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Autore: Cai7lyn_ef    24/02/2016    2 recensioni
Dal testo:
Da quel fatidico giorno Haru aveva tentato di non pensare al giovane dagli occhi verdi: aveva portato avanti la sua vita di sempre, fatta di lunghe nuotate e fughe notturne.
Trascorsero le settimane, eppure il ricordo di quello sguardo dolce non lo abbandonò mai.
Fu per questo che una sera decise di non rientrare nella città sottomarina bensì di ritornare alla spiaggia dove lo aveva abbandonato.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta il blu dell’oceano e la carezza dell’acqua.
C’erano il fresco sulla pelle e i raggi del sole che filtravano dalla superficie tingendo il fondale di dorata meraviglia.
C’erano solo Haruka, il suo amore per il mare.
 
E la sua solitudine.
 
Nuotava ormai da ore, senza meta, sempre più lontano da quella che avrebbe dovuto essere la sua famiglia. I suoi simili. Era un escluso e un incompreso Haruka.
Da quando i suoi occhioni blu si erano aperti sul mondo sottomarino non aveva mai pronunciato una parola, esprimendosi solo con incomprensibili gorgoglii di bolle.
Ogni tentativo di dire qualcosa si era rivelato un inutile spreco di energie e le impertinenti bollicine d’aria si erano sempre portate via i suoi pensieri e i suoi sentimenti, risalendo rapide verso la superficie.
E così si era chiuso in se stesso, barricando il proprio cuore dietro un’impenetrabile corazza di corallo.
 
Solo il mare poteva capirlo. Solo l’acqua sapeva ascoltarlo.
I pesci erano i suoi amici, le correnti le sue compagne di giochi, le onde la sua culla, gli abissi il suo rifugio.
 
Era davvero stanco, i muscoli tesi della coda chiedevano pietà e i polmoni bruciavano per lo sforzo. Si lasciò andare, il petto che si abbassava ritmicamente in ampi respiri sfiniti.
Fu spinto lentamente in superficie e il sole lo abbagliò per un istante; quando i suoi occhi si furono finalmente abituati alla luce rimase immobile lì, a pancia in su, fissando il cielo azzurro.
 
Non appena il battito del suo cuore si fu regolarizzato si immerse nuovamente con poche rapide spinte; il sole si era abbassato sull’orizzonte ed era il momento di tornare indietro. Doveva sbrigarsi a rientrare alla Colonia prima del coprifuoco o avrebbe trascorso un’altra notte nelle torrette di guardia, e non aveva decisamente voglia di sorbirsi nuovamente le frecciatine di quel saccente di Rin.
 
Giunse a destinazione proprio mentre stavano chiudendo i cancelli e fece appena in tempo ad infilarsi tra i due battenti prima che si serrassero inesorabilmente per la notte, poi andò a nascondersi in fretta nel suo cubicolo: non voleva vedere nessuno quella sera. La luna filtrava dall’apertura sul fondo dei dormitori: la società sottomarina era basata su una ferrea disciplina che Haruka non era mai riuscito a sopportare; ciò che lui desiderava era nuotare e sentirsi completamente libero.
Fu per questo che anche quella notte, quando ogni rumore si spense, sgattaiolò fuori dal letto e attraversò uno dei numerosi passaggi segreti che portavano fuori dalle mura. Quei tunnel erano così vecchi e mal messi che nessuno li controllava mai. Quando arrivò in mare aperto il peso che opprimeva sempre il suo petto si sciolse pian piano.
 
Un banco di pesci gli passò a fianco scomparendo poco dopo, inseguito da un piccolo gruppo di delfini. Incuriosito Haruka li inseguì, imitando i loro repentini cambi di direzione e le loro evoluzioni subacquee.
All’improvviso uno scintillio argenteo più lontano dagli altri attirò la sua attenzione; si girò di scatto seguendo quella fugace visione che si era subito persa nelle profondità marine. Haruka si stropicciò gli occhi, la stanchezza gli stava giocando brutti scherzi, e ricominciò ad inseguire i delfini: gli erano sempre piaciuti quegli animali, così spensierati e legati al branco, e amava nuotare tra di loro condividendone i giochi. Quella sera, però, i suoi amici tursiopi erano impegnati in una lunga battuta di caccia, dunque li abbandonò presto, lasciandoli al loro inseguimento e iniziando a vagare senza una meta, godendo semplicemente della carezza fresca dell’acqua. Mentre nuotava si ritrovò a pensare al misterioso lampo visto poco prima: probabilmente era stato solo un pesciolino curioso e incredibilmente veloce!
Salì in superficie osservando la luna distante e fredda. Allungò la mano come a voler afferrare quella sfera perfetta, compagna di mille notti insonni, quando qualcosa gli toccò la coda, facendolo trasalire.
Immerse la testa. Eccolo lì, il pesce! Il giovane prese a tallonarlo, non si sarebbe lasciato sfuggire l’opportunità di scoprire cosa volesse quella creaturina da lui! Procedettero a zig zag per diversi minuti, poi il fuggitivo si bloccò fissando Haruka con quei suoi occhietti semisferici: era uno sgombro.
Il ragazzo inclinò la testa fissando l’animale piacevolmente sorpreso, non aveva mai visto uno sgombro con uno sguardo così… come dire… intelligente!
Continuarono ad osservarsi, pesce e sirenetto, per quelli che parvero secoli.
Poi lo sgombro ruotò su se stesso e si allontanò velocemente da Haruka; l’inseguimento ebbe nuovamente inizio.
Quando Haru decise di fermarsi, ansimando per la fatica, si accorse di essere in un luogo decisamente sconosciuto: era una grotta ampia e completamente invasa dalla luce della luna che filtrava da un’ampia apertura sul soffitto facendo brillare la roccia nera di quella conca naturale.
Al centro di quello spazio enorme, avvolto dalla luce, stava quel dannato pesce.
Haruka si avvicinò piano, cercando di non spaventarlo, ma lo sgombro non si mosse continuando a guardarlo con quella luce particolare negli occhietti tondi.
Il Sirenetto ne era irresistibilmente attratto.
Quando le sue labbra furono a un soffio dallo sgombro Haru tornò improvvisamente in sé e, sbattendo le palpebre sconvolto, si scostò di colpo per poi fuggire il più lontano possibile da quel coso che aveva su di lui una nefasta influenza.
 
Da quella fatidica notte Haruka era tornato spesso in quella grotta.
Quasi ogni sera, quando la splendente città sottomarina si abbandonava al sonno, lui sgattaiolava fuori dal passaggio segreto; la prima volta ritrovare quel luogo era stato quasi impossibile: senza lo sgombro che gli indicasse la strada col suo procedere zigzagante il mezzo-pesce aveva fatto non poca fatica a ritornare nella conca invasa dalla luna.
Una volta aveva provato persino ad andarci in  pieno giorno, ma, privata della luce della luna che ne illuminava le pareti, la spelonca perdeva gran parte della propria magia.
Durante tutte le sue visite lo sgombro non si era mai fatto vedere nonostante l’avesse  cercato in lungo e in largo.
 
Era ormai trascorso un mese da quel primo fatale incontro e ancora una volta Haru si infilò nello stretto passaggio che scorreva sotto le mura e percorse a tutta velocità il lungo tratto di mare che lo separava dal luogo dove tutto era cominciato.
La luna splendeva alta nel cielo, una pallida sfera luminosa che inondava la grotta con la sua luce lattea.
Era piena, come quella che occupava il cielo la prima volta che il giovane mezzo-pesce aveva incrociato lo sguardo di quello strano sgombro.
Il giovane attraversò l’apertura che faceva da ingresso alla grotta e ne percorse in fretta i tunnel, fino a raggiungere l’ampia sala centrale.
Lo sgombro era lì.
La sorpresa immobilizzò per alcuni istanti il sirenetto; non si aspettava di trovarsi di fronte quel dannato pesce dopo averlo cercato, inutilmente, per notti intere.
Eppure eccolo lì con squame, pinne e occhietti tondi dall’aria fin troppo sveglia.
Alla vista di quell’essere Haru si sentì arrossire.
Iniziò a girargli intorno come uno squalo sempre più intimorito da ciò che provava nei confronti dello sgombro: era come se tutto l’oceano premesse su di lui spingendolo verso quegli occhi sferici e lucenti.
Ma quando litri e litri d’acqua ti premono sulle spalle è difficile resistere all’attrazione; Haruka si avvicinò pericolosamente al pesce… e poggiò le labbra su di lui!
Non fece in tempo a registrare razionalmente l’accaduto che lo sgombro fu avvolto da un turbinio di bolle dalle quali fecero presto capolino braccia e gambe.
Ad un tratto il sirenetto si trovò di fronte un uomo dagli occhi incredibilmente verdi e lo sguardo pieno di terrore.
Haru lo fissò sconvolto mentre l’uomo si portava le mani alla gola: aveva perso le branchie così all’improvviso da dimenticare di non poter respirare sott’acqua nella sua nuova condizione.
Fu questo gesto a strappare il sirenetto dal proprio sbigottimento.
Sapeva fin troppo bene che gli umani non erano capaci di esplorare gli abissi se non con strani affari sulla schiena e altrettanto anomali tubi che entravano loro in bocca.
Il giovane mezzo pesce si strinse il ragazzo al petto e iniziò a risalire verso la superficie dove la luna lo rincuorò con il suo pallido splendore.
Non appena si ritrovò a galla l’umano prese a tossire e sputacchiare acqua alla disperata ricerca d’aria; Haruka gli sorresse la testa mentre lo trascinava a riva per adagiarlo delicatamente sulla sabbia.
Stava per ritornare in mare, ma si perse ad ammirare quei lineamenti delicati e non riuscì a resistere alla curiosità di sfiorarli con la punta delle dita.
Al suo tocco leggero il giovane uomo socchiuse gli occhi fissandoli nei suoi, smeraldo nel lapislazzuli.
Spaventato Haruka si rigettò in acqua lasciando il ragazzo lì, nudo e completamente solo.
 
Da quel giorno Haru aveva tentato di non pensare al giovane dagli occhi verdi: aveva portato avanti la sua vita di sempre, fatta di lunghe nuotate e fughe notturne.
Trascorsero le settimane, eppure il ricordo di quello sguardo dolce non lo abbandonò mai.
Fu per  questo che una sera decise di non rientrare nella città sottomarina, bensì di ritornare alla spiaggia dove lo aveva abbandonato.
Non aveva però fatto i conti con la tempesta imminente.
Quella notte anche il mare sembrava essere contro di lui e le correnti, compagne di mille divertimenti, erano tanto forti da impedirgli di avanzare; fu questione di un attimo di distrazione e la forza dei flutti lo trascinò lontano facendogli perdere l’orientamento e la coscienza di sé.
 
Quando si risvegliò la luna era ormai da tempo tramontata dietro l’orizzonte e il sole brillava alto su Haruka, accecandolo.
Il sirenetto sentiva la pelle secca tirare e dolori diffusi in tutto il corpo: se non fosse riuscito a tornare in acqua entro poco tempo la disidratazione l’avrebbe ucciso.
Alzò con fatica il busto cercando di capire da quale parte sarebbe dovuto andare, ma la mareggiata di quella notte l’aveva trascinato troppo lontano dalla riva. Haru si accasciò nuovamente a terra con un sospiro rassegnato: sarebbe morto in quel modo così stupido, prosciugato dal calore su una spiaggia chissà dove e senza aver rivisto il bel sconosciuto; mentre era perso in queste cupe previsioni iniziò a sentire lo scricchiolio della sabbia sotto il peso di qualcuno, subito seguito da una cascata d’acqua gelida.
Eccoli lì quegli occhi verdi e indagatori che lo fissavano con fare curioso e preoccupato.
“Pensavo fossi morto, quindi sono andato a prendere dell’acqua!”
La sua voce era musicale e il suo sorriso dolcissimo: Haruka ne rimase abbagliato.
Il giovane si abbassò sulle ginocchia per essere al suo livello e gli piantò in faccia quei fanali di smeraldo, poi parlò ancora:
“Devi tornare in mare suppongo… anche se riesci a respirare in superficie senz’acqua non puoi sopravvivere.”
Haru aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la dolorosa consapevolezza di non avere voce gliela fece subito richiudere. Si limitò ad annuire ad occhi bassi.
Li rialzò di scatto quando sentì le braccia del quasi sconosciuto scivolare sotto la sua coda e dietro la sua schiena per sollevarlo piano.
“Wow, sei sorprendentemente leggero! Ora ti riporto in mare e vedrai che ti sentirai meglio!”
Percorsero il lungo tratto di costa che li separava dal bagnasciuga senza che il giovane dicesse una parola.
Quando le onde lambirono le gambe del castano questi si fermò all’improvviso tremando leggermente, poi la sua presa su Haruka si fece nuovamente salda e riprese ad avanzare verso i flutti finché l’acqua non gli arrivò a livello della vita: solo allora lasciò andare il mezzo-pesce che sospirò di sollievo ritrovandosi finalmente nel proprio elemento.
Haru si ritrovò ancora una volta a fissare quel ragazzo gentile e chinò la testa in segno di ringraziamento e l’altro parve capire.
“Oh, figurati! E comunque io sono Ma-”
Ma Haru non sentì mai il suo nome, non lo voleva sapere per non essere costretto a dare un significato e una spiegazione all’irresistibile attrazione che lo sospingeva verso le labbra dell’umano.
 
Da quel momento Haruka si era spinto sempre più spesso vicino alla spiaggia stando ben attento ad evitare le numerose navi da pesca che prendevano ogni giorno il largo.
Aveva trascorso ore a guardare l’umano passeggiare o raccogliere distrattamente conchiglie, ma non si era mai avvicinato tanto da poter essere visto.
Da parte sua il ragazzo aveva cercato più volte il sirenetto e più di una volta gli era sembrato di scorgerlo tra le onde per qualche secondo.
Quella mattina il sole splendeva pigro sull’acqua e il giovane stava seduto su un molo, le gambe penzoloni nel vuoto, intento a far rimbalzare sassi piatti sulla superficie dell’acqua. Il giorno prima aveva trovato una conchiglia particolarmente grande sulla quale aveva inciso il proprio nome, Makoto, a grandi lettere. Non appena avesse visto quello sfuggente mezzo-pesce aveva tutta l’intenzione di lanciargliela in testa pur di attirarne l’attenzione.
Fu proprio il luccichio delle scaglie della sua coda a tradire Haru che nuotava intorno al molo guardando gli anelli perfetti che le pietruzze formavano affondando; per questo non si accorse dell’oggetto che lo stava raggiungendo finché non gli fluttuò proprio davanti al naso.
Haruka prese delicatamente la conchiglia osservando gli strani graffi che ne costellavano la superficie: forse l’umano voleva comunicargli qualcosa?
Decise dunque di mettere da parte i dubbi e la timidezza e andare incontro a quell’esserino a due gambe.
Quando la testa di Haruka spuntò fuori dalla superficie il ragazzo per poco non precipitò giù dal pontile.
Il giovane dagli occhi blu porse la conchiglia all’altro con uno sguardo incuriosito.
“Oh questa? Bhe, è una conchiglia! E questo inciso lì sopra è il mio nome. Io sono Makoto. Vedi? Ma-ko-to…” e mentre parlava indicava quegli strani segni.
Poi si sdraiò sul pontile sporgendosi il più possibile verso Haru che divenne come una statua di sale quando Makoto gli porse la mano.
Questa volta, però, non sarebbe fuggito.
Afferrò la mano che lo avrebbe trascinato in un nuovo mondo.
La loro conoscenza era iniziata così; da allora Haruka si era spinto spesso verso riva meno intimorito e sempre ansioso di incontrare l’umano.
Le ore trascorse insieme gli permettevano di respirare come prima avevano fatto le sue nuotate notturne. Makoto parlava ininterrottamente del suo lavoro nella piscina di quel paese di mare e del suo periodo di volontariato alla caserma dei pompieri. Haru avrebbe voluto rispondergli, raccontargli dell’emozione di nuotare coi delfini, della magia dei riflessi di luce sull’acqua, ma ciò che desiderava di più, in quegli attimi di spensierata felicità, era poter dar voce a quel calore che gli cresceva dentro.
Per questo amava anche i silenzi in cui poteva perdersi nello smeraldo degli occhi dell’altro pregando che vedesse, che intuisse ciò che provava anche se nemmeno lui lo comprendeva del tutto.
Fu proprio questo a renderlo imprudente.
 
Il suo sogno si infranse di fronte alla crudeltà del mondo.
Non era stato attento alle navi mentre nuotava verso riva e quell’unico errore gli sarebbe stato fatale.
La rete l’aveva intrappolato all’improvviso, bloccandogli braccia e pinne in un abbraccio mortale e strappandolo, inesorabile, al ventre accogliente e sicuro dell’oceano.
Sballottato su e giù e completamente acciecato dal sole Haruka perse del tutto l’orientamento, fu sbattuto violentemente sul ponte della nave e perse i sensi.
La prima cosa che sentì furono le voci, voci concitate e quasi indistinguibili l’una dall’altra che urlavano parole di morte:
“Abbiamo pescato una sirena, porta male!”
“Dovremmo ributtarlo in mare e dimenticarci di lui…”
“No! Ho detto che quella cosa va uccisa!!!”
Queste ultime parole esplosero nella mente di Haru spingendolo ad aprire gli occhi: Makoto era lì, gli stava di fronte con le braccia spalancate come a volerlo proteggere dal mondo.
Quando un marinaio si accorse che il sirenetto era sveglio la situazione precipitò.
Fece appena in tempo a distinguere il movimento rapido della sua mano estrarre qualcosa di lucido e scuro che lo scoppio di uno sparo eruppe nell’aria immobile. Makoto cadde, un anemone rosso che si allargava sul petto, gli occhi verdi spalancati e enormi sul viso pallido.
Haruka, sotto shock, si tirò il viso dell’altro in grembo, ogni singolo muscolo scosso da tremiti incontrollati, mentre l’umano gli sorrideva debolmente passandogli una mano sul viso.
“Non so chi sei, né il tuo nome, ma sento che con te avrei potuto essere felice”
Le ultime parole di Makoto non furono nulla più di un rantolo sfinito; poi la sua mano cadde inerte sul ponte, gli occhi si chiusero, il cuore cessò di battere.
Haru smise di respirare, mentre la consapevolezza che il ragazzo di cui, ora poteva dirlo con certezza, si era innamorato lo aveva abbandonato per sempre.
Le emozioni che fino a quel momento aveva tenuto ben nascoste nel proprio cuore emersero tutte assieme: acqua salata come l’oceano che tanto amava si fece strada dai suoi occhi, scendendo in grosse gocce lungo le guance; la gola gli bruciava, il petto era scosso dai singhiozzi.
Per la prima volta in una vita intera la voce di Haruka si rivelò in tutta la propria disperata potenza. Un urlo straziante si fece largo tra le sue labbra facendo tremare cielo e mare, terrorizzando gli stessi marinai che avevano strappato al sirenetto ciò che più amava al mondo.
Nessuno osò opporglisi mentre si trascinava miseramente dietro il corpo di Makoto tentando di raggiungere l’acqua.
Nessuno mosse un muscolo quando, superato faticosamente il parapetto, si gettò tra i flutti scuri lasciandosi trascinare a fondo.
Per la prima volta in vita sua desiderò poter affogare.
Abbracciando forte il cadavere di Makoto il sirenetto si lasciò andare a fondo muovendo di tanto in tanto la coda; non sarebbe tornato alla città sottomarina, non avrebbe avuto senso ora che il suo cuore era irrimediabilmente spezzato. Voleva l’oblio degli abissi, il silenzio assordante del nulla, l’abbraccio gelato dell’acqua: voleva dimenticare e raggiungere l’unico uomo che fosse mai riuscito a dargli voce.
Completamente assorto in questi cupi pensieri Haruka non si accorse subito di ciò che gli stava accadendo attorno finché la sua discesa verso il fondo non fu arrestata da un banco argenteo di pesci; gli animali guizzavano eleganti nell’acqua componendo e scomponendo continuamente un viso alternativamente femminile e maschile, circondandolo completamente.
Una voce, che sembrava provenire da ogni parte, forse dal mare stesso, gli parlò.
“Haruka, figlio senza voce delle mie onde, è davvero così che vuoi che finisca?”
Il giovane scosse con forza la testa senza emettere alcun suono; il viso tra i pesci parve sorridere.
“Parlami figliolo, ora che hai trovato ciò che ti permette di farlo”
“I-io… n-non… voglio… Ma-Makoto è morto… Non ha più senso n-nulla!”
Queste poche parole gli costarono una fatica immane e resero la consapevolezza dell’accaduto ancora più dolorosa. La voce riprese da dove si era interrotta.
“Sai, piccolo mio, sono stato io a tramutare il tuo giovane amore in uno sgombro. Ti chiederai il perché. È molto semplice, colui che tu stringi tra le braccia odiava il mare con tutto se stesso dopo che un uomo che egli considerava un padre fu inghiottito tra le onde in una notte di tempesta. Makoto aveva paura, era terrorizzato… Ma non si può odiare senza conoscere: per questo l’ho trasformato in un pesce, perché vedesse con i suoi occhi che io non sono il male assoluto, ma come ogni cosa sono composta di luci ed ombre. Tu sei stato la luce del mare negli occhi di Makoto, un figlio delle onde senza voce destinato a redimere l’uomo… e per questo devi essere premiato”
I pesci presero a vorticare intorno ad Haruka sempre più velocemente e lui strinse più forte il corpo di Makoto; una luce potente, forse un raggio di sole, perforò la superficie dell’acqua e colpì i due corpi abbracciati.
Tutto si dissolse in quel candido bagliore.
Quando Haruka tornò cosciente la prima cosa di cui si accorse fu la scomparsa della coda: la famigliare sensazione delle pinne e delle squame era completamente sparita, lasciando il posto a piedi e gambe che affondavano nella sabbia. La seconda cosa che lo colpì fu il fatto di essere sulla spiaggia dove aveva incontrato Makoto per la prima volta dopo la metamorfosi da pesce ad uomo. La terza cosa, quella che più di tutte lo sconvolse quando aprì gli occhi, fu trovare davanti a sé il petto nudo del ragazzo che si abbassava piano seguendo il ritmo del suo respiro. Il foro del proiettile era scomparso, così come il sangue e il pallore mortale: il giovane sembrava semplicemente addormentato.
Gli occhi azzurri di Haruka si riempirono di lacrime quando quelli verdi di Makoto si aprirono sul mondo e lo guardarono dolci e adorabilmente stupiti, tanto che le lacrime presero a solcare lente il viso dell’ormai ex-sirenetto che, spinto dalla felicità e dal sollievo di vedere l’altro vivo, premette le labbra sulle sue.
Il sorriso che illuminò il viso di Makoto era la cosa più bella che Haru avesse mai visto.
“Sapevo che con te avrei potuto essere felice”
E ripresero a baciarsi, finalmente insieme e infinitamente innamorati.
 
Può un sentimento profondo come il mare esaurirsi nei pochi caratteri che ne compongono la storia? Io che ve l’ho raccontata credo di no.
Che l’amore del sirenetto senza voce e del ragazzo che gli insegnò a parlare possa rimanervi stampato nel cuore affinché i nostri protagonisti vivano per sempre…

…Felici e contenti



L'angolino di Caitlyn_

Allora questa cosetta è nata quasi un anno fa: ero a casa di una mia cara amica e prima di andare a letto ho deciso di raccotarle una favola della buonanotte... Bhe da quel racconto è nato il cuore della ff che avete letto :D
Spero vi sia piciuta quanto io mi sono divertita a scriverla, nonostante i momenti di pigrizia XD
Ringrazio anticipatamente tutti coloro che leggeranno e magari lasceranno una piccola recensione...
 
   
 
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