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Autore: lisitella    04/03/2016    11 recensioni
Lui mi passò un braccio intorno alle spalle, si chinò a baciarmi e mi parve che quello fosse il primo bacio della mia vita
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il bacio della morta



La storia cominciò il giorno in cui appresi d’essere morta. La tragica notizia mi venne  comunicata dall’impiegato del comune a cui avevo richiesto i documenti per potermi sposare, dopo un anno di fidanzamento. Lui aveva calato il naso  e con aria di circostanza aveva sentenziato.

“Guardi, che Cristina Marzoni è deceduta”.

“Quando?”, chiesi inebetita.

“Dunque… vediamo un po’… ah, ecco: il cinque maggio di tre anni fa”.

“Deve esserci un equivoco”, dissi, Cristina Marzoni sono io e come vede sono ben viva. Talmente viva, che ho perfino intenzioni di sposarmi”.

“Impossibile”, disse lui.

“Perché impossibile?”, dissi io.

“Perché lei è defunta. Cioè, risulta defunta, voglio dire, e non esistono disposizioni di legge che contemplino matrimoni post-mortem”.

“Senta, lei” cominciai a innervosirmi, “non so che diavolo di pasticcio abbiate combinato, ma mettetici rimedio alla svelta, perché  Fernando e io abbiamo deciso di sposarci tra un mese, chiaro?”

“Mi dispiace per Fernando, ma prima di sposarlo lei dovrà dimostrare di essere viva, capisce?”

“Ma… ma insomma, se sono qui che cammino, che parlo (per il momento, perché tra poco darò in escandescenze), vuol dire che sono viva, per la miseria, vivissima. Ho forse l’aspetto del cadavere?”
“Ih, ih, ih… “, fece il vecchietto che mi stava alle spalle, in attesa del suo turno e che aveva seguito tutto il battibecco, “io proprio non direi”.

Lo fulminai con un’occhiata, tornai a rivolgermi al mezze-maniche, cercando di mantenermi calma.

“Dica un po’, che diavolo dovrei fare per uscire dal mondo dei trapassati?”, chiesi.

“Non lo so, guardi. Sono qui da una settimana, e un caso del genere non era riportato nel libro di  testo per il concorso. Andrò a chiedere lumi al capoufficio”,  disse mettendosi il librone sotto il braccio e sparendo al di là di una misteriosa porticina.

Che peccato che un così bel ragazzo fosse tanto ottuso!

La folla di gente, dietro di me intanto, era andata ingrossandosi rapidamente. Qualcuno, vedendo sparire l’impiegato dallo sportello cominciava ad agitarsi.

“Si può sapere che caspita succede?”

“Pare che ci sia una morta in piedi”.

“Come una morta in piedi?”

“Una che dovrebbe essere viva è invece è morta, cioè che è morta invece è viva”.

“Davvero? Ma tu guarda…”.

Mi ritrovai cento occhi puntati addosso. Non me lo sarei mai immaginato di dovermi vergognare di esistere.
Dopo un’attesa che mi parve eterna, finalmente librone e impiegato riapparvero insieme.

“ E allora, sibilai, “Ha parlato, l’oracolo?”

“Dunque, prima di tutto lei deve presentare querela di falso”, proclamò, “poi…”

“Poi?”

“Poi, in base all’articolo 454 del Codice civile, in forza di sentenza del tribunale passato in giudicato, verrà ordinato all’ufficiale di stato civile di procedere alla rettifica”.

“Fantastico. E… e quanto tempo ci vorrà, perché avvenga il miracolo della resurezione?”

“Non ne ho la più pallida idea. Certo, sono pratiche un po’ lunghette…”

“Dico, ma si rende conto che nel frattempo Fernando dovrà partire da solo, per Roma? Ha trovato un buon lavoro, in quella città, deve presentarsi tra due mesi!”, esplosi.

“Che ci posso fare? Mica ne ho colpa io, di questo guazzabuglio”, fece serafico, “tornerà se l’ama”.
“Come sarebbe? Certo, che mi ama, ci mancherebbe”.

“Vedete di stabilire l’esistenza di questo amore”, fece una voce, “se non qui facciamo notte”.

“Senta”, tagliò corto l’innocente, “tra mezz’ora si chiude baracca. Si accomodi nell’atrio e mi aspetti, vedrò se posso aiutarla in qualche modo”.

Mi accomodai nell’atrio e aspettai. La gente entrava e usciva senza degmarmi di uno sguardo, come non esistessi. Mi venne perfino il dubbio di essere diventata un fantasma  sul serio. Quel  giovanotto, Alfredo si chiamava, fu molto gentile, per la verità. Mi accompagnò da un suo amico avvocato malgrado l’ora infelice, gli spiegò la faccenda e prendemmo appuntamento per il pomeriggio, per la stesura della querela. A casa trovai i miei in agitazione, a causa del mio ritardo. Mi madre, che ha la lacrima facile per costituzione, vedendomi arrivare sana e salva, fece subito gli occhi rossi. “Per carità, mamma, non piangere!”, feci, con un diavolo per capello. “cerca di rassegnarti, ormai sono morta da tre anni!”.

“Ma… cosa dici,  Cristina!”, si impessionò lei, facendo gli scongiuri.

“Dai non fare così che lo detesto”.

“Va bene, va bene, ma tu spiegati per piacere”.

Spiegai tutto. A lei, a mio padre, a mio fratello Gianni e a Fernando, che quel giorno avevo invitato a colazione da noi.

“Ma senti che roba!”, brontolò mia madre, senza convinzione. Mio padre si limitò a scrollare la testa, e Gianni, figuriamoci, aveva altro da pensare. Magari erano soddisfatto  del contrattempo, loro perché non avevano mai visto di buon occhio quel matrimonio. Dicevano che meritavo qualcosa di meglio di quello smidollato di Fernando.

Lui, intanto, continuava a ingozzare delle tagliatelle che gli fumigavano davanti.

“Tutto si aggiusterà, Cristina”, disse, tra una forchettata e l’altra, “non prendertela così, dai. Non ti sarà difficile convincere il Tribunale di essere ancora tra i vivi, no?”

“Ma passerà un sacco di tempo, capisci?”

“Pazienza, cosa vuoi farci. Dopotutto, abbiamo una vita intera. Davanti, da vivere. Che fretta c’è?”
Certo. Era un bel concetto. Romantico. Ricco di saggezza, di buonsenso. Solo che a me dava ai nervi, maledetto il mondo.

“Sarebbe come dire che non ti importa un accidenti di rimandare tutto alle calende greche!”

“Non ho detto questo. Dicevo solo che, stando così le cose…”.

“Eh, già. Non vedi l’ora, tu, di andare a fare il bellimbusto a Roma, da solo vero?”

“Ma cos’è, Cristina, ti va di litigare?”

“Lasciatela stare”, disse la mamma, sottovoce.

Mangiammo in un silenzio sepolcrale, era il caso di dirlo. Non si sentiva che il rumore delle stoviglie smosse. Quello che mi mandava in  in bestia era la calma di Fernando. E pensare che avevo sempre giudicato positivamente il suo carattere pacifico, come fosse un merito, non un difetto. Forse perché non avevo mai avuto occasione di metterlo alla prova. Per un attimo, desiderai che lui fosse un attaccabrighe, un collerico, che partisse in tromba a fare il diavolo a quattro in comune. Nel pomeriggio. Alfredo e io ci ritrovammo nello studio del suo amico. Dopo aver redatto l’esposto, lui si offrì di riaccompagnarmi a casa in macchina.

“Come l’ha presa il tuo fidanzato?”, si informò.

“Male”, mentii.

“Lo credo! Fosse capitata a me, avrei fatto cose da pazzi. Forse una carneficina”, rise.

“Invece Fernando sostiene che  non è un dramma”, confessai. Lui sembrò rifletterci sopra.

“Bé, infondo ha ragiome”, ammise.

“Perché?”.

“Perché alle volte un periodo di lontananza può essere molto utile. Aiuta a mettere a fuoco la situazione, a vedere le cose più chiaramente”.

“Quali cose?”, mi inalberai.

“Dicevo così per dire”.

Sotto casa, nell’accomiatarsi, mi raccomandò di tenerlo al corrente, se ci fossero state delle novità, e di disporre  pure di lui senza riguardo, in casi di bisogno. Promisi che l’avrei fatto senz’altro, lo salutai e mi dimenticai completamente della sua esistenza.

Fino a due mesi dopo, Fernando era già partito, quella pratica benedetta sembrava essere svanita nel nulla e lo era ancora a metà strada, tra la vita e la morte. Si presentò da noi una sera, con un vestito nuovo di zecca e un sorriso sfolgorante, a chiedere notizie.

“Bisognerebbe interessare qualcuno, spingerla un po’, questa querela”, disse.

“Lei può farlo?”, mi informai.

Si, lui poteva farlo. Cominciò così l’iter di quella pratica, il cui evolversi diventò come uno di quei romanzi zeppi di personaggi, per cui, a un certo punto, una non ci capisce più niente, piglia il libro e lo scaraventa dalla finestra.

Quasi ogni sera, Alfredo veniva a farmi il resoconto delle personalità che aveva smosso, delle promesse che aveva ricevuto e dei giuramenti che aveva prestato riguardo alla mia esistenza in vita. Mia madre preparava il caffè e certi dolcetti che solo lei sapeva fare, e tiravamo la mezzanotte quasi senza accorgercene.

Fernando, da Roma, telefonava di tanto in tanto. Aveva disdetto l’appartamento, sembrandogli inutile continuare a pagare un affitto così alto a vuoto e viveva in una pensioncina, per il momento. Non ero morta di dolore, a quell’annuncio, anche perché sarebbe stata fatica sprecata. Sotto Pasqua scrisse che avrebbe trascorso le vacamze a Roma, non valeva la pena affrontare un così lungo viaggio per pochi giorni di riposo. Rimasi sbalordita dal sollievo che mi procurò quella notizia e per l’ennesima volta sprofondai nella confusione più totale. Com’era possibile che fossi diventata di punto in bianco così volubile e inconstante. Mi sorpresi a chiedermi se non volessi sposare Fernando per spirito di contraddizione, e fino a che punto ne fossi innamorata.

Poi una sera… Tornavo dall’aver fatto una commissione per mio padre, quando la macchina mi sfiorò, bloccandosi poco più avanti, tra uno stridio di freni, facendomi fare un balzo di spavento sul marciapiede.
“Che razza di maniere!”, strillai.

“Salga su, l’accompagno”, disse Alfredo, sporgendo la testa dal finestrino.

“Vada a quel paese!”, inveii continuando per la mia strada. Lui prese a seguirmi, lentamente.

“La prego, salga. I passanti ci stanno osservando, chissà cosa penseranno di noi, Cristina. Non ci facciamo mica una bella figura, lo sa? E poi io ci tengo alla mia reputazione”.

Insomma alla fine salii, per non rovinargliela, la reputazione.

“Forza”, dissi furiosa, “mi racconti quanti ministri, deputati e capi di governo ha scomodato, oggi. Tanto io credo a tutto, sa? Ci sono nata, mezza cretina”.

“Nessuno: Ne oggi, ne per i giorni scorsi. Non conosco un cane, in città, all’infuori del mio amico avvocato. Ma è bravo, sa? Può stare tranquilla, glielo assicuro”.

Stranamente la rabbia mi sbollì, mi venne perfino da ridere, ma mi sforzai di restare impassibile.

“Ma allora era tutta una presa in giro?”

“Si”, disse lui frenando lungo il viale, a ridosso, di un muretto sbrecciato, “mi ero innamorato di te, accidenti. Dovevo pur trovare un sistema per poterti vedere, no? Sii generosa, perdonami”.

“Ti perdono”, dissi.

Lui mi passò un braccio intorno alle spalle, si chinò a baciarmi, e mi parve che quello fosse il primo bacio della mia vita. E capii che il sentimento che avevo provato per Fernando non era stato altro che un equivoco, un surrogato d’amore. L’avevo scampata bella.

“Cos’hai da sorridere, adesso?”, chiese Alfredo, sconcertato.

“Mi viene in mente quel romanzo vecchissimo che ora non ricordo più neanche il nome, ricordo solo che lo leggeva mia nonna, Il bacio di una morta.

“Disgraziatamente per te, sono un maniaco dell’orrido, con tendenza al macrabo”, disse lui. Poi mi baciò di nuovo.


 

   
 
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