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Autore: barefoot    27/02/2016    0 recensioni
" [...] Il suo portamento da ragazzaccio con i suoi look total-black, occhi color del ghiaccio, il whisky e le sigarette: il mio uomo. Mi travolgeva, mi sconvolgeva. [...] Me stessa medesima penso basti [...] I’m lying in the ocean singing your song [...] I’m lying in the ocean singing your song [...] Questa è immortalità. "
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Dark Pardise
“Cosa ne dici?“
“Dico che la tua presenza non è più gradita.” Nessun rumore. Il tempo è fermo.
“Vattene. Ora.”
Kohl prende il suo chiodo dall’attaccapanni. Resta per un paio di secondi fermo, in piedi, davanti alla porta. Poi la apre in modo brusco, e senza girarsi, la richiude in un modo non altrettanto brusco rispetto a come l’ha aperta. Questa sua incoerenza mi confonde - mi ha sempre confusa: un attimo mi desidera, un attimo sono come un giocattolo difettoso.
Il suo portamento da ragazzaccio con i suoi look total-black, occhi color del ghiaccio, il whisky e le sigarette: il mio uomo. Mi travolgeva, mi sconvolgeva. Mi usava come uno straccio, mi gettava a terra senza ritegno, e ogni tanto si ricordava di raccogliermi dal pavimento per ripormi, ordinata, sulla sua mensola preferita, così da non darmi mai motivo di voler andare via.
L’unica cosa che mi ha tenuta legata a lui fin’ora è stata la mia bassa autostima. Ho sempre svalutato me stessa, ma in un certo senso ho sempre provato un certo compiacimento nel farlo. Un dolore piacevole, cubetti di ghiaccio sulla pelle fredda, un coltello che scivola lungo la clavicola senza tagliare.

Stare con lui era correre nudi sulla spiaggia, andare in moto senza casco, roulette russa, ecstasy. La sua chitarra e la mia voce, i suoi denti e i miei polsi, le sue mani e il mio collo. Ho raggiunto l’apice.

Da un lato è una liberazione; sono troppo egoista e narcisista: la mia disperazione amo viverla da sola. Godermela. Allo Sniks me la caverò bene anche senza di lui: la chitarra so suonarla, e nel caso non riuscissi mi basta scoprirmi e semplicemente cantare come so fare; a quel porco di Jim piacerà ugualmente.
A me dopotutto che importa; mi basta essere pagata.
Il turno inizia alle 21.00 e ora sono le 19.34. La preoccupazione di arrivare in ritardo non mi sfiora nemmeno: ho il tempo di farmi una doccia bollente, ubriacarmi, finire la canzone che non riesco mai a finire, fumare, vestirmi e ubriacarmi ancora di più.
A me dopotutto che importa; Jim mi paga sempre.
L’acqua mi brucia la schiena, le cosce. Il trucco - o meglio quel che ne rimane, dal litigio con Kohl - si scioglie con facilità. Canticchio la melodia della canzone aspettando un’improvvisa illuminazione, e forse arriva: qualcuno mi disse che essere disperati paga, e non aveva tutti i torti.
Esco dalla doccia; mascara sugli zigomi e un asciugamano bianco attorno al seno: sembro una sposa abbandonata all’altare.
Finita la canzone e sono le 19.56:“Sarò in orario” Dio quanto adoro il mio sarcasmo. Prendo un bicchiere basso, di vetro nero, mi verso del Bourbon. Il bicchiere lo fa sembrare petrolio: “Come la mia anima.”

Accendo una sigaretta. La bottiglia di Bourbon è già a metà e sono solo le 20.27. Vado sul balcone e mi stendo sulla sdraio; con una sola mano, per non smettere di fumare, mi slego l’asciugamano. Sono nuda sotto i raggi della luna, l’odore del mare e la brezza mi riscaldano. Sono su di giri ma so di essere osservata, anche se a me dopotutto che importa; il culo lo abbiamo tutti.
Dopo venti minuti i miei capelli sono asciutti e grazie al clima umido di questa sera d’estate la mia chioma bruna, piatta e monotona è diventata voluminosa, ondulata, vibrante. Mi alzo - senza raccogliere l’asciugamano - e cammino nella mia casa buia. Mi sono scordata di pagare la bolletta e sono senza luce, ma fortunatamente c’è la luna piena. Per quel che mi serve uso una candela profumata che mia madre mi ha regalato tempo fa. Calze a rete, t-shirt nera lunga, giacca di jeans, tacchi alti. Trucco pesante.
Prendo la borsa, la bottiglia di Bourbon, le sigarette, il quaderno ed esco di casa. Mentre fumo e bevo, per la strada popolata solo da puttane, ripenso alla mia canzone: “Dio sono proprio un genio.”

Allo Sniks arrivo alle 21.35, pressocchè solito orario. Jim non mi saluta: il suo saluto è guardarmi il culo. Okay sono ubriaca, barcollo un po’ ma mi reggo in piedi. Prendo al volo un bicchiere di whisky che Samantha, la barista, mi fa trovare sul bancone.

“Alla buon ora, Lana. Kohl?”
“Finito. Caput.”
“Peccato. Hai un sostituto?” Il sorriso di Jim è esilarante. Quel porco aspetta da tempo di potermi mettere le mani addosso senza essere gonfiato da Kohl.
“Me stessa medesima penso basti.” Lo pronuncio con estrema fermezza nella voce, Jim perciò non ha nulla da ribattere. Mi fa segno di raggiungere il palco.

[ I like the snake on your tattoo / I like the ivy and the ink blue / Yayo, yeah you / Yayo ]
Senza nemmeno annunciarmi inizio a cantare. Appena apro bocca l’attenzione di tutti i presenti è su di me.
[ Put me onto your motorcycle / Fifty baby dollar dress for my ‘I do’ / It’ll only take two hours to Nevada / I wear your sparkle, you call me your mama ]
La mia voce suadente è apprezzata, specialmente da Samantha. Da quella volta della cosa a tre con Kohl non riesce a non guardarmi con bramosia.
[ I need you like a baby when I hold you / Like a druggy, like I told you / Yayo ]
Inevitabile non pensare a Kohl; Yayo l’ho scritta per lui, durante una lunga notte passata insieme. Insieme alla prossima canzone.

Finita la canzone. Bevo, gli applausi mi inebriano. Lui rimane nella mia testa.

[ Would you be mine, would you be my baby tonight / Could be kissing my fruit punch lips in the bright sunshine / ‘Cause I like you quite a lot, everything you got don’t you know / It’s you that I adore, though I make the boys fall like dominoes ]
Basta focalizzarsi su quell ragazzo in fondo al pub, per porre fine a queste strane fantasie. Immagino che abbia diciannove anni, che abbia contraffatto un documento falso per entrare e si sia congratulato con se stesso per esserci riuscito perché dopo aver visto me ha capito che la giornata sta per finire con del buon sesso. Beve vodka - è un po’ kitsch - ma i suoi capelli biondi e i suoi occhi verdi lo sono ancor di più: è un quadro squallido, ma a me piace. Voglio comprarlo.
[ Kiss me in the D.A.R.K. dark tonight / D.A.R.K. do it my way / P.A.R.K. let them all say / Hey, Lolita, hey - Hey, Lolita, hey ]

E’ quasi mezzanotte, il mio turno finisce qui solitamente. Mi ritaglio ancora cinque minuti. Cambio la scaletta: canto acappella la nuova canzone. Niente fronzoli o filtri, solo io. Per fortuna posso affidarmi alla mia memoria di ferro, che perdura malgrado l’etanolo. Questa volta ho il piacere di annunciarla, la canzone, ma solo per vedere la faccia infuriata di Jim che mi fa segno di controllare le mie stravaganze che gli fanno perdere clienti.

“L’ultima canzone l’ho scritta poco fa, spero piaccia a voi come piace a me. Sono un po’ ubriaca e spero di non fare pasticci, ma in qualsiasi caso: si chiama Dark Paradise.”
[ All my friends tell me I should move on / I'm lying n the ocean singing your song / Ah, that's how you sing it / Loving you forever / Can't be wrong / Even though you're not here, won't move on / Ah, that's how we play it ]
Inizialmente il testo non era così: l’ho modificato all’ultimo, stasera, pensando semplicemente di fare un’eccezione e tornare al testo originale la prossima volta ma dall’approvazione sui volti dei metallari - ed è tutto dire -, clienti abituali dello Sniks, funziona alla grande anche così.
[ And there's no remedy for memory / Of faces like a melody / It won't lift my head / Your soul is hunting me and telling me that everything is fine /But I wish I was dead ]
Prima del ritornello faccio una leggera pausa. Ascolto il silenzio che la mia canzone magnetica ha creato, la connessione con i miei ascoltatori. E’ un silenzio rumoroso, sento i loro pensieri e ognuno di loro pensa “meravigliosa”.
[ Everytime I close my eyes it's like a dark paradise / No one compares to you / I'm scared that you won't be waiting on the other side / Everytime I close my eyes it's like a dark paradise / No one compares to you / I'm scared that you won't be waiting on the other side ]
Stanno tutti facendo l’amore con la mia voce.
[ But that there's no you, except in my dreams tonight / Oh, ha / I don't wanna wake up from this tonight / Oh, ha / I don't wanna wake up from this tonight ]
Lo sto sognando. Sarà l’alcool, o la canzone troppo malinconica, ma sogno Kohl. Lo sogno perché mi sembra di dormire; gli occhi chiusi, la testa reclinata. Non voglio che finisca il film, sento che sta per arrivare il lieto fine. Per un attimo mi addolcisco, ma poi i bei ricordi sono sostituiti da tutti quelli brutti: urla, piatti rotti e pillole sul pavimento, lenzuola stropicciate, nebbia. I miei dolci sogni sono sostituiti da terribili incubi.
[ There's no relief, I see you in my sleep / And everybody's rushing me, but I can feel you touching me / There's no release, I feel you in my dreams / Telling me I'm fine ]
Spalanco gli occhi e abbasso la testa, cerco di cacciare via quei ricordi orribili. Nella pausa tra questo frame e il ritornello alzo il volto, guardo avanti. Una lacrima mi riga la guancia destra, lentamente, ed è come se con essa scivoli via tutta la mia paura. Piango mentre canto, senza singhiozzi o voce rotta. Il mio pianto è silenzioso, sembra che non sia io a controllarlo. E’ un pianto sommesso, sconfortato, tremendamente triste. In balia di questa nuova onda chiudo la performance con il ritornello.
[ Everytime I close my eyes it's like a dark paradise / No one compares to you / I'm scared that you won't be waiting on the other side ]
Niente movenze inutili o volgari. La mia mano destra è appoggiata sul microfono attaccato all’asta, la sinistra stringe con forza l’asta stessa. Indietreggio a testa bassa. Puro silenzio.

Do le spalle al pubblico, mi accovaccio per raccogliere il mio bicchiere di whisky, mi tiro su aggrappandomi di nuovo all’asta del microfono. “Grazie.” La mia solita voce altezzosa e sicura questa volta si presenta flebile, stanca.

Scendo dal palco, reggendomi al muro, molto lentamente. Tutti gli occhi dei presenti sono puntati su di me e sono tutti ancora in un silenzio religioso. Mi dirigo alla porta per andarmene. Prima di aprirla il mio sguardo si posa su un ragazzo, vestito di nero. Il suo sguardo è vuoto, indecifrabile. Il mio è spento, annegato nelle lacrime.

“Hai cambiato il testo.” Sono le uniche parole che riesce a dirmi, e le pronuncia pure in tono accusatorio. Ci ascoltano tutti.
“Sei cambiato anche tu.”

Apro la porta ed esco. L’aria fredda mi taglia il viso, ma la sbronza non passa.

Mi dirigo alla spiaggia. Sfilo i miei tacchi, li lascio sul marciapiede. Mi faccio scivolare la borsa dalla spalla alla mano e la appoggio sulla sabbia. Faccio qualche metro ancora, lentamente; nella mia testa risuonano le parole di Kohl. Lascio cadere indietro la mia giacca di jeans. Raggiungo il bagnasciuga; la sabbia bagnata è più calda di quanto immaginassi. “Hai cambiato il testo.”

Cammino ancora, il mare è nero. Cammino finchè l’acqua non mi arriva alle spalle. E nuoto finchè non sento più la sabbia sotto i miei piedi. Mi lascio andare, galleggio sull’acqua e canto: “I’m lying in the ocean singing your song.” Mi sbilancio; forse volutamente, forse per colpa dell’alcool. Vado a fondo, lentamente, e non trovo le forze per risalire. Guardo la superficie dell’acqua così maestosa: la luce frastagliata, che provoca tanti piccoli raggi tutt’intorno a me. E’ una visione così poetica.
Questa è immortalità.
   
 
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