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Autore: __Ele__    29/02/2016    8 recensioni
Star city 2020. Oliver e Felicity si sono ritrovati ma le scelte del passato continuano a influenzare il loro presente.
Dal testo: "Perché è da egoisti avere dei figli per farli diventare dei bersagli. Perché se avessi un figlio e dovesse succedere qualcosa non me lo perdonerei mai e Felicity ha già perso abbastanza per colpa di questa vita.”
“E precludervi la possibilità di essere davvero felici sarebbe la scelta più giusta?”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Questa è la prima OS che scrivo in questo fandom e ammetto di avere mille perplessità sul risultato finale.
Lo spunto è arrivato dopo aver visto la 4x15 e i mille dubbi su quello che sarebbe potuto accadere in futuro, soprattutto sotto un particolare punto di vista. La storia ha anche dei chiari riferimenti alla questione della tomba con un risvolto ben diverso da quello che sembra succederà realmente, un po' perchè la storia mi si è formata in mente prima degli ultimi spoiler usciti e un po' perchè ho dovuto fare una scelta strettamente legata a questa trama.
Non vi annoio oltre e spero non vi annoierete nemmeno durante la lettura :P
Buona lettura!

 

Everything I wish
 
Star City. Maggio 2020.
 
Oliver si svegliò nel buio assoluto della stanza e allungò il braccio destro verso l’altra metà del letto, rilassandosi nell’attimo esatto in cui il calore della pelle della donna al suo fianco raggiunse il palmo della sua mano. Sospirò sollevato trasformando quel tocco in una carezza leggera che scese lungo il braccio di Felicity, raggiungendo il polso per poi risalire fino a rafforzare la presa nello sfiorare il profilo della sua clavicola. Le pupille si adattarono all’oscurità poco per volta, aiutandolo a riconoscere la figura di lei, stesa su un fianco e rivolta nella sua direzione, gli occhi chiusi e una strana smorfia in risposta a quel lento sfioramento che si trasformò piano in un sorriso, chiaro segnale di come il sonno la stesse abbandonando.
Una serie di lamenti sconnessi anticiparono le sue parole “Non può essere già mattina. Non voglio un’altra riunione con il consiglio.” Si aggrappò al bordo delle lenzuola preparandosi a tirarle con forza sopra la testa ma Oliver la anticipò bloccandole le mani.
“Tranquilla. – le sussurrò intrecciando le dita con le sue – mancano ore alla sveglia. I membri del consiglio staranno dormendo profondamente.”
La giovane donna parve rilassarsi, quasi ipnotizzata dalla visione della sua mano così piccola racchiusa in quella di Oliver, grande e forte, lasciando il pollice smaltato di rosso libero di tracciare strani ghirigori sulla pelle del suo polso, appena sopra il cinturino dell’orologio.
Rimasero così per alcuni minuti, occupati solo in quel semplice contatto fino a quando Felicity, ormai totalmente sveglia non spalancò completamente gli occhi, fissandoli su Oliver che non aveva smesso di osservarla.
“Ma se è così presto…..- cercò di sistemarsi sul letto sorreggendosi la testa con la mano libera – Che cosa ci fai tu sveglio?”
“Mi ero svegliato solo per un attimo, avevo…..avevo sete. Poi mi sono fermato a guardarti, sei così bella mentre dormi.” Le rispose d’istinto, incapace di confessare realmente quello che aveva provato pochi minuti prima, quella paura irrazionale che lo assaliva ogni volta che la perdeva di vista, vuoi per il sonno o perché gli impegni li costringevano a restare lontani.
“Oliver…..” sussurrò lei stringendo le labbra e lasciando andare la mano di lui “Mi sembrava che avessi promesso: niente più bugie.”
Il tono fermo che riusciva ad assumere nonostante la voce dolce fece rabbrividire Oliver, costringendolo ad abbassare per un attimo lo sguardo prima di tornare a fissare le sue iridi ora perfettamente visibili, vista la mossa rapida con cui si era allungata verso l’interruttore dell’abatjour che occupava il suo comodino.
“E’ solo che se mi sveglio durante la notte ho sempre bisogno di controllare.”
“Controllare cosa?”
“Che tu sia ancora qui.”
Felicity inclinò di poco la testa, l’espressione dura si addolcì non appena quelle parole lasciarono le labbra di lui regalandogli un sorriso sincero. Scivolò più vicina al corpo di Oliver, le punte dei nasi quasi a contatto mentre il palmo aperto si poggiava con una carezza sulla guancia ricoperta dalla barba leggera.
“Non ho intenzione di andare da nessuna parte. Di certo non senza di te.” Gli sussurrò sulle labbra prima di stamparle contro quelle di lui in un bacio casto a cui Oliver parve volersi aggrappare trattenendola contro di sé, allontanandosi per un solo istante prima di tornare ad assaggiarla lentamente stavolta intenzionato ad approfondire il contatto. Le bocche si cercarono muovendosi esigenti fino a lasciarli completamente senza fiato, lasciando ai loro sguardi il compito di non infrangere il contatto tra loro.
“Dovresti dormire ancora un po’, hai ancora tutto il tempo di riposarti.” Le disse Oliver liberandole il volto da una ciocca di capelli che le era scivolata su una guancia, senza lasciarsi sfuggire lo sbadiglio che lei aveva provato a stento a trattenere.
“Mmmmmmm…….no.” Felicity scosse la testa posando le labbra nell’incavo del suo collo “Non ho più bisogno di dormire.”
Il respiro di Oliver si fece pesante a quel tocco, unito alle dita di lei che avevano preso a scorrere lungo il suo petto mettendo alla prova il suo autocontrollo “Ti sei già dimenticata del consiglio di amministrazione di domattina?”
“No. Non l’ho dimenticato. Ma in questo momento non mi interessa.” Sussurrò continuando imperterrita l’esplorazione del suo corpo, decisa a non desistere, la mano che ormai che ormai giocavano con l’elastico dei pantaloni che usava per dormire “Andiamo Oliver, non ti farai problemi a perdere un paio d’ore di sonno. Pensa al povero John che non dorme per le urla di un neonato. Tu hai la fortuna di impiegare meglio il tuo tempo.”  A quel punto non gli lasciò nemmeno il tempo di replicare e avvolse una gamba attorno ai suoi fianchi, strusciandosi lentamente contro di lui, soddisfatta nel percepire la risposta ben evidente del suo corpo. Le sfuggì un sospiro nel sentirlo finalmente ricambiare ogni suo bacio e cingerle la schiena con un braccio per farla scivolare sotto di sé, assecondando ogni suo desiderio.
 
 
Un raggio di sole che filtrava dalla grande vetrata colpì Felicity sul volto, risvegliandola con il suo leggero tepore. Allungò le braccia verso il soffitto, stirando i muscoli intorpiditi per il sonno e le attenzioni che Oliver le aveva dedicato fino ad un paio d’ore prima. Un sorriso le incurvò le labbra al pensiero di quanto fosse successo, di quanto accadesse ogni volta che lei e Oliver si trovassero così vicini. La loro vita sembrava aver finalmente trovato il giusto equilibrio, avevano vissuto anni difficili, commettendo milioni di errori ma arrivando a conoscersi davvero e a fidarsi l’uno dell’altra. Avevano sofferto, per mano di troppe persone ma soprattutto per le loro colpe e i loro errori. Ritrovarsi non era stato semplice ma li aveva portati alla consapevolezza di come l’amore non fosse abbastanza, non senza la fiducia. E proprio questa consapevolezza era diventata il loro più grande traguardo, il punto fermo da cui ripartire e con cui affrontare il dolore che li aveva messi alla prova più e più volte.
Il sorriso scomparve a quell’ultimo pensiero e anche il letto parve diventare improvvisamente scomodo tanto che scattò in piedi senza alcuna fatica, i piedi nudi che si mossero veloci contro il legno del pavimento per condurla fuori dalla stanza. Si richiuse la porta alle spalle poggiandovi la schiena per qualche istante, le dita infilate tra i capelli che giocavano con le ciocche più per ritrovare la calma che per ravvivarle realmente. Prese un respiro profondo e iniziò a scendere le scale, guidata dai rumori che sentiva provenire dalla cucina.
Oliver era di spalle, concentrato sul ripiano da lavoro, ma la sentì arrivare, riconoscendo i suoi passi lenti e il suo profumo dolce. La lasciò poggiarsi alla sua schiena, trattenendo una risata nel sentirla issarsi sulle punte dei piedi, nel vano tentativo di scorgere oltre la sua spalla cosa stesse facendo.
“Sei troppo alto…..E non sei l’unico a cui non piace svegliarsi da solo.” Brontolò lei costringendolo a voltarsi, ancora sorridente e con una fetta di pane imburrata tra le mani che allungò nella sua direzione “Magari con questa potrei farmi perdonare.”
Felicity gli rivolse un sorriso debole, accettando la colazione di cui prese solo un piccolo morso, dettaglio che a Oliver non sfuggì.
“Tutto bene?”
“Mmmh mmmh.” Borbottò muovendo la testa in segno di assenso, lo sguardo fisso sul sottile strato di marmellata che ricopriva il pane.
“Sei troppo silenziosa anche per esserti appena svegliata. E credo di non averti mai vista alzarti dal letto così presto, non ha nemmeno suonato la sveglia.”
“O forse sei tu che hai iniziato a parlare troppo, Oliver. Magari ci stiamo solo invertendo i ruoli.”
“Felicity?!” le si avvicinò accarezzandole un braccio, non era da lei parlare così poco, nè usare un tono così duro “Parlami, ti prego. Che cosa succede?”
Lei si limitò a sbuffare poggiando la fronte contro il suo petto “Solo troppi pensieri al risveglio.” Ammise prima di risollevare lo sguardo e portarlo spontaneamente verso il salotto, nella direzione di una delle foto incorniciate sopra il caminetto. Oliver ne seguì la traiettoria, consapevole di come ne stesse fissando una in particolare, l’unica di cui loro non erano i soggetti, non lui almeno.
“Ehi. – la richiamò attirandola dolcemente a sé, le labbra premute contro i suoi capelli ancora spettinati – Che ne dici se oggi pomeriggio andiamo a trovarla? E’ da un po’ che non lo facciamo.”
Felicity si girò nel suo abbraccio riportandosi di fronte a lui, limitandosi solo a stampargli un bacio leggero “Grazie.” Sussurrò lasciandosi abbracciare ancora più stretta, allontanandosi dopo lunghissimi istanti, solo per allungarsi verso la propria tazza. La strinse tra le mani inspirando l’aroma del caffè appena fatto, fino a prenderne un lungo sorso che le strappò un’espressione disgustata.
“Ma è amaro!” esclamò stringendo le palpebre e tirando fuori la lingua.
Lui sorrise colpevole, allungandole un barattolo dal ripiano cercando di rimediare a quella dimenticanza ma lei continuò a fissarlo perplessa “Oliver, tu sei sicuro di stare bene, vero?”
“Assolutamente, perché?”
“Perché questo è sale!” gli fece notare voltando l’etichetta del contenitore nella sua direzione “E tu non sei mai così distratto.”
“Non sono distratto, vado solo di fretta. Ha chiamato John, mi ha chiesto di raggiungerlo al covo.” Rispose veloce porgendole il contenitore giusto prima di lasciarle un bacio all’angolo della bocca e lasciare l’appartamento, sperando che i suoi pensieri lo seguissero.
 
****
 
“Ehi Oliver! Direi che hai fatto abbastanza su e giù da quell’affare per oggi!” John gridò per imporsi sul suono ripetitivo e metallico della sbarra con cui Oliver si stava allenando da quasi mezzora.
Lui si bloccò all’improvviso, quasi come se senza quelle parole avesse potuto continuare il suo allenamento all’infinito, rimanendo sospeso a mezz’aria per qualche secondo prima di saltare a terra.
“Giornata difficile?” l’amico ricominciò vedendolo avvicinarsi con un panno tra le mani intento ad asciugarsi il sudore dal volto.
“Solo un po’ più del solito.” Ammise lui lasciandosi andare sulla sedia di solito occupata da Felicity, ruotando lentamente da una parte all’altra.
“Ormai sei quasi alla fine del tuo mandato, non ti sei ancora abituato alla vita da sindaco?” scherzò l’uomo “O è l’idea della nuova campagna a preoccuparti?”
“Non mi far pensare alla campagna! – si passò una mano sul viso con un’espressione che sotto l’apparente divertimento nascondeva una certa preoccupazione – Thea ha già iniziato a cercare nuovi consulenti politici per la prossima primavera, prima di Natale sopra le nostre teste sarà un vero inferno.”
“Immagino che non potrai più contare su Alex, non dopo come sono andate le cose con Thea.”
“Decisamente no.” confermò senza riuscire a trattenere un certo dispiacere per la sorella e quella storia durata poco meno di un paio d’anni. Aveva sempre desiderato la felicità di Thea e non riusciva a non sentirsi colpevole nel vederla così divisa tra la sua vita da vigilante e le poche fughe che si concedeva per raggiungere Roy, accontentandosi di un amore a distanza di cui però nessuno dei due riusciva a fare a meno. Avevano provato a prendere strade diverse, ritrovandosi però a dover ammettere che il bisogno dell’uno per l’altra fosse troppo forte per essere soffocato.
“A proposito di Thea. Stasera ci penseranno lei e Laurel alla sorveglianza dei quartieri, è un periodo abbastanza tranquillo e se la sanno cavare.”
“Attento a parlare di tranquillità a Star City! – risero entrambi a quella reazione – Ma tu? Serata libera?”
“No. Le raggiungerò più tardi. Ho un impegno con Felicity per quando finirà il consiglio alla Smoak Technologies – si prese un attimo di pausa, un po’ perché non si era ancora abituato al nuovo nome di quella che un tempo era stata la sua azienda e un po’ perché continuare quel discorso sembrava difficile anche per lui – Le ho promesso di accompagnarla al cimitero. Stamattina è stata più dura del solito, come sempre in questo periodo dell’anno.”
L’altro si alzò dal suo posto poggiando una mano sulla spalla dell’amico “Resta con lei stanotte, ci penso io ad aiutare le ragazze. L’hai detto tu che sembra tutto tranquillo e stasera Felicity ha bisogno di te molto più di questa città.”
“No John, non posso. Conosciamo abbastanza Felicity da sapere che vorrà venire qui a tutti i costi, almeno per distrarsi. Si prenderà questo pomeriggio per sé ma poi tutto dovrà continuare ad andare avanti. E poi la tua famiglia ha bisogno di passare più tempo con te, e tu con loro.”
“Ma….”
“Nessun ma. Passa la serata con Sara e il piccolo John.” Lo interruppe convinto.
“Allora grazie, amico. Anche se credo che quella più riconoscente sarà Lyla sono due mesi che il piccoletto non la lascia dormire per più di due ore a notte. Credo sia il trauma di ogni genitore. Però lo devo ammettere, ne vale la pena. Dio se ne vale la pena.”
Il sorriso di Oliver si spense a quelle parole, lo sguardo che si perse nel vuoto mentre ritornavano alla mente frammenti della notte precedente e quelle frasi di Felicity che aveva cercato di non considerare lasciandosi coinvolgere dalla sua intraprendenza.
“Oliver, ehi. – lo richiamò John intuendo il motivo di quell’improvviso cambiamento – Frase infelice, perdonami.”
“No, no. – scosse la testa con un sospiro -  E’ solo che….”
“Ti manca William.”
“Ogni giorno di più. Lo vedo crescere nelle foto che mi manda Samantha e penso a tutto quello che potrei fare con lui, a cosa penserà di suo padre. E poi…” prese un respiro profondo insicuro se procedere o meno con il suo discorso, come se dare voce ai suoi pensieri potesse renderli più di semplici desideri “John io voglio un figlio da Felicity.”
L’uomo di fronte a lui spalancò gli occhi prima di sorridere senza smettere di fissarlo, la testa che si muoveva appena da un lato all’altro.
“So che può sembrare un’idea assurda, ma non pensavo fosse assurda al punto da farti ridere.”
“No. No, no, no! Non ridevo della tua idea. Solo che aspettavo da tempo una frase così.”
“Che cosa?” L’espressione di Oliver non avrebbe potuto mostrare più incredulità mentre John sembrava totalmente tranquillo “Andiamo Oliver, tu e Felicity vi amate, le cose vanno finalmente bene tra voi e avete capito davvero come farle funzionare, non vedo perché non possiate avere una famiglia.”
“Per lo stesso motivo per cui ho dovuto mandare William dall’altra parte del Paese. Perché è da egoisti avere dei figli per farli diventare dei bersagli. Perché se avessi un figlio e dovesse succedere qualcosa non me lo perdonerei mai e Felicity ha già perso abbastanza per colpa di questa vita.”
“E precludervi la possibilità di essere davvero felici sarebbe la scelta più giusta?”
Quelle parole lasciarono un lungo silenzio dietro di loro, interrotto solo dall’improvviso squillo di un cellulare.
“E’ Felicity. È qui fuori. La raggiungo prima che debba scendere qui sotto.” Tagliò corto ringraziando che lei fosse inavvertitamente arrivata per salvarlo.
 
****
 
Il silenzio irreale di quel posto aveva sempre messo Oliver in soggezione. Tutto sembrava appartenere ad un’altra dimensione. L’erba curata, l’ordine geometrico delle lapidi bianche che svettavano a poca distanza l’una dall’altra e quella calma assoluta che avrebbe placato anche la rabbia più profonda. Odiava attraversare l’alto cancello in ferro, odiava percorrere i vialetti di ghiaia, odiava restare a fissare quelle foto sempre così sorridenti di persone il cui sorriso sarebbe stato negato per sempre. Fosse stato per lui non ci avrebbe mai messo piede, i nomi di troppe persone care erano incisi su quelle lastre di marmo, persone che avrebbe voluto accanto ma che aveva permesso se ne andassero troppo presto.
Ma per Felicity non era così. Lei ne aveva bisogno. Serviva solo che qualcuno desse voce a quella stessa necessità, che la accompagnasse e le ricordasse di non essere sola nonostante di sua madre restasse soltanto il ricordo e quel piccolo angolo nel cimitero di Starling City. Erano passati quattro anni dalla morte di Donna Smoak, quattro anni dalla notte in cui l’ennesimo tentativo di Damien Darhk - che anche senza poteri sembrava avere occhi, orecchie e risorse ovunque - di distruggere Oliver aveva trovato lei come bersaglio. L’ennesima morte di cui lui sentiva la responsabilità sulle spalle. Chiuse gli occhi dietro le lenti scure degli occhiali mentre le immagini di quei giorni gli tornavano alla mente. La certezza di sapere William al sicuro gli aveva dato la forza di cercare un modo per tornare in corsa come sindaco, di non lasciare la città in mano a quella donna e a suo marito e di dimostrare a Felicity che nonostante gli errori era cambiato davvero, e non avrebbe lasciato niente di intentato, né per Star City né per lei. Quello era il motivo che aveva portato Donna alla sede elettorale quella sera, parlare di Felicity, rassicurarlo che presto tutto si sarebbe risolto, che avrebbe trovato il modo per dimostrarle come non avrebbe mai ripetuto gli stessi errori, che lei era davvero la cosa più preziosa della sua vita. Quella donna aveva sempre creduto nella loro storia, più di quanto non fossero mai riusciti a fare loro stessi. Poi quel fragore improvviso, i ricordi del primo appuntamento con Felicity che si sovrapponevano alla realtà, il calore sulla pelle, l’urto che lo spinse contro il muro e Donna, a terra e senza vita. Per cinque lunghissimi giorni non aveva avuto il coraggio di guardare Felicity negli occhi. Le era rimasto accanto preferendo diventare un’ombra silenziosa, abbastanza vicino da non abbandonarla mai ma abbastanza lontano da non sfiorarla nemmeno, da non pronunciare una sola parola in sua presenza. Poi, il giorno del funerale era stata lei a chiedergli di tornare a casa con lei, ad attenderlo nella sua limousine per spiazzarlo con quella richiesta che gli dimostrò quanto le loro menti fossero ancora connesse.
Dovevano mettere fine a quella storia, nell’unico modo possibile.
Smantellare l’H.I.V.E. era stato un percorso lungo e difficile, ma ce l’avevano fatta, trovando anche il modo di ritrovarsi, di ricostruire un rapporto che aveva bisogno di nuove basi da cui ripartire, ed erano almeno due anni che la loro vita, insieme, aveva trovato un nuovo equilibrio. Un nuovo equilibrio a cui forse mancava ancora un tassello per essere completo, per riempire quel senso di vuoto che si era fatto via via più invadente negli ultimi mesi.
Risollevò piano le palpebre cercando di tornare al presente, fissando da lontano la donna che si era seduta a terra, le gambe coperte fino al ginocchio dalla gonna nera stese sull’erba si piegarono lentamente, avvicinandola alla lapide su cui posò una carezza veloce prima di rimettersi in piedi, pronta a tornare alla sua vita con il cuore un po’ più leggero. La vide sorridere e ricambiò, aspettando che lo raggiungesse con un braccio teso verso di lei, pronto ad intrecciare la mano con la sua.
“Andiamo?” le chiese poggiandole le labbra sulla tempia destra “Potremmo fermarci a mangiare qualcosa.”
Lei lo fissò scuotendo la testa per bocciare la sua idea “Io veramente avrei in mente un altro posto in cui andare.”
 
 
“Perché mi hai portato qui?”
Tra tutti i luoghi in cui Felicity avrebbe potuto portarlo quello indubbiamente non sarebbe mai passato per la mente di Oliver. Raggiunta la loro auto lei l’aveva abbracciato, lasciandosi baciare e approfittandone per infilare le mani nelle tasche della sua giacca in pelle fino a trovare le chiavi e muoversi veloce verso il posto di guida, ignorando lo sguardo interdetto ma divertito di lui. L’aveva fissata per tutto il viaggio, senza porre domande, cercando di intuire la loro meta dalle strade che lei imboccava restando stranamente in silenzio. La curiosità divenne totale confusione quando la vide parcheggiare appena fuori dalla baia, per poi scendere e avviarsi silenziosamente verso il piccolo parco che la circondava, voltandosi solo per rivolgergli un cenno del capo con cui lo invitava a scendere e seguirla.
Ed ora era seduto accanto a lei, sui gradini di quel piccolo portico, l’attenzione fissa su quel profilo che ormai conosceva a memoria, su quegli occhi chiari totalmente assorti a fissare l’acqua di fronte a loro, colorata dall’arancione del sole ormai pronto a tramontare.
“Non ti piace?” gli rispose. Ancora una volta troppo risoluta, troppo silenziosa rispetto alla Felicity con cui condivideva le sue giornate.
“E’ il posto dove ti ho chiesto di sposarmi. -  sospirò cercando di non farsi sopraffare dai ricordi di quella notte – Nonostante tutto resterà uno dei posti più belli della città.”
Felicity strinse le labbra annuendo appena, ritrovando nell’espressione di Oliver la stessa malinconia e gli stessi rimpianti per come gli eventi li avevano travolti cinque anni prima. “Però alla fine ce l’abbiamo fatta.” Gli rivolse il più sincero dei sorrisi prendendo la mano sinistra di lui nella sua, le fedi dorate che risaltavano attorno agli anulari di entrambi.
Oliver le sorrise di rimando, le dita che rafforzarono la presa al pensiero di quella mattina in cui finalmente erano diventati marito e moglie, di fronte al primo giudice di pace che avevano trovato disponibile, con John e Thea come unici testimoni di quella cerimonia che, a due anni di distanza dalla proposta, era diventata improvvisamente la più grande urgenza di cui occuparsi.
Stava ancora cercando qualcosa di adatto da dirle quando lei allontanò lo sguardo, preferendo ancora una volta l’orizzonte. Mosse le labbra senza lasciar uscire una parola, tanti e tanto confusi erano i pensieri nella sua testa.
“Credo dovresti chiamare Samantha.” Sentenziò Felicity all’improvviso. Oliver sgranò gli occhi a quella frase, il sangue gli si gelò nelle vene per il terrore che lei sapesse qualcosa di così terribile da giustificare i lunghi silenzi di quelle ore e il bisogno di portarlo in un posto così strano e intimo per loro. “E’ successo qualcosa?” chiese d’un fiato scattando in piedi mentre infiniti scenari attraversavano la sua mente.
Felicity sobbalzò a quella reazione “No! No! Non è successo niente! – allungò la mano verso di lui per convincerlo a tronare a sedersi -  Te lo giuro.”
Oliver la guardò sospettoso per qualche altro secondo, lasciandosi rassicurare dall’espressione tranquilla di lei mentre l’aria tornava a gonfiare i suoi polmoni. Le tornò accanto sentendo le gambe pesanti, ormai completamente destabilizzato “Allora perché dovrei chiamarla?” la lingua si mosse nella bocca ancora secca.
“Perché hai bisogno di William.” Concluse diretta portandolo a scuotere violentemente la testa “No, Felicity. Non se ne parla.”
“Oliver!”  lo richiamò stringendolo nel tentativo di non vederlo alzarsi un’altra volta “Lo vedo ogni volta che parli di lui, e ogni volta che cerchi di non parlarne per non pensarci troppo, ogni volta che arriva una sua nuova foto o i suoi risultati scolastici. Tu hai bisogno di lui.”
“Quello di cui ho bisogno io non è importante. -  Ribattè deciso – Ciò che è importante è quello di cui ha bisogno William. E lui ha bisogno di sicurezza.”
“Di te!” quasi gridò Felicity bloccando quell’ultima parola di Oliver prima ancora che potesse essere pronunciata “William ha bisogno di suo padre. Ha bisogno di conoscerlo, di sapere che esiste davvero. Non di accontentarsi delle storie inventate di sua madre. Ha bisogno di qualcuno da portare a quella maledetta festa della famiglia che la sua scuola continua ad organizzare.”
“E tu come sai della festa della famiglia?” la bloccò all’improvviso. L’aveva travolto con quel mare di parole ma non poteva conoscere quell’ultimo dettaglio, Samantha l’aveva nominata solo nella sua ultima mail, l’unica che non aveva ancora avuto il tempo di leggere insieme a lei.
“Ecco io…. – balbettò stringendo le labbra tra loro in quell’espressione innocente che cercava di assumere ogni volta che si rendeva conto di aver combinato qualcosa e di essere stata scoperta – Io potrei aver parlato….con Samantha.”
La sorpresa per Oliver fu talmente tanta che il suo volto divenne quasi inespressivo per qualche secondo, prima di lasciar trasparire tutto il suo stupore “Felicity!”
“Lo so, lo so! – gli si aggrappò letteralmente ad un braccio tenendo lo sguardo fisso su di lui – Forse….anzi, sicuramente non avrei dovuto farlo. Ma tu eri sempre così giù quando arrivava qualcosa che riguardava William. Volevo solo sapere come stava davvero quel ragazzino.”
Oliver provò a dire qualcosa ma lei era un fiume in piena “Lo so perché lo state facendo. Ci ho messo del tempo a comprenderlo ma l’ho capito. Ed era la cosa più giusta allora. Ma non adesso. Adesso l’H.I.V.E. non c’è più, la Lega è stata sciolta da anni, e nessuno più di te sa come tenere qualcuno al sicuro. – si prese una lunga pausa, la fronte poggiata contro la sua per essere assolutamente sicura di avere la sua attenzione – Se non fosse così non desidererei così tanto avere un figlio da te, Oliver.”
Quell’ultima frase spazzò via qualsiasi altra cosa con una velocità tale che Oliver dubitò del suo stesso udito “Felicity, tu cosa?”
“Io voglio un figlio da te. – scandì piano quelle poche parole prima di perdere il controllo della sua stessa lingua -  Lo voglio perché ti amo, perché finalmente so che posso fidarmi davvero di te e perché sono sicura che non gli accadrebbe mai nulla con te a vegliare su di lui. Sono giorni che ci penso, settimane forse. Da quando è nato il piccolo John. Ho cercato il modo di dirtelo ma alla parola bambini tu ti rabbuiavi e ero sicura si trattasse solo di William. Ma poi oggi ho sentito il tuo discorso al covo e….”
“Tu hai sentito il mio discorso?” riuscì finalmente ad interromperla facendola arrossire violentemente di fronte all’ennesima parola di troppo che si era lasciata sfuggire in pochi minuti.
“Ero scesa a raggiungerti e ho sentito tutto. Ti stavi confidando con John e così sono tornata fuori, ma quello che ho sentito mi è bastato. ” ammise allora realizzando che quell’ultima confessione avrebbe potuto giocare a suo vantaggio “Sapere di non essere l’unica a volere una famiglia, una famiglia vera, era l’ultima cosa che mi aspettavo. Ma se lo vogliamo entrambi significa che è la cosa giusta, che è finalmente arrivato il momento giusto.”
Oliver iniziava a faticare a gestire così tante confessioni e tutte quelle parole che solleticavano così prepotentemente i suoi desideri più profondi e irrealizzabili mentre tentava di aggrapparsi a tutta la sua razionalità “Se davvero hai sentito tutto sai anche perché non lo possiamo fare.” ammise a fatica, sentendo tutta la frustrazione di dover negare qualcosa di così importante alla donna che amava.
“Ti ho sentito, ed avevi ragione. Ma tutte quelle motivazioni non sono abbastanza. Io sono pronta a rischiare, sono pronta ad avere un figlio da te non perché sono un’incosciente ma perché mi fido di te. Perché so che finché ti starò, ti staremo, accanto non avrò nulla da temere.”
“Come fai a dire questo proprio tu, tu che hai rischiato di rimanere paralizzata per sempre, tu che hai perso tua madre per qualcosa che riguardava soltanto me?”
“Io ho ritrovato mia madre grazie a te. Non sei l’unico ad aver cambiato il modo di vedere le cose da quando ci siamo conosciuti. Stare insieme a te mi ha fatto capire quanto fosse fondamentale avere accanto le persone che si amano, anche quando ci sembrano terribilmente diverse da noi. Se n’è andata in un modo orribile, è vero, ma dopo avermi regalato mesi pieni di ricordi che non dimenticherò mai. E questo è successo solo perché passava più tempo qui in città che a Las Vegas, perché eravamo insieme. Se non fosse venuta qui magari ora sarebbe ancora viva, ma avremmo continuato a vivere come due estranee e se un giorno le fosse accaduto qualcosa io non avrei avuto niente della donna straordinaria che era. Sono stanca di piangere, stanca di vedere solo il lato doloroso delle cose, perché stare con te è l’esatto opposto e non voglio essere l’unica a vivere di tutto questo amore.”
Smise di parlare e si portò una mano sul petto alla ricerca d’aria. Il suo discorso si era rivelato più lungo del previsto ma sembrava che ogni parola avesse portato via un piccolo peso da dentro di lei. Oliver la fissava sconvolto, la bocca leggermente socchiusa, gli occhi fissi ma visibilmente lucidi anche nella penombra della sera che stava ormai scendendo in fretta.
“Ti prego dì qualcosa. – lo implorò lei incapace di gestire tutto quel silenzio -  Se è davvero tutto così sbagliato spiegamelo un’altra volta perché io….”
La bocca di Oliver tappò improvvisamente la sua con un bacio esigente, la lingua che le forzò le labbra reclamando la necessità di approfondire quel contatto. Felicity sgranò gli occhi per la sorpresa prima di richiuderli e assecondarlo, godendo del profumo di lui così vicino alle narici mentre si aggrappava alle maniche della sua giacca quasi preoccupata che quel momento così reale potesse dissolversi da un istante all’altro. A lui bastò far forza sulle braccia per sollevarla e portarla a sedere sopra di se, le gambe di Felicity che gli si agganciarono istintivamente dietro la schiena, la gonna che risaliva lentamente sulle cosce, mentre si prendeva tutto il tempo di accarezzarle lo zigomo per poi scendere lungo il profilo della mandibola fino al collo, lasciando che le dita anticipassero la via che da lì a poco percorse con le labbra, provocandole un sospiro profondo. Si allontanò a fatica dalla sua pelle, sorridendo nel vederla con le labbra rosse ancora schiuse e le palpebre abbassate che si risollevarono solo dopo qualche istante. La fissò a lungo, rendendosi conto poco per volta del senso di leggerezza che lo stava invadendo.
“Credo di non aver più niente da dire.” Sussurrò sincero. L’aveva completamente disarmato, distrutto ogni sua difesa dimostrandosi la donna forte che amava, decisa di scelte che nella sua mente erano sempre sembrate incoscienti ma che dalle sue labbra uscivano piene di una logica e di un significato nuovo, quel modo di vedere le cose che a lui era sempre mancato ma che lei riportava costantemente nella sua vita.
Felicity ricambiò lo sguardo, quasi intimorita dell’ultima richiesta, forse scontata, ma così terribilmente urgente dentro di lei “Quindi parlerai con Samantha?”
“Parlerò con Samantha.” Confermò alzandosi in piedi e trascinandola con sé senza darle il tempo di realizzare la cosa. “Ora però andiamocene da qui. Ho in mente un discorso da fare alla futura madre dei miei figli, un discorso che posso farle solo nella nostra casa.” Le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire. Lei si fermò e gli avvolse le braccia al collo rubandogli un nuovo bacio, lento e profondo, mentre anche gli ultimi raggi di sole sparivano oltre l’orizzonte.
  
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