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Autore: OnlyHope    04/03/2016    10 recensioni
Crescere, cambiare, modificare e divenire. È ciò che accade ai sentimenti, alle emozioni di due persone, nel breve lasso di tempo di anno. Questa è la storia di cosa c’è stato prima di un addio. Questa è la storia di Tsubasa e Sanae prima che si trasformino in due coraggiose farfalle.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly '
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Becoming (Butterfly Intro)

Capitolo 24

Novilunio
 
 
 



La musica si diffonde soffusa nella stanza.
Sto leggendo il mio libro preferito, sdraiata pancia in giù sul letto.
La luce tenue dell’abat-jour illumina le pagine, dalla finestra non penetra nessun chiarore.
La luna nuova infatti ha lasciato vuoto il cielo, che è solo un quadrato nero oltre il vetro lucido, su cui si riflette la mia immagine.
Allungo una mano senza distrarmi dalla mia lettura, quando il cellulare sul comodino inizia cadenzato a suonare.
Rispondo meccanicamente, poggiando l’apparecchio al lobo dell’orecchio.
Quando riconosco la voce all’altro capo però, mi metto a sedere di scatto, incrociando poi le gambe sopra al materasso.
“Ciao!” esclamo felice, prima che uno sbuffo silenzioso m’incurvi le spalle.
Il mio movimento improvviso ha chiuso il libro, senza darmi modo di mettere un segno.
Poco male, Sanae! Lo conosci quasi a memoria ormai!
“Sono felice che hai chiamato!”
Lo dico tutto d’un fiato, iniziando a giocare distrattamente con una ciocca di capelli.
Tsubasa risponde emettendo un suono gutturale, intercalando poi giusto un paio di parole a dei silenzi prolungati.
C’è qualcosa che non va.
“Tutto bene, Tsubasa?” chiedo un po’ titubante.
“Sanae, devo dirti una cosa…”
Deglutisco nervosa.
Solitamente i discorsi che hanno questo incipit non portano mai a niente di buono.
“Dimmi…” mormoro con un filo di voce, per niente sicura di voler assecondare questa esortazione.
Ma Tsubasa tace, lasciando all’ennesimo silenzio il compito di torturarmi, alla stregua del più fastidioso dei rumori.
Un cattivo presagio s’insinua così nel mio animo, anche se non saprei proprio spiegarne il motivo.
Nell’attesa di parole che non arrivano, inizio a intrecciare la coperta con le dita, compiendo un movimento circolare e ripetitivo, impossibile da controllare.
Quando Tsubasa emette un sospiro, ho un sussulto.
“C’è qualcosa che non va?” domando, sentendo dentro di me una certezza sempre più radicata.
Sta realmente per accadere qualcosa.
E un qualcosa che sicuramente non mi piacerà…
“Ecco, io…”
Tsubasa esita ancora.
“Non so come dirtelo…”
Ma che cosa?
Mi chiedo senza però dare voce ai miei pensieri, spaventata dall’esitazione nel tono della sua voce.
“Sanae, io domani parto…”
Domani parto…
Partire?!
In che senso?!
“Avevo deciso di non dirtelo ma… Ora mi sembra tutto così ingiusto e allora io…”
“Aspetta!” lo interrompo in maniera brusca.
I miei polmoni prendono a respirare irregolarmente.
Non può essere vero…
Non può riferirsi a quella partenza, no?
“Non sto capendo niente, Tsubasa! Dov’è che devi andare?”
Non intenderai?!
No…
Non è possibile…
Non senza aver accennato mai nulla…
“Domani mattina ho il volo per il Brasile…”
Un colpo al cuore.
Emette un suono sordo e sinistro un colpo al cuore.
E il tempo si ferma.
Il bianco e il nero uccidono tutti gli altri colori, che gli occhi non distinguono più in mezzo a tanto grigio.
Le cellule del corpo si bloccano mentre nella testa milioni di pensieri si accavallano urlando, cercando di sovrastarsi l’un l’altro, in una folle rincorsa di parole.
“Stai scherzando, vero?” chiedo, cercando di rendere ragionevole e sensato un concetto che non lo è per niente.
“Non è divertente, Tsubasa!” aggiungo, cercando d’ignorare che il mondo stia per crollarmi addosso.
“No, Sanae. È la verità…”
“Ma avevi detto dopo la scuola!” esclamo, non calibrando il tono della voce, che esce stridula dalla mia gola.
“Ci sono ancora la consegna del diploma, le vacanze di primavera…” elenco nervosa, non dando peso al fatto che probabilmente sono stata solo io, a porre la partenza alla fine di una certa cronologia di eventi.
“Mi dispiace davvero, credimi! Ma non ho potuto fare diversamente!”
Tsubasa cerca di bloccare le mie recriminazioni.
Ci prova davvero ma io non lo ascolto più, perché vorrei solo che mi spiegasse il perché…
“Pensavo sarebbe stato più facile, Sanae. Ma non lo è. Non lo è affatto…”
Più facile?!
E tutto questo ti sembra davvero il meglio che potevi fare?!
Inizio a piangere, pervasa dall’incredulità.
Sono precipitata, senza nessun preavviso, dentro al mio incubo peggiore.
“Non ce l’ho fatta però a non chiamarti. Avevo bisogno di sentirti…”
Mi mordo le labbra.
“E non volevo lasciarti sola con una bugia…”
Ascolto in silenzio.
Incapace di proferire anche solo una sillaba.
“Mi mancherai molto…”
Stringo le palpebre, trattenendo un singhiozzo.
“Ma è meglio così…”
Meglio così?!
Non è meglio per niente!
Non può decidere sempre tutto da solo!
Non puoi…
Farmi questo…
“Ciao Sanae…”
Trattengo il respiro.
Lo sta facendo sul serio...
“Ci sentiamo presto…”
Mi sta dicendo addio!
“Aspetta!” esclamo ma non ho il tempo di aggiungere altro.
Tsubasa ha interrotto la chiamata, scegliendo ancora per entrambi.
Fisso incredula il cellulare, finché non smette d’illuminarsi.
Non può essere…
Non può!
Le mie dita prendono nervose a digitare sui tasti.
Lui non può…
Non può andarsene così!
Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, si prega di…”
No!
No!
No!
Lancio il telefono contro i cuscini, il respiro nel mio petto si fa accelerato.
Mi guardo intorno, cercando d’ignorare la confusione che alberga nella mia mente e lo strazio nel mio cuore.
Una sensazione di vertigine m’invade.
Con uno scatto nervoso, afferro la sciarpa bianca poggiata sulla sedia e mi precipito per le scale.
Arrotolo la lana intorno al collo mentre scendo gli scalini, saltandoli due a due.
Mia madre mi chiama quando sono in giardino.
La ignoro, imprecando contro la serratura difettosa del cancelletto, che mi sta facendo perdere tempo inutilmente.
La mamma continua a chiedermi dove stia andando a quest’ora…
Non le rispondo nemmeno ora, iniziando invece a correre una volta raggiunta la strada.
In un moto per luogo che mi porti velocemente da lui.
Decisa come non mai a guardarlo negli occhi, per chiedergli come gli sia potuto venire in mente, di tenermi all’oscuro di tutto.
Corro…
Perché ogni passo è spinto dalla disperata consapevolezza che non lo rivedrò più…
Corro mentre le lacrime si rincorrono sulle mie guance, come pioggia che sbatte contro il vetro di una finestra.
Corro e i polmoni iniziano a bruciare, per uno sforzo a cui non sono abituata.
Corro ancora, nonostante un fastidio al fianco mi faccia leggermente zoppicare.
Ma non importa.
Perché io…
Corro da Tsubasa.
Per raggiungerlo, nonostante non siano questi i suoi desideri.
Fregandomene del dolore che dovrò affrontare.
Perché devo…
Io devo…
Io…
La mia corsa rallenta.
Qualche metro e comincio a camminare.
Sempre più lentamente, finché non mi fermo.
Una mano tiene il peso del mio corpo, posandosi sul muro di cinta di una villetta mentre cerco di riprendere fiato.
Mi guardo intorno.
Sono a metà strada tra casa mia e quella di Tsubasa.
E all’improvviso tutto sembra così inutile.
Andare da lui non risolverà un bel niente…
E non mi farà sentire meglio.
Non c’è più nulla da fare.
E non ha poi così importanza nemmeno capire.
Né pretendere spiegazioni.
Un singhiozzo scuote il mio petto mentre fisso l’angolo in fondo alla strada…
Per un attimo tendo la mano, sapendo che rimarrà vuota poi abbasso gli occhi sull’asfalto, sfocato dalle lacrime, che mi annebbiano la vista.
E ritorno sui miei passi.
Ma ora senza alcuna fretta.
È una lunga notte quella che mi aspetta.
Domani all’alba inizierà un giorno senza fine.
Quando raggiungo di nuovo casa mia, noto mia madre che mi aspetta sul viale d’ingresso.
Mi chiede cosa mi passi per la testa.
Insiste su un’ipotetica discussione avuta con Tsubasa.
La mia risposta si limita a un’alzata di spalle mentre la mia testa s’inclina.
Mia madre parla ancora mentre salgo le scale, nel tentativo di rassicurarmi sulle liti tra innamorati.
Il primo amore è così, dice.
Ogni problema sembra insormontabile ma poi tutto si aggiusta.
Passerà, Sanae...” la sento ripetere al piano di sotto mentre entro in camera mia.
Mi appoggio con la schiena alla porta ormai chiusa alle mie spalle.
Un sorriso increspa le mie labbra.
È una piega amara quella che le distende, non riesco più a ritrovare quella serenità, che fino a poco fa riscaldava la mia stanza.
Il mio sguardo vaga in cerca di conforto, finché non si posa sulla bacheca di sughero appesa alla parete.
Passo in rassegna ogni ricordo, illuminato dalla lampada rimasta accesa nonostante la mia foga di uscire.
È come se avessi vissuto questi mesi, milioni di anni fa.
I miei occhi indugiano sulle foto scattate la vigilia di Natale poi sul secondo bottone della sua divisa, fermato con un nastro blu e uno spillo contro il sughero.
Le mie pupille si dilatano mentre spalanco le palpebre.
All’improvviso tutto mi appare così chiaro.
Ora capisco l’insistenza di quel giorno, sul cavalcavia…
E la visita al Preside a San Valentino…
Il bocciolo di cioccolato bianco…
Tutti i momenti in cui spariva, senza dirmi nulla ed io ero incapace di trovarlo.
Tsubasa stava organizzando la sua partenza.
Da solo.
Avrei dovuto arrivarci subito.
Se non fossi stata così accecata dall’amore...
Se solo non avessi avuto così paura di sapere…
Avrei dovuto chiedere, parlare.
Senza crogiolarmi nell’ignoranza.
Non avrei dovuto essere vigliacca, illudendomi di allontanare l’inevitabile grazie al silenzio.
Così ho lasciato nelle sue mani il mio destino.
Domani tutto cambierà e non sono preparata.
Forse però…
Non lo sarei mai stata…
Cosa mi resta da fare?
Volto lo sguardo verso l’armadio.
Lo raggiungo con passi lenti e quando apro le ante, un pacchetto tra i maglioni richiama la mia attenzione, come un faro nella notte.
Il regalo per Tsubasa…
Per il giorno in cui partirà...
Prendo la scatola e sempre lentamente mi avvicino alla scrivania, tenendola poi in grembo una volta seduta davanti al computer.
Lo accendo e aspetto, ignorando i piccoli cerchi scuri che si stanno formando sul coperchio di cartone.
Digito meccanicamente sulla tastiera.
Aspetto ancora il caricamento della pagina.
Come se non fossi realmente qui ma osservassi una persona che mi somiglia dall’esterno.
Prendo un pezzo di carta.
La mia mano scorre fluida nel trascrivere l’orario e la fermata, dell’unico autobus in partenza verso l’aeroporto.
Perché ho una sola certezza ora.
Nessuno potrà mai impedirmi di essere lì domattina. 
Ci andrei anche adesso, se non fosse notte fonda.
Perché non ha poi così importanza dove aspettare il sorgere del sole.
In questa notte preludio di un dolore che mi farà impazzire…
Non so come farò…
Non lo so davvero…
I miei occhi fissano il nero oltre la finestra.
Nella stanza risuona la voce metallica, che risponde alla mia ostinata ultima insistenza.
Si prega di riprovare più tardi…
Più tardi…
È un tempo che io non ho più.
   
 
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