EPILOGO:
Go crazy together, hand
in hand
Nella
solitudine di Vine Cottage, Madeline sedeva allo scrittoio di fronte alla
finestra, il Times aperto alla pagina delle inserzioni e una stilografica in
mano.
Percorreva
con occhio scrupoloso le offerte, le palpebre strizzate: da quando Kate se ne
era andata, la vita in casa si era fatta troppo ardua per loro due sole. Aveva
bisogno di un aiuto – di qualcuna che ci sapesse fare, non di una ragazzotta di
Richmond con tanto appetito e poco cervello.
Era stato un
sacrificio lasciare che la cameriera partisse per la nativa Belfast: Madeline
provava un’acuta mancanza della sua crostata di pere, ma supponeva che non si
potesse evitare.
Sorrise alla
figura seduta sulla poltrona, scostandosi una ciocca dalla fronte. “Troveremo
qualcuno che faccia al caso nostro quanto prima.”
I fondi per
una stipendiata decente non le mancavano – i gioielli della zia, quelli che non
si erano rivelati fondi di bottiglia, avevano fruttato bene. Abbastanza per
mandare avanti la vita alla villa come era sempre stata. Magari non mangiavano
rognone in crosta, ma il venerdì era ancora giorno di pesce e il brodo di pollo
le era sempre piaciuto.
Con una sola
bocca da sfamare, poi, i costi si erano sensibilmente ridotti. Se la sarebbero
cavata.
“Ricorda di
firmare quei documenti, Maddie cara.”
Un sorriso
dolce.
“Diventi
sempre più abile a imitare la sua grafia: persino io fatico a riconoscere la
tua mano, oramai.”
Lusingata,
Madeline ricambiò il sorriso e si alzò con un lieve sospiro, abbandonando la
ricerca della cameriera, almeno per il momento.
“Vieni,
tienimi compagnia,” propose, sollevando dalla poltrona un frammento di specchio
appuntito, che le scavò nella carne sottili solchi scheggiati. Alice si sollevò
nel medesimo istante, camminandole al fianco e canticchiando a bassa voce fino
ai locali del retrocucina.
La consueta
ondata di calore umido investì Madeline, imperlandole la fronte di minuscole
gocce. Si slacciò i polsini dell’abito, con una veloce occhiata fuori dalla
finestrella. Il sole di aprile era ben più intenso di quello marzolino, e i suoi
raggi disegnavano la sua ombra sul pavimento della stanza candida.
“Dobbiamo
sbrigarci,” considerò Madeline, tirando la stoffa delle maniche fino al gomito.
“Presto sarà ora di pranzo, e vorrei che qui fosse tutto pulito e sistemato,
prima di preparare.” Silenziosamente, ringraziò l’ottima educazione del Queens
College, che aveva previsto corsi di cucina.
“Non è
rimasto molto,” replicò Alice, seduta sul davanzale, dove Madeline aveva posato
la scheggia distrattamente.
China sul
grosso baule accanto alla stufa, Madeline le prestò poca attenzione,
concentrata com’era a sollevare il voluminoso involto di carta scura. Con un
brivido di disgusto, scacciò il ricordo del primo affondo di coltello nella
carne grassa e lorda di sangue rappreso.
Quasi senza
guardare, buttò il brano di coscia nella stufa da bucato, il grosso coperchio
circolare di legno sollevato a esporne il ventre di mattoni colmo d’acqua in
ebollizione. Emise un gorgoglio sinistro e uno sbuffo di vapore quando la carne
finì sul fondo fondo. Madeline cercò di non pensare, mentre il muscolo prendeva
a separarsi dall’osso.
“Non credevo
che la zia fosse così grassa sotto tutte quelle gonne,” fece Alice in tono
pensoso, allungandosi per carezzare amorevolmente il capelli di Madeline.
“Qualche notizia di Kate?”
“Suppongo sia
ancora a Belfast dalla sua parente. Se è intelligente si affretterà a tornare
per mantenere il suo impiego, e tutto si risolverà per il meglio.”
Alice ghignò
furbescamente, giocando coi nastri dell’abito. “Del resto, è mai partita
davvero?”
Non a sentire
i vicini, che la vedevano stendere i panni, battere i tappeti, salutare i rari
passanti a cavallo o a piedi – Madeline scappava sempre in casa prima che
venisse loro in mente di avvicinarsi e ficcanasare. Immaginava le chiacchiere
sulle pessime maniere della cameriera di Martha Thompson, nei bei salotti di Richmond.
Avevano
pianificato il da farsi nei minimi particolari. La salma di zia Martha non era
ancora fredda sul pavimento dell’ingresso, lì dove era caduta (dove era stata
spinta dalla tromba delle scale), una fredda espressione di sorpresa sul volto
illividito, che Alice le aveva già suggerito per filo e per segno cosa fare.
L’uniforme di
Kate le andava stretta e i suoi capelli leonini faticavano a farsi costringere
nella cuffia quando andava in giardino a stendere il bucato, ma ne sarebbe
valsa la pena.
Nessuna pietà
per i traditori.
Aveva già
raccolto le più grandi tra le borse della zia, controllato la coincidenza per
viaggiare fino al centro di Richmond, preso contatto con gli uomini di fatica.
Nessuno
avrebbe testimoniato in favore di Kate, semmai i poveri resti della zia fossero
riemersi dalla bocca del Tamigi.
E la
sventurata nipote? Ah, inferma, dolce creatura. Bloccata a letto da una lunga
malattia – già riusciva a sentire i mugugni della povera Mrs. Barlow – non
avrebbe potuto accorgersi di nulla mentre quella ingrata irlandese, tirata sul
dal niente, lavata, vestita, sfamata, rivolgeva il coltello contro la mano
gentile della sua padrona.
L’odore di
carne bollita riempì la stanza, insinuandosi nelle narici di Madeline. Arricciò
il naso e lo strofinò con un dito, mentre si chinava a raccogliere un altro
quarto di coscia flaccida.
Nella nebbia
mattutina una sagoma si muoveva lentamente, trascinandosi lungo la schiena
arcuata del ponte in pietra di Portland. I lampioni spenti gettavano ombre
lunghe sulla pavimentazione di un grigio pallido, mentre la figura, un passo
dopo l’altro, si faceva più vicina al parapetto, leggermente ingobbita – come
gravata da un peso.
Si arrestò, i
nastri del cappellino nero che ondeggiavano nel vento gravido. Nella destra
guantata di lana stringeva i manici rigidi di una borsa Gladstone di pelle
invecchiata. La dragona che la fermava era tesa, quasi il contenuto premesse
per evadere dai suoi confini.
Con uno
sforzo evidente, la giovane donna, la gonna dell’abito modesto che si apriva
sulla vita sottile gonfiandosi attorno agli stivaletti consumati, si sporse
appena col busto oltre il parapetto, riuscendo a sollevare la borsa e tenendola
sospesa per lunghi attimi sulle acque limacciose del Tamigi, di un verde nerastro,
che scorrevano chetamente sotto di lei.
La borsa ne
perforò la superficie con un tonfo sordo, un rumore liquido che riecheggiò nel
silenzio imperfetto del ponte, già trafficato di prima mattina. Le dita
abbandonate sul corrimano, la giovane lasciò vagare lo sguardo sul pelo
increspato dell’acqua, che inghiottì la borsa e la trascinò verso il fondo.
Levò il volto
al cielo bianco: presto, maggio sarebbe venuto e avrebbe portato le rose.
Sorrise al
pensiero.
fin
POSTFAZIONE
Questa
breve storia è basata su un caso di cronaca risalente al 1879 verificatosi
proprio a Richmond upon Thames, nel Surrey: l’omicidio di una donna di mezza
età, Julia Martha Thomas, per mano della sua cameriera di origini irlandesi,
Kate Webster. Il fatto scosse la buona società britannica, finendo sulle prime
pagine dei giornali inglesi e irlandesi.
Da
quanto venne ricostruito dell’omicidio dopo la cattura di Kate in Irlanda, Mrs.
Thomas venne colpita o spinta violentemente, fratturandosi il cranio; la
cameriera ne fece a pezzi il cadavere, bollendolo in una stufa da cucina per
poi liberarsene nel fiume con l’inconsapevole aiuto di alcuni vecchi amici,
prima di fuggire in Irlanda.
Ho
trovato notizia di questi fatti per caso, cercando informazioni sui tardi anni Settanta
dell’Ottocento – guidata dalla foggia dell’abito indossato dalla giovane
nell’immagine usata come prompt, ascrivibile proprio a quel periodo.
Per
l’occasione, ho ripreso questo caso mantenendo le dinamiche base dell’omicidio,
mantenendo l’ambientazione, i nomi delle protagoniste (e in parte quanto si
conosce della loro indole) ma cambiando il cognome di Mrs. Thomas; Mrs. Barlow
è altresì ispirata a un’amica della vittima, ma il personaggio di Madeline è
totalmente di mia invenzione.
In
lei ho cercato di riportare fedelmente i sintomi della schizofrenia paranoide,
che includono: allucinazioni, deliri (fra gli altri di persecuzione e
nichilistici), progressivo allontanamento dalle relazioni sociali, scarsa
comunicazione e apatia. Si tratta di un disturbo cronico con un decorso anche
rapido, che può verificarsi anche in tempi brevissimi, come nel caso di
Madeline.
L’interpretazione
sovrannaturale viene comunque lasciata ambigua: siete liberi di
Infine, un enorme ringraziamento
va a Flora, per l’accuratezza e l’infinita pazienza (nonostante le ripetute –
ma meritatissime – minacce di morte).