L’uomo aprì gli occhi. Non riconosceva quello che vedeva.
Non capiva cosa fosse successo… anche perché, non ricordava neppure il suo
nome. Era steso su una barella dalle lenzuola impolverate, aveva il petto
fasciato, e… era privo dei pantaloni. L’uomo si passò una mano sulla testa,
insicuro di quello che stesse succedendo. Cosa ci faceva lì? E soprattutto…
come ci era arrivato? Si alzò in piedi, trovando un paio di stivali, e se li
infilò immediatamente, il pavimento era ricoperto di polvere e sassolini…
sembrava che fosse piombata una tempesta di sabbia in quel luogo. Una volta
indossati gli stivali, si avvicinò all’unica finestra presente, e diede uno
sguardo fuori.
Era in mezzo ad un deserto circondato dalle montagne.
Incerto, andò a sedersi, prima di tornare ad investigare, almeno per trovare un
paio di pantaloni. Che trovò nel primo armadietto che aprì, assieme a qualche
mazzetta di banconote un paio di caricatori di proiettili. Che in quel momento
erano perfettamente inutili, dato che non aveva armi a disposizione. Indossati
i pantaloni e messi i soldi sul lettino, fece un giro della stanza, finendo di
aprire scatole e armadi. Provò un paio di volte ad aprire la porta, che era
chiusa a chiave, ma l’idea di uscire dalla finestra non era abbastanza accattivante,
d’altronde, era ancora mezzo nudo.
Tornò a sedersi, allora, sbadigliando un attimo. Tutto quel
moto, gli aveva messo un po’ di stanchezza. Allora ne approfittò per
addormentarsi nuovamente. Anche se migliaia di domande facevano capolino una alla
volta nel suo cervello, ma lui riuscì comunque a rintanarle in un angolo,
addormentandosi profondamente.
Quando si svegliò di nuovo, era arrivata sera. E non era più
solo. Istintivamente, chiuse la mano a pugno, anche se non aveva nessun’arma
con sé, e fece per puntarla addosso a chiunque fosse giunto in quel luogo…
sentì una voce apparentemente conosciuta, mentre gli veniva puntata una pila
negli occhi.
“Fermo… fermo… non muoverti. Sono venuta a vedere se eri
vivo. E in effetti… lo sei.”
Era una voce di donna. Che appoggiò una scatola sul lettino
accanto a lui.
“Sono dei vestiti per te. E qualcosa da mangiare. E un
comunicatore ECHO, non si vive senza…”
Quindi, abbassò la torcia.
Era una donna con i capelli corti, scuri, e un viso
decisamente stanco. Aveva delle profonde occhiaie, che si vedevano nonostante l’oscurità
del posto, e nascondeva qualche ferita al viso e le mani con dei cerotti.
L’uomo si mise i vestiti, caldi, comodi, gli stavano a
pennello, si infilò il comunicatore alla cintura, e si sedette sul lettino, per
mangiare dalle scatolette che gli erano state portate. Gli faceva ancora male
il petto, da qualsiasi cosa gli fosse successa, ma era lieto di essere lì ed
essere vivo.
“Tu sai chi sono?”
Le chiese allora, una volta finito di mangiare.
La donna aveva passato il tempo a chiacchierare con uno
degli armadietti vuoti, riempiendolo di sassi che raccoglieva da per terra, ma
alla domanda lo osservò,
“Io… tu non ricordi cosa è successo? Non ricordi…”
Tutta una lunga serie di pensieri fecero capolino nella sua
testa, fino a quando non si decise di affrontare la realtà delle cose.
“No. Io non so chi tu
sia. Ti ho trovato qua fuori, vicino ad un ricostruttore, evidentemente il tuo
dispositivo era danneggiato e non ti ha curato in maniera completa, ma non devi
preoccuparti, ci ho pensato io a te. sono ancora piuttosto brava… a fare queste
cose, credo. Quindi dovremo trovarti un nome, se io non so chi tu sia e se
neppure tu lo sai…”
E gli fece un sorrisetto nervoso.
L’uomo non capiva. La ragazza mentiva, si vedeva da come
muoveva le mani mentre parlava, dal leggero tic all’occhio, e da come le
tremava la voce, ma perché lo faceva? Avrebbe voluto chiederlo… e se lui fosse
stata una persona malvagia? E se lei
cercava solo di aiutarlo? Era meglio limitare le domande, allora. Non voleva
turbare la sua salvatrice.
“La prima cosa che ho visto appena mi sono svegliato è stata
questa sabbia. Potresti chiamarmi Sander.”
La donna scoppiò a ridere, forte, appoggiandosi al lettino e
tenendosi la pancia, mentre continuò a ridere per un minuto buono.
“Va… va bene, va bene. Sander. Mi piace. Io sono Patty. Se vuoi chiamarmi così….
No ok, chiamami così e basta. Adesso che sei vestito e rifocillato, credo che
dobbiamo procurarti un’arma. E poi… penso che vada bene così. Stai pure nel
deserto, uccidi Skag, banditi, e non avvicinarti alle grandi città per nessun
motivo.”
L’uomo ascoltò le sue parole solo fino ad un certo punto, ma
a quella richiesta, divenne un po’ più serio.
“Non credo di poterlo fare… Patty. Non posso proprio andare
dove mi pare? Cosa c’è nella grande città?”
“Nulla. Niente. Non c’è niente di interessante, per questo è
meglio evitarle.”
“Stai… stai mentendo. E non è la prima volta che lo fai. Da
cosa mi vuoi tenere lontano? Cosa sai che io non so? Sai chi sono io? Sai cosa…
è successo, perché sono ferito e perché…agh…”
Un colpo di luce. Un dolore al petto. Sangue che sgorgava. La
donna aveva in mano una pistola. E piangeva.
“Fai troppe domande. Non va bene.”
L’uomo cadde in ginocchio, e in un attimo, si ricordò ogni
cosa.
“Tannis…”
La Tannis gli si avvicinò lentamente, gli accarezzò la
testa, continuando a piangere.
“Non temere, Roland, ci riproveremo finché non sarai salvo
veramente. Finché non ricorderai più nulla… finché non vorrai più affrontare i
pericoli che ti uccideranno…”
Gli chiuse gli occhi, una volta che fu morto. Si asciugò le
lacrime. Trovò il suo microchip di ricostruzione prima che il corpo si
dissolvesse, e lo ricalibrò.
“Non posso permettere che tu muoia ancora…”
Mormorò a bassa voce, guardando il cadavere scomparire in
una nuvola di luci azzurre. Pulì il sangue sul pavimento. Riempì gli armadietti
di roba. Attese.
Udì un tonfo appena fuori. Uscì di corsa, recuperò l’uomo
ferito e boccheggiante ma ancora incosciente, e lo curò. Lo stese sul lettino,
ed uscì, lasciandogli stivali e pantaloni a portata di mano. Forse quella sarebbe
stata la volta buona, e Roland finalmente si sarebbe salvato.