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Autore: Marne    28/02/2016    1 recensioni
A Daphne Greengrass era stato promesso un trono da Regina, ma quel trono era stato inghiottito da una vittoria che, per lei, rappresentava soltanto l'ennesima beffa del destino.
Un'ultima danza era tutto ciò che le restava, una passerella fra le ombre che l'avevano accompagnata per tutta la vita.
La danza delle sue nozze, cui Blaise aveva partecipato senza saperlo.
Dal testo:
La sentì giungere lentamente, come una carezza sulla pelle un tempo di porcellana. Le sfiorò le gambe, le braccia, le baciò gli occhi e le labbra, posandosi, infine sul suo petto.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Mirror Universe'
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La sposa vestiva di nero nel giorno delle sue nozze, bardata di colpa e dolore

 

Danse Macabre.

 

 

La sposa vestiva di nero nel giorno delle sue nozze, bardata di colpa e dolore.

Il suo velo era intessuto di bugie, ai piedi calzava le speranze tradite di un mondo perduto. Il suo bouquet erano fiori di sangue, il rosso cremisi le macchiava il petto come se il suo cuore avesse deciso di piangere via la vita.

E lacrima dopo lacrima, il meschino lamento della realtà riempiva le orecchie di coloro che avevano creduto ed avevano perduto.

Le era stata promessa una vita da fiaba, le avevano detto che sarebbe stata regina.

Cos’era rimasto?

L’orologio batté l’ora per dodici volte, quando la sposa uscì dalla sua camera da nubile, lasciandosi alle spalle i giochi ed i diletti degli anni spensierati, quando la luce splendeva sui suoi capelli d’oro e le canzoni d’amore avevano accarezzato la sua pelle di pesca.

Il cielo era buio.

Buie erano le stanze della casa che aveva accolto i suoi passi di bambina, silenziosi i saloni in cui si era consumata la bellezza effimera di una bugia durata troppo a lungo.

La sposa camminava, nella quiete e nel buio, senza lasciare che i suoi pensieri infrangessero il silenzio di quelle mura senza vita.

Non c’era uomo o donna, eppure le anime attendevano il suo arrivo. Gli invitati a quella cerimonia dell’assurdo aspettavano di festeggiare con lei, la attendevano a braccia aperte nel buio delle ombre.

Attendevano la regina del loro mondo, che doveva morire com’era morto il suo sogno.

C’era silenzio, eppure la sposa sentiva i loro sussurri eccitati, agitati, bloccati in quel limbo fra la realtà e la fantasia che li aveva ospitati quando ancora i loro corpi non si erano dissolti nell’Oscurità e le bugie profumavano di un’ostentata verità.

Non c’era musica, per la sposa vestita in nero. C’erano solo le voci. Nessuno avrebbe applaudito per lei, l’ansia per il suo arrivo non avrebbe fatto tremare alcuno sposo.

Ci sarebbe stata soltanto la perfezione del silenzio. La perfezione di un’attesa macchiata di morte, di una empasse fra l’esistenza e l’assenza, l’attesa fra due battiti del cuore, fra due respiri silenziosi, una cicatrice nel perfetto tumulto della realtà viva, cui la sposa non desiderava più appartenere.

Una cicatrice.

Imperfezione nella realtà che non le apparteneva. Il desiderio di perire come il mondo che aveva tanto amato. Il mondo che la Luce aveva distrutto.

Ma lei era una sposa del buio, niente avrebbe mai saziato quella ferita nel suo petto, in cui i sogni e le speranze infrante avevano trovato giaciglio, alimentate dalla fredda benevolenza  di ciò che non era mai stato davvero e che non sarebbe stato più.

Una cicatrice nella realtà, ecco cos’era lei. Una cicatrice nel volto perfetto della vittoria, un’imperfezione che non poteva essere perdonata.

La sposa era il prezzo che la Tenebra aveva pagato per quel dominio di bugie e ricatti, il frutto di un amore malato, deviato, che di reale non aveva nulla e che non poteva trovare requie nell’ovattato mondo della fantasia.

Frutto di una società finita, non si sarebbe mai adeguata, non si sarebbe mai rassegnata.

Una cicatrice che la perfezione non poteva tollerare. Un errore che doveva essere pagato ed eliminato, affinché la bellezza potesse trionfare com’era suo destino.

Il destino scritto dal vincitore, l’unico capace di distinguere la verità dall’illusione. L’unico capace di indicare ed accusare le imperfezioni, le cicatrici, per il loro essere diversi, per il loro credere nell’incanto delle ombre che mai più avrebbero potuto attraversare il suo mondo.

Ma lei era una sposa di Tenebra ed in essa doveva ritornare, così che la cicatrice potesse diventare perfezione e la perfezione cicatrice, così che sogno ed illusione potessero fondersi e diventare nuova realtà, nuovo sospiro di vita per un corpo che la vita aveva smesso di conoscerla.

Non ci sarebbe stato lo sposo, al matrimonio. Non ci sarebbero stati voti nuziali né balli.

La sposa avrebbe brindato dal calice del suo mondo perduto, abbracciando quell’eternità che, finalmente, avrebbe fatto risplendere le ombre sui suoi capelli d’oro.

Bastò un sorso.

Si stese sul suo giaciglio nuziale, attendendo la sua sposa.

La sentì giungere lentamente, come una carezza sulla pelle un tempo di porcellana. Le sfiorò le gambe, le braccia, le baciò gli occhi e le labbra, posandosi, infine sul suo petto.

La giovane dai lunghi capelli d’ebano fu la prima a scorgere le spose nel loro manto di nera perfezione. Urlò, chiamò affinché qualcuno fermasse quello scempio che la Luce mai avrebbe voluto toccare.

Ma la sposa vestita in nero aveva abbracciato la Perfetta Eternità e nessuna cicatrice avrebbe più deturpato il candore perfetto di quel mondo che per sempre le sarebbe appartenuto.

 

***

 

Suicidio in Cornovaglia. Giovane Strega trovata morta nella casa dei genitori.

 

Daphne Greengrass, 20 anni, è stata trovata morta dalla sorella minore questa mattina all’alba nella sua camera. Stando ai primi accertamenti, sembra che Miss Greengrass abbia assunto del veleno dopo aver atteso che i familiari andassero a dormire.

Gli Auror escludono la pista dell’omicidio, la famiglia Greengrass ha confermato che la giovane soffrisse da ormai due anni di una forma estremamente acuta di depressione. Ulteriori aggiornamenti a pagina 7.

 

Blaise Zabini non era mai stato dotato di grande fede.

Non credeva in alcuna divinità, non credeva nella missione del Signore Oscuro, non credeva che esistesse qualcuno la cui vita avrebbe mai potuto interessargli al punto da pregiudicare la propria.

Semplicemente, Blaise credeva soltanto in se stesso e tanto gli era bastato.

Almeno fino a quel momento.

Aveva abbandonato il giornale dopo aver letto la notizia. Draco lo aveva avvisato, gli aveva detto di non aprire il Profeta finché non l’avesse raggiunto. Draco aveva tentato di fare la cosa giusta, come si era ripromesso quando la Guerra era finita.

E fare la cosa giusta comprendeva salvare il suo vecchio amico dalla verità.

Quella mattina, la Gazzetta era stata consegnata da un corvo. Il frullare d’ali era subito apparso insolito alle orecchie dell’uomo, troppo impegnato nel proprio lavoro per voltarsi a verificare. Era stato il gracchiare impaziente a richiamarlo, un attimo prima che la creatura spiccasse un balzo per atterrare dinnanzi a lui, proprio sul calderone in cui giaceva ancora qualche rimasuglio della pozione.

Ali oscure, oscure parole.

Sua nonna era solita dirlo, commentando l’abitudine degli Impresari funebri di spedire le loro missive con certi uccelli. Lui aveva sempre riso, sostenendo che fosse semplicemente una scelta di cattivo gusto di uomini che vivevano di un mestiere che molti avrebbero rifiutato.

In quel momento, una volta saputo, Blaise si rese conto di essere lui stesso un corvo.

Portatore di oscure novità, pur senza saperlo.

Era una scusante, la sua ignoranza? Avrebbe potuto davvero invocare quella giustificazione, una volta che l’universo l’avesse chiamato a sé per esigere il prezzo di quella giovane vita che aveva collaborato a far perire?

Era colpa sua.

Il sapore dell’assenzio lo disgustò al punto che dovette reggersi al tavolo da lavoro per non cedere alla nausea.

Il  ricordo di Daphne, proprio dove si trovava lui in quel momento, era freschissimo nella sua mente. Era arrivata di corsa, scavalcando gli elfi domestici e spalancando la porta come se fosse stata a casa sua.

I modi da regina del mondo che non aveva mai perso -  nonostante quel mondo che avrebbe voluto governare fosse svanito nel nulla – lo avevano irritato al punto da non fargli neppure chiedere perché fosse tanto sconvolta.

Ah! Quell’ombra, vicina alla porta… sembrava la stessa che lei aveva proiettato sul muro, mentre lo supplicava di aiutarla un’ultima volta. E l’altra, vicina al tavolo… non era la stessa che Daphne, furiosa, aveva proiettato dopo aver lanciato per terra il suo ricettario?

La nausea tornò così prepotente da farlo barcollare ancora una volta.

Si stavano avvicinando, andavano a prenderlo. Danzavano macabre verso di lui, strisciando lungo le pareti ed il pavimento, arrampicandosi sulle sue gambe e stringendosi intorno al suo collo.

Le ombre lo stavano soffocando, avvolgendo il suo corpo come spire di serpente. Il fuoco nel camino sembrava aver smesso di scoppiettare, le fiamme erano immobili come se qualcuno avesse fermato il tempo. Non si sentiva un rumore, in quel laboratorio che sempre pullulava di vita.

Però c’erano le tenebre, erano silenziose, nel loro lavoro. Agivano indisturbate, camminando su di lui come viscidi vermi giunti per consumare la sua carcassa.

Ma Blaise non era ancora morto. Blaise non voleva morire.

Blaise non era Daphne.

Blaise non è ancora Daphne, ma Blaise potrebbe diventarlo – sibilò una voce nella sua testa. Era una voce fastidiosa, serpentina, sussurrata ad un millimetro dal suo collo sudato. Gli parve quasi di avvertire lo sfiorare di labbra sulla pelle sensibile.

L’uomo si voltò di scatto, troppo velocemente per le sue gambe deboli dallo shock. Cadde in ginocchio, ma non gli importò.

Non c’era nessuno con lui, tanto bastava. Dopotutto, nessuno aveva mai avuto il permesso di entrare nel laboratorio. Nessuno aveva mai osato.

Nessuno, tranne lei. Lei osava sempre, come osavi tu… quanto ci vorrà prima che la sua strada diventi la tua? – chiese nuovamente la voce, sibilando le parole nel suo orecchio, adagiandosi gelidamente contro le sue spalle.

Le ombre si muovevano, agitate, oscurandogli sempre di più la vista. La voce era alle sue spalle, ma lì non c’era nessuno. Sentiva le dita di ghiaccio infilate sotto il colletto della camicia, il respiro fetido gli arrivava alle narici.

Blaise chiuse gli occhi, ritrovandosi a pregare per la prima volta. Pregò per Daphne, per quella sua anima fragile e perduta, costeggiata di troppe cicatrici per poter sperare di essere guarita. Pregò per se stesso, perché la sua anima non si lacerasse troppo a fondo e la colpa non lo divorasse fino a renderlo perduto.

Ma tu lo sei già, non è vero? – la voce colò, gelida, sulla sua schiena, come una colata di lava ghiacciata. L’uomo pensò di fuggire, ma si ritrovò immobilizzato, incapace anche solo di fare un respiro profondo o sbattere le palpebre.

Non puoi fuggire da me, nessuno può!

No, Blaise non poteva fuggire. Si rese conto troppo tardi che l’ombra l’avesse completamente inghiottito, tirandolo verso il suo ventre gelido con dita abili e voce ammaliatrice. Si sentiva stregato, cullato da quella melodia di silenzio e brividi che gli stava mozzando il respiro, togliendogli lentamente la coscienza ed il desiderio di combattere.

Doveva essere stata quella la sensazione che avevano provato i topolini, attirati verso la morte dal Pifferaio. Chiamati da qualcosa di troppo forte e troppo terrificante per poter resistere, si erano lasciati condurre al macello, uno dopo l’altro.

La loro morte era stata buia come sembrava la sua? E Daphne? Anche lei aveva abbracciato l’Oscurità con la calma generata dalla paura?

No, lei aveva accolto l’Ombra. Lei non aveva avuto paura.

Ma Blaise sì. Lui era terrorizzato.

Cosa se ne faceva della sua bellezza, quando il buio rendeva tutti uguali al suo cospetto, nient’altro che anime macchiate di fronte al Giudice dell’Eterno Sonno? 

Il suo terrore aumentò, quando comprese che, per lui, non ci sarebbe stato alcun giudice. Il suo peccato era stato troppo grande, la sua anima si era macchiata troppo in profondità.

Dal cuore dell’ombra che l’aveva inghiottito, emerse una creatura informe, il cui viso era lo specchio del Terrore ed il corpo coperto da una tela d’incubi. E la creatura – quell’essere che aveva puntato i suoi occhi di vuoto su di lui – alzò le braccia, aprendo alle sue spalle l’orrore più grande di tutti, quel vuoto che aveva inghiottito il folle delirio di tutti i peccatori che prima di lui avevano affrontato così duramente la più importante legge della natura.

La morte di un’innocente.

Il corpo della creatura cambiò. Avvolto da fiamme nere, Blaise vide ogni suo arto allungarsi e contrarsi, muscoli guizzare fuori dall’involucro della pelle ed ossa spezzarsi e ricomporsi come se fossero state di creta malleabile.

Davanti a lui, apparve il giudice.

Davanti a lui, rinchiuso in uno specchio dalla cornice fatta di lacrime, sangue e veleno – quello stesso veleno che con tanta facilità era stato regalato, appena il giorno prima! – c’era Blaise Zabini, l’unico che il suo spirito macchiato reputasse all’altezza di giudicarlo.

Giudice di se stesso, non era forse il più alto peccato di vanità, quello?

La sua stessa vista, che tanto spesso lo aveva deliziato, lo ripugnò. C’era sangue sulle sue mani. Sangue che urlava l’innocenza di colei a cui la sua – sì, la sua! Lui, che avrebbe dovuto custodire quell’arma maledetta! – noncuranza aveva portato la morte.

Fissando quegli occhi neri, vuoti, Blaise sentì di aver trovato il verdetto finale.

Una vita per una vita, pena capitale.

Sospinto dalle ombre, fece il primo passo.

Daphne, avrei dovuto aiutarti.

Chiuse gli occhi, facendo il secondo passo.

Avrei dovuto chiederti il perché. Avrei dovuto capire.

Li riaprì, era ormai vicinissimo. Portò la mano alla tasca dei pantaloni, sfilandone il suo fedele coltellino.

Farò ammenda, non temere.

Il suo riflesso nello specchio sorrise. Fu un sorriso malvagio, troppo ampio per poter essere umano, troppo crudele per poter appartenere ad una creatura dotata d’anima.

Fallo” sembrava sfidarlo, immobile con quel suo ghigno diabolico. “Punisciti”.

Fu semplice, in realtà. Bastò puntarsi il coltello alla gola e premere forte.

Non chiuse gli occhi, ma l’oscurità lo inghiottì completamente, mentre il riflesso sanguinava e rideva, rideva e urlava.

Perdonami, Daphne.

 

Si risvegliò in camera sua, delle mani fresche gli accarezzavano i capelli e voci concitate ma gradevoli riempivano la stanza.

Era morto?

«Sarebbe potuto morire» sussurrò una voce di donna, una voce da lui conosciuta e molto amata, mentre le mani sfioravano delicatamente la fasciatura che qualcuno doveva aver fatto al suo collo.

«L’avrebbe meritato, considerando quanto è stato stupido» fu la risposta velenosa di una voce maschile, altrettanto conosciuta ma decisamente meno amata. «Gli avevo detto di aspettarmi».

La donna mormorò qualcosa, stizzita, prima di tornare a concentrarsi su di lui.

«Gli resterà una cicatrice».

«Meritata».

Meritata, sì. L’aveva meritata.

Una cicatrice che, per sempre, gli avrebbe ricordato il suo torto.

Una cicatrice per il sangue che macchiava le sue mani.

Una cicatrice per Daphne.

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

Questa storia partecipa al Contest “Sette Colori” indetto da erzsi sul forum di Efp.

 

Devo ammettere di essere stata abbastanza dal contenuto del pacchetto scelto (non ho intenzione di sbandierarlo, se si capisce bene, altrimenti…) e di aver vagato parecchio con la fantasia, costruendo tutto un mondo intorno a questi due.

Sono la madre di tutte le backstories, è più forte di me.

Probabilmente il fatto che questi personaggi siano ignorati nella saga mi ha ispirata molto, lasciandomi una grande libertà che, però, è anche una grande responsabilità. Diciamo che l’IC per un personaggio a mala pena delineato può essere una condanna.

 

Per essere chiari:

» Blaise e Daphne non stanno insieme e non hanno mai avuto una storia d’amore.

» Daphne doveva essere promessa a Draco – motivo per cui si riteneva regina – ma, con la fine degli scontri, questa promessa viene infranta.

» Blaise è felicemente fidanzato, la mano amorevole che lo accarezza alla fine è quella della sua futura moglie.

 

Il titolo, Danse Macabre, viene dall’omonima composizione di Camille Saint-Saëns, vi lascio un collegamento QUI. L’andamento della musica mi ha ispirata molto, soprattutto per la sezione dedicata a Blaise ed al suo delirio.

 

Grazie a chiunque leggerà e, soprattutto, a chi mi farà sapere un’opinione al riguardo.

A presto,

-Marnie

 

 

   
 
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