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Autore: Greta Farnese    24/02/2016    1 recensioni
All'indomani dei fatti narrati cadrà l'undicesimo compleanno di Lucrezia. Nelle cucine lei e Cesare (nelle mie storie dove c'è Cesare c'è anche Lucrezia e viceversa, ma questo dovreste ormai averlo capito) condividono un momento fanciullesco davvero molto tenero.
Premetto che non sapevo se pubblicarla o meno. L'ho scritta mesi fa, in estate, e francamente a distanza di tempo ancora non so decidere se mi piaccia o meno. Perciò, lascerò a voi l'onere!
Dopo aver scritto della loro separazione in "Come back soon", ridipingo in questa OS Cesare e Lucrezia da piccoli. Okay, sembra un'intestazione da romanzo, ma posso assicurarvi che romanzo non è :')
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cesare Borgia, Lucrezia Borgia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Rosa, rosae, rosae, rosam, rosa, rosa.
- Bravissima! - si entusiasmò l'istitutrice. - E vediamo se sapete essere ancora più brava e dirmi qual è la differenza tra la rosa del vocativo e quella dell'ablativo.
E' confermato che non c'è nulla di più noioso di una lezione di latino all'età di quasi undici anni. Veramente il latino non è mai un granché, ma almeno quando cresci hai più logica, più attenzione, più concentrazione. Ho sempre visto come una punzione quelle ore di latino che affrontavo sin dai nove anni, sebbene fosse tradizione della mia famiglia, una delle poche cose per cui maschi e femmine fossero messi sullo stesso piano: dovevamo avere tutti la stessa, buona istruzione, che comprendeva una conoscenza del latino e del greco.
Fortunatamente il greco non l'avevo ancora affrontato, a quel tempo. Il latino mi bastava e avanzava.
- Sull'ultima "rosa"...
- Sull'ablativo - mi corresse l'istiturice.
- Sì, sull'ablativo - dissi, condiscendente. - Sull'ablativo c'è un trattino.
- Siate più precisa, mia cara - sospirò la donna.
- Il trattino di lunghezza - sbuffai. - Cioè, la prima "rosa"... Scusate, l'ultima "a" del vocativo è breve, mentre l'ultima dell'ablativo è lunga.
Sperai di essere riuscita a spiegarlo bene. Il sorriso dell'istitutrice confermò che ero nel giusto. - Avete fatto dei progressi meravigliosi! Vostro padre e vostra madre ne saranno informati, ne saranno così orgogliosi!
Sorrisi di circostanza, ma intanto mi misi a pregare mentalmente, dato che il plurale non l'avevo imparato benissimo. Ero terrorizzata all'idea che me lo chiedesse. Il mio cuore fece un salto quando l'isititutrice annunciò che la lezione per quel giorno era finita.
- Di già? - chiesi, sperando di riuscire a mascherare il mio sollievo.
- Domani è il vostro compleanno, mia cara. Vi meritate un po' di riposo, soprattutto per essere stata così brava!
Ringraziai, feci un inchino e uscii. Sì, l'indomani sarebbe stato il mio compleanno, sebbene la festa ufficiale si sarebbe tenuta solo il giorno successivo. Il giorno in cui cadeva la ricorrenza avrei festeggiato solo con mio padre, mia madre e i miei fratelli, ma ero comunque molto ansiosa. Finalmente avrei avuto undici anni sul serio, e non avrei avuto più bisogno di arrotondare le cifre, o di aggiungere quel "quasi".
Saltellando leggiadra, raggiunsi la cucina, per vedere se la mia torta di compleanno era già in preparazione e nel caso per rubare un po' di crema. In effetti la cuoca stava disponendo piatti sul tavolo. - Signorina Lucrezia! - mi salutò quando mi vide.
- Gemma, sono stata bravissima alla lezione di latino! - la informai contenta.
La cuoca parve compiaciuta. - I vostri genitori ne saranno orgogliosi. Meno male che ci sono i biscotti, allora.
La baciai su una guancia. - Avete preparato i biscotti?
Entrai nella cucina vera e propria, dove effettivamente Cesare mangiava biscotti seduto al tavolo. Gli misi le mani sugli occhi.
- Ciao, Lucrezia - mi riconobbe immediatamente. - Non vale! - mi arrabbiai io. Mi chinai e lo baciai su una guancia. Cesare mi afferrò la mano posata sulla sua spalla, e rapidamente prese una manciata di farina dalla ciotola poggiata sul ripiano e mi sporcò il volto.
- Cattivo! - esclamai ridendo. Presi un uovo e ne versai il contenuto sul suo gilé nero ricamato. - Allora vuoi proprio la guerra - capì lui. Mi prese per la vita. - No, no! - inizia a ridere, cercando di divincolarmi. Il gomito di Cesare colpì la ciotola di farina, che cadde in terra. Perdendo l'equilibrio, mi appesi alla ciotola di crema, che ci cadde sul capo.
La cuoca era disperata. - Cosa avete fatto! - urlò, guardandoci molto male. - Siete dei maleducatissimi ragazzi! Dovreste vergognarvi! Vostro padre sarà informato di tutto ciò!
In tutto questo, mentre blaterava io e Cesare eravamo distesi per terra, completamente coperti di farina, lui con un tuorlo sul gilé ed entrambi con la crema sui capelli e sul volto.
- In tutta la mia vita non ho mai visto una cosa del genere! Se non foste i figli del vicencancelliere, vi venderei al mercato! - continuava a strepitare la povera donna.
Cesare si rimise in piedi e aiutò me a fare altrettanto. - Ma adesso puliremo tutto noi - asserì con convinzione.
- Per carità! - la cuoca sembrava anche più sconvolta di prima. - Cosa accadrebbe se vi vedessero, tutti macchiati? No, andate subito a farvi un bagno e a cambiarvi!
Mi avvicinai. - Cosa possiamo fare per farci perdonare?
La cuoca mi lanciò uno sguardo brusco. - Togliervi quella farina dal volto e quella crema dai capelli sarebbe già una gran cosa.
Cesare mi prese per un braccio. - Andiamo, sorellina. Non preoccupatevi, Gemma, cucineremo noi la torta e vi daremo la giornata libera!
- Io vi lascerò usare la mia cucina solo quando vorrò che essa sia distrutta! - sentimmo urlarci dietro.
Ridendo, ci allontanammo. - Vieni, andiamo nel bagno dei domestici. Se ci vedono salire le scale conciati così, è la fine.
Entrammo nel bagno e chiudemmo la porta a chiave. Mi misi a ridere, anche se Cesare iniziava a tornare serio. Il bagno non era molto grande, e io mi chiedevo come avremmo fatto a pulirci. - Mettiti a testa in giù nella vasca, che ti sciacquo i capelli - disse mio fratello.
Risi ancora più forte, ma eseguii. La crema cadde insozzandomi il viso, che iniziai a lavarmi. Era una delle cose più pazze che avessi mai fatto in vita mia. - Mi racconti una storia, Cesare? - chiesi d'impulso.
- Ah, vuoi anche una storia? - mi domandò lui. - Come desideri. Ti ho mai raccontato della tua nascita?
- Mi racconterai una storia vera? - dissi, contenta.
- E perché no? Tanto qui ne avremo almeno fino all'ora di cena.
- Diventerai un parrucchiere - scherzai.
Lui finse di non aver sentito. - Nostra madre iniziò ad avere le doglie dopo cena. Nostro padre era in casa. Era un grande evento. La tua fu l'unica nascita alla quale assistette, perché come sai trascorre il suo tempo più in Vaticano che qui. Le doglie di nostra madre durarono tutta la notte. A un certo punto, Juan si addormentò. Ma io combattei il sonno. Non sapevo nemmeno il perché. Ma volevo vedere chi sarebbe nato. Sapevo che non avrebbe dovuto importarmi granché, visto il rapporto che avevo con Juan, ma... Ma poi alle tre e mezzo di notte uscì la nutrice. Mi disse che eri una bambina, e che ti avrei vista direttamente domani, perché nostra madre, che stava bene, aveva bisogno di riposo, e tu dormivi già. Io però non riuscivo a dormire. Perciò, verso le quattro, mi infilai nella tua stanza e mi avvicinai alla tua culla. Ti vidi, e ti presi in braccio. Eri così... Carina, così pura, innocente e indifesa. Poi tu splancasti i tuoi occhioni. Erano chiari. E mi sorridesti. In quel momento, capii che il mio cuore sarebbe appartenuto a quell'esserino. E che ti avrei protetta. Sempre.
La voce di Cesare si era fatta più tenue. Mi drizzai dalla vasca. Gocce d'acqua mi rigavano il volto, ma almeno crema e farina erano svanite.
- Ricordati sempre, Lucrezia, dovunque saremo, qualsiasi cosa ci accadrà, qualsiasi età avremo, una parte di me ti apparterrà sempre.
Deglutii. - E credo che questo valga anche per me.
Mi diede un colpetto con il naso. Ricambiai. Non c'era modo migliore per suggellare quella promessa.
   
 
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