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Autore: Sheep01    01/03/2016    4 recensioni
“Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi.”
Clint si trovò ad osservarlo ancora una volta con stupore. Non era da Coulson parlare a quella maniera, non usare quel tono afflitto, sconfitto.
“Avete ingaggiato i migliori, Phil… il governo non arriverà certo prima di noi.”
“Magari non questa volta. Ma la prossima volta che succederà? Quando riusciranno a dimostrare quanto siamo superflui, smetteranno di affidarci qualsiasi tipo di lavoro.”
“Ma che stai dicendo?”
“Sto dicendo che dovremo cominciare a vedere come atterrare senza uno schianto, Barton.”
---
New York, la sua periferia, pioggia sporca che porta afflizione e la tecnologia che lentamente sta prendendo il posto della manodopera umana. Uno scenario dal sapore futuristico. Un'organizzazione da salvare. Pochi superstiti su cui fare affidamento.
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO

 

 

Una gloriosa giornata di sole.

Di quelle che non si vedevano da anni, nella città di New York. Le strade erano ancora umide, ma le nubi si erano diradate quella mattina, lasciando intravedere spicchi di un cielo indaco che credeva ormai archiviato.

Central Park non era mai stata tanto bella. O popolata. Orde di bambini si rincorrevano lungo il viale mentre una piccola folla si era ormai stabilmente assiepata di fronte al palco allestito per le celebrazioni della giornata. Volevano fare le cose in grande. Senza mettere in conto che con una giornata così… chi mai avrebbe voluto assistere ad una cerimonia d’assegnazione di riconoscimenti e medaglie? A quanto pareva, l’affitto delle barche giù al lago aveva fatto il botto.

Clint stabilì che il sole caldo sulle spalle era una sensazione nuova; si chiese quando fosse stata l’ultima volta che si era sentito riscaldare da un simile tepore.

Di certo non sorseggiando quel terribile caffè che sapeva di sabbia. Lo stesso che Coulson era solito offrirgli quando c’era un nuovo caso all’orizzonte. Lo stesso che, nonostante tutto, non rifiutava mai.

“Ehi, Batman.” Non dovette nemmeno voltarsi per capire che Kate Bishop lo aveva trovato. La mocciosa aveva un formidabile sesto senso, quando si trattava di lui.

“Speravo che le bandierine colorate e gli striscioni fossero sufficienti a tenerti occupata per un po’.”

“… disse quello che teneva in mano un bastoncino di zucchero colorato.”

“Io non ho in mano…” ma prima che potesse finire la frase Kate gli aveva allungato l’oggetto del peccato zuccherino.

“So che ti piacciono tanto.”

“Che gesto carino… lo devo a qualcosa o… ?”

“Ne regalavano tanti, là sotto.” Sminuì il gesto, indicando un paio di bancarelle in prossimità del palco.

Clint non disse altro, e infilò il bastoncino di zucchero nella tasca della camicia. Gli faceva strano non indossare più nemmeno la giacca. La primavera era esplosa in modo del tutto inaspettato. Si chiese se non fosse il caso di dare una rinfrescata al suo triste guardaroba.

“Il fatto che tu te ne stia in disparte e ti sia fatto crescere quel cespuglio sulla faccia… mi dice che non hai intenzione di partecipare… alla festa.” Gli chiese Kate, allungando una mano per tirare quella novità di barba biondo cenere che sembrava necessitare di un po’ più di cure.

L’uomo le scacciò la mano di malagrazia, appoggiandosi con i gomiti al parapetto del ponticello da cui si stava godendo lo spettacolo a distanza. Una piccola orchestrina, ingaggiata per l’occasione, prese a suonare qualcosa di allegro all’arrivo del sindaco. I flash dei fotografi fecero il resto. Gli sembrò di assistere a qualcosa di assurdamente antico, anacronistico. La sensazione però era piacevole. Con tutto quello che era successo con la tecnologia, in quegli ultimi mesi… in quegli ultimi anni, un po’ di sana atmosfera vintage non la disdegnava per niente.

“Per quale motivo dovrei andarci?” domandò allora, prendendo coscienza del fatto che non era più tanto sicuro di appartenere ancora a quella realtà.

“Per ricevere un ornamento di pregevole fattura? Una medaglia dal dipartimento di polizia… non è una cosa che succede tutti i giorni.”

“Grazie al cielo.”

“Il tuo cinismo mi uccide, Barton.”

“Mica tanto. Sei ancora qui.”

“Ehi… non fosse stato perché sembravi un povero rapace depresso sul pontile, adesso sarei in prima fila, davanti al palco.”

“Non sono depresso. E tu puoi ancora andare a goderti lo spettacolo.”

“Dovresti venire con me, Clint.” La voce di Kate si era incupita, e Clint avrebbe saputo dire con certezza che razza di espressione aveva dipinta in viso. Ma non la guardò. Sapeva che si stava preoccupando per lui, ma le sue richieste erano qualcosa che non voleva assecondare.

Finì dunque il suo caffè che sapeva di sabbia e si sbarazzò del bicchiere vuoto, passandolo a Kate, prima di cominciare ad allontanarsi.

“Ehi! Ma ti pare il modo! Per cosa mi hai preso, la tua raccolta differenziata?”

“Ci vediamo Katie…”

“E non chiamarmi Katie, razza di idiota!”

“Anche io ti voglio bene, Katie!”

I passi che avevano preso a seguirlo si arrestarono: “Io no!” gli gridò, ma riuscì a percepire un sorriso represso nel suo tono di voce.

“Quando ci rivediamo?”

Clint rallentò appena, prima di voltarsi e camminare al contrario, il tempo di vederla allargare le braccia, in attesa.

“Quando vuoi. L’indirizzo lo conosci.” Si preoccupò di non gridarlo, sapeva che Kate aveva capito comunque.

“Allora non aspetto un invito.”

Si portò due dita alla fronte e la congedò con un secco saluto militare.

Aveva mai avuto bisogno di un invito comunque?

Si trovò a sorridere e superare un gruppo di chiassosi adolescenti. Aveva adempiuto al suo dovere. Stark gli aveva espressamente chiesto di presenziare alla cerimonia e così aveva fatto. In parte. E da lontano. Ma l’importante ero l’intento, dopotutto.

Non si rammaricò di non averlo incrociato. Aveva frequentato Stark fin troppo assiduamente, in quegli ultimi mesi, per i suoi gusti.

Mesi difficili e piuttosto frenetici.

Dal giorno del rilascio dei cyborg assassini erano successe molte cose.

La sua vita, da sempre piuttosto solitaria e riservata, si era trasformata in un vortice di burocrazia, interventi chirurgici, funerali, interrogatori, processi e conferenze stampa.

Nonostante tutto, stavolta fu felice di avere la possibilità di ricordare ogni cosa.

Stark e quel che restava dello SHIELD risultarono scagionati da tutti i capi d’accusa. Grazie ai file presenti nel microchip impiantato nel suo cervello e i file che erano riusciti a recuperare del computer centrale della Robotics Inc. il governo aveva ammesso l’esistenza dell’Hydra e preso coscienza del progetto Lazarus che venne congelato e relegato a qualche dipartimento segreto del caso. Contro ogni pronostico, nessuno si era accanito sulla mera esistenza di Steve Rogers. Per quel che ne sapeva, il Capitano era stato inserito in un programma specifico di reintegro e protezione. Probabilmente avrebbe continuato la sua personale missione fra le file di qualche organizzazione governativa. Peggy si sarebbe comunque presa cura di lui.

Bucky Barnes era morto davvero quel giorno. Ma il cadavere non fu mai trovato. Clint si era solo preoccupato di comunicare i fatti a chi di dovere. Rogers si occupò personalmente dell’intera faccenda. In che modo… non era più affar suo.

Mentre di Barney… di suo fratello Barney, Clint non aveva più avuto notizia. Stark aveva dato fondo a tutte le sue risorse per ritrovarlo, ma l’uomo sembrava essersi volatilizzato.

In un certo senso la notizia consolò Clint più di quanto avrebbe dovuto preoccuparlo. Libero dai vincoli dell’Hydra, Barney avrebbe potuto andare ovunque… essere chiunque. Sperò solo che fosse pronto, stavolta, ad affrontare quello che la vita gli offriva. Una seconda chance.

Se mai fosse arrivato il giorno di un vero e definitivo confronto, Clint sarebbe stato pronto.

Mentre per quanto riguardava la sua vita…

“Clint.”

Aveva già messo mano alle chiavi della macchina, quando vide comparire una sagoma fin troppo conosciuta.

“Barbara…”

La donna venne verso di lui, vestita nel suo miglior completo da cerimonia. Elegante e austera… come sempre.

“Sapevo che ti saresti defilato.”

“No, ti sbagli…” la contraddisse, “non mi sono defilato. Non ci sono proprio stato.”

“Guardavi da lontano. Non ti conoscessi...”

“Bè, dopotutto lo sai che…”

“Vedi meglio da una certa distanza”, completò per lui la frase, sorridendogli.

Il volto di Bobbi era disteso. Dovette fare un calcolo mentale per ricordare quando era stata l’ultima volta che lo aveva guardato così.

Forse provava pena per lui. Patetico come cercasse sempre di sminuire anche il più piccolo briciolo di simpatia nei suoi confronti.

“Stai partendo?” doveva aver notato lo stato del suo bagagliaio. Zeppo di scatole e borsoni. La macchina di uno sfollato… non si poteva certo dire che stesse cercando di mettere ordine nella sua vita o di nascondere la cosa.

“Sì, comincio a portare via un po’ di roba. Ti interessa un appartamento a Brooklyn, per caso?”

“Se ricordo lo stato del tuo appartamento… direi che sto bene dove sto”, confessò con il sarcasmo che finalmente seppe riconoscerle, prima di vederla avanzare di qualche passo, farsi singolarmente seria e porgergli una scatolina di velluto blu.

“Mi sono… permessa di ritirarla io…”

“Che cos’è?” le domandò, ma nel momento in cui si trovò in mano la scatola, non ebbe grossi dubbi a riguardo. Quando la aprì, la targhetta placcata in oro riportava il nome di Natasha Romanoff.

Sentì qualcosa di amaro risalirgli su per l’esofago, si prese del tempo per dire qualsiasi cosa, prima di annuire e richiudere la scatola per non essere costretto a guardare di nuovo la targa.

“Grazie.”

“E di che?” gli passò una mano sulla spalla, in un gesto di consolazione che ebbe solo l’effetto contrario.

Si sentì improvvisamente in colpa e si costrinse di rivolgerle un sorriso.

“Ho saputo che lo SHIELD ti ha chiesto di tornare, da quando hanno riaperto i battenti”, gli disse invece, forse per stemperare l’attenzione e deviare da argomenti scottanti.

Non che l’argomento SHIELD fosse meno scottante, ma almeno, in quel caso, non avrebbe avuto difficoltà a risponderle.

“Già, bè… ho chiuso con quella roba.”

“Credevo non ti avrei mai sentito dire una cosa del genere.”

“Se vuoi saperla tutta… nemmeno io.”

“Cosa farai adesso?”

Adesso che aveva risolto tutti i suoi guai? Adesso che la polizia e la città di New York erano disposti a offrirgli una seconda possibilità, che gli avevano riconosciuto persino una medaglia al valore. Poteva dirsi un’esistenza carica di scelte e opportunità allettanti ma…

“In tutta sincerità… non ne ho la più pallida idea.”

“Clint Barton, che rinuncia a una vita sul filo del rasoio.”

“Chi ti dice che io ci rinunci? Dopotutto un nuovo inizio…”

“Suona spaventoso.”

“Precisamente.”

Seppe in quell’istante che il momento del congedo era vicino. Non che si sentisse protagonista di un dramma cinematografico dove i protagonisti sono costretti a dirsi addio per sempre… ma per qualche assurda ragione si convinse che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto Bobbi.

Si sorprese persino di pensare che non gli sarebbe spiaciuto abbracciarla. Ma il momento arrivò e passò, così come gli era balenato nel cervello. Dopotutto avevano divorziato.

Non ci credeva granché, nelle riconciliazioni melense. E poi Bobbi era una stronza. Che diavolo.

“Allora ci si rivede”, le disse quindi, per non suonare troppo definitivo, per lasciarsi un ampio margine di rientro.

“Prima o poi…” gli rispose lei, lasciandogli lo spazio necessario per aprire la portiera dell’auto e montare in macchina.

“Porgi i miei saluti a Fury, se ti capita di incrociarlo.”

“Porgiglieli tu. Non ho intenzione di parlare con il vecchio più di quanto non voglia farlo tu.”

Le fece solo un cenno del capo, prima di accendere il motore. Quando partì sgasando appena, la salutò definitivamente con una strombettata di clacson.


*

 

La porta sul retro cigolava ancora come il giorno in cui aveva comprato quella catapecchia da quattro soldi nel New Jersey.

La casa aveva ancora bisogno di parecchie ristrutturazioni, ma Clint non sembrò preoccuparsi eccessivamente. I risparmi che si era preoccupato di accantonare per una vita gli sarebbero stati sufficienti per quello ed altro… almeno finché non avesse deciso di che farsene di tutto il tempo libero di cui avrebbe disposto da lì ai mesi a venire. O di cambiare di nuovo… Stato.

Aveva fatto bene a non sbarazzarsi di quel posto. L’unico vero investimento utile della sua vita. Il vicinato era silenzioso e discreto. Ed era abbastanza distante dalla città da potersi dichiarare in procinto di una sana e (forse) definitiva disintossicazione.

E poi il clima era migliore. O così gli sembrava di solito. Quella giornata era stata una grazia inattesa un po’ ovunque, sul territorio nazionale.

Lo volle considerare un regalo d’addio. O forse solo il clima che stava, di nuovo, impazzendo.

Trascinò dentro almeno uno scatolone.

Si passò una mano fra i capelli, spettinandoli abbastanza per assicurarsi che non mostrassero la cicatrice che lo costringeva a tenerli più lunghi di quanto fosse stato abituato. Si fermò al centro della stanza per osservare lo stato d’avanzamento dei lavori nel soggiorno.

Le pareti, imbiancate di fresco, trasudavano ancora l’odore delle vernici, e i teli sparsi su tutti i mobili rendevano la stanza principale un luogo infestato da candide sagome spettrali.

Non male come metafora per quel nuovo inizio che aveva preannunciato a Bobbi. Una parete bianca. Una stanza semi vuota. Tutta da arredare.

Patetico.

Probabilmente una birra gli avrebbe fatto tornare la ragione.

… o quell'abbraccio inaspettato che lo prese alle spalle.

“Sei tornato presto.”

“Bè, sai come funziona con queste cose: un discorso scritto da una tirocinante, un sindaco con le lacrime artificiali a portata di mano, un invito a comprare da Dunkin' Donuts e saluti finali.”

“Non ti ci sei nemmeno avvicinato, al palco, non è vero?”

Clint non poté fare altro che stringersi nelle spalle. Non era capace di mentirle. Anche perché lei era sempre in grado di scovarle, quelle sue patetiche menzogne.

“Ti avevo detto che sarei solo passato a vedere che aria tira da quelle parti.”

“Lo so… e che aria tira?”

Inspirò a fondò prima di pensare a una risposta decente.

“Di primavera?”

Lei gli massaggiò lo stomaco e gli baciò una spalla, prima di lasciarlo andare.

Clint sapeva che avrebbe voluto più informazioni, che la sera, quando tornava dalle sue incursioni in città, durante i mesi passati, sarebbe rimasta ad ascoltarlo per ore. Unico collegamento con quella che era stata la sua ultima, definitiva vita. Ma sapeva anche che non gli chiedeva niente perché Clint, quando si trattava di New York, provava sempre un ingiustificato senso di colpa. Per averla costretta a rinunciarvi, per averla aiutata a sparire per sempre. Lontana dagli occhi indiscreti della gente che la credeva morta per regalarle quell'esistenza anonima che le avrebbe permesso di vivere finalmente libera dai vincoli imposti da qualsiasi scienziato psicopatico o associazione che la voleva usare per i suoi scopi.

Natasha ora gli stava di fronte. I capelli, una volta lunghi e rosso cupo, erano adesso corti, giovanili e di un biondo luminoso e vitale.

Si trovò a guardare in quei suoi occhi verdi che invece non avrebbero potuto cambiare in un milione di anni. Quegli stessi occhi che ancora, dopo dieci anni, erano in grado di mettere in subbuglio ogni sua convinzione. Gli stessi occhi che sapevano scrutarlo ben più a fondo di quanto lui stesso si sarebbe mai spinto a indagare. E che adesso lo guardavano con un'ara di rimprovero e un muto ringraziamento che non aveva bisogno di essere espresso.

“Hai la faccia di uno che sta pensando a un sacco di stronzate, lo sai?” lo apostrofò senza ritegno.

Clint aveva scoperto che Natasha... era migliore di lui a stemperare le situazioni scomode. Migliore a fargli capire quanto fosse paranoico.

“Dimmi qualcosa che ancora non so”, le rispose allora.

“Ti amo.”

Migliore a spiazzarlo.

Migliore a dire le cose.

“Ma quello lo so.”

Non le rispose come avrebbe dovuto fare, ma concluse che, per una volta tanto, chiudere la storia con un bacio da favola non sarebbe stato poi così patetico.

 

Peccato che il campanello prese a suonare in modo insistente.

 

“Chi cazzo è adesso?” esclamò, prima di intravedere, fra le tende che davano sul vialetto flash di un maggiolone giallo e viola.

“Oh merda...”

“Che significa?” Natasha parve preoccupata per un istante, ma Clint sembrava solo infastidito e non ci volle molto a comprendere che non doveva esserlo nemmeno lei.

“Potrei, forse, aver detto... a Kate Bishop di venire... a farmi visita. Anche senza invito.”

“Davvero?”

“Sì, credo mi abbia preso alla... lettera.”

Natasha sembrò valutare la sua risposta. Nessuno sapeva che era viva a parte Stark. Che le aveva sistemato il braccio e l'aveva aiutata con le pratiche necessarie per stabilirne il finto... decesso.

Ma Kate era Kate, dopotutto.

“Va' ad aprirle la porta o non la smetterà più di rompere le palle.”

Natasha gli rivolse uno sguardo di pura gioia e si precipitò alla porta, senza guardarsi indietro.

Mentre il sole primaverile tornava a dare vita all'ingresso di quella casa vuota, si trovò a pensare che non era proprio quello il futuro che si era immaginato.

New York, la pioggia. Diceva di odiarle. Ma gli sarebbero mancate.

Gli sarebbe sempre mancata quella pioggia sporca.

Gli sarebbe mancato Coulson. O le visioni che la sua mente proiettava... di Coulson, negli anni delle incomprensibili amnesie. Gli sarebbe mancato il caffè che sapeva di sabbia, gli sarebbe mancato lo SHIELD. Gli sarebbe persino mancata quella faccia da cazzo di Stark.

Non era detto che non avrebbe mai più rivisto New York, o che non si sarebbe sempre e comunque sentito dentro, nelle ossa, quella sensazione di umida afflizione.

Sensazioni che sarebbero sempre state a portata di mano, nel caso fosse stato assalito da un acuto attacco di malinconia.

Inutile pensarci troppo.

Posò la targa con il nome di Natasha e il bastoncino di zucchero colorato su una mensola dell'ingresso, prima di raggiungere il luminoso porticato.

Fintanto che c'era il sole... tanto valeva goderselo.

 

Fine.

 

*

 

Note:

Ero quasi tentata di non scrivere note e prendermi silenziosamente tutti gli accidenti.

Ma non lo faccio perché è tradizione ringraziare tutti quelli che mi hanno seguita fino a qui. E chi non ci è arrivato... lo ringrazio comunque, perché sono felice che si siano almeno interessati alla storia. Una storia che ho cominciato con l'intenzione di finire in pochi capitoli, ma che poi mi ha presa più di quanto immaginassi. Una storia che si è trasformata e che ha subito più colpi di scena di quanti io stessa avessi preventivato. Tirando le somme, sono soddisfatta. In fondo la fantascienza mi è sempre piaciuta. Non sono una maestra del genere, ma che dire, tentar non nuoce. E poi, diciamola tutta, non mi sono nemmeno sbilanciata troppo.

Spero di aver soddisfatto le aspettative, e se così non fosse, mi scuso.

Passiamo ai ringraziamenti, menzione speciale a Ragdoll_Cat, che è sempre presente e commenta sempre (hai una costanza e una pazienza senza pari, se fossi giovine ti scriverei l'orribile: ti lovvo, ma sono anziana e ti dico solo: Grazie. Che poi è la cosa migliore), alla mia impareggiabile socia e beta Hermione_Weasley, perché se lei non ci fosse, bisognerebbe inventarla. Oggi viaggio per luoghi comuni, ma per me comune non lo sei per niente. Grazie per il sostegno, il fangileggiamento e tutte cose. I nostri scambi sono sempre stimolanti, in qualsiasi contesto e soprattutto in quello del fandom che, manco a dirlo, portano sempre a buone ispirazioni. E se non sono buone sono stupide e fanno ridere, ma ridere fa bene al cuore, un po' meno alle rughe... spero che a seppellirci sarà una risata e non l'MCU.

Poi ringrazio: hikaru90, Zoe_79, Fireslot, jodie_always, Hamartia, blue_sun23... e basta, credo. Ovviamente ringrazio anche tutti i lettori silenti la fuori, fatevi vivi, se volete, mi farebbe piacere sentire la vostra voce.

Con questa vi saluto. Non so esattamente quando mi rifarò viva. Qualcosa bolle (un, deux. trois, plié) in pentola, ma non so quando vedrà effettivamente la luce, su questi schermi. Tanto abbiamo Civil War da aspettare.
Insomma, grazie a tutti e ci si risente, prima o poi.

  
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