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Autore: BarbaH GerardaH    28/02/2016    1 recensioni
Hotaru giunge ai piedi del ciliegio, allentando di poco la presa delle sue dita sulla maschera. Prima di adagiarla sull’erba soffice e carica di profumi, sceglie di concedersi un ultimo gesto, intimo e profondo come pochi.
Un bacio.
Un bacio desiderato, aspettato e mai nato.
Un bacio sperato, sognato, negato.
Un bacio sospeso, incompreso e che, forse, non si è arreso.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin, Hotaru Takegawa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le dita di Hotaru, scorrono delicate ma decise, sulla superficie porosa della maschera. Ogni tanto, tuttavia, indugiano, soffermandosi in tre posti precisi: fronte, punta del naso, bocca. Tre punti, proprio come le lettere che compongono il suo nome.
 
Gin.
 
Chiude gli occhi, Hotaru, inspirando profondamente l’aria profumata e leggera, tipica delle prime giornate estive, così particolare che sembra quasi formare un secondo strato di pelle tanto ti resta attaccata addosso.
Apre gli occhi, Hotaru, ritrovandosi a contemplare lo sguardo vuoto e vacuo della maschera dai tratti felini, che giace sul suo grembo. Sembra assurdo ma, da quando lui non l’ha più indossata, quella maschera le infonde inquietudine; la sua espressione sembra essere cambiata; sembra triste.
Come se una maschera, scheggiata e consumata dal tempo, potesse esserlo davvero.
Nonostante questo, Hotaru l’ha sempre conservata con cura: dopotutto, è la sola cosa che le resta di Gin.
 
Gin che non c’è più.
Gin che se n’è andato.
Gin che non l’attende più al limitare della foresta.
 
Ancora oggi, quel ricordo la consuma nel profondo. Non l’ha di certo accettato, anche se ha imparato a conviverci.
Ogni volta che si sofferma a pensare, come in uno sgradevole déjà-vu, Hotaru rivive continuamente gli stessi identici momenti: il festival, le luci notturne ed i bagliori delle lanterne, lei e Gin legati da quel pezzo di stoffa troppo ingombrante per avvicinarli, ma al tempo stesso troppo esiguo per contenere l’intensità dei loro sentimenti, la mano di Gin che, decisa, afferra saldamente quella del bambino poco più avanti di loro.
 
Continua a rivivere incessantemente quei momenti, Hotaru. Momenti che si fanno sempre più concitati, confusi e, forse, anche un po’ annebbiati per via delle lacrime che ogni volta, silenziose e prepotenti, le rigano le guance pallide come la luna.
Ancora e ancora, Hotaru ripercorre in preda ad un dolore indicibile, il momento in cui Gin è andato via, mentre era ancora tra le sue braccia. Un momento che lei non riesce a lasciare andare, un momento che le provoca sensazioni così cupe ed intense da farla sentire divorata pezzo dopo pezzo, un momento che non ha ancora lasciato spazio alla rassegnazione.
 
La luce che, lentamente, inizia ad irradiarsi dalla mano di Gin, partendo dalla punta delle sue dita affusolate, per poi propagarsi lungo tutto il corpo con una delicatezza simile al battito d’ali di una farfalla; Gin che inizia a svanire; Gin che resta sereno e le sorride dolcemente, che la invita a correre verso di lui perché adesso, finalmente, può toccarla. E allora Hotaru corre; si protende in avanti, verso Gin, con il cuore dilaniato ed irrimediabilmente già diviso, tra la felicità indescrivibile di quel momento e l’incombente, lacerante disperazione dell’immediato futuro: un futuro senza Gin.
Lo stringe, Hotaru. Lo stringe senza esitazioni, sciogliendosi con lui in un abbraccio spezzato solo dalle sue lacrime che, pian piano, si trasformano in singhiozzi appena accennati. Hotaru continua a stringere Gin, quasi come se potesse in qualche modo trattenerlo ancora un po’, ma più lo stringe, più lui sembra sfuggirle, diventando sempre più impalpabile, confondendosi con l’aria.
Gin è svanito e ad Hotaru non resta che respirare la sua essenza, fiori di ciliegio e miele, che resta intrappolata nella trama leggera dei suoi vestiti che Hotaru stringe a sé con disperata delicatezza.
Hotaru che, infine, si ripiega su se stessa toccando terra, quasi come se, in questo modo, potesse fondersi con Gin, quasi potesse seguirlo, frammentandosi, come lui, in mille piccole lucciole luminose.
 
Una brezza leggera scompiglia i capelli castani di Hotaru riportandola alla realtà, al presente delle cose.
Il sole del primo pomeriggio le accarezza la pelle, ma non riesce a scaldarla o, almeno, non nel modo in cui lei vorrebbe.
Delicatamente, Hotaru si alza dalla panchina sulla quale era seduta ed inizia ad incamminarsi con passo leggero, ma mai esitante, verso il posto in cui si sarebbe dovuta recare già molto tempo prima.
 
Il loro posto.
 
La foresta è avvolta in un silenzio irreale, quasi assordante. Hotaru si addentra tra gli alberi, respirando più a fondo l’aria carica di umidità. Il sole viene parzialmente oscurato dalle rigogliose chiome degli alberi, quasi a voler creare una barriera invisibile tra il mondo esterno e questo angolo sacro, sconnesso totalmente dalle leggi umane del tempo e della vita. La leggera brezza estiva è divenuta più fredda e la colpisce in viso quasi come uno schiaffo; Hotaru rabbrividisce ma sa che deve proseguire; vuole proseguire.
 
Ed eccola lì, davanti a lei, la meta finale del suo percorso. Lentamente, una leggera luce inizia a trapelare dai fitti grovigli di rami della foresta che iniziano a diradarsi.
 
Ancora qualche passo.
Ancora qualche brivido.
Ancora qualche respiro spezzato.
 
Una luce immensa avvolge Hotaru, una luce che le scalda la testa, il cuore, l’anima.
Nella radura, in cui Hotaru e Gin erano soliti fermarsi a parlare, tutto è rimasto come tanto tempo prima: gli alberi solitari sparsi qua e là, alcuni grossi sassi su cui lei e Gin si arrampicavano, il ruscello in cui, con le dita, sfioravano le loro immagini riflesse con timore e profondo rispetto, per evitare di rovinare il volto dell’altro, impresso nello specchio d’acqua. L’unico modo che gli fosse mai stato concesso per potersi sentire e, in qualche modo, sfiorare.
Respira di nuovo a pieni polmoni, Hotaru. Socchiude gli occhi e allarga le braccia, lasciandosi cullare dal leggero fruscio del vento, abbandonandosi nuovamente al tepore del sole.
Non è cambiato niente. Tutto è rimasto come lo ricordava.
 
Quasi tutto.
 
Una consapevolezza questa, che la ferisce nel profondo, che la lascia di nuovo senza fiato e con gli occhi annebbiati dalla solitudine, condensata in piccole gocce salate di tristezza.
Si appoggia al grande ciliegio in fiore, Hotaru. Il solo che, oltre Gin, ha sempre saputo sostenerla, ha sempre saputo portare il peso che, in questi anni, le ha stretto il cuore in una morsa inossidabile.
Erano ormai anni che Hotaru non faceva ritorno alla foresta; non ne aveva più il coraggio, non aveva più la forza necessaria a sopportare tutto quel dolore. Poi, però, qualcosa era cambiato: un giorno, per caso, aveva posato lo sguardo sulla maschera di Gin. Si era soffermata un secondo di troppo a contemplare le rifiniture del manufatto dalle sembianza feline ed era stato in quel momento che aveva capito. Doveva tornare in quel luogo e trovare il coraggio di lasciarlo andare una volta per tutte.
Certo, la maschera era l’ultima cosa che le restava di Gin, ma era anche la cosa che, più di ogni altra, le ricordava che Gin, non avrebbe fatto mai più ritorno. E questa certezza, era ancora più dolorosa del separarsi fisicamente dall’ultima parte di lui.
Vuole lasciarla ai piedi del ciliegio, Hotaru. Vuole che ritorni alla terra in cui Gin è cresciuto; la terra che li ha fatti incontrare, la terra che lo ha reso il ragazzo che è stato e che, da qualche parte, continua ad essere. Perché nel profondo, Hotaru sa che, lui, è ancora lì. Lo sente, lo ha sempre sentito.
Hotaru tiene la maschera tra le dita sottili, l’accarezza dolcemente con gesti lenti e cadenzati; si sofferma sul profilo del muso e sugli intagli degli occhi. La sfiora più e più volte, come a volerla rassicurare, come a non voler tagliare del tutto quel legame che la unisce ad un semplice pezzo di legno consumato. Perché per Hotaru, non è un addio, ma un arrivederci.
 
Un ricontrarsi.
 
Hotaru giunge ai piedi del ciliegio, allentando di poco la presa delle sue dita sulla maschera. Prima di adagiarla sull’erba soffice e carica di profumi, sceglie di concedersi un ultimo gesto, intimo e profondo come pochi.
 
Un bacio.
Un bacio desiderato, aspettato e mai nato.
Un bacio sperato, sognato, negato.
Un bacio sospeso, incompreso e che, forse, non si è arreso.
 
Uno degli atti più semplici, genuini e spontanei che esistano, un atto che, tuttavia, le è stato sempre negato, un atto proibito anche per lo stesso Gin da un destino egoista che, pur conoscendo la realtà delle cose, ha comunque deciso di far incrociare le loro strade.
Hotaru, nonostante tutto, ne è comunque grata. Meglio incrociarsi e consumare se stessi nel farlo, che vivere come i binari dei treni: insieme per sempre, per molto più tempo di quanto una vita possa concedere e non assaporarsi mai, non viversi mai; rimanendo sempre immutati, separati da uno spazio esiguo, mai oltrepassato per la paura di entrare in collisione e ferirsi più intensamente di quanto si voglia.
 
Chiude gli occhi per l’ultima volta, Hotaru, lasciando fluire da sé i ricordi, le emozioni, i suoni e i profumi di quel tempo: il tempo in cui si è sentita viva; viva in un modo che credeva impossibile a questo mondo.
Un ultimo respiro prima di lasciarlo andare, un ultimo respiro prima di permettere anche se stessa di lasciarsi andar via.
Nonostante i brividi che le percorrono il corpo, Hotaru percepisce che la maschera emana un calore troppo forte per essere un semplice oggetto senza vita. A quel punto, il suo cuore inizia a battere troppo forte per continuare a tenere chiusi gli occhi: lei vuole sapere. Con un briciolo di inquietudine, Hotaru apre gli occhi, vedendo l’impossibile: un brillio di un vivace verde acqua sta avvolgendo la maschera, diffondendosi sempre più intensamente anche attorno al suo corpo.
 
Il cuore si ferma, la vista si offusca ed il respiro si affanna. È come se tutte quelle percezioni fossero troppe per i suoi sensi, per la sua soglia di tolleranza al dolore e… ai ricordi.
Hotaru si domanda se stia sognando, o se la suggestione che quel luogo, da sempre sospeso nel tempo e nello spazio, le trasmette, la stia trasportando troppo lontano. Tuttavia, Hotaru sa bene di non poter trovare nessuna scusa per sottrarsi a quello che, nel profondo, ha già compreso. A quel punto, il brillio verde acqua l’avvolge completamente e sempre più intensamente, prendendo forma.
La sua forma.
Gin.
 
Hotaru smette di respirare, resta immobile come pietra paziente. I soli rumori ora udibili nella foresta, sono lo stormire del vento tra gli alberi ed il battito irregolare del suo cuore  sorpreso, carico di meraviglia.
Ed è proprio in quell’istante, che accade qualcosa. Proprio quando Hotaru crede che il suo cuore stia per accartocciarsi su se stesso in macerie di cartapesta, risucchiate via dal suo ultimo respiro, ecco che qualcosa o meglio qualcuno, le sfiora delicatamente la guancia con due dita.
 
Gin, sei tu?
 
Una lacrima riga la guancia di Hotaru e scivola sulla punta dell’indice di Gin, che ancora le sfiora la guancia.
Hotaru si concede di chiudere gli occhi, solo per un istante, poi li riapre ma lui è ancora lì, sorridente, sereno, reale. E allora Hotaru piange, prima in silenzio, poi lasciandosi sfuggire dei gemiti sommessi che si trasformano presto in singhiozzi. Non osa toccarlo, Hotaru, non ora. Ha troppa paura di quello che potrebbe accadere, non vuole che lui la lasci, non di nuovo. E allora piange, singhiozza, poi sorride. Le lacrime possono finalmente scorrere libere e calde lungo il suo viso.
 
Mi sei mancato.
 
Gin la guarda come se potesse scioglierle i nodi che le legano l’anima, spezzare le catene che le schiacciano in cuore, lavare via la pena, il tormento e la sofferenza che troppo a lungo hanno abitato la sua mente. E poi si avvicina, compiendo quel semplice gesto che non era mai stato possibile pensare, immaginare o volere.
Le sue labbra si posano su quelle di Hotaru. Dolcemente, senza fretta, con una delicatezza inaudita.
E mentre il mondo esterno resta immutato, quieto e silenzioso, il mondo interno di Hotaru implode, deflagra, si accende. Un’esplosione di sensazioni, fatte di colori vividi, suoni amplificati e gusti nuovi si propaga in modo inarrestabile. Dalla testa al cuore, dal corpo all’anima.
Tutto ritorna e tutto si trasforma. Ogni singola fibra di Hotaru si tende, si allunga e si torce inesorabilmente verso la stessa direzione.
 
Verso lui.
Verso Gin.
 
Tutto in Hotaru si scioglie, si fonde e poi si cristallizza, lei non è più qui. Tutto di lei, è in una nuova dimensione sospesa e ovattata che smuove i fili sottili dell’infinito e le rimette a posto il cuore.
Quando Hotaru riapre gli occhi, Gin non c’è più ma, stranamente, non fa male.
 
Lei è libera, non prova più dolore.
 
 
  
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