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Autore: Shirokuro    26/02/2016    2 recensioni
{ nora centric | one-shot di 3035 parole circa | introspettivo | missing moments?; spoiler! [forse?] | terza classificata e vincitrice del premio "miglior utilizzo dei prompt" al contest Le storie vere indetto da — Fear sul forum di efp (giudicata da Hedoniste) }
«...non è questione di essere odiosi o meno, ma di essere veri, no? Noi siamo falsi, noi che esistiamo solo per chi vogliamo, immersi nell’ipocrisia di un’essere che probabilmente non ci appartiene. Siamo falsi perché ci crogioliamo nel potere di divinità che di divino non hanno nemmeno il nome, siamo malvagità reincarnata in maniera pura! Siamo quella perfezione che la gente chiama disgusto. Siamo falsi, perché se non ci fossero gli altri a ricordarci chi siamo, non esisteremmo».
Mizuchi sussultò. Ora aveva capito, forse. Però urlava, adesso.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Hiyori Iki, Nora, Yato, Yukine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo storia: Come un bicchiere rotto pieno di folle oro.
Nickname sul forum e EFP: zbor liber, Shirokuro.
Pacchetto e prompt utilizzati: Ragazza magica (paragone, capolavoro, mela).
Fandom: Noragami.
Personaggi + eventuali coppie: Nora, Kouto Fujisaki, Yato (attivamente). Hiyori Iki, Yukine (passivamente).
Rating: verde.
Avvertimenti + note: spoiler! [in generale su Kouto Fujisaki].
Introduzione: «...non è questione di essere odiosi o meno, ma di essere veri, no? Noi siamo falsi, noi che esistiamo solo per chi vogliamo, immersi nell’ipocrisia di un’essere che probabilmente non ci appartiene. Siamo falsi perché ci crogioliamo nel potere di divinità che di divino non hanno nemmeno il nome, siamo malvagità reincarnata in maniera pura! Siamo quella perfezione che la gente chiama disgusto. Siamo falsi, perché se non ci fossero gli altri a ricordarci chi siamo, non esisteremmo».
Mizuchi sussultò. Ora aveva capito, forse. Però urlava, adesso..

Note dell'Autore: in fondo.
 
Come un bicchiere rotto pieno di folle oro
   Nora, la cui flemma era invidiabile, urlava ogni male.

   Era uno Spirito? Era un frutto marcio ed incolto? Era entrambi? Era un mostro? Una traditrice? Una bambina, una figlia, una donna, un esserino viziato, un’ombra silenziosa? Lei sapeva cos’era, in realtà, ma non sapeva descriversi. A lei non piaceva essere descritta, accettava solo venire osservata. Ma mai descritta. «Guardami, ammirami, invidiami, disgustati, dammi la colpa di ogni tuo dolore!» sussurrava alle anime che infelici la incontravano. Era un frutto – rosso e lucido, denso nel suo essere sdegnato da un coltore insensibile almeno quanto lei che aspettava il suo turno, andando a male e distruggendosi da solo. «Ma non parlare di me» ordinava poi, con sguardo di fuoco, con dita che pallide e flaccide, assieme a lei, urlavano accarezzando una pelle che non le apparteneva o la propria – il tatto era il suo senso preferito, quello con cui i ciechi potevano vedere la bellezza che lei adorava.
   «Mizuchi». Sorrise, l’arma in eterno movimento, alla chiamata del Padre. Si passò le mani tra i capelli corti, costatandone la morbidezza. La rilassava. Poi, le dita, le immerse nello specchio d’acqua sottostante. Osservò il suo riflesso, pensando a quanto bella fosse – sapeva di essere bella, doveva esserlo, desiderio crudele come Yaboku quindi stupendo come lui. Allora sorrise ancor di più.
   «Sì?» rispose successivamente, incantata da se stessa e dalle voci che la perseguitavano. Solo il calore di due di loro era ancora impresso nel suo petto. Distese il palmo della mano sul pelo dell’acqua, facendo combaciare l’immagine con l’originale. Originale. Qualcosa di vero. Vero. Qualcosa che lei non era e che, allo stesso tempo, era. Yaboku? Yaboku era vero? Lui era unico ed insostituibile, lui lo era. Lei? Lei era una delle tante nora e una volta morta altri mille Strumenti Divini sarebbero stati pronti ad essere accolti dalle divinità a cui lei si era consegnata.
   «A cosa pensi?» domandò Kouto, che giocava con un pennello sottile e spezzato. La ragazza si voltò in sua direzione, non più sorridente, impassibile e curiosa. Lei era falsa, quindi? No, non era falsa, perché esisteva, aveva prove della sua esistenza, si era presentata davanti a molteplici occhi e nelle memorie dei proprietari lei era ancora lì – splendente come una stella in una notte senza luna, più di Venere all’alba e come gli occhi un dio di distruzione e sventura tra il sangue e la polvere di un orgoglio distrutto. Lei amava quelle luci ed ora aveva un motivo in più per farlo, in quanto prova del suo essere – per così dire, ovviamente – viva. Pensare la portava a così tante conclusioni...
   «Alle cose belle e alle cose vere» rispose poi, la voce piccola appena udibile. L’uomo si lasciò sfuggire una risata che attirò in maniera esagerata l’attenzione dell’essere maligno dai capelli neri e gli occhi profondi di un dolore mai provato. Anche il Padre era bello ed era indubbiamente vero.
    «E cosa sarebbe sia bello che vero?» Incrociò le braccia dietro alla nuca e si distese sul sentiero vicino al laghetto, gli occhi fissi sulla stella che, in confronto alla sua Mizuchi, impallidiva. Illusa di una stella. L’arma che tra le sue dita era tanto pericolosa avrebbe distrutto anche quella – la sua bambina e qualsiasi cosa avesse a che fare con entrambi. «È pressoché impossibile esista qualcosa che reincarni entrambi». Il pennello di legno sepolto dalla polvere, lasciato cadere casualmente.
   «Noi tre, la nostra famiglia» asserì. Lei lo credeva veramente. Yaboku era gentile, un dio dall’animo buono per quanto capace solo di uccidere, mentre lei era – come il suo nome, quello vero, il primo, datole dal Padre, recitava – crudele e urlava come una bestia dentro di sé quando la si definiva piccola, fragile, delicata, graziosa. E quando la si definiva sola, quando la si confinava a quella parola o quando la si privava di qualsiasi cosa le appartenesse o dalla quale fosse posseduta – Yato –, urlava quello che teneva dentro e lo faceva con decisione.
   «Noi non siamo veri» controbatté Kouto. Mizuchi sgranò gli occhi. E la sua luce? Quella che la riscaldava, che risucchiava e grazie alla quale cresceva, come una mela ancora rossa? Quindi quella non era la prova della sua esistenza? «Siamo solo fantasmi. Io sono il fantasma di qualcuno che ha perso qualcosa di prezioso, Yaboku è il fantasma di un mio desiderio, tu... anche tu sei un fantasma e a differenza nostra hai la fortuna di poterti chiamare Spirito».
   «Non capisco: quindi i fantasmi non sono cose vere?»
   «No, non lo sono. Sono qualcosa che non si può toccare, che sfugge agli occhi, che la gente conosce per errore. Come noi».
   La nora non era soddisfatta. Anzi, era profondamente delusa. Quindi loro non erano gli originali? Erano oscurati dagli dei più importanti? Dagli altri sogni? Dalle cataste di cadaveri che avevano causato? Eppure, per quanto diversi, lei e il fratello non erano forse entrambi ? Non capiva.
   «Però su una cosa hai ragione». La destò dai suoi pensieri, il tepore delle parole di un osservatore di stelle a lei tanto caro. Lo Strumento Divino si alzò in piedi, abbandonando la sua copia che imitava ogni movimento. Camminò con calma sul laghetto e si sedette affianco all’uomo, permettendogli di poggiare la testa sulle sue esili gambe. Paragonarsi a Yaboku era sbagliato? «Siamo delle cose belle» sentenziò. Nora, Mizuchi, sorrise. La delusione di prima ancora le si attanagliava al cuore, però si sentì sollevata a sapere che erano davvero qualcosa di bello, loro.
   «Se solo Yaboku non fosse così cocciuto e si decidesse a raggiungerci, ogni tanto» commentò ad alta voce, iniziando ad accarezzare il suo stesso volto e i capelli castani di Kouto al contempo.
   Erano un trio particolare, poteva dire. Il dio, d’altronde, era totalmente un’altra persona rispetto a loro due. Eppure restava parte della sua famiglia, quella che lei adorava, quella della quale faceva parte. La sua famiglia, la sua preziosissima famiglia. Allora perché lui, lì, con loro, non c’era?
   «Che fortunata che sei, Mizuchi: non piangi mai, vero?»
   «Se mi chiedi di farlo, piango».
   «Non dovrei chiedertelo io, però» rispose, mettendosi a sedere sul sentiero, vicino a lei. «Come Strumento Divino sei encomiabile, non pecchi mai» disse poi, sorridendole.
   A Nora piaceva suo Padre, era una sicurezza, era la ragione per cui lei poteva splendere nella sua bellezza. Per cui esisteva.

 
*

   Nora tendeva a tenersi dentro la furia che senza sosta le scorreva nelle vene, seppure urlando.
   Le doleva anche solo ammetterlo a se stessa – ma Nora non mentiva, avrebbe ferito i suoi padroni se lo avesse fatto, preferiva essere sincera. Faceva quello che il suo istinto le diceva di fare, per non provare rancore, rimorsi o rimpianti; ne provava, ovviamente, era solo uno Spirito, faceva parte della sua natura, ma preferiva limitare l’oscurità che la circondava. Forse proprio a causa della sua incapacità a dire di «no» ai suoi sensi era riuscita farsi rinnegare dal suo adorato Yaboku.
   Rannicchiata sul davanzale della finestra, illuminata solo dalla Luna che serpeggiava fra le nuvole chiare e rade in un cielo terso, osservava la mite figura sotto coperte respirare e sognare di cose a lei sconosciute.
   Nora non aveva la possibilità di sognare. Era una ragazzina senza sogni; le erano stati tutti strappati tanto tempo prima – ma quei sogni erano dipinti senza ordine era un bene non li facesse più: erano brutti. Eppure quel vivere irrisoriamente nella realtà non piaceva a tutti, mentre quella Hiyori Iki in eterno bilico tra veglia e surreale era amata da chiunque. Semplicemente non capiva.
   Quella ragazza dai lunghi capelli castani, cos’era? Non lo sapeva. La malvagità che il suo essere trasudava non riusciva a leggere dentro a Hiyori. Che crudeltà. Cos’era, cos’era? Uno Spirito rinato come essere umano? Un essere umano nato da uno Spirito o un dio? Cos’era, Hiyori Iki, cos’era? Era un suo dubbio. Cos’era? Ah, non riusciva a capirlo! Ci pensò mentre apriva la finestra e continuò a rimuginarci su mentre si avvicinava al suo letto. Hiyori Iki non poteva essere definita come entità senziente, perché aveva troppi pochi dati a sua disposizione e poca conoscenza della sua persona. Però una cosa era sicura: come mela, come frutto, lei era una bellissima mela ancora sana, priva di imperfezioni, che il coltore insensibile osservava con meraviglia e pupille cariche di emozione mentre la raccoglieva. Ma non era bella, Hiyori, non lo era come gli occhi di Yukine, non come lei che era stupenda come Yaboku, non come il Padre, non come tante altre stupende cose che la circondavano. Hiyori era solo qualcosa di interessante.
   «Ehi, Hiyori Iki» chiamò. «Perché Yato ti ama tanto? Qual è il tuo segreto? Insegnamelo».
   La studiò nel buio, con occhi annoiati e mani ferme. Sembrava niente di più che un’idiota, quella ragazza. Eppure era riuscita a spingere il bellico dio delle nefandezze a liberarla dal bellissimo nome di Hiiro. Come? Cosa aveva quella ragazza? Perché, a differenza del Padre, lei non le rispondeva?
   «Cosa pensi di me?» domandò, per poi accarezzarle la fronte, incitandola a tirare fuori le memorie dei suoi pensieri su di lei. Il mezzo Spirito  mugugnò diverse parole difficili da comprendere. Non capiva perché quell’incapace era diventata padrona del cuore di tanti esseri mostruosi.
   «Bella» mormorò poi l’addormentata, in preda all’incantesimo di Nora. Allora l’antica arma da tanti utilizzata ritrasse la mano – come avesse toccato fuoco. Sentì il sangue salirle al cervello. Perché? Erano le sue parole, allora? Le dolcezze che uscivano dalla sua bocca? Anche lei diceva cose meravigliose con una voce aggraziata. Però Yaboku non la adorava, non la trattava come Hiyori. Non riusciva a capire.
   Quella ragazza lo conosceva da poco più di qualche mese, eppure era riuscita a surclassarla nonostante i secoli passati assieme. Era qualcosa di interessante, ma non necessariamente stupefacente come poteva sembrare. Il suo era un orrido quadro, dove tra le pennellate rade poteva essere scorso un blu intenso e meraviglioso, ma non c’era nient’altro degno di nota. L’unica cosa che brillava nella sua vita era Yato. Non importava quanto potesse pensarci, non riusciva a trarre le sue conclusioni.
   Sospirò delusa. Fare irruzione in casa di Iki non era servito a nulla, l’aveva solo ulteriormente confusa. Un nemico formidabile, un orrendo antagonista che voleva abbattere, detronizzare. Qualcosa da distruggere, da fare a pezzi, da polverizzare, qualcosa da eliminare in maniera definitiva. Dentro di sé, Mizuchi, Nora, urlava.

 
*

   Nora era disarmata, anche se voleva una mazza con cui rompere vetri e sogni.
   Voleva avere il coraggio di accusare il mondo delle sue sofferenza, come il bambino che Yaboku si portava dietro. Yukine.
   Yukine aveva degli occhi bellissimi, ancora immaturi ma profondi – abbastanza da attirare l’attenzione di quel coltore che continuava ad ignorare il frutto rosso e marcio che era Nora. Lei li apprezzava; erano belli, non poteva e non aveva intenzione di negarlo. Mizuchi lo osservò con cura, prestando particolare interesse ai dettagli che si mostravano delicati sul suo viso addormentato. Lui, rispetto ad Hiyori Iki, anche se debole, anche se dalle parole crudeli, era bello e degno dell’amore di Yato. Era bello, non quanto lei, ma lo era.
   Eppure non riusciva a non odiarlo. Certo, non lo detestava quanto la castana, ma un moto d’ira la muoveva quando c’era lui di mezzo. Qualcosa di profondo, quanto il suo legame con il dio che prode aveva disseminato terrore per le lande del Giappone – quell’affascinante ombra dai pochi nomi. Evidentemente a quel coltore piacevano le mele verdi.
   «Ehi, poverino» gracchiò, cercando di non svegliare la creaturina che s’era appisolata sotto un anonimo ciliegio. Il respiro impercettibile che solleticava il viso di Mizuchi a pochi centimetri, che lo scrutava fin nell’anima. Lui era falso, come lei e Kouto? Magari il Padre le avrebbe risposto, ma non era nelle vicinanze al momento. Ah, che sfortuna, adesso era curiosa. Soffiò sul ciuffo che pigro si era posato sul naso dello Strumento Divino. In risposta, reagì disinteressatamente, ignorando la fonte dell’aria che gli era arrivata in viso e scostando ad occhi chiusi i capelli biondi.
   Era come stuzzicare suo fratello, alla fin fine. Odiò questo pensiero ed allo stesso tempo lo adorò. L’unica differenza, rispetto alla meraviglia incontrollata che rappresentava Yato, era che non provava tentazioni nei suoi confronti. Non conosceva bene quel bambino, eppure sentiva già di poterlo guardare da lontano e dire «Sì, lui è quello sfrontato di Yukine». Sfrontato, uh? Chissà perché lo descriveva così; lei stessa non lo sapeva. Forse era a causa dei secoli che la sua rossa buccia si portava dietro cercando di rimanere liscia e brillante per il dio che non voleva accoglierla nella cesta, quelli che lui non aveva avuto bisogno di vivere per incantare il suo Yaboku, che lo riteneva uno sfrontato – osava essere più di lei!
   «Se solo tu non fossi morto; staresti ancora soffrendo, perso in un passato che Yato soltanto conosce». Si protese verso il suo petto, nella speranza innaturale di avvertire un battito. «Se tu fossi ancora vivo, vivo e dolorante, non avresti mai potuto divenire Yuki...»
   Nora gridava e sfasciava qualsiasi cosa le si parasse davanti per amore di se stessa e per difendere la sua famiglia. Per questo, anche se Yaboku l’aveva rinnegata, riusciva a far esplodere attorno a lei tutto ciò che li teneva lontani. Accarezzò Yukine, che aveva quasi ucciso il suo amato fratello solo qualche tempo addietro. Sarebbe dovuto perire allora. Sarebbe dovuto essere lui, durante l’abluzione, a venir rilasciato.
   Strinse la guancia dello Strumento Divino, forte, perdendo la sua compostezza per un attimo, e quando gli occhi dorati si aprirono – in allerta, sorpresi ed inaffidabili – lei era già sparita, lasciando dietro di sé solo il bellissimo momento che era stata la sua contemplazione.

 
*

   «Yato» chiamò Mizuchi.
   Il povero dio della sventura si girò verso di lei. Il sentiero battuto deserto, il ponte sospeso e la divinità stanca, provata da una dura giornata di lavoro.
   «Nora».
   «Nostro Padre vorrebbe tu fossi più presente, sai?» iniziò, senza un vero fine, solo per potergli parlare, per poterlo adorare qualche minuto. Negli occhi sprezzanti c’era stupore e c’era rabbia, c’erano diffidenza ed indifferenza; i suoi occhi erano azzurra poesia e li amava. Lui, quell’uomo che poteva chiamare fratello, era qualcosa di bellissimo che brillava tra la polvere ed il sangue. Il loro Genitore lo sapeva, glielo aveva insegnato e lei ne aveva fatto tesoro. Che fosse un fantasma non le importava, che fosse falso, che fosse vero, che fosse qualcosa di grande quanto né Kouto né Nora erano. Lei amava la sua bellezza, amava tutte le cose belle e Yaboku era la più meravigliosa.
   «Certo» si limitò a risponderle. «Magari più in là lo andrò a trovare di nuovo».
   Yato non odiava suo Padre, questo Mizuchi lo sapeva – o forse lo sperava? Kouto era un mostro, tutti lo avrebbero descritto così – anche per questo lei detestava le descrizioni –, la nora per prima era stata una sua vittima, lei ed il suo venerato Yato, ambedue lo erano stati. Eppure, nessuno dei due, nonostante tutto, aveva il diritto di odiarlo. Questo era quello che pensava l’irritante esistenza che poteva essere Nora. Vero era che gli abusi dal più grande subiti erano stati qualcosa di spaventoso, secondo un punto di vista obiettivo che lei non si era mai messa in testa di smentire, ma lui non si era mai veramente rifiutato di parlare con il Padre, anzi. Mostrava ostilità, ma in quella Mizuchi non riusciva a percepire odio.
   La luce blu che splendeva e donava tono al loro dipinto, il coltore che la ignorava, non aveva mai abbandonato quell’immagine. Per quanto insensibile e freddo, era rimasto sempre lì. Che fosse perché ritratte assieme a lui ci fossero pesanti catene fatte di sensi di colpa, di rimorsi e di debolezza, non era rilevante. Yato doveva restare lì, con loro due. Certo, quegli odiosi frutti verdi che rovinavano l’insieme la infastidivano, ma il pittore che osservava quelle vite finite mentre le sfumava con nuovi colori aveva deciso che dovevano essere lì presenti. Non poteva contestare, doveva solo fare in modo che il suo marcio li raggiungesse. Strinse le dita attorno al proprio viso.
   «Sei stranamente silenziosa» commentò poi Yaboku, prendendo l’iniziativa – veramente? Non stava forse sognando? L’informe macchia dagli occhi spenti sussultò, sorridente. Dopo tanto tempo, si sentì nuovamente felice. Poté ammirarsi nelle iridi di luce che capitolavano sul bellissimo volto dinnanzi a lei. La sua presenza contava, in qualche modo, lo sentiva.
   «Dici?»
   «Dico».
   Nora si riteneva bella, un capolavoro. Ma l’unico che meritava veramente tale nomina, quella di perfezione, era Yato. Perché era sì un dio, ma era il più bello di tutti.

 
*

   «Padre» chiamò Nora, aggrappandosi al collo del castano. Lui se la scrollò gentilmente di dosso. Mizuchi non si oppose e si lasciò poggiare per terra dalla gravità – gravità a lei indifferente ma utile. Anche cadere con grazia era qualcosa di bello. «Ci ho pensato e non capisco ancora».
   «Cosa non capisci?» domandò in parte irritato Kouto.
   «Perché non sono vera. Perché noi non lo siamo». Il ragazzo – uomo, demone, quel che era – le concesse un’occhiata curiosa. Avvertita l’attenzione, lo Strumento Divino da tanti tenuto, continuò. «Ci sono Spiriti tanto odiosi da poter essere paragonati ad esseri umani».
   Il Padre portò il viso dell’arma innanzi al suo, sorpreso. Stava sorridendo, stava affogando una risata in quel sorriso. Nora si sentì presa in giro, ma non si lamentò né con lui né dentro di sé: lei urlava solo contro i suoi nemici.
   «Nora. Una volta gli Spiriti erano esseri umani, è più che logico che in loro rimanga l’essenza che li caratterizzava in vita».
   «Ma allora, Padre, noi
   «Ascolta: non è questione di essere odiosi o meno, ma di essere veri, no? Noi siamo falsi, noi che esistiamo solo per chi vogliamo, immersi nell’ipocrisia di un’essere che probabilmente non ci appartiene. Siamo falsi perché ci crogioliamo nel potere di divinità che di divino non hanno nemmeno il nome, siamo malvagità reincarnata in maniera pura! Siamo quella perfezione che la gente chiama disgusto. Siamo falsi, perché se non ci fossero gli altri a ricordarci chi siamo, non esisteremmo».
   Mizuchi sussultò. Ora aveva capito, forse. Però urlava, adesso.

 
*

   Nora urlava dentro di sé. Urlava perché era malvagia, perché era stata etichettata come tale. Ci era nata. Quindi urlava, composta, tranquilla, senza fretta, ma urlava perché quello sapeva fare, come copia di se stessa e come oggetto di due soli Padroni.
   Osservò il riflesso sullo specchio d’acqua e sorrise, il viso incorniciato dalle sue dita bianche: era uno stupendo frutto marcio, che aspettava di essere raccolta.


 
Soundtrack(s); Kyouran HEY KIDS!! (The Oral Cigarettes)(ho fatto di nuovo le icon hh) Ciao popolo!! Che merdaccia che sono. Non ho la benché minima voglia di pubblicare eppure (con quella che oserei definire febbre) sono qui. Approdata sul fandom di Noragami, eh? Sinceramente, non credevo sarei mai nemmeno riuscita a metterci le mani su questa serie che alla fine si è rivelata veramente soddisfacente (e poi il trio Yato/Nora/Kouto... ah, li feels!!), ma visto che un compagno di scuola sembrava molto preso ho deciso di alzarlo nella lista delle priorità per capire cosa fosse tanto speciale. E mi ha convinta. Sì, l'anime mi ha proprio convinta, tra le animazioni che all'inizio della seconda stagione si sono risparmiate, le colonne sonore sempre al top (kyouran hey kids ← ) ed i personaggi che al mio cuoricino han fatto fare crack. E Yato. Ooh, Yato. Appena ha parlato ((doppiato tale e quale ad Izaya Orihara )) ho urlato malissimo; mi ha conquistata sin da subito. Poi è arrivato il personaggio enignatico di Nora (Mizuchi), popo fiera, ed anche lei apparsa e finita dritta nel mio cuore. All'inizio anche Yukine era degno di nota ma poi meh s'è un po' perso per strada. Hiyori bho, non fa niente?? Kofuku è adorabile,, (chi cazzo era rabo scusate) E KAZUMa quel cutie va amato da tutti. Ebisu piccolo cucciolo salvatelo (Yato's former son oltrettutto). Ed infine, lui, il grande, l'encomiabile, l'insuperabile, il sociopatico: Kouto. Koutooo. KOUOTOOOTO piango. Non capisco perché lo odino tutti. Ha baciato Hiyori? E vabbuò, è il minimo. Ha torturato psicologicamente e non sia Yaboku che Mizuchi? Ok, sarà stato uno stronzo, ma anche questa sua fissa, questo suo voler dimostrare che anche da maltrattati Yato e Nora lo seguiranno comunque, questa sua smania di potere nei confronti di un dio, a modo suo è affascinante. Anche lui ha una backstory e più volte viene accennata ed io bho,, Poi magari continuo col manga. Un giorno. Forse. Mh. [ps.: COME FATE AD ESSERE FELICI CHE YATO ABBIA LIBERATO NORA? PERCHE'? LEI NON MERITA IL VOSTRO ODIO, SPARITE :C]
Anyway. Questa one-shot nasce un po' per sbaglio. Costretta fra le mura della casa di un'amica per tre giorni, ascoltavo kyouran hey kids!! (come sempre) ed avevo il pc sotto mano. Quindi ho preso ed iniziato a scrivere quasi per scherzo utilizzando i prompt forniti da Miku, perché mi andava, perché mi ero fatta trasportare. E tra una cosa e l'altra ho continuato a scrivere, mi ci sono abbastanza fissata, abbandonando totalmente le due storie che erano candidate come partecipanti al contest. Questa storia non ha una vera e propria trama, senza contare che è uno spoiler vagante. In realtà, la maggior parte delle cose che so sono raccattate da internet, quindi non sono sicura al 100% della veridicità di questa fan fiction. Ah e poi è veramente brutta. Non perché sia brutta, più che altro è scritta in una maniera che mi ricorda un sacco la mia scrittura di 3 anni fa, quando davo per scontato la gente capisse quello che intendevo con figure astratte e modi di riferirsi a varie cose che invece erano molto personali ed andavano spiegate.
A questo proposito, comunque, direi che come 3 anni fa è scritta la fan fiction, come 3 anni fa anche le spiegazioni saranno skif. Giusto annotazioni random.
I doppi nomi di Yaboku e Mizuchi: be', Yato più che altro è stato utile per evitare ripetizioni di sorta; mi sono astenuta dall'utilizzare troppo Yato e concentrata di più su Yaboku. Mizuchi invece è utilizzato in maniera studiata; quando si parla di Nora in maniera più superficiale (come Nora, per l'appunto) ho utilizzato la nomea relativo al suo essere Regalia di più dei, mentre Mizuchi è utilizzato nelle situazioni più propense al suo passato ed al suo essere "figlia" di Kouto e "sorella" di Yato.
Si svolge in un periodo imprecisato, quindi non so... è veramente tutto a casaccio ah, ah, ah. Inoltre ho tradotto quanto più possibile in italiano; in partivolare tengo a precisare che non ho molto chiaro se nei sub italiani si è adottato veramente "strumento divino" come traduzione di "regalia". Però bho, annuiamo e sorridiamo.
E nulla sono stanca, sto male, voglio solo mettermi a guardare boku dake ga inai machi in santa pace. Grazie per aver letto ed alla prossima!
   
 
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