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Autore: theuncommonreader    27/02/2016    2 recensioni
Richmond, 1879. Madeline Moon è una giovane di buona famiglia priva grandi mezzi, penosamente consapevole delle sue misere prospettive future. Per il compleanno, riceve uno splendido dono: un meraviglioso specchio intarsiato di rose, recuperato chissà da dove da quella volpe di sua zia. La superficie di vetro macchiata dal tempo finisce per mostrarle più di quanto abbia mai desiderato vedere. A lei e a chi le è caro.
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Ti mostro non quello che sei, ma quello che vuoi.
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Storia partecipante al contest "Malia" indetto da YUKO CHAN sul forum di EFP e betato dalla splendida Flora.
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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EPILOGO:

Go crazy together, hand in hand

 

 

Nella solitudine di Vine Cottage, Madeline sedeva allo scrittoio di fronte alla finestra, il Times aperto alla pagina delle inserzioni e una stilografica in mano.

Percorreva con occhio scrupoloso le offerte, le palpebre strizzate: da quando Kate se ne era andata, la vita in casa si era fatta troppo ardua per loro due sole. Aveva bisogno di un aiuto – di qualcuna che ci sapesse fare, non di una ragazzotta di Richmond con tanto appetito e poco cervello.

Era stato un sacrificio lasciare che la cameriera partisse per la nativa Belfast: Madeline provava un’acuta mancanza della sua crostata di pere, ma supponeva che non si potesse evitare.

Sorrise alla figura seduta sulla poltrona, scostandosi una ciocca dalla fronte. “Troveremo qualcuno che faccia al caso nostro quanto prima.”

I fondi per una stipendiata decente non le mancavano – i gioielli della zia, quelli che non si erano rivelati fondi di bottiglia, avevano fruttato bene. Abbastanza per mandare avanti la vita alla villa come era sempre stata. Magari non mangiavano rognone in crosta, ma il venerdì era ancora giorno di pesce e il brodo di pollo le era sempre piaciuto.

Con una sola bocca da sfamare, poi, i costi si erano sensibilmente ridotti. Se la sarebbero cavata.

“Ricorda di firmare quei documenti, Maddie cara.”

Un sorriso dolce.

“Diventi sempre più abile a imitare la sua grafia: persino io fatico a riconoscere la tua mano, oramai.”

Lusingata, Madeline ricambiò il sorriso e si alzò con un lieve sospiro, abbandonando la ricerca della cameriera, almeno per il momento.

“Vieni, tienimi compagnia,” propose, sollevando dalla poltrona un frammento di specchio appuntito, che le scavò nella carne sottili solchi scheggiati. Alice si sollevò nel medesimo istante, camminandole al fianco e canticchiando a bassa voce fino ai locali del retrocucina.

La consueta ondata di calore umido investì Madeline, imperlandole la fronte di minuscole gocce. Si slacciò i polsini dell’abito, con una veloce occhiata fuori dalla finestrella. Il sole di aprile era ben più intenso di quello marzolino, e i suoi raggi disegnavano la sua ombra sul pavimento della stanza candida.

“Dobbiamo sbrigarci,” considerò Madeline, tirando la stoffa delle maniche fino al gomito. “Presto sarà ora di pranzo, e vorrei che qui fosse tutto pulito e sistemato, prima di preparare.” Silenziosamente, ringraziò l’ottima educazione del Queens College, che aveva previsto corsi di cucina.

“Non è rimasto molto,” replicò Alice, seduta sul davanzale, dove Madeline aveva posato la scheggia distrattamente.

China sul grosso baule accanto alla stufa, Madeline le prestò poca attenzione, concentrata com’era a sollevare il voluminoso involto di carta scura. Con un brivido di disgusto, scacciò il ricordo del primo affondo di coltello nella carne grassa e lorda di sangue rappreso.

Quasi senza guardare, buttò il brano di coscia nella stufa da bucato, il grosso coperchio circolare di legno sollevato a esporne il ventre di mattoni colmo d’acqua in ebollizione. Emise un gorgoglio sinistro e uno sbuffo di vapore quando la carne finì sul fondo fondo. Madeline cercò di non pensare, mentre il muscolo prendeva a separarsi dall’osso.

“Non credevo che la zia fosse così grassa sotto tutte quelle gonne,” fece Alice in tono pensoso, allungandosi per carezzare amorevolmente il capelli di Madeline. “Qualche notizia di Kate?”

“Suppongo sia ancora a Belfast dalla sua parente. Se è intelligente si affretterà a tornare per mantenere il suo impiego, e tutto si risolverà per il meglio.”

Alice ghignò furbescamente, giocando coi nastri dell’abito. “Del resto, è mai partita davvero?”

Non a sentire i vicini, che la vedevano stendere i panni, battere i tappeti, salutare i rari passanti a cavallo o a piedi – Madeline scappava sempre in casa prima che venisse loro in mente di avvicinarsi e ficcanasare. Immaginava le chiacchiere sulle pessime maniere della cameriera di Martha Thompson, nei bei salotti di Richmond.

Avevano pianificato il da farsi nei minimi particolari. La salma di zia Martha non era ancora fredda sul pavimento dell’ingresso, lì dove era caduta (dove era stata spinta dalla tromba delle scale), una fredda espressione di sorpresa sul volto illividito, che Alice le aveva già suggerito per filo e per segno cosa fare.

L’uniforme di Kate le andava stretta e i suoi capelli leonini faticavano a farsi costringere nella cuffia quando andava in giardino a stendere il bucato, ma ne sarebbe valsa la pena.

Nessuna pietà per i traditori.

Aveva già raccolto le più grandi tra le borse della zia, controllato la coincidenza per viaggiare fino al centro di Richmond, preso contatto con gli uomini di fatica.

Nessuno avrebbe testimoniato in favore di Kate, semmai i poveri resti della zia fossero riemersi dalla bocca del Tamigi.

E la sventurata nipote? Ah, inferma, dolce creatura. Bloccata a letto da una lunga malattia – già riusciva a sentire i mugugni della povera Mrs. Barlow – non avrebbe potuto accorgersi di nulla mentre quella ingrata irlandese, tirata sul dal niente, lavata, vestita, sfamata, rivolgeva il coltello contro la mano gentile della sua padrona.

L’odore di carne bollita riempì la stanza, insinuandosi nelle narici di Madeline. Arricciò il naso e lo strofinò con un dito, mentre si chinava a raccogliere un altro quarto di coscia flaccida.

 

 

 

 

Nella nebbia mattutina una sagoma si muoveva lentamente, trascinandosi lungo la schiena arcuata del ponte in pietra di Portland. I lampioni spenti gettavano ombre lunghe sulla pavimentazione di un grigio pallido, mentre la figura, un passo dopo l’altro, si faceva più vicina al parapetto, leggermente ingobbita – come gravata da un peso.

Si arrestò, i nastri del cappellino nero che ondeggiavano nel vento gravido. Nella destra guantata di lana stringeva i manici rigidi di una borsa Gladstone di pelle invecchiata. La dragona che la fermava era tesa, quasi il contenuto premesse per evadere dai suoi confini. 

Con uno sforzo evidente, la giovane donna, la gonna dell’abito modesto che si apriva sulla vita sottile gonfiandosi attorno agli stivaletti consumati, si sporse appena col busto oltre il parapetto, riuscendo a sollevare la borsa e tenendola sospesa per lunghi attimi sulle acque limacciose del Tamigi, di un verde nerastro, che scorrevano chetamente sotto di lei.

La borsa ne perforò la superficie con un tonfo sordo, un rumore liquido che riecheggiò nel silenzio imperfetto del ponte, già trafficato di prima mattina. Le dita abbandonate sul corrimano, la giovane lasciò vagare lo sguardo sul pelo increspato dell’acqua, che inghiottì la borsa e la trascinò verso il fondo.

Levò il volto al cielo bianco: presto, maggio sarebbe venuto e avrebbe portato le rose.

Sorrise al pensiero.

 

 

fin

 

 

 

 

 

POSTFAZIONE

 

 

Questa breve storia è basata su un caso di cronaca risalente al 1879 verificatosi proprio a Richmond upon Thames, nel Surrey: l’omicidio di una donna di mezza età, Julia Martha Thomas, per mano della sua cameriera di origini irlandesi, Kate Webster. Il fatto scosse la buona società britannica, finendo sulle prime pagine dei giornali inglesi e irlandesi.

Da quanto venne ricostruito dell’omicidio dopo la cattura di Kate in Irlanda, Mrs. Thomas venne colpita o spinta violentemente, fratturandosi il cranio; la cameriera ne fece a pezzi il cadavere, bollendolo in una stufa da cucina per poi liberarsene nel fiume con l’inconsapevole aiuto di alcuni vecchi amici, prima di fuggire in Irlanda.

Ho trovato notizia di questi fatti per caso, cercando informazioni sui tardi anni Settanta dell’Ottocento – guidata dalla foggia dell’abito indossato dalla giovane nell’immagine usata come prompt, ascrivibile proprio a quel periodo.

Per l’occasione, ho ripreso questo caso mantenendo le dinamiche base dell’omicidio, mantenendo l’ambientazione, i nomi delle protagoniste (e in parte quanto si conosce della loro indole) ma cambiando il cognome di Mrs. Thomas; Mrs. Barlow è altresì ispirata a un’amica della vittima, ma il personaggio di Madeline è totalmente di mia invenzione.

In lei ho cercato di riportare fedelmente i sintomi della schizofrenia paranoide, che includono: allucinazioni, deliri (fra gli altri di persecuzione e nichilistici), progressivo allontanamento dalle relazioni sociali, scarsa comunicazione e apatia. Si tratta di un disturbo cronico con un decorso anche rapido, che può verificarsi anche in tempi brevissimi, come nel caso di Madeline.

L’interpretazione sovrannaturale viene comunque lasciata ambigua: siete liberi di

Infine, un enorme ringraziamento va a Flora, per l’accuratezza e l’infinita pazienza (nonostante le ripetute – ma meritatissime – minacce di morte).

   

 

 

 

 

   
 
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