Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: tenj_98    28/02/2016    2 recensioni
Cosa succederebbe se a Kise venisse improvvisamente in mente di organizzare una rimpatriata con i suoi vecchi compagni di squadra?
Dal testo:
"Nonostante gli anni fossero trascorsi inesorabilmente e anche con abbastanza fretta, lui aveva fatto di tutto per riuscire a mantenere i contatti con i suoi vecchi amici, seppur con fatica. Dopotutto, non si poteva certo dire che quei cinque fossero propriamente delle persone normali, quindi ciò che per gli altri risultava un semplice gesto da apprezzare, per loro non lo era! [...] Organizzare questa rimpatriata era divenuto per lui un obbiettivo veramente importante da raggiungere ed esserci riuscito lo aveva reso estremamente felice."
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hisashiburi desu ne!
 
‹‹Ed ora il segno del Cancro! Le prospettive di cambiamento sono sempre più vicine e realistiche, ma è meglio che vi teniate a distanza di sicurezza da tutto ciò che è nuovo oggi che la coppia Luna-Urano appare nella vostra inquadratura. Tenete d’occhio la pressione e se vi provocano cambiate aria. I vostri colori frenanti del giorno sono il verde ed il giallo, il vostro portafortuna qualcosa di piccolo a cui tenete tanto. Consolatevi con qualche frittella a colazione, i dolci aiutano a sopportare le avversità.››
Midorima smise di ascoltare non appena la squillante voce della giovane alla radio ebbe finito di parlare del suo segno. Ripassò mentalmente tutto ciò che era stato detto e decise che quella giornata non sarebbe affatto stata una delle sue più fortunate. Avrebbe dovuto fare più attenzione del solito e calcolare alla perfezione ogni suo movimento se non voleva rischiare di finire in un evento assai svantaggioso per lui.
Si sistemò meglio gli occhiali da vista sul naso, lasciandosi poi sfuggire un sospiro esasperato mentre finiva di ripiegare l’ultimo indumento rimasto dall’enorme matassa di panni appena lavati.
Stava per afferrarne qualcuno dei suoi per poterli riporre, quando percepì sulle sue spalle il calore di due mani calde e familiari. Gli sfuggì un sorrisetto soddisfatto, reduce della notte appena trascorsa, che tentò subito di mascherare evitando di voltarsi.
‹‹È strano che tu sia così teso, Shin-chan. Dopotutto sono soltanto i tuoi vecchi compagni di squadra!››
La voce assonnata ma ugualmente sicura di Takao invase tutta la stanza, sovrastando persino il ronzio della radio ancora accesa. Frenò i suoi già agitati pensieri, tranquillizzandolo e rassicurandolo, ma ancora una volta Midorima non lo diede a vedere, preferendo continuare a mostrargli la schiena ancora nuda ed irrigidendo tutti i muscoli del corpo senza però ritrarsi dal contatto.
‹‹Ricordami ancora una volta perché abbiamo accettato…›› quasi lo pregò.
A Takao sfuggì una risatina divertita.
Nonostante tutti gli anni trascorsi il suo Shin-chan non era cambiato di una virgola! Sempre troppo scaramantico, inespressivo, freddo ed incredibilmente sicuro di se stesso; ancora totalmente incapace di esprimere i suoi sentimenti alla luce del giorno o di mostrarli attraverso i luminosi occhi verdi che lo avevano colpito sin dal primo giorno per la loro apparente severità.
Era cresciuto molto, sì. Si era diplomato, laureato in breve tempo ed era diventato un esperto chirurgo conosciuto in tutta Tokio: la città in cui ora vivevano. Aveva persino acconsentito a sposarlo due anni prima, dopo tanto insistere, ed avevano scelto assieme i colori delle pareti. Ma fondamentalmente non era affatto cambiato.
Poggiò la fronte sulla sua schiena, abbracciandolo per qualche secondo ancora prima che cominciasse ad infastidirsi, e s’inebriò del profumo delicato della sua pelle dopo la lunga doccia che era solito fare al mattino.
‹‹Perché se non lo avessimo fatto Kise-kun sarebbe giunto fin qui e ci avrebbe trascinato anche contro la nostra volontà, ricordi?››
‹‹Già… Quel dannato modello da quattro soldi! Possibile che non abbia nulla da fare oltre ad organizzare inutili rimpatriate?›› domandò Midorima, più a se stesso che a Takao. Poi, dopo essersi finalmente ricomposto, si separò dall’abbraccio dell’uomo e afferrò gli indumenti puliti con entrambe le braccia.
Fece per avviarsi verso la loro camera da letto, ma dopo soli due passi si bloccò per voltarsi a guardare suo marito.
Aveva i capelli ancora scompigliati ed indossava quell’orrendo pigiama grigio che tante volte aveva minacciato di buttargli via. Sul suo viso c’era ancora l’ombra di un sorriso e i grandi occhi azzurri lo stavano osservando attentamente.
‹‹E smettila di chiamarmi Shin-chan, abbiamo passato l’età per quello!›› lo rimproverò.
Questa volta Takao non riuscì proprio a trattenere la sonora risata che gli esplose nel petto, gettando leggermente il capo all’indietro e poggiandosi una mano sull’ addome contratto. Sapeva bene quanto il comportamento del suo burbero marito non fosse altro che una prova lampante del suo imbarazzo nel non riuscire ad esprimere i suoi reali sentimenti.
‹‹Piuttosto… preparami delle frittelle! Oggi non è un giorno fortunato e secondo il mio oroscopo mangiarle diminuirebbe lo stress. Oh, hai idea di quale possa essere qualcosa di piccolo e a cui tengo? È il portafortuna del giorno.››
‹‹Sono quasi del tutto sicuro che il tuo oroscopo non dica di schiavizzare tuo marito! Qualcosa di piccolo e a cui tieni? Conoscendo te e la tua mania del pulito, tutto ciò a cui riesco a pensare è la boccetta del deodorante›› lo prese in giro fra una risata e l’altra.
Il volto di Midorima assunse un espressione piuttosto infastidita. Senza pensarci afferrò con la mano sinistra, le cui dita soleva ancora fasciare nonostante non giocasse più così spesso a basket, una delle tante maglie dalla pila che sorreggeva e, dopo averla appallottolata per bene, gliela lanciò diritta sulla faccia. Una tripla perfetta e ben calcolata come quelle che ai tempi del liceo lasciavano di stucco chiunque lo guardasse.
Ritornò sui suoi passi sistemandosi nuovamente gli occhiali sul naso. Era certo di aver fatto centro nonostante si fosse voltato ben prima dell’impatto, ed il suo viso non si scompose minimamente quando ne ebbe la conferma grazie alle proteste di Takao.
‹‹Dannata Generazione dei Miracoli!›› si lamentò fra sé quest’ultimo, avvicinandosi ai fornelli per iniziare a preparare la colazione.
 
 
‹‹Tu, bestiola rumorosa, restami incollato per tutto il giorno e non lasciare la mia mano per nessuna ragione al mondo una volta scesi dall’auto, d’accordo?››
Midorima si assicurò che il bambino seduto sui sedili posteriori avesse compreso perfettamente le sue parole, ma Satoshi stava giocherellando con la cintura di sicurezza e non dava nessun segno di aver capito ciò di cui il padre stesse parlando.
L’uomo si scostò la frangetta verde dagli occhi, sistemandosi gli occhiali sul naso e cercando di mascherare come meglio poteva la sua espressione alquanto irritata.
Il bambino si era scompigliato i capelli castani ed ora stava tentando di sfilarsi entrambe le scarpine perfettamente intonate con il resto del suo abbigliamento.
‹‹Non provarci nemmeno, bestiola!›› lo rimproverò chiudendogli entrambe le manine paffute in una sua e tentando di riordinarlo con quella libera.
Satoshi incrociò lo sguardo del padre per poi scoppiare a ridere rumorosamente, agitando le gambe per evitare che lui riuscisse ad allacciargli le scarpe, ottenendo il solo risultato di farlo innervosire maggiormente.
‹‹Quando abbiamo deciso di portare te a casa, circa un anno fa, non sapevamo che si trattasse del figlio del demonio!›› gli rivelò quasi del tutto certo che il bambino non riuscisse ad afferrare molto di quel discorso articolato. 
‹‹Shin-chan, non essere troppo duro con lui, dopotutto ha solo due anni e mezzo!›› lo rimproverò Takao, scompigliando i capelli dell’uomo che era andato a sedersi sul sedile del passeggiero ed avviando la macchina.
Midorima incrociò le braccia irritato senza proferire parola. Il solare marito si sporse per riuscire a lasciargli un sonoro bacio sulla guancia prima di partire.
‹‹Allora, alla fine hai deciso quale piccola e preziosa cosa portarti dietro questa volta?››
L’uomo indicò con il pollice il bambino comodamente seduto dietro di loro che, in quel momento, stava cercando di capire in che modo sfilarsi la camicia.
‹‹Gli stavo giusto spiegando perché sarebbe dovuto rimanere sempre con me oggi…››
 
 
***
 
‹‹Dai-chan, smettila di allenarti! Ormai è quasi ora di pranzo e tu devi ancora prepararti!››
Momoi aveva raccolto i capelli rosa, che si ostinava a portare lunghi, in un elegante chignon ed il viso corrucciato completamente scoperto mostrava la sua ancora bellezza giovanile.
Era poggiata allo stipite della porta principale ed osservava con cipiglio nervoso il suo bel marito che in quel momento si stava fingendo completamente sordo e proseguiva con gli atipici tiri liberi a canestro.
La donna scosse la testa esasperata, poggiando una mano sul prominente pancione. Lo accarezzò con dolcezza, sorridendo appena alla bimba che di lì a poco sarebbe finalmente venuta al mondo.
‹‹Tu signorina, vedi di non ereditare affatto la testardaggine di tuo padre e non provare a darmi più problemi di quanti me ne causi già lui!››
Raccomandatasi, si avviò impettita, con i pugni serrati lungo i fianchi ed il passo svelto, verso il giardino nel quale il marito aveva tanto insistito per far aggiungere un canestro professionale, in modo da poter continuare ad allenarsi senza essere troppo assente da casa.
‹‹Aomine Daiki!››
L’uomo bloccò la sua strabiliante azione a mezz’aria, modificando l’espressione del volto fino a poco prima soddisfatta, in una assolutamente spaventata, strabuzzando gli occhi.
Il pallone gli sfuggì dalle mani prima di cadere rovinosamente a terra proprio come lui.
‹‹Maledizione!››
Sì alzò a fatica, massaggiandosi i glutei doloranti sopra i quali il suo peso aveva ceduto e voltandosi nella direzione della donna che lo aveva richiamato a sé con aria minacciosa.
Le rivolse uno dei sorrisi più belli e sgargianti che avesse mai fatto nel tentativo di riuscire a farsi perdonare la sua testa calda.
‹‹Devo aver perso la cognizione del tempo ancora una volta…›› si giustificò poi, grattandosi la nuca con un leggero timore che traspariva chiaramente dagli occhi.
‹‹Non provare a fare quella faccia, perché lo sai che non riuscirai a convincermi!››
Aomine questa volta le rivolse un’occhiata sinceramente mortificata, ma ancora la donna non si lasciò affatto imbambolare. Lo conosceva da tanto tempo e fin troppo bene per poter cascare alle sue “infallibili” tattiche così facilmente. Rimase anzi immobile a sostenere il suo sguardo con il mento sollevato fieramente e le labbra corrucciate, nonostante dal lui la separassero ben ventisei centimetri di altezza.
‹‹Oh, non mettermi il muso!››
Il marito le accarezzò la gote rosata con le nocche ed un sorriso dolce comparve sul suo volto. Adesso le attenzioni erano solo per lei.
Momoi arrossì vistosamente, interrompendo il contatto visivo. Improvvisamente le sue eleganti scarpe erano divenute interessantissime.
Dopo tanti anni lui le faceva ancora lo stesso effetto ogni volta che la guardava e le sorrideva, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce se non voleva poi rischiare di essere presa in giro dallo stesso.
Si erano sposati solamente da sei anni, dopo dieci lunghi anni di fidanzamento ed un’intera vita trascorsa assieme; eppure ogni volta che un nuovo mattino giungeva e lei si risvegliava al suo fianco, circondata dal suo abbraccio caldo, sentiva ciò che aveva provato quando aveva capito di amarlo ed il suo cuore cominciava a battere all’impazzata, quasi come se fosse tornata adolescente.
Lui l’accolse fra le braccia, stringendola a sé con estrema delicatezza, lanciando un’occhiata compiaciuta al pancione ormai chiaramente visibile.
‹‹La mia signora è sin troppo bella oggi. Sta forse cercando di farmi ingelosire?››
Momoi ridacchiò, sollevandosi sulle punte dei piedi per riuscire a circondargli il collo con entrambe le braccia.
‹‹Sai, credo che dopo tutti questi anni ognuno dei ragazzi si sia fatto una famiglia con qualcuno. Anzi, ne sono certa!››
‹‹Non importa. La mia signora piacerebbe a chiunque, specie con questo vestitino…››
Così dicendo, Aomine chinò il capo nel tentativo di riuscire a baciarla, ma la donna si scansò prontamente, posandogli una mano sulle labbra e separandosi dalla stretta.
‹‹Va’ a cambiarti velocemente, fenomeno, o rischieremo di arrivare ancora una volta in ritardo!››
L’uomo sbuffò questa volta palesemente seccato, avviandosi verso casa con poca convinzione.
‹‹Non lo trovo affatto giusto…›› si lamentò.
‹‹Se ti sbrighi prima dei venti minuti ti ricompenserò lautamente stasera, d’accordo?›› gli promise con la voce seducente ed ingannatrice che era solita utilizzare quando voleva ottenere qualcosa da lui.
Aomine non se lo fece ripetere due volte. Non osò voltarsi a  causa del suo orgoglio, ma aumentò la velocità del passo facendo esplodere la sua bella moglie in una sonora risata.
 
Se l’erano detti veramente  poche volte, ed in quelle rare occasioni erano stati talmente imbarazzati da aver puntualmente creato qualche equivoco con le parole o con i gesti, ma si amavano profondamente e la donna era ormai certissima di aver raggiunto quella che era la vera felicità.
Non sarebbe mai stata capace di amare qualcuno come amava lui, né avrebbe mai voluto provarci.
Aomine Daiki, l’ex asso della Gakuen era da sempre stato l’uomo della sua vita e questa era una di quelle cose che, ne era certa, non sarebbe potuta cambiare mai.
 
***
 
Himuro si legò il suo fedele grembiule bianco alla vita ed indossò il pomposo cappello da chef del medesimo colore per evitare che i capelli corvini gli ricadessero sugli occhi.
Quella mattina non si sarebbe affacciato alla porta vetrata del locale per rigirare il cartellino colorato che ne indicava l’apertura tanto attesa. L’aveva annunciato il pomeriggio prima ai suoi fedeli clienti abituali, i quali avevano espresso la loro chiara disapprovazione sotto forma di lamenti, le bocche piene di quelli che solo pochi mesi prima erano stati eletti i pasticcini più buoni di tutta la nazione.
‹‹Atsushi-kun non dormire sul bancone da lavoro!››
La sua voce gli apparve piuttosto divertita nonostante quello che avrebbe dovuto essere un rimprovero.
Murasakibara aveva le braccia incrociate che fungevano da cuscino per il capo sul bancone di lucido alluminio, ed i lisci capelli lilla che si ostinava a portare lunghi sino alle spalle gli coprivano completamente il volto.
Himuro gli si avvicinò sorridente, accarezzandogli l’ampia schiena con il palmo aperto e spostandogli una ciocca dietro l’orecchio.
‹‹Atsushi-kun…››
Murasakibara emise un verso irritato, gli occhi ostinatamente serrati, e volse la testa dal lato opposto.
‹‹Oh andiamo, sei stato tu ad accettare l’invito di Kise-kun e non ho alcuna intenzione di fare tutto il lavoro da solo!››
L’uomo che gli stava di fronte finalmente si sollevò dal bancone con la calma che lo aveva sempre contraddistinto, si strofinò gli occhi ancora socchiusi con i dorsi delle mani ed emise qualche verso lamentoso.
‹‹Non ho accettato, Kise-chin ha detto che ci sarebbero state tante buone cose da mangiare››, si giustificò mentre legava svogliatamente i capelli in una coda bassa ed indossava lo stesso grembiule da lavoro del compagno.
‹‹Non voglio lavorare anche quando siamo chiusi, Muro-chin!››
Himuro si limitò a passargli gli utensili in silenzio, osservando di tanto in tanto con tenerezza il volto annoiato del compagno.
‹‹Non ho pensato a qualcosa di estremamente complicato, tranquillo. Dobbiamo solo occuparci delle decorazioni finali, perché ho preparato il pandispagna ieri sera subito dopo la chiusura e l’ho farcito con cioccolato al latte, cioccolato bianco e cioccolato fondente ieri notte, dividendolo in tre strati sottili. Ero indeciso sui tre poiché non conosco i gusti degli altri invitati, quindi mi sono limitato ad aggiungerli tutti.››
Murasakibara parve piuttosto sorpreso dal lavoro svolto dall’uomo che gli stava di fianco. Smise di disinfettare gli attrezzi da cucina e lo fissò con un sopracciglio alzato che rivelava una certa curiosità.
‹‹Ieri notte abbiamo…››
Himuro gli rivolse un sorriso compiaciuto, attirandolo a sé per le braccia in modo da farlo chinare fino a che non avesse raggiunto la sua altezza, poi gli posò il cappello sul capo.
‹‹Ho aspettato che ti addormentassi prima di mettermi a lavoro.››
La sua voce era divenuta improvvisamente più calda e la mano, così come i suoi occhi scuri, aveva indugiato per un istante di troppo sul suo bel viso.
Murasakibara si sporse in avanti, socchiudendo gli occhi con incertezza e posando le sue labbra su quelle dell’uomo, senza nessun preciso motivo.
D’altronde era sempre stato così fra loro; Himuro gli era piaciuto sin dall’inizio senza un particolare perché. Con la sua infinita pazienza ed il costante sorriso lo aveva accolto sotto la sua ala protettrice, capendolo come nessuno aveva mai fatto fino ad allora, assecondandolo nel bene e indicandogli la via più corretta nel male, ed assicurandogli sempre un posto sicuro al suo fianco, stimolando ogni sua passione, dal basket alla pasticceria: che aveva scoperto amare solo recentemente proprio grazie a lui.
Non era cambiato niente nella loro relazione. Vivevano insieme sin da quando erano ragazzi e continuava ad essere così. Nessuno dei due sentiva il bisogno di compiere il passaggio successivo nonostante ne avessero parlato più volte.
Murasakibara sapeva che non avrebbe mai voluto nessuno al di fuori di Himuro, ma continuava ugualmente ad amare quel senso di libertà così tanto intrinseco in lui e lo stesso era per il suo compagno.
Probabilmente non si sarebbero mai sposati, ma sapevano che quel per sempre di cui avevano spesso sentito parlare era ugualmente presente nel loro inusuale rapporto ed erano entrambi felici così.
‹‹Basta con le distrazioni, ragazzone!››
Himuro lo rimproverò dolcemente, separandosi a fatica dal corpo caldo ed accogliente dell’uomo per poter prendere la torta già quasi completamente pronta.
Murasakibara osservò il lavoro inclinando leggermente la testa in un lato.
‹‹Perché le hai dato la forma di una cupola?››
‹‹Ci ho pensato a lungo. Non avevo idea di come presentarla, poi ho avuto un’illuminazione! Cos’è che accomuna tutti gli invitati?››
Il compagno sembrò pensarci su per alcuni secondi.
‹‹Gli strani colori dei capelli?››
Himuro scoppiò a ridere sonoramente.
‹‹Il basket, Atsushi-kun. In realtà questa è la metà di un pallone  e vorrei che tu stendessi un foglio di pasta di zucchero di colore arancione mentre io mi occuperò di fare le strisce nere sottilissime.››
‹‹Oh… d’accordo!›› fu tutto ciò che riuscì a pronunciare un Murasakibara visibilmente stupito, mettendosi poi subito all’opera con un ghigno soddisfatto a rianimargli il volto.
‹‹Diamo loro modo di capire perché la nostra è la pasticceria migliore di tutta la nazione!››
 
***
 
L’uomo si richiuse stancamente la pesante porta alle spalle, lasciandosi poi scivolare sul pavimento con la schiena poggiata contro il muro del bianco più limpido che si fosse mai visto.
‹‹Ah, sono esausto!››
‹‹Oh sì, dev’essere veramente stressante farsi fotografare per un’ora e mezza e lasciare tutti i preparativi a tuo marito per la festa che tu hai voluto organizzare››
Kasamatsu si trovava in piedi di fronte a Kise, le mani incrociate al petto ed un’espressione severa dipinta sul volto.
Il biondo sollevò lo sguardo puntandolo su di lui, sorridendogli dolcemente.
‹‹Senpai!›› lo chiamò con un lamento, aggrappandosi alle sue gambe ed assumendo l’atteggiamento di un infante come da sua abitudine.
‹‹Senpai mi dispiace così tanto averti lasciato a gestire tutto da solo, ma la mia agente mi ha chiamato all’improvviso questa mattina dicendomi di aver spostato l’appuntamento col fotografo. Sai, è per la prima pagina di un giornale… È veramente importante! Potrai mai perdonarmi?››
Kasamatsu alzò gli occhi al cielo, offrendogli poi una mano.
‹‹Tirati su idiota! Mi sono fatto aiutare dai domestici nonostante oggi fosse il loro giorno libero, altrimenti non ce l’avrei mai fatta, ma sarai tu a pagare loro questi straordinari. Hanno davvero fatto un ottimo lavoro…››
Kise si risollevò guardandosi attorno con stupore.
La casa era perfettamente ordinata. Vi erano tre tavoli posti lungo la parete centrale del grande salone, apparecchiati impeccabilmente e colmi di ogni tipo di cibo del più svariato genere.
L’uomo non riuscì a non battere le mani entusiasta.
‹‹Murasakibara-cchi sarà davvero contento!›› constatò con gioia fra sé e sé.
Era sempre stato un tipo sentimentale e non aveva mai fatto nulla per cercare di nasconderlo.
Nonostante gli anni fossero trascorsi inesorabilmente e anche con abbastanza fretta, lui aveva fatto di tutto per riuscire a mantenere i contatti con i suoi vecchi amici, seppur con fatica. Dopotutto, non si poteva certo dire che quei cinque fossero propriamente delle persone normali, quindi ciò che per gli altri risultava un semplice gesto da apprezzare, per loro non lo era!
Sporadicamente lui ed Aomine riuscivano ad organizzare qualche allenamento di basket al vecchio campo in cui erano soliti allenarsi da ragazzi, ma con gli altri si limitava a qualche messaggio di tanto in tanto.
Per sua grande sfortuna, Kuroko, Midorima e Akashi non vivevano più nella stessa città, mentre Murasakibara non era certo il tipo che si lasciava convincere facilmente per una passeggiata.
Per non parlare della sua carriera, che nonostante l’età, lo teneva ancora costantemente impegnato!
Organizzare questa rimpatriata era divenuto per lui un obbiettivo veramente importante da raggiungere ed esserci riuscito lo aveva reso estremamente felice.
La mente, incontrollabile, viaggiò sino a due settimane prima, quando l’uomo aveva avuto quella geniale idea e si era convinto a chiamare tutti i suoi vecchi amici sperando in una loro risposta affermativa.
 
 
‹‹Moshi-moshi!››
La voce squillante e solare che rispose non era certo quella che Kise si era aspettato di sentire dopo aver composto il numero di telefono.
‹‹Uhm… Sono Kise Ryouta, potrei parlare con Midorima-cchi?›› domandò tranquillamente, poggiandosi al bancone della cucina dove, poco più in là, Kasamatsu stava preparando la cena e scuotendo la testa palesemente contrariato.
Dall’altro capo del telefono si udirono, seppur a distanza, alcune imprecazioni mal trattenute ed il biondo riconobbe il tono infastidito del suo amico di vecchia data. Un sorriso nostalgico gli affiorò sul volto.
‹‹Kise-kun, sei proprio tu? Sono Takao Kazunari, ti ricordi di me?››
Kise per poco non si strozzò con la sua stessa saliva per via della sorpresa.
‹‹Quel Takao? “Occhi di falco”?››
Il marito di Midorima scoppiò in una sonora risata, in ricordo dei vecchi tempi adolescenziali.
‹‹Non sento più nessuno chiamarmi con quell’appellativo da veramente troppi anni!
Ecco… Shin-chan è leggermente occupato ora, ma posso riferirgli tutto io.››
‹‹Bene! Ho organizzato una rimpatriata qui a casa mia in memoria dei vecchi tempi, per domenica prossima, e mi chiedevo se fosse libero. Ovviamente anche tu sei invitato Takao! Non avevo idea che Midorima-cchi si fosse finalmente deciso a metter su famiglia…››
Takao ridacchiò nuovamente, stavolta complice delle prese in giro sul suo burbero marito.
‹‹Già.. Be’ convincerlo è stata dura, ma alla fine ha ceduto. Siamo sposati ora!›› il senso di soddisfazione che Kise percepì nella voce dell’uomo lo fece voltare istintivamente verso suo marito, il quale lo fissava con la coda dell’occhio credendo di non essere visto. Capì improvvisamene a cosa era dovuta la reazione di Takao e si avvicinò a Kasamatsu per lasciargli una carezza sulla nuca, che lo lasciò a metà fra lo scioccato e l’infastidito.
‹‹Per quanto riguarda l’invito io non credo che Shin-cha…››
‹‹Non accetterò un no come risposta neanche da lui, o verrò io stesso a prendervi fin sotto casa!››
L’uomo dall’altro capo sembrò pensarci su qualche secondo, facendo attendere Kise nel silenzio, poi finalmente acconsentì.
‹‹Lascia che sia io a convincerlo. Ci saremo sicuramente!››
Kise riagganciò con un enorme sorriso stampato in faccia che non sfuggì a Kasamatsu.
‹‹Presumo abbia accettato…›› volle intuire con un tono annoiato.
‹‹Con Midorima-cchi è difficile dirlo fino all’ultimo, ma sono certo che verrà! Adesso tocca ad Aomine-cchi!››
 
‹‹Yo!››
Questa volta fu proprio il diretto interessato a rispondere al telefono. Probabilmente aveva letto il nome di Kise sul display, visto il saluto colloquiale con cui aveva risposto dopo pochi squilli.
‹‹Aomine-cchi, ho una proposta allettante a cui sono certo non vorrai rinunciare!››
‹‹In questo modo mi invogli a fare l’esatto contrario, lo sai vero?››
Kise ridacchiò, ma decise di ignorare la provocazione di colui che poteva oramai considerare il suo migliore amico, e proseguì con il discorso.
‹‹Domenica prossima ho organizzato una rimpatriata qui a casa mia per noi della Generazione dei Miracoli e vorrei che tu, Momo-cchi e il suo bellissimo pancione foste presenti.››
Aomine emise un suono molto simile ad un lamento annoiato.
‹‹Ho sempre detestato le tue idee…›› rivelò infine, sbadigliando rumorosamente.
‹‹Oh, andiamo, scommetto che anche tu hai voglia di salutarli di nuovo tutti!››
‹‹Veramente preferirei di gran lunga ripos…››
Kise non gli diede il tempo di finire la frase confermando la data e l’ora dell’appuntamento, prima di riattacargli il telefono in faccia, certo che anche lui si sarebbe presentato.
Kasamatsu, che questa volta era rimasto ad ascoltare con curiosità l’intera telefonata, alzò gli occhi al cielo senza porre alcuna domanda, ma preferendo cambiare stanza per non esser costretto ad ascoltare un’altra parola su quella che riteneva una perfetta perdita di tempo. Oramai sapeva che non ci sarebbe stato nessun modo per far cambiare idea a suo marito. Tutto ciò che gli restava da fare era partecipare passivamente all’organizzazione della “rimpatriata della Generazione dei Miracoli”.
Kise, dal canto suo, non diede segno di averlo notato e compose un altro numero.
 
Questa volta dovette squillare a lungo prima che qualcuno rispondesse.
‹‹Sì?››
Nel riconoscere quella voce, il biondo non riuscì a trattenere tutta la gioia che gli esplose nel petto.
‹‹Kuroko-cchi!›› urlò senza contegno.
‹‹K…Kise-kun, sei proprio tu?››
Il tono di voce di Kuroko parve piuttosto sorpreso. Rispose automaticamente in giapponese; si era talmente abituato a parlare inglese che oramai anche rispondere al  telefono in quella lingua era divenuta un’azione assolutamente normale.
‹‹Kuroko-cchi sì, sono proprio io! Oh quanto mi eri mancato!››
‹‹Kuroko hai attivato il vivavoce…›› questa volta fu un’altra voce a parlare e nonostante fossero tantissimi anni, Kise la identificò subito con la figura di Kagami Taiga, l’ex asso della Seirin nonché suo antico rivale. Sorrise ancora una volta quando i ricordi gli attraversarono la mente veloci ed ormai lontani.
‹‹Kagami-cchi, ci sei anche tu? Molto meglio!››
‹‹Dipende dal motivo per cui ci stai cercando…›› rispose prontamente quest’ultimo, avvicinandosi al microfono del telefono di Kuroko.
‹‹Noto che sei rimasto il solito ragazzaccio burbero di una volta, eh Kagami-cchi?›› lo provocò Kise, ridacchiando assieme a Kuroko.
‹‹E tu il solito rompipalle, vecchia zecca.››
‹‹Lascialo parlare, Kagami-Kun!›› questa volta a prendere le sue difese fu nientedimeno che Kuroko, il quale gli parve il solito ragazzino pacato che ricordava con affetto. L’unico che fosse mai riuscito a mettere in riga Kagami Taiga sin dall’inizio. “Il sesto uomo fantasma”.
Ancora una volta Kise parlò dell’evento che aveva organizzato con il tipico entusiasmo che da sempre lo aveva caratterizzato ed attese una risposta da parte di entrambi.
‹‹Perché no? La stagione qui in America è ormai conclusa e pensavamo giusto di tornare in Giappone per una vacanza, prima degli allenamenti. Potremmo anticipare il viaggio…››
Fu Kuroko a dare il consenso, mentre Kagami si limitò solamente ad emettere un verso non troppo contrariato.
Kise esultò prima di salutare entrambi calorosamente con la promessa di rivedersi a breve, poi compose il penultimo numero della lista degli invitati: quello di una pasticceria.
 
‹‹Pasticceria Gochisou, sono Murasakibara Atsushi. Come posso aiutarla?››
Kise si trattenne a fatica dal ridere. Conosceva molto bene il suo pigro amico e non si sarebbe mai aspettato che a rispondere sarebbe stato proprio lui.
‹‹Murasakibara-cchi, sono Kise. Ti ho chiamato su questo numero perché ero certo che la tua pigrizia non ti avrebbe mai fatto rispondere al cellulare.››
‹‹Oh, sei soltanto Kise-chin! Vuoi ordinare qualcosa? Le spese di spedizioni vengono solo cinquemila yen, ma visto quanto sei benestante per te aumentano a dodicimila›› gli spiegò con voce annoiata.
‹‹Cosa vuol dire che sono solo io? Poi non trovo affatto giusto quell’aumento ingiustificato per via del mio reddito! E comunque non voglio ordinare niente, ma invitarti all’esclusiva festa che si terrà a casa mia domenica prossima.››
‹‹Uhm…no, grazie. Dobbiamo lavorare.››
 ‹‹Oh andiamo! Sono sicuro che potrete fare un’eccezione e prendervi un giorno libero in più per questa volta. Ci saranno tutti, persino Kuroko-cchi!›› spiegò con euforia all’amico.
‹‹Kuro-chin? Non era in America?››
Questa volta Murasakibara parve leggermente più sorpreso.
‹‹Sono riuscito a convincere lui e Kagami-cchi ad anticipare la loro vacanza in Giappone per poter partecipare alla mia rimpatriata! Non puoi davvero mancare, ci sarà tantissimo cibo…››
‹‹Tantissimo cibo?›› Murasakibara sembrava sempre più interessato.
Le labbra di Kise si schiusero in un ghigno vittorioso.
‹‹Proprio così.››
‹‹Uhm… Posso portare anche Muro-chin?››
‹‹Certo che sì, non vedo l’ora di salutare entrambi!›› disse agitando la mano libera come un bambino felice nel giorno di Natale.
‹‹Già… Ora devo tornare a lavoro, ci vediamo.››
Kise riattaccò con gli occhi lucidi per l’emozione del momento, sinceramente felice di ciò che aveva organizzato.
‹‹E adesso arriva la parte difficile!›› annunciò a se stesso, mentre componeva il numero di Akashi, “l’imperatore”.
 
Il telefono squillò un paio di volte prima che qualcuno gli rispondesse.
‹‹Moshi-moshi!››
‹‹Parlo con l’imperatore?››
Ci fu un breve momento di silenzio nel quale l’uomo si maledisse svariate volte per l’appellativo che aveva utilizzato per esordire, temendo che al diretto interessato potesse dare fastidio il ricordo dei tempi andati, ma Akashi scoppiò in una sonora risata che diede il via per far ridere a sua volta Kise, la cui tensione sentì sciogliersi in un attimo e scivolare via come fosse stata fatta di acqua.
‹‹Kise Ryouta, sei proprio tu?›› domandò l’ex capitano della Rakuzan sorpreso.
Non capiva come avesse fatto ad indovinare, ma avevano tutti smesso di porsi domande su Akashi da molto tempo, ormai.
‹‹In persona. Chiamo per invitarti ufficialmente alla rimpatriata che ho deciso di organizzare nella mia casa domenica prossima, con la Generazione dei Miracoli. Cosa ne pensi? Oh, uhm… nel caso anche tu ti fossi fatto una famiglia nel frattempo, porta anche loro!››
‹‹Credi sia una buona idea? La mia famiglia quando si sposta assieme crea solo caos!››
Kise ridacchiò sotto i baffi quando l’immagine di Seijuro Akashi con una casa piena zeppa di bambini gli attraversò la mente, poi decise che egli era semplicemente troppo strano per avere dei figli e che probabilmente si stava riferendo ad altro.
‹‹Assolutamente sì, puoi portare chi preferisci! Dopotutto, una bella festa per essere ricordata ha bisogno di numerosi invitati.››
‹‹Oh, la trovo un’idea fantastica! Cancellerò tutti gli impegni per quella domenica e cercherò di essere presente in ogni modo. Ti ringrazio per l’invito. Ora perdonami, ma il lavoro chiama!››
E, così dicendo, anche l’imperatore si congedò lasciando Kise solo e sbalordito per quella risposta positiva tanto cordiale che mai si sarebbe aspettato da lui.
L’uomo improvvisò un balletto di gioia sul posto ridacchiando fra sé e sé e afferrando ciò che gli capitava fra le mani.
-Questa festa rimarrà davvero nella memoria di tutti!- pensò.
 
 
Kasamatsu aveva acceso la radio ed ora in sottofondo si sentiva risuonare la voce melodica di qualche nuovissima idol che intonava una canzone d’amore.
L’aria profumava del dolce aroma della cannella e Kise aveva notato, tornando a casa, che anche il giardino era stato perfettamente potato e le siepi circondanti l’ampia villetta risistemate.
 ‹‹Oh senpai, hai fatto veramente un ottimo lavoro, io non avrei saputo organizzare meglio!››
Così dicendo gli gettò le braccia al collo, scompigliandogli i capelli nerissimi appena sistemati e lasciandogli un sonoro bacio sulla fronte.
Il marito lo separò bruscamente da sé, ricomponendosi e successivamente aiutandolo a togliersi il cappotto.
Kise ridacchiò sotto i baffi guardandolo con fare provocatorio.
‹‹Da quando la mia assenza ti rende così focoso?›› lo provocò con un sussurrò.
Kasamatsu, in tutta risposta, gli sferrò prontamente un doloroso pugno nello stomaco facendolo piegare in due dal dolore.
‹‹Baka! Se non ti dessi una mano io continueresti a distrarti, finendo con il rimanere così sino all’arrivo dei nostri ospiti e non manca poi molto.››
Kise tossì svariate volte prima di riuscire a ricomporsi, fingendo di non avvertire alcun tipo di dolore alla bocca dello stomaco per di più affamata.
‹‹Sei sempre così freddo!›› si lamentò con il tono di voce fastidiosamente stridulo che soleva usare in queste occasioni per tentare di aggraziarselo.
Kasamatsu rimase in silenzio con le spesse sopracciglia nere aggrottate a causa del nervosismo. Sistemò l’indumento dell’uomo sull’attaccapanni di metallo appeso poco distante dalla porta.
Il bel modello modificò la sua espressione serena in una imbronciata, poi posò gli indici su entrambe le tempie del marito stendendo la pelle verso l’esterno.
‹‹Se continuerai ad aggrottarle ti compariranno molte più rughe di quelle che già compaiono alla tua età, vecchio!››
Kasamatsu ora sembrava fumare tutta la sua rabbia fuori dalle orecchie arrossate.
‹‹Ho solo un anno in più rispetto a te!›› precisò a denti stretti.
Kise gli strinse il viso fra le mani, ignorandolo ed avvicinandosi sino a percepire sulle labbra il suo respiro caldo. Gli occhi puntati in quelli azzurri ed estremamente profondi dell’uomo della sua vita, che molti anni prima lo avevano scrutato sin nel profondo e lo avevano fatto innamorare perdutamente.
Gli sorrise con dolcezza, facendo scorrere una mano sulla sua nuca per accarezzargli i capelli, sino a quando anche il suo viso si rilassò liberando un accenno di sorriso.
‹‹Così va meglio!››
‹‹Baka…››
Kise avvicinò le labbra a quelle di Kasamatsu, posandogli un tenero bacio a stampo. Lo attirò a sé lasciando che i loro corpi si unissero e l’uomo schiuse la bocca affinché la lingua del marito potesse insinuarsi con dolcezza all’interno, richiedendo tutte le sue attenzioni. Gli accarezzò i capelli biondi, tirandoli indietro e scoprendo il perfetto viso che nonostante tutti gli anni lo rendeva ancora assolutamente incapace di resistergli, poi decise di abbandonarsi al bacio chiudendo gli occhi.
Kise fece scorrere le mani lungo i fianchi del marito, circondandoli poi in una stretta.
‹‹Dovremmo smettere ora…›› osservò in un sussurrò spezzato quest’ultimo, cercando di sbirciare l’ora sul suo orologio da polso, seppur con poca convinzione.
Il biondo si riappropriò immediatamente della sua bocca baciandolo con più foga, senza dar cenno di aver compreso, insinuando le mani sotto la camicia dell’uomo e sfiorando la pelle calda dell’addome piatto ed allenato.
Stava per sbottonargli i pantaloni e chinarsi di fronte a lui, improvvisamente colto dal desiderio implacabile, quando il campanello suonò, costringendoli a separarsi bruscamente e a fissarsi storditi per qualche secondo.
‹‹Dannazione! Va’ tu ad aprire la porta, io cerco di darmi una sistemata nel frattempo.››
Kise scoppiò a ridere, osservando compiaciuto il viso del marito arrossato e la sua camicia aperta prima di ricevere dallo stesso uno schiaffo dietro la nuca.
‹‹Vado, vado!›› si lamentò.
La minuta figura di una bambina con i capelli di un rosso molto familiare raccolti in due codine, gli apparve davanti quando andò ad aprire.
Il sorriso cordiale si trasformò in uno sguardo incuriosito.
Immediatamente Kise si piegò sulle ginocchia per raggiungere l’altezza della piccola, che se ne stava impalata a fissarlo seriamente con le braccia nascoste dietro la schiena.
‹‹E questa bella signorina chi è?›› domandò dolcemente, ma non fece in tempo a terminare la frase che lo strano colore arancione dei suoi grandi occhioni curiosi lo riportò indietro nel tempo, facendogli spalancare la bocca per la sorpresa.
‹‹Mi chiamo Yoshiko Seijuro, signore e questo è mio fratello Akihiko›› disse spostandosi di qualche passo.
Nascosto dietro di lei un bambino esattamente identico alla sorella le stringeva la mano e fissava Kise timidamente.
‹‹S-salve…›› salutò con un filo di voce, facendo intenerire l’uomo di fronte che gli sorrise con la stessa dolcezza di poco prima, notando poi che i suoi occhi, diversamente da quelli della sorella, avevano lo stesso colore bizzarro dei capelli di entrambi.
‹‹Allora Akashi parlava di questo quando ha alluso ad una famiglia, eh?›› domandò a se stesso con stupore.
‹‹Oh bambini, non vi avevo forse detto di aspettare in macchina?››
Una giovane donna dai capelli biondi raccolti in una treccia laterale afferrò le mani dei piccoli, separandoli l’uno dall’altra e avvicinandoli a sé.
Kise ebbe l’impressione di averla già vista da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove e quando.
‹‹Oh, le chiedo scusa, queste piccole pesti fanno sempre l’esatto contrario di quello che dico loro!›› si giustificò poi, inchinandosi leggermente in segno di cortesia.
Aveva gli occhi verdi  ed i lineamenti delicati del viso erano assolutamente perfetti. La sua bellezza era superiore a quella di numerose modelle che l’uomo incontrava ogni giorno a lavoro e ciò lo aveva stupito non meno dei due piccoli Seijutp.
‹‹Oh, niente scuse, adoro la spontaneità dei bambini, sono fatti così! E immagino che i figli di Akashi-cchi siano impegnativi almeno quanto loro padre…››
La donna ridacchiò coprendosi la bocca con una mano educatamente.
‹‹Non mi sono nemmeno presentata, che sbadata! Sono Eiko Seijuro, la moglie di Akashi-kun.››
Il volto di Kise s’illuminò di gioia. Strinse calorosamente la sua mano, invitando poi i tre ad entrare in casa, che come da tradizione si sfilarono le scarpe per indossare delle pantofole già pronte sull’uscio.
‹‹Ryota, da quanto tempo!››
La voce cordiale che lo salutò, portandolo a voltarsi istintivamente, era pacata e trasmetteva sempre lo stesso sentimento di soggezione tipico quando si trattava di Akashi.
Non era cambiato di una virgola, eccetto che per le appena accennate rughette ai lati degli occhi. Portava sempre lo stesso bizzarro taglio di capelli dello stesso rosso acceso che i bambini avevano sicuramente preso da lui, e indossava abiti eleganti, come ci si aspettava da un importante uomo d’affari amministratore delegato di una famosa azienda.
Gli sorrideva con la solita freddezza, porgendogli la mano in segno di buona educazione.
Kise la fissò per alcuni secondi prima di decidere di ignorarla completamente ed abbracciarlo con lo stesso calore che avrebbe riservato a tutti i suoi ospiti.
‹‹Akashi-cci, è così strano vederti dopo tanti anni! Sembra ieri quando mi spiegavi come lanciare al meglio per un tiro da tre e Midorima-cchi faceva le sue dimostrazioni…›› ricordò con tono nostalgico.
Akashi, dal canto suo, ridacchiava e picchiettava con il palmo aperto sulla spalla del vecchio amico. Si era assolutamente disabituato ai suoi strambi modi di fare.
Quando finalmente Kise si decise a lasciarlo andare, facendolo accomodare in casa, Kasamatsu fece il suo rientro nella grande stanza e salutò tutti cordialmente.
‹‹Non mi sarei mai aspettato di vedere due piccoli Seijuro attorno ai tuoi piedi, sai?›› rivelò il padrone di casa all’ospite appena arrivato, che annuì perfettamente consapevole e si strinse nelle spalle.
‹‹Non me lo sarei mai aspettato neanch’io a dir la verità, ma la vita per me è sempre stata una vera e propria sfida. Avrei dovuto sposare una donna che nemmeno conoscevo tramite un matrimonio combinato e avevo stranamente deciso di accettare la proposta di mio padre, circa dieci anni fa, quando mi ritrovai in questo teatro colmo di persone per ascoltare una violinista emergente che allora era acclamata da tutti per il suo incommensurabile talento. Mia moglie era effettivamente molto brava!›› spiegò con un moto d’orgoglio, circondando per la vita la giovane donna rossa in viso che ancora non aveva lasciato andare i due bambini.
Kise applaudì contento, congratulandosi con entrambi e scompigliando i capelli rossi del piccolo Akihiko, il quale si nascose dietro la schiena del padre.
Akashi gli posò una mano sulla spalla, rassicurandolo con uno sguardo sereno e riportandolo al suo fianco.
‹‹È un bambino molto timido, differentemente da sua sorella›› spiegò loro.
‹‹Ho notato che i loro occhi sono entrambi i tuoi…››
Kise non riuscì a non esternare quella piccola osservazione che lo aveva riportato con la mente al tempo in cui Akashi si era riscoperto eterocromo ed uno dei suoi occhi era divenuto improvvisamente giallo, in corrispondenza del suo profondo cambiamento caratteriale. Il ragazzo dolce e gentile  con tutti, dagli occhi rossi, era divenuto egocentrico e spietato per un lungo periodo della sua adolescenza, un ricordo a cui tutti loro non amavano ripensare, eccetto che per lo stesso Akashi, il quale aveva accettato ormai da tempo la sua doppia personalità con cui aveva imparato a convivere.
Lo stesso sorrise all’osservazione fatta, osservando entrambi i suoi figli con tenerezza.
‹‹È una coincidenza buffa, ma lo è ancora di più il fatto che questi due colori rispettino totalmente entrambe le mie personalità! Akihiko è un bambino tranquillo, estremamente silenzioso ed educato, mentre Yoshiko non smetterebbe mai di parlare, è assurdamente competitiva, non sopporta perdere ed è piuttosto dispettosa›› spiegò serenamente.
Kise non ne rimase affatto sorpreso questa volta.
Si chinò con dolcezza di fronte al piccolo Seijuro, sorridendogli affettuosamente e porgendogli una delle caramelle riservate a Murasakibara che poco prima aveva afferrato dal tavolo vicino.
‹‹Ti piacciono i dolcetti Akihiko?››
Il bambino annuì, afferrando la caramella e scartandola, poi si chinò con una formalità di cui nemmeno lui era mai stato capace e ringraziò.
Kise fece per tirarsi su soddisfatto, ma qualcuno gli tirò la manica della camicia nuova.
‹‹Ehi, anch’io ne voglio una!›› si lamentò Yoshiko, il visetto imbronciato.
‹‹Yoshi, sii educata!›› la rimproverò sua madre.
Kise scoppiò a ridere assieme ad un palesemente divertito Kasamatsu, che fino ad allora se n’era rimasto in silenzio ad osservare la scena, sorpreso di quanto suo marito ci sapesse fare con i bambini.
Anche la piccola ricevette la sua caramella e, contenta, ritornò al fianco del fratellino per afferrargli la mano.
‹‹Quanti anni hanno?›› domandò il modello sempre più curioso.
‹‹Ne hanno da poco compiuti sei›› rispose la giovane moglie di Akashi, il quale stava per aggiungere qualcosa, ma fu frenato dal suono del campanello.
Il volto di Kise s’illuminò, poi andò ad aprire la porta allegramente, seguito a ruota dalla bambina curiosa.
‹‹Yo!››
Aomine si affacciò all’uscio di casa con un braccio poggiato allo stipite della porta ed il solito sorriso furbo stampato in viso.
Kise gli si gettò al collo come aveva fatto poco prima con Akashi, facendolo indietreggiare di qualche passo.
Momoi, dietro di loro, rise apertamente nel notare i due amiconi così affiatati proprio come un tempo.
‹‹Kise, che diavolo stai facendo? Togliti immediatamente di dosso prima che ti appenda al muro!››
Il modello si separò dal migliore amico visibilmente irritato e lo fissò con sguardo imbronciato.
L’altro, proprio come se fosse tornato adolescente, si limitò a rivolgergli una smorfia disgustata prima di oltrepassarlo per potersi sfilare le scarpe ed indossare le pantofole.
Kasamatsu alzò gli occhi al cielo. Suo marito aveva trentaquattro anni, ma era sin da quando lo aveva conosciuto che ne dimostrava cinque al massimo.
‹‹Non sei contento di vedermi, Aomine-cchi?›› domandò Kise rattristato.
‹‹Avrei volentieri fatto a meno di venire, ma lei ci teneva tanto a vederti…››
Aomine indicò con un dito la moglie dietro di lui che attendeva sorridente di entrare in casa.
Il volto del biondo si aprì in uno smagliante sorriso. Come dimenticatosi improvvisamente del migliore amico, lo ignorò del tutto per andare ad abbracciare la bellissima ex manager della Generazione dei miracoli, avvolgendola con le muscolose braccia e sollevandola un po’ da terra.
La donna ricambiò il caloroso abbraccio ridendo di cuore, sinceramente felice di poter rivedere i suoi incredibili amici.
‹‹Sei bellissima proprio come un tempo!›› si complimentò l’uomo, osservandola in tutto il suo splendore ed accarezzando il pancione ormai visibile.
‹‹Allora, quando nascerà la mia meravigliosa nipotina?››
‹‹Tsk, non sei suo zio!›› protestò Aomine.
‹‹Dai-chan non essere così scontroso con lui, dopotutto vi conoscete da talmente tanto tempo.. Inoltre non sei stato tu a dirmi di volerlo come padrino per Shiori?›› lo provocò appositamente, entrando in casa e chiudendosi la porta alle spalle.
L’uomo sbuffò contrariato, incrociando le braccia al petto e voltando il capo dal lato opposto a quello dei due per evitare che notassero il suo palese imbarazzo.
Tutti nella stanza scoppiarono improvvisamente a ridere.
‹‹Ryouta non è l’unico a non essere cambiato per niente, Daiki!››
Akashi si fece avanti porgendogli la mano che Aomine strinse prontamente, leggermente sorpreso.
‹‹Anche tu sembri lo stesso, in verità.››
I due si fissarono in silenzio per alcuni secondi. Nei loro occhi scorsero tutte le immagini dell’adolescenza trascorsa insieme ed un senso di nostalgia li scosse, costringendoli a sorridersi appena vicendevolmente.
‹‹E Satsuki, questa volta devo dar ragione a Ryouta, sei sempre bellissima! Non sapevo della tua gravidanza, tanti auguri!››
Momoi arrossì, poi fece qualche passo per andare ad abbracciare l’uomo che le si era appena rivolto con tanta garbatezza.
Sentì le lacrime premere per uscire attraverso le palpebre serrate, sinceramente commossa, ma prese un bel respiro e si vietò di piangere almeno fino all’arrivo di tutti.
‹‹E io non avevo idea che tu avessi dei figli. Ti somigliano davvero tanto!›› commentò una volta dopo aver notato i due gemelli che osservavano tutto silenziosamente.
Akashi ridacchio grattandosi la nuca con leggero imbarazzo.
‹‹Già, non sei la prima ad avermelo fatto notare. Lasciate che vi presenti mia moglie Eiko…››
Mise un braccio attorno ai fianchi della giovane donna sorridente, invogliandola ad avanzare di qualche passo per presentarsi. Sia Momoi che Aomine furono felici di fare la sua conoscenza.
I presenti chiacchierarono per un po’ di minuti, ridendo e ricordando alcuni aneddoti imbarazzanti su Kise alle prime armi con la pallavolo, fino a quando il campanello non bussò ancora silenziando tutti.
‹‹È permesso?››
Midorima si sistemò meglio gli occhiali sul naso, spingendoli più in su con l’indice ed il pollice. Fissava Kise con il suo solito sguardo serio e fra le braccia aveva un simpatico bambino sorridente dai capelli castani. Al suo fianco Takao stava salutando tutti con un gesto della mano ed un’espressione cordiale.
‹‹Midorima-cchi!››
Kise fece per gettargli le braccia al collo come suo solito, ma l’uomo sfruttò al meglio i suo ottimi riflessi, scansandosi appena in tempo e facendo finire il malcapitato proprio addosso a Takao, che indietreggiò di qualche passo colto di sorpresa.
‹‹Non provarci nemmeno!››
Midorima svolse la stessa operazione fatta dagli altri prima di entrare, poi una volta infilate le pantofole calde si avvicinò al gruppo degli ospiti che nel frattempo si era riunito attorno ad uno dei tanti tavoli e stava fissando i nuovi arrivati.
‹‹Anche tu con un marmocchio alle calcagna, eh?›› esordì Aomine con un ghigno divertito dipinto sul volto.
Midorima si sedette sul pavimento proprio come gli altri, incrociando le gambe e posizionando Satoshi esattamente al centro. 
‹‹È il mio portafortuna del giorno a quanto pare…››
Il bambino tentò di arrampicarsi sul tavolo per poter afferrare un rotolo di sushi, ma Midorima lo bloccò tenendogli ferme entrambe le manine. Il piccolo allora si lamentò con degli urletti piuttosto acuti, ma l’uomo non mollò la presa fino a che egli non ci rinunciò del tutto, posando sconfitto la testolina sul petto del padre.
Nel frattempo Takao aveva raggiunto il marito e, dopo aver salutato nuovamente tutti, gli si sedette affianco, accarezzando la guancia paffuta del loro unico figlio.
‹‹Non ti facevo un tipo da bambini›› commentò Kasamatsu sinceramente colpito, sorridendo al piccolo Satoshi imbronciato.
‹‹Nemmeno io per quanto riguarda te›› rispose prontamente il chirurgo, indicando Kise che li stava raggiungendo.
Tutti risero, ad eccezione del diretto interessato.
‹‹Ehi!›› si lamentò mettendo su il solito broncio.
‹‹Wow, siete identici!››
Momoi indicò prima Kise, poi Satoshi facendo esplodere tutti in una risata comune ancora una volta.
‹‹Aomine-kun anche tu ti sei finalmente deciso, eh?››
Takao indicò sua moglie seduta affianco a lui, congratulandosi subito dopo con entrambi.
Aomine apparve piuttosto orgoglioso, per quanto non volle darlo a vedere, ma la moglie lo conosceva fin troppo bene ed i suoi vecchi compagni non erano da meno, per cui improvvisamente divenne lui oggetto delle prese in giro dei presenti.
‹‹Ho sentito dire che sei un dottore di successo, ora›› si rivolse a Midorima con sincera ammirazione. Tutti avevano sempre apprezzato la sua intelligenza fuori dal comune, che nonostante il carattere burbero e distaccato aveva sempre messo a disposizione per aiutare, per cui nessuno si sorprese realmente nell’apprendere la notizia.
Egli annuì accennando un sorriso soddisfatto e stringendosi nelle spalle. Takao seppe che si trovava in imbarazzo sotto l’attenzione di tutti e rise sotto i baffi. Gli sfiorò con la mano un ginocchio, ben attento che nessuno riuscisse a notarlo, facendolo irrigidire sul posto e costringendolo a tossire nervosamente più volte.
‹‹G-già, ora è questa la mia professione, mentre Takao è un personal trainer›› precisò.
‹‹Quindi voi siete…››
Akashi non finì la frase temendo di essere stato troppo invasivo.
‹‹Siamo sposati, sì!›› continuò Takao sorridente.
Kise batté le mani soddisfatto.
‹‹L’ho sempre sospettato, sapete? Il nostro Midorima-cchi all’apparenza freddo e insensibile è un tenero romanticone. Dico forse il falso?››
Di tutta risposta, l’ex miglior tiratore di triple dagli strambi capelli verdi gli rivolse un “affettuosissimo” ‹‹muori!››.
‹‹Oh Kise-kun, credo proprio che il nostro Midorima-kun sia esattamente come dimostra di essere›› rivelò Momoi, sorridendo dolcemente al chirurgo che ancora una volta s’irrigidì per l’inaspettata tenerezza con cui l’ex manager gli si era rivolta. Preferì rimanere in silenzio questa volta, sperando che l’attenzione si spostasse da lui a qualcun altro.
La fortuna fu dalla sua parte, perché qualcuno spalancò la porta d’ingresso facendo voltare i presenti.
‹‹Ai! La porta era aperta…››
Murasakibara entrò in casa, preferendo rimanere scalzo dopo aver notato l’unico paio di pantofole rimaste disponibili per lasciarle ad Himuro, il quale entrò subito dopo di lui.
‹‹Con permesso!››
Kise si alzò per andare a stritolare l’ex difensore alto più di due metri, che rimase impassibilmente annoiato.
‹‹Dov’è il cibo, Kise-chin?›› gli domandò con lo sguardo alla ricerca.
Midorima e Akashi scossero in sincrono la testa, mentre Aomine si trattenne a stento dal ridere.
Murasakibara, proprio come tutti gli altri, non era affatto cambiato eccetto che per gli inevitabili segni dell’età che avanzava.
‹‹Comportati bene, Atsushi-kun!›› lo rimproverò Himuro, inchinandosi appena difronte al padrone di casa in segno di scuse.
Kise batté un paio di volte sulla sua spalla, sorridendogli cordialmente.
‹‹Tranquillo, ci sono abituato. Murasakibara-cchi, va’ a sederti a quel tavolo prima che gli altri si finiscano tutto!›› lo incentivò poi.
Il gigante inespressivo si avviò con lentezza, sedendosi al fianco di Midorima e allungando una mano per afferrare un pacco di patatine ancora chiuso.
‹‹Abbiamo fatto una torta in occasione della rimpatriata›› annunciò Himuro, mostrando a Kise una scatola con impresso il nome della loro pasticceria.
A quest’ultimo si illuminarono gli occhi. Ringraziò entrambi per il pensiero, prima di afferrarla per andare a riporla nel frigorifero.
‹‹E così sei diventato un pasticcere, Atsushi?›› gli domandò Akashi, attirando la sua completa attenzione.
‹‹Mmm… più o meno›› rispose egli, riempiendosi la bocca di patatine.
‹‹Papà, lui fa paura!››
Il piccolo Akihiko, che fin’ora se n’era stato in silenzio, scosse la manica della camicia di Akashi richiedendo la sua attenzione e fissando Murasakibara di sottecchi con le lacrime che minacciavano di scendere da un momento all’altro.
Aomine rise apertamente dando un pugno sulla spalla del compagno dai capelli lilla.
‹‹Ehi smettila di fare quella faccia, spaventi i bambini!››
‹‹Questa è la mia faccia, Mine-chin…››
‹‹Atsushi è una brava persona, piccolo. Non temere!›› Akashi tentò di rassicurare il figlio, ma fu tutto vano. Akihiko gli si arrampicò in braccio, nascondendo il viso nell’incavo fra il collo e la spalla.
‹‹A me non fa paura!›› annunciò la sua gemella, alzandosi dal posto affianco alla mamma e camminando impettita sino a ritrovarsi di fianco all’uomo spaventosamente alto, che ostinato continuava a mangiare in silenzio la busta delle sue patatine.
‹‹Cosa vuoi fare questa volta, Yoshi?›› si lamentò la donna, scuotendo la testa esasperata.
‹‹Tu!›› lo chiamò la bambina, puntandole un indice paffuto contro.
Murasakibara continuò ad ignorarla completamente con il solo risultato di renderla ancora più nervosa.
‹‹Voglio un po’ di quelle patatine!›› continuò lei impettita, tentando di afferrargli la busta.
Murasakibara smise di mangiare, aprendo il palmo della grande mano e avvicinandolo sino ad un soffio dal piccolo viso della figlia di Akashi, che rimase assolutamente impassibile.
‹‹Non condividerò mai le mie patatine con un moscerino!›› sentenziò lui con tono intimidatorio, ritornando poi a mangiare.
Yoshiko fece qualche passo in avanti e Midorima riconobbe nel suo sguardo quello dell’imperatore. Per un attimo temette che se Murasakibara fosse stato in piedi, guardandola negli occhi egli avrebbe poi ceduto, cadendo rovinosamente a terra proprio come la vecchia arma di Akashi sul campo da basket: l’emperor eye.
L’omone incrociò i suoi occhi ed immediatamente un senso di inadeguatezza lo invase del tutto, facendolo persino smettere di masticare.
Aomine e Kise  si fissarono ridendo sotto i baffi.
‹‹Ho detto che voglio un po’ di quelle patatine!›› ripeté la bambina e questa volta Murasakibara si costrinse ad accettare, passandogli la busta.
Yoshiko tornò allegra e sorridente. Si arrampicò sulle gambe dell’uomo, sedendovisi sopra con noncuranza ed afferrò la busta ancora colma, condividendo il cibo con lui.
‹‹Però, che caratterino!›› commento un divertito Takao, mentre Midorima faceva di tutto per tenere lontano da Murasakibara Satoshi, che avendo visto la bambina volle immediatamente imitarla ed arrampicarsi su di lui.
‹‹Chiedo scusa, io e mio marito le abbiamo provate tutte, ma il carattere di Yoshi è sempre stato questo. Però vi posso assicurare che non è una bambina cattiva!››
‹‹Ha sicuramente ereditato il temperamento più severo di suo padre, come suggerisce il colore dei suoi occhi›› ipotizzò Midorima, lasciando pazientemente che Satoshi giocasse con la manica della sua maglia. Fingendo che non gli importasse il fatto di averla stirata quella mattina stessa appositamente per l’occasione.
‹‹Anche il tuo marmocchio non scherza affatto!››
Aomine indicò il piccolo che si divertiva così tanto ad innervosire il padre.
‹‹La bestiola rumorosa è la mia piaga…››
Takao rise, afferrando il bambino per i fianchi e lasciandolo andare dalle braccia del padre.
Satoshi, finalmente libero gattonò un po’ in giro. Sapeva camminare, ma era piuttosto pigro per farlo, quindi preferiva muoversi sfruttando tutti e quattro gli arti.
Camminò per la casa, prima di fermarsi esattamente di fronte a Kasamatsu, il quale lo fissava con una certa diffidenza.
Il piccolo allungò le braccia nella sua direzione e Kise scoppiò a ridere così forte che il suono della sua voce rimbombò per tutta la stanza.
‹‹Senpai, vuole che tu lo prenda in braccio›› lo provocò.
‹‹Taci idiota, lo so perfettamente!›› ribatté quest’ultimo, allungando le mani verso Satoshi e portandoselo in grembo.  Il bambino lo guardò con curiosità per alcuni secondi, prima di accoccolarsi comodamente al suo petto.
‹‹In realtà non gli piace sentirsi in gabbia, semplicemente›› fece notare Takao, avvicinandosi ad un Midorima apparentemente impassibile e posandogli una mano sulla spalla.
‹‹Sei un bravo papà!›› gli sussurrò facendo in modo che nessuno lo sentisse, rassicurandolo, leggendo nei suoi occhi la paura di non essere abbastanza per suo figlio o di stare sbagliando qualcosa.
Egli scrollò le spalle fintamente indifferente.
‹‹Mi comporto come ci si comporta da padri!››
Kise, dal canto suo, stava fissando suo marito con in braccio il bambino che di tanto in tanto accarezzava sul viso. Era un po’ impacciato, ma dolce e attento.
Immaginò improvvisamente come sarebbe stato avere un pargoletto tutto loro di cui prendersi cura ed il suo volto si intenerì.
‹‹Perché non pensate ad un bambino anche voi?›› domandò allegramente Momoi, la quale aveva notato il cambiamento nell’espressione di Kise e si era automaticamente sfiorata il pancione in ricordo di quando aveva espresso al suo bel marito il desiderio di volere un figlio.
Kasamatsu sollevò di scatto la testa, sorpreso.
‹‹In realtà noi abbiamo una bambina…›› dichiarò Kise, sorridendo al marito.
Tutti furono sorpresi dalla notizia.
Il modello tirò fuori il suo cellulare, mostrando la foto sul display di una bambina dalla pelle piuttosto scura, i capelli neri raccolti in una coda scompigliata e due occhi del medesimo colore, che fissavano lo schermo sorridenti.
‹‹Si chiama Rayen ed è indiana. L’abbiamo adottata a distanza. Ha otto anni ed ogni mese le inviamo dei soldi affinché possa continuare a vivere con la sua famiglia, ma in modo migliore. L’abbiamo incontrata due volte ed è la bambina più adorabile di questo mondo. Le abbiamo voluto bene sin da subito!›› spiegò ai presenti, lasciando che tutti potessero vedere uno dei suoi motivi di orgoglio più grandi.
‹‹È molto bella!›› commentò Eiko con tenerezza, trovandosi immediatamente d’accordo con Momoi e tutti i presenti.
‹‹La mia nipotina cresce a vista d’occhio!›› lo prese in giro Aomine, dandogli una pacca sulla schiena e facendolo ridacchiare.
‹‹Manca ancora Kuro-chin!›› esordì Murasakibara, cambiando discorso.
‹‹Hai invitato persino Tetsu-kun?›› domandò il migliore amico di Kise, visibilmente più felice, con un sorriso sincero che non tradiva l’emozione di rivedere uno dei suoi ex compagni di squadra più stretti.
Il modello annuì fieramente, poi guardò l’ora sul suo orologio con tristezza.
‹‹Aveva detto che sarebbe tornato in anticipo dall’America per essere presente oggi… Spero ce la faccia!›› commentò più a sé stesso che al resto del gruppo.
Neanche ad averlo fatto di proposito, il campanello bussò per l’ultima volta quel giorno.
Tutti si fissarono per qualche istante senza sapere esattamente cosa fare, poi quattro dei cinque ex giocatori si alzarono in sincrono e andarono ad aprire la porta.
Kuroko non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca, poiché si ritrovò investito da tanti corpi e braccia che tentavano di stritolarlo e trascinarlo dentro.
‹‹Kuroko-cchi!›› urlò felice Kise, che era riuscito ad abbracciarlo.
‹‹R-ragazzi, da quanto tempo!››
‹‹Kuro-chin, allora era vero che saresti venuto!›› esclamò un Murasakibara stranamente felice, al punto da aver lasciato l’intero pacco di patatine a Yoshiko senza curarsene.
‹‹Dannazione, lasciatemi entrare!›› la voce di Kagami tuonò oltre il trambusto, ma venne totalmente ignorata.
‹‹Tetsu-kun, giochi nell’NBA, dove diavolo sono i tuoi muscoli?›› domandò sarcasticamente Aomine, sorridendogli con affetto e scompigliandoli i capelli celesti.
Kuroko sorrise timidamente, grattandosi la nuca con un leggero imbarazzo.
‹‹Aomine maledetto, mi hai pestato volontariamente un piede, non è vero?›› Kagami, dolorante, riuscì in qualche modo a sbucare fuori dalla matassa di corpi fitta come la tela di un ragno, liberandosi a fatica.
Midorima, che era l’unico a non essersi mosso dal suo posto, lo fissò con curiosità, tentando di capire cosa fosse cambiato nel suo aspetto fisico rispetto ai tempi del liceo.
Kagami incontrò il suo sguardo e lo salutò con un cenno del capo. Il famoso chirurgo ricambiò con lo stesso gesto, riprendendo poi a mangiare in silenzio il suo barattolo di fagioli.
Murasakibara si separò dal gruppo per andare ad osservare l’altro ex campione della Seirin da vicino.
Si chinò sino ad arrivare ad un palmo dal suo viso e, senza nemmeno pensarci, strappò alcuni peli delle bizzarre sopracciglia di Kagami, che si piegò in due per il dolore.
‹‹Ne hai ancora quattro!››
Tutti smisero di concentrarsi su Kuroko per osservare la scena e scoppiare a ridere.
‹‹Devi smetterla di farlo ogni volta che ci incontriamo, maledizione!››
‹‹Yo, Kagami!››
Aomine incrociò le braccia al petto, fissando il ragazzo dai capelli rosso scuro con aria di sfida. Quest’ultimo si ricompose, irrigidendo tutto il suo corpo e puntando il suo sguardo fiero in quello di lui.
‹‹Yo!››
‹‹Ragazzi, non cominciate…›› si lamentò Momoi, che nel frattempo si era alzata per andare a salutare Kuroko.
‹‹Certe cose non cambiano mai…›› commentò Himuro divertito.
Kagami, nel sentire la sua voce si voltò di scatto, sorridendo appena riconobbe colui che considerava sua fratello e modificando l’espressione del volto.
I due si diedero un cinque affettuoso, perdendosi poi in chiacchiere, mentre Kuroko veniva investito dalle attenzioni di tutti.
Si sedettero attorno al tavolo imbandito e, dopo aver ringraziato per il cibo cominciarono finalmente tutti ad abbuffarsi.
Kagami ed Aominesi sfidarono su chi avesse mangiato di più fra i due, ritornando improvvisamente adolescenti e facendo divertire i presenti quando, giunti al termine della sfida conclusasi con un pareggio, entrambi furono talmente pieni da non riuscire nemmeno a muoversi.
Kuroko rispose pazientemente a tutte le domande di Kise, il quale si rivelò molto curioso in merito a come si trovava in America, in un paese totalmente diverso a quello in cui era stato abituato a vivere, e com’era il resto della squadra nel quale sia lui che Kagami giocavano.
Tutti loro avevano seguito il campionato di basket americano sin da quando i due erano stati chiamati per divenire giocatori ufficiali di una delle più importanti squadre dell’NBA.
Il loro modo di giocare era migliorato visibilmente. Oramai erano professionisti, ma Kuroko continuava ad essere l’uomo fantasma, con i suoi passaggi invisibili per lo più indirizzati a Kagami, che aveva finalmente raggiunto il suo sogno di divenire un grandioso giocatore di basket, dopo tanti anni, e di essere ricordato per questo.
Nemmeno nel loro rapporto pareva essere cambiato nulla e questo l’aveva notato più di chiunque altro Momoi, la quale li osservava parlare, e a volte bisticciare, sin dal loro arrivo con un sorriso.
Persino Midorima e Murasakibara si erano interessati alla loro esperienza, domandando di tutte le squadre che dovevano affrontare ogni giorno, dei livelli elevati dei giocatori occidentali e delle loro abitudini, tentando di estorcere loro qualche segreto che però non giunse mai.
Akashi, dal canto suo, osservava la sua vecchia squadra come un capitano fiero dei loro compagni e di ciò che erano divenuti.
Strinse a sé la giovane moglie di soli ventotto anni, invitandola a guardare tutti i suoi amici di allora e di adesso con lo stesso orgoglio che sentiva nascere lui al centro del petto.
Se ne stava silenzioso in un angolo del tavolo, parlando solamente quando veniva interpellato, mentre tutti gli altri chiacchieravano e mangiavano allegramente.
Chiuse per un momento gli occhi, immaginando di giocare un ultima partita assieme a loro per poter riprovare la stessa, meravigliosa, sensazione di libertà.
Quando li riaprì, la sua bambina si trovava sulle ginocchia di Kagami e lo osservava curiosamente mentre lui tentava di mantenere le distanze il più possibile.
‹‹Per caso anche voi siete sposati?›› domandò infine.
Aomine sputò l’acqua che aveva appena bevuto sul viso di Kise, che si congelò sul posto, scoppiando a ridere rumorosamente assieme agli altri.
Midorima osservò il volto di Kuroko divenire paonazzo per la vergogna, ringraziando la fortuna per non essere al suo posto. Con la scusa di sistemarsi gli occhiali ghignò silenziosamente sotto i baffi.
Kasamatsu lanciò un fazzoletto di pezza al marito, che in quel momento si stava lamentando come un bambino, attento a non svegliare il piccolo Satoshi, il quale aveva ceduto al sonno solamente da poco.
‹‹N-no mostriciattolo, non siamo affatto sposati!›› rispose Kagami, tentando di ritrovare quel che era rimasto del suo orgoglio per riuscire a risponderle.
Aomine gli diede una forte pacca sulla spalla continuando a ridere.
‹‹Sarebbe anche ora che lo faceste, Bakagami! Io e Momoi, Takao e Midorima, Kise e Kasamatsu, Akashi ed Eiko siamo tutti felicemente sposati. Inoltre nessuno di noi ha il terrore di dire in giro chi amiamo...››
‹‹Io non ho il terrore di dire in giro che amo Kuroko, Aomine bast…››
‹‹Kagami-kun!›› Kuroko, sempre più imbarazzato, richiamo il suo compagno di una vita, facendogli notare di aver appena detto di amarlo ad alta voce.
Kagami si impietrì e non reagì nemmeno alle prese in giro di Aomine, fissando il volto arrossato, ma felice di Kuroko al suo fianco, che sorrideva appena.
‹‹Andiamo ragazzi, date loro un attimo di tregua! E tu Dai-chan, smettila di prendere in giro Kagami-kun, perché ti ricordo che qualche anno fa ti comportavi alla stessa maniera con me›› rivelò Momoi, facendo immediatamente zittire il marito che arrossì leggermente.
Kise, che stava ancora ripulendosi il volto, ridacchiò prima di rivolgersi a tutti i presenti.
‹‹Grazie per aver partecipato a questa rimpatriata, ragazzi. Mi avete reso felice!››
E, così dicendo, alzò al cielo il suo bicchiere colmo di vino bianco.
L’ex manager liberò finalmente le lacrime di gioia che tratteneva da troppo tempo, mentre tutti gli altri alzarono a loro volta i propri bicchieri, ringraziando il padrone di casa.
 
Il resto della festa trascorse tranquillamente, in totale felicità.
Murasakibara e Yoshiko litigavano ancora fra loro su chi dovesse mangiare tutti i dolci, Aomine e Kagami si erano sfidati almeno in un’altra ventina di infantili gare, Akashi e Midorima avevano giocato tre partite di Shogi, al quale Takao aveva fatto da arbitro. Eiko e Momoi avevano invece stretto amicizia, parlando del più e del meno assieme a Kasamatsu, il quale si era sentito stranamente a proprio agio e non aveva mai lasciato andare Satoshi. Kise aveva tentato per tutto il tempo di mettere a proprio agio il piccolo Akihiko con l’aiuto di Himuro. Solo verso la fine i due avevano scoperto quanto al bambino piacesse disegnare e tutti e tre avevano riempito il tavolo di fogli ed avevano disegnato qualunque cosa passasse loro per la testa.
La festa era trascorsa serenamente come Kise si era aspettato e per tutti era giunta l’ora di andarsene assieme al calar della sera.
Gli ospiti erano ormai esausti ed anche i due gemelli si erano addormentati sul divano da qualche ora, oramai, lasciando gli adulti a chiacchierare fra loro.
‹‹Prima di salutarci, però, vorrei che qualcuno di voi scattasse una foto a noi, gli immortali giocatori della Generazione dei miracoli!›› pregò un sorridente Kise, porgendo la fotocamera a Kasamatsu, Momoi, Eiko, Kagami, Himuro o Takao… Sperando che qualcuno accettasse.
‹‹Sei sempre il solito sentimentale!›› commentò Aomine, andando a posizionarsi al fianco di Kuroko.
‹‹Devo proprio, Kise-chin?›› questa volta fu Murasakibara a lamentarsi.
‹‹Sbrighiamoci o non ci lascerà andare…›› fu la conclusione finale di Midorima.
Akashi si posizionò accanto a Kuroko, mentre Midorima e Murasakibara si sistemarono dietro i tre.
Fu Takao ad afferrare la fotocamera, contento.
Kise lo ringraziò e si affiancò ad Aomine.
‹‹Bene ragazzi, urlate Kiseki no sedai e sorridete!››
 

 
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Fine.
  
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