rassegnato, dicendo che non era niente, ignorando i miei richiami e dirigendosi verso l'entrata dell'ospedale, salutandomi con il dito medio alzato.
«Che stronzo...» mormorai tra me e me, cercando ancora di dare un senso alle sue parole.
 
«Dove pensi di andare»
Marco sussultò, colto sul fatto, bloccandosi sul posto, prima di voltarsi e salutarmi con il suo solito sorriso stampato in faccia.
«Ecco... Io... Stavo vedendo se arrivavi» provò a difendersi lui mentre lo trascinavo di nuovo dentro, facendo finta di dargli ragione.
Come se potesse davvero star aspettando me.
«Ho sentito che oggi devi fare degli esami» buttai lì, senza guardarlo negli occhi, mentre mi sedevo dalla parte opposta a lui sul letto d'ospedale, facendolo sbuffare.
«Non ce la faccio più a fare esami su esami, insomma non vedono che sto benissimo ormai?» si lamentò, mostrandomi i bicipiti ben allenati.
Gli lanciai un'occhiataccia facendo schioccare la lingua contro il palato, mettendo su una finta aria scocciata, affermando con determinazione che i miei erano veri muscoli e che lui aveva solo le ossa grandi, alzando la mia maglia scoprendo quei pochi addominali che mi ero guadagnato tempo fa in palestra. Ci fissammo intensamente qualche secondo, prima di scoppiare entrambi a ridere, mentre Marco diceva che la scusa delle "ossa grandi" era forse una delle più stupide mai sentire. Quando poi, smesso di ridere, tornammo a guardarci negli occhi, riacquistai un tono serio, chiedendogli come stesse, ricordandomi di ciò che mi aveva detto la dottoressa poco prima.
«Sto bene. - annuì, forse più per convincere se stesso che me - Solo normale routine, vogliono accertarsi che il tumore non si sia ripresentato»
«Capisco...» sussurrai.
Non avevo mai pensato davvero a quella opzione, ma poteva succedere, giusto? Era raro ma a volte succedeva, non era forse vero?
Mi ritrovai d'un tratto davanti l'immagine di Marco, disteso sul letto, la testa fasciata per nascondere la mancanza di capelli, caduti per le massicce dosi di farmaci per curare il cancro, il viso smorto e pallido piegato in una smorfia di dolore, e il corpo legato a diversi macchinari, che producevano l'unico rumore nella stanza.
«... an! Jean!»
Sbattei le palpebre, ritrovandomi a fissare gli occhi di Marco, realizzando un secondo più tardi di come il suo volto fosse vicino al mio, e come le sue mani, ai lati del mio viso, fossero calde.
«Jean» ripeté, questa volta con un tono più fermo e calmo, come se sapesse che sentirgli pronunciare il mio nome, con quel suo accento così… suo, fosse in grado di calmarmi – cosa che dovevo ammettere, era vera.
«Andrà tutto bene, vedrai» finì di dire, cercando di tranquillizzarmi, mentre i suoi pollici si muovevano sui miei zigomi, accarezzandoli.
Deglutii, rilassandomi sotto il suo tocco, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte alla sua, pensando a come fosse stato se i controlli non avessero rivelato nulla di nuovo. Sarebbe potuto finalmente tornare alla sua vita, dopo un anno chiuso in ospedale, da cui era potuto uscire solo rare volte, dato che, tranne per la sorella, non c’era nessuno qui, dato che entrambi i genitori vivevano in Italia. Avrebbe ricominciato scuola, si sarebbe rimesso in pari con gli studi e avrebbe conosciuto altre persone oltre me, magari migliori di me.
Scattai non appena questi pensieri mi investirono, lasciandomi spiazzato e… spaventato.
Non potevo perdere Marco, anzi, non volevo perderlo, non ora, non ora che l’avevo conosciuto, che era entrato a far parte della mia vita.
«Ehi? Ehi, tutto ok Jean?» chiese lui, spaventato dal mio movimento brusco.
«S-Sì, è tutto a posto»
«Sei sicuro? – insistette lui, avvicinandosi di più, continuando a fissarmi con quei dannatissimi occhi da cerbiatto – Jean, stai piangendo?»
Sbarrai gli occhi, passandomi frettolosamente la punta delle dita sulla palpebra inferiore, realizzando che fosse davvero umida, e subito lo tranquillizzai, inventandomi che mi fosse entrata una ciglia nell’occhio. Un po’ incerto annuì, avvicinandosi di più, affermando di voler controllare se fosse ancora dentro. Rimasi immobile, trattenendo il respiro, mentre quello di Marco mi pizzicava le labbra, e a malapena sentii quando sussurrò che sembrava tutto a posto, prima di sorridermi, affermando che i miei occhi fossero belli.
Cristo.
«Marco, io…»
«Faccia di cavallo? Sei qui? Ho chiesto ad una infermiera e mi ha detto che avrei potuto trovarti qui, ma…»
Sia io che Marco ci allontanammo imbarazzati, fissando Eren, ancora bloccato davanti alla porta, la mano ancora stretta nella maniglia.
Maledetto coglione.







 


Angolo deliri giustificazioni.

I:*sorseggia tranquillamente il suo thè, seduta sulla sua poltrona in Grafobrancio* Ah, come si sta bene qui.
Tutti: ...
Akaneki: non credi dovresti dare delle spiegazioni? *sorride*
I: *caccia un urlo e si va a nascondere dietro Deadpool, tenendo stretti a sé due gufi*
L: ... No, 'fanculo io me ne vado, questo manicomio sta superando ogni mio limite di sopportazione. *se ne va sbattendo la porta*
I: Tornerà. Oppure gli succederà qualcosa di brutto. *accarezza la testa di Bokuto stile il Padrino*
Ah, allora, *si schiarisce la voce*
PERDONOOO. Vi giuro, non l'ho fatto di proposito, volevo davvero pubblicare i capitoli, ma l'ispirazione non accettava a farsi vedere, e dicembre è volato, poi a Gennaio c'è stato il mio compleanno e mi sono fatta finalmente rossa, poi Jes mi si è presentata con Haikyuu, e io mi sono fissata coi BokuAka, poi abbiamo deciso quando saremmo andate al Romics, e poi sabato sono riuscita ad andare a vedere Deadpool e stavo per urlare perché lo aspettavo da due anni il film. *recupera fiato* Mi dispiace mi dispiace mi dispiace. Vi amo tanto sapete? Ora devo scappare, l'apparato circolatorio dei pesci non si studierà da solo, e il mio Grafobrancio deve essere sfamato.


P.S:
Mi sono fatta un profilo su Facebook, vi lascio il link , se siete interessati.

  
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