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Autore: Greatad    24/02/2016    2 recensioni
Veronica, giovane curiosa con una passione per il sovrannaturale, si trova tra le mani un antico artefatto... Si imbarcherà in un'avventura tra le rovine di Uruk che la metterà a dura prova, tra padri incompetenti, affascinanti sconosciuti e mostri che il mondo pensava di aver dimenticato!
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La porta sbatté. Veronica non si stupì, sbatteva sempre quando lasciava la finestra aperta. Le piaceva tenere la finestra aperta, entrava quella brezza invernale che la calmava sempre dopo una giornata stressante al lavoro.
“Veronica, la porta!”
Come poteva non sbattere la porta senza suo padre che glielo facesse notare? Ad ogni azione corrisponde una reazione pari e contraria. Oh, se aveva da ridire su questa cosa. Il rumore della porta che sbatteva e le urla del padre non le parevano uguali e contrarie, anzi.
Veronica accavallò le gambe e indossò le cuffie. “Sì, l’ho sentita.” mugugnò. Fece partire Deep Six di Manson. Brezza, buona musica e una tazza di cioccolata calda! Cosa poteva mai rovinarle la serata?
Driiin! Oh, che stupida che era. Il campanello! Ecco cosa poteva rovinare tutto!
“Veronica, la porta!”
Oddio, ma non sapeva formulare altre frasi quel demente? Veronica si tolse le cuffie e le gettò sul letto. Andò a vedere chi fosse. Di solito a suonare dopocena erano o scocciatori o parenti. Oh, spesso coincidevano i due però.
Provò a guardare dallo spioncino. Vide un tizio grassoccio con la bombetta, pareva uscito direttamente da Mary Poppins. Chissà, magari veniva dalla banca a dirle che il suo penny aveva fruttato milioni.
“Papà, penso vogliano te!” Di certo lei non aveva a che fare con tizi del genere. A meno che le ditte assicurative non avessero fatto passare un nuovo regolamento sull’abbigliamento nel posto di lavoro.
“Oh no signorina Vetusta. Sono qui proprio per avere una piacevole conversazione con lei.” Si sentiva un accento molto british. Veronica rimase senza parole. Riconobbe quella voce. Come poteva scordare uno dei pochi gentleman inglesi che conosceva? Aprì la porta e sorrise.
“Oh, lei è Jim vero?”
Jim sollevò un sopracciglio e tossì. “No, il mio nome è John.”
Beh, l’accento se lo ricordava, il nome no a quanto pareva. Poco male.
John estrasse un foglietto dalla tasca e un paio di occhialetti da lettura e dopo aver dato uno sguardo alla nota disse “Mi ha chiamato perché doveva mostrarmi un certo artefatto, sumero se non sbaglio?”
“Certo certo, mi segua in salotto, le preparo un tè. Penso di non riuscire a parlarne a mente sana senza una bella tazza di tè per tenermi su!”
Si diressero al salotto. La stanza non era molto grande, occupata da un divano sgualcito, una poltrona, su cui al momento il padre di Veronica stava risolvendo un sudoku, e un tavolino da tè.
“Vado a preparare il tè, immagino che un Earl Grey le farà piacere! Intanto si accomodi pure sul divano, è comodissimo!” E saltellando leggermente sparì in cucina.
 
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John trovò gradevole quel salotto. Si fermò davanti una mensola e si mise ad osservarne i soprammobili. Un grazioso pagliaccetto su un triciclo che faceva roteare dei birilli lo stupì. Aveva già visto una cosa simile, ma non riusciva a ricordare, magari concentrandosi…
“Buonasera. Lei è?”
John si riscosse. Si accarezzò i baffi e fissò lo scocciatore. Non era anziano, dimostrava sì e no una cinquantina d’anni. La maglietta bianca e i boxer davano l’impressione che non facesse molto, oltre a grattarsi il sedere e scrivere numeri doppi nel suo sudoku.
“Oh, ha sentito chi sono dalla porta, non mi pare disti così tanto da qui l’ingresso. Lei invece?”
L’uomo appoggiò la copia de La settimana enigmistica sul tavolino e inforcò un paio di occhiali. Avvicinò le mani, si scrocchiò le dita e sbottò “Sono solo il proprietario di questa casa e lei è mio ospite ne deduco.”
John smise di accarezzarsi i baffi, oh se dovevano farlo arrabbiare per distrarlo dai suoi bei baffoni.
“Quindi la devo chiamare Proprietario-di-questa-casa?”
“O mi dimostra rispetto, o la sbatto fuori di casa!”
In quel momento Veronica entrava portando un vassoio con la teiera e un paio di tazze. Si bloccò, sbiancando.
John previde che stava per scoppiare contro il Proprietario-di-questa-casa. Non andava affatto bene, doveva liberarsene per poter discutere tranquillamente dell’artefatto che tanto sembrava preoccuparla al telefono.
Con uomini del genere l’unica cosa che poteva funzionare era svergognarli, e non pareva così difficile con uno che era praticamente in mutande. Fece un occhiolino a Veronica, che stava aprendo bocca in quel momento e si zittì perplessa.
“Proprietario-di-questa-casa, non perda il controllo, su. Guardi, ci sono scimmie che si godono la vita tirandosi dietro gli escrementi in questo momento, e… ma cos’è questo odore?” Fissò i boxer dell’uomo, sventolandosi una mano davanti la faccia. Questi diventò paonazzo e scappò in bagno per controllare, che non si sa mai cosa poteva fare mentre era tutto concentrato sui suoi sudoku.
 
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Veronica era stupita. Non ricordava di essere mai riuscita a zittire il padre senza alzare la voce o tirargli dietro un budino. Il suo budino al cioccolato della sera prima… Quanti sacrifici bisogna fare per avere un po’ di pace.
Posò sul tavolino il vassoio e versò il tè.
“Ecco qui! Vuole anche dei biscotti?”
“Oh, meglio di no, non sa le briciole sui baffi poi.”
Rise. Le stava simpatico questo John. Sentiva di potersi fidare, anche se come l’aveva conosciuto in una chat anonima sul paranormale la metteva un po’ a disagio. Aveva detto di essere un professore inglese di archeologia, e sull’inglese iniziava a crederci.
“Dalle foto che mi ha mandato, come le ho già detto, penso di aver riconosciuto quell’artefatto sumero, però prima di esprimere il mio parere vorrei poterlo vedere di persona.”
“Oh sì, lo ho appoggiato vicino a Gerry!”
“Gerry?”
“Oh, scusi, chiamo così il pagliaccetto di ceramica. Sa, tempo fa aveva tentato di uccidere mio fratello, è allora che ho saputo come si chiamava!”
“Ha tentato di… Oh, non importa.”
“Ecco qui.”
Veronica consegnò l’artefatto nelle mani di John, che si mise a rigirarlo e tastarlo con cura. Era di forma cilindrica, con impressi sulla base alcuni pittogrammi. John estrasse dalla tasca una lente d’ingrandimento e si mise ad analizzare i segni.
“Ha mai sentito parlare di Gilgamesh?”
Veronica sorrise. “Il cosiddetto divino re Gilgamesh di Uruk, figlio della dea Ninsun?” Quante rare erano le occasioni in cui poteva dare sfoggio delle sue conoscenze storiche!
“Oh, la vedo informata!” John fece un accenno di applauso e continuò. “Da dove deriva questa bravura?”
Veronica abbassò lo sguardo e spiegò. “Vede, mia madre era un’archeologa e questo artefatto è un suo ricordo…” Allo sguardo preoccupato di John continuò.  “È sparita 5 anni fa durante uno scavo a Baghdad, dicono sia stata rapita da qualche terrorista.” Sentiva le lacrime salire al triste ricordo, ma si fece forza e continuò provando a cambiare discorso. In fondo non era qui per ascoltare le sue lagne sulla madre scomparsa. 
“Quella… cosa si trovava in un vasetto che mi aveva spedito una settimana prima di perdere i contatti con lei. L’altro giorno mentre pulivo è caduto, e l’ho trovata tra i cocci.” Già, aveva rotto l’ultimo regalo di compleanno che le aveva fatto la madre. Il rimorso la prese e trattenere le lacrime si fece più difficile. Diamine Veronica, dovresti aver già pianto abbastanza quell’anno!
John le appoggiò una mano sulla spalla. Si calmò un attimo e rialzato lo sguardo vide che la stava fissando negli occhi. Ogni parvenza di giocosità era sparita dal suo viso, sostituita da un’espressione seria.
“Veronica, tu vuoi rivedere tua madre?”
“Sì, certo che sì!” Ecco, aveva risposto d’impulso. Una persona che conosceva da poco la prendeva probabilmente in giro e lei cosa faceva? Ma faceva il suo gioco ovviamente! Scostò la sua mano dalla spalla e corresse il tiro continuando a parlare.  “Perché me lo chiede?”
“Penso di sapere che fine abbia fatto. Posso assicurarti che tua madre non è stata rapita da terroristi. E il motivo per cui è stata rapita è proprio questa chiave.”
Oh, adesso si metteva pure a delirare. Stava iniziando a stufarsi di questa farsa. “Lei come fa a sapere tutto questo? Perché dovrei crederle?”
“Perché a quello scavo c’ero anch’io.”
L’ombra del dubbio si insinuò in lei. Dubbio? Non scherziamo. Era speranza. Una speranza che aveva abbandonato da secoli ormai. “E lei è ancora viva?”
“In un certo senso sì. E se non la salviamo, lo sarà per sempre.” John estrasse un tablet dalla tasca e dopo qualche minuto lo girò verso di lei. Riconosceva sua madre, pareva immersa in una gemma dalle sfumature arancioni.
“Questo… cos’è?”
“L’ultimo lascito di Gilgamesh secondo le iscrizioni rinvenute sul luogo. Anche se penso che la parola esatta sia… maledizione.”
 
#

Una maledizione. Sua madre era stata maledetta. “Capisco. C’è modo di sciogliere questa maledizione?”
John si sorprese e quasi non gli andò di traversò il tè. “Non è stupita della cosa?”
“No, succedono spesso queste cose alla mia famiglia, ho superato lo stupore del paranormale da un pezzo.” Veronica fissò il soffitto, cercando di ricordare. “Anche il mese scorso ho aiutato mio zio Odoacre a esorcizzare un poltergeist che gli stava infestando la soffitta. Un po’ di sale e via.” Le grida terrorizzate del poltergeist le davano ancora soddisfazione.
“Ma un poltergeist non è una lumaca!” proruppe indignato John.
“Mah, per mia nonna erano la stessa cosa. Non sa i casini quando si trovava i cespi di lattuga che si muovevano da soli. Ci rimase orba ad un occhio per una carota posseduta quando era bambina.” Povera nonna. Ogni tanto l’Alzheimer le faceva rivivere i vecchi momenti del passato e dava fuoco agli orti dei vicini.
“Oh, beh, va bene… torniamo alla maledizione.” John si ricompose e appoggiò la tazza. “Tua madre partecipò alla spedizione di scavi a Uruk come ben sai. Mentre stavano traducendo delle iscrizioni rimasero tutti vittima della maledizione della vita eterna di Gilgamesh, come abbiamo scoperto in seguito addentrandoci nelle rovine.”
Qualcosa non quadrava a Veronica. Tutti vittima della maledizione? Ma se lui ci aveva partecipato ed era ancora qui… “E lei come si è salvato?”
“Ero andato in città a gestire i rifornimenti di materiale per gli scavi. Una volta Uruk si trovava lungo le sponde dell’Eufrate. Con l’andare del tempo il fiume ha cambiato corso e di conseguenza far arrivare i rifornimenti è difficile e richiede ore di strada.”
John sorseggiò il suo tè e poi riprese.
“Ero al mercato della città vicina, Baghdad, che tanto vicina non era visto che occorrono tre ore di camion per arrivarci da Uruk. Stavo trattando sul prezzo di funi e picchetti, quando la terra si mise a tremare e si vedeva una successione infinita di lampi di tutti i colori all’orizzonte, a sud-est, verso le rovine. Preoccupato ho accettato il prezzo che mi stava proponendo il mercante - una rapina - e sono corso ai camion. Ci siamo diretti a tavoletta verso lo scavo, e quando siamo arrivati c’era un silenzio di tomba. Non c’era anima viva nei dintorni. Dopo qualche ora di ricerca sono giunto ad una buca. Facendomi aiutare dagli inservienti sono sceso con una fune e lì ho trovato tutte le persone con cui ho chiacchierato e lavorato fino a poche ore prima cristallizzate. Una vista agghiacciante.” John tossì.
“Vuole un’altra tazza di tè?”
“No grazie, ormai ho finito di rivangare il passato. Ho chiamato subito dei soccorsi, qualcuno che potesse valutare le loro condizioni vitali. Dopo attenti esami si è scoperto che tutte le persone cristallizzate versano in stato di coma, con le funzioni vitali decelerate. Non sembra che stiano soffrendo. Purtroppo ancora non si è trovato modo di invertire il processo e liberarli da quei cristalli.”
“Non basta dare una pacca e rompere il guscio?” irruppe Veronica, poco convinta anch’essa di quello che stava dicendolo, avendolo quasi sussurrato.
“Non scherziamo. Sono come in un cubo di ghiaccio, un colpo troppo forte spezzerebbe pure la persona all’interno. Il nostro mondo non ha ancora sviluppato una tecnologia tale da liberare sua madre, Veronica. Ed è qui che entra in gioco la sua chiave.”
“Ma di quale chiave sta parlando? Anche prima l’ha nominata, ma io non ho nessuna chiave!”
“Il regalo di sua madre, Veronica. L’artefatto sumero è una chiave. La chiave che potrebbe salvare sua madre.”
 
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John stava per spiegare in che modo la chiave potesse salvare la madre ma venne interrotto subito.
"Non dire cazzate" esclamò il proprietario-di-questa-casa, che pareva si fosse rivestito.
Un altro sprovveduto che provava a mettere in dubbio le sue parole? "Non crede a queste mie teorie sul paranormale forse? Sappia che ho visto tutto con i miei occhi e numerosi testimoni oculari possono affermare che..." ma venne interrotto di nuovo. Questa volta dalla voce squillante di Veronica però, il che lo indispettì parecchio.
"No, John, si sbaglia. Non è questo che intende mio padre. Sa, lui ci sguazza sul paranormale normalmente..." Vide Veronica lanciare uno sguardo eloquente al padre. Cosa si era perso? Che fosse qualche fanatico religioso il proprietario-di-questa-casa?
"Cos'è quello sguardo scettico Veronica? Comunque, John, perdonami per prima. É che sai com'è, uno sta a rilassarsi e si vede la casa invasa così." Scoccò uno sguardo in tralice alla figlia "Potevi avvertirmi."
"Tanto non mi avresti ascoltato come al solito."
"Lasciamo perdere allora. John, io ti credo sulla chiave." Gli tese una mano. John si alzò dal divano e rispose al gesto.
"Sono Tolomeo Vetusta, ricercatore del paranormale e padre di questa disgraziata." La stretta fu decisa, nonostante a farla fosse un ricercatore del paranormale. Che razza di titolo era?
 "Come dicevo, ti credo su Uruk. Ma non sul fatto che Nora vada salvata."
"E su cosa baserebbe questa presunzione? Da quello che ho capito sua figlia pensava fosse stata rapita da terroristi fino a 10 minuti fa!"
"Ho i miei metodi per tracciare la mia famiglia e di sicuro non voglio condividerli con te, John."
John non disse niente e si limitò a fissare Tolomeo, attendendo che continuasse.
"Non mi interesso mai molto del lavoro di Nora, ma su una cosa sono sicuro. Lei non ha partecipato a quella spedizione."
Stava per aprire bocca e approntare qualcosa in difesa della propria posizione, quando Veronica scoppiò.
 
#

 "Papà, smettila! Se non stai a badare al lavoro della mamma, come fai a sapere queste cose?"
Tolomeo si sistemò gli occhiali e con una voce teatrale rivelò: "Ho interrogato gli spiriti e mi hanno detto di non fidarmi di questo John!"
Veronica si portò le mani alla testa, chiuse gli occhi e massaggiandosi le tempie domandò apparentemente tranquilla: "E perché non dovresti fidarti?"
 Il padre si mise a fissare un angolino del soffitto, un ragnetto stava tessendo una tela. "Non lo so. Però mi hanno anche detto che Nora sta bene, e..."
"E non ne hai alcuna prova. Come negli ultimi 5 anni d'altronde. Papà, io voglio credere a John e andrò con lui a liberare la mamma!"
"Benissimo, fai come vuoi Veronica. " Si mise a sedere vicino a lei e le porse un braccialetto. "Ti chiedo solo di indossare questo."
Sentì che il padre era sincero, probabilmente si stava pure preoccupando per lei, gloria e giubilo. Si calmò, abbassò le mani dalla testa e chiese: "Perché?"
Sorrise. "Non te lo dico. Tanto anche se te lo spiegassi non capiresti e mi lanceresti addosso un altro delizioso budino."
Veronica sospirò. "Va bene papà." Prese il braccialetto e lo infilò al polso. Era poco più di un laccio di pelle, con un motivetto a spirali. Non un capolavoro, ma neanche di troppo cattivo gusto.
John era spaesato. Non gli capitava spesso, soprattutto dopo aver visto tutte quelle cose a Uruk. Ma doveva chiarire una cosa. "Veronica, ha detto di voler venire con me a salvare sua madre giusto?"
"Sì, pensavo di partire domattina col primo volo."
"Vede, io pensavo di riportare la chiave a Uruk con dei miei fidati compagni, con una certa esperienza in antichi reperti archeologici, non mi pare il caso che venga anche lei."
"Non ho mai chiesto la sua autorizzazione. La chiave è mia e viaggia con me."
"Domattina però è impossibile, non riuscirei mai a organizzare tutto con così poco preavviso..."
"Io parto, la aspetterò sul luogo. Mi bastano le coordinate, non è la prima volta che sto fuori in mezzo a rovine. Era divertente quando mi ci portava la mamma!"
 
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La mattina dopo Veronica stava preparando le valigie. A nulla valsero le proteste del padre, che la giudicava incapace di cavarsela in questa impresa.
John non la voleva con sé, ma lei aveva insistito per esserci quando sua madre avrebbe ripreso a muoversi. Voleva abbracciarla e recuperare subito tutti quegli anni che avevano perso. Prese le chiavi della macchina, uscì e la mise in moto. Ma si accorse di aver lasciato i biglietti dell'aereo sulla scrivania, li aveva comprati e stampati la sera prima una volta che John se ne era andato. Scese dall'auto e tornò in casa. Mentre stava mettendo i biglietti in borsa udì un'esplosione. Corse fuori allarmata e vide l'auto in fiamme.
"Mi mancavano ancora due anni di rate..." Fortuna che l'assicurazione prevedeva anche la copertura da atti vandalici e misteriose esplosioni causate dal fato avverso. Oh, se le faceva comodo lavorare per una compagnia assicurativa in questi casi!
Chiamò un taxi e si fece accompagnare all'aeroporto. Sperava davvero non prendesse fuoco anche l'aereo, quello non aveva pensato di includerlo nella sua assicurazione. Non che le servisse a molto se prendeva fuoco mentre era a bordo...
 

 
  
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