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Autore: vivis_    04/03/2016    4 recensioni
Sentii il suo pollice ridisegnare delicatamente la dolce curva del mio zigomo.
«Perché sorridi?» mi chiese a fior di labbra.
«Prima di venire qui avrei scommesso anche la mia casa sul fatto di essere la persona meno capace di un coinvolgimento emotivo su questa terra. Credevo di possedere una corazza abbastanza rigida ed impermeabile da riuscire a farmi scivolare addosso i sentimenti provenienti dall’esterno. Poi arrivi tu e… guardami: sono qui a sorridere senza motivo al cospetto di due occhi neri illuminati dal chiaro di luna, manca solo Iris dei Goo Goo Dolls in sottofondo e potrei seriamente pensare di essere finita in un film tratto da un romanzo di Nicholas Sparks» spiegai con una punta di autoironia.
Sentii una leggera risata vibrare nel suo petto a contatto con il mio. Quel sorriso. Se anche il mio cervello fosse stato fisicamente in grado di dimenticare, quel sorriso non lo avrei scordato mai.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V
BEN
 




«Ma sei matto?! Avrei potuto spararti!» inveì infilando la pistola nei jeans.
«Scusa» farfugliai mentre ancora mi sentivo in iperventilazione. «Aspetta, io non mi devo scusare, non ero io quello che rischiava di avere un proiettile in fronte.» aggiunsi una volta razionalizzato la situazione.
«Dio, ho scampato una tempesta mediatica per un pelo.» mormorò tra sé sollevata, ignorandomi completamente.
«Ma cosa…»
«So chi sei, ho una memoria eidetica e ti ho visto nel film su Dorian Gray.» spiegò distrattamente mentre infilava la pistola nei jeans lasciando fuoriuscire solo il manico.
Deglutii rumorosamente al vedere con quale leggerezza e nonchalance stesse maneggiando una pistola carica. Ma il fatto che questa non fosse più puntata contro di me mi convinse a cominciare a rilassare qualche muscolo.
«A proposito, io ti odio.» aggiunse di punto in bianco per poi dirigersi verso l’anticamera.
Ma che razza di problema ha con me questa?
«Scusa, punti una pistola addosso a tutti quelli che odi? Non dovrebbe esistere l’abuso di potere o qualcosa del genere nel vostro codice etico.» chiesi mentre sentivo i miei battiti che iniziavano a stabilizzarsi.
«Il codice etico impone un sacco di cose inutili purtroppo…» mormorò sconsolata. Vidi il suo sguardo assentarsi per un impercettibile momento, come se stesse rivivendo un ricordo fastidioso. A giudicare dalla sua espressione quel fantomatico codice doveva averle impedito di togliersi qualche soddisfazione. Il mio stomaco ebbe uno spasmo al pensiero che si potesse trattare del mio mancato omicidio. Iniziai a considerare l’idea di allertare mia Vicky del fatto che, probabilmente, stava condividendo un appartamento con una psicopatica armata.
«Comunque no» riprese «ti ho puntato addosso una pistola perché eri nel mio bagno e, per quanto ne sapevo, avresti potuto essere un ladro.» rispose spazientita, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.
«Scusa. Volevo solo lavarmi le mani, in fondo è anche il bagno di mia cugina.» risposi chinando la testa. Non capivo quale strano sortilegio stesse compiendo ai danni della mia mente quella giovane donna, ma riusciva continuamente ed inspiegabilmente a farmi sentire dalla parte del torto quando in realtà non era così.
«E comunque, ti odio perché da quando ho visto il tuo dannato film non riesco più ad immaginarmi un Dorian Gray biondo quando rileggo il libro!» esclamò con le braccia in aria mentre usciva dal bagno.
La seguii senza nemmeno rendermene conto.
Probabilmente, quello di lusingarmi,  era l’ultimo dei suoi intenti, eppure lo face. L’angolo destro delle mie labbra si tese in un sorrisetto soddisfatto. In parte era dovuto al fatto di averle fatto, anche se involontariamente, un dispetto e in parte perché una tale influenza poteva essere dovuta solo ad un’interpretazione ottimale del personaggio.
Il silenzio calò per qualche minuto in tutto l’appartamento, mentre nella piccola cucina entrambi intenti a fissare il pavimento, forse per cercare il miglior punto in cui scavare un tunnel sotterraneo per poter scappare da quella situazione quantomeno imbarazzante.
Alzai gli occhi, incontrando la parete del salotto decorata da una stampa in bianco e nero che raffigurava un malinconico Tower Bridge immerso nella nebbia. Doveva averla comprata di recente, pensai.
Era quasi un anno ormai che non mettevo piede in casa di Victoria e, a parte il nuovo quadro appeso, poco era cambiato. Faticavo  a capire come mai mia cugina si ostinasse a trasformare il suo appartamento in una specie di bed and breakfast dove gente pressoché sconosciuta andava e veniva in un flusso frenetico ma regolare, come quello di uno sciame di api che entrano ed escono da un alveare. Aveva incominciato a condividere l’appartamento ai tempi dell’università per poter alleggerire i costi, ma anche ora che aveva un lavoro stabile e uno stipendio che le permettesse di viverci tranquillamente da sola non aveva mai smesso di accettare nuovi coinquilini da tutto il mondo. Che fosse per una settimana o tre mesi, non poteva fare a meno di avere qualcuno di nuovo con cui fare due chiacchiere prima di andare a letto, da cui imparare qualche parola di qualche nuova lingua o che le cucinasse qualche nuovo piatto dal nome impronunciabile.
Per quante volete le avessi chiesto spiegazioni, le sue risposte non mi avevamo mai soddisfatto a pieno. Probabilmente il motivo non era completamente chiaro nemmeno a lei, ma Vicky era così. Quella ragazza aveva sposato Londra, ormai viveva in simbiosi con lei. Non riusciva a separarsene eppure pareva aver deciso che, se non fosse riuscita a vedere il mondo, avrebbe portato il mondo a Londra.
«Vuoi qualcosa?» esordì facendo esplodere la bolla insonorizzata nel quale avevo trovato un confortevole nascondiglio.
«No, tranquilla.» risposi voltandomi verso la ragazza dai capelli scuri.
«Credo che i miei geni italiani mi impongano di offrirti qualcosa per forza, anche contro la tua volontà.» rispose allungando il braccio sottile per aprire la credenza. «E non ti conviene sfidare la nipote di una nonna capace di organizzare pranzi natalizi da 12 ore. Quindi, collabora.» riconobbi un cambio radicale nel suo tono rispetto a quando eravamo nel bagno. Se avesse rivolto il viso verso di me probabilmente avrei sorto il principio di un sorriso sulle sue labbra.
«Okay, ehm… del tè va benissimo.» risposi allora.
La osservai esplorare gli scaffali della credenza per qualche secondo, giusto il tempo per rendermi conto del fatto che la stavo guardando davvero per la prima volta dal nostro burrascoso incontro. Un lembo delle camicetta in raso bianco fuoriusciva ribelle dalla vita alta dei jeans neri che, aderenti al punto giusto, mettevano in risalto le gambe kilometriche.
«Oh cavolo!» scosse la testa facendo ondeggiare i lunghi capelli lisci. «A quanto pare tua cugina non condivide la tua passione per l’Earl Grey, abbiamo solo del tè nero… spero non sia un problema.» mi informò con una punta di delusione, senza distogliere lo sguardo dalla credenza. Strabuzzai gli occhi incredulo.
Okay, come diavolo faceva a saperlo? Come?!
Sbattei le palpebre velocemente per cercare di riprendermi dallo stupore iniziale, cercando una spiegazione che non fosse riconducibile alla lettura del pensiero. Dopo qualche istante di smarrimento totale, mi ricordai della sua memoria eidetica, per cui non le sarebbe stato difficile ricordare un’eventuale domanda sui miei gusti personali, pubblicata su una qualsiasi rivista. «Wow, impressionante. E dimmi, dato che la mia memoria non è così straordinaria, in quale intervista l’ho detta? Perché, davvero, non me lo ricordo.» le lanciai velatamente una sfida.
«Oh no, non c’entra la memoria…» disse trattenendo una risatina, dovuto probabilmente alla mia espressione delusa per essere arrivato, come spesso mi capitava in quel periodo, alla conclusione sbagliata. «Ti sei sporcato con il tè che hai preso da Costa mentre venivi qui. Hai il polsino del maglione macchiato.» spiegò poi con un’inquietante tranquillità, indicando il mio polso sinistro. Istintivamente seguii il suo indice constatando la presenza di una macchiolina circolare  vicino alla cucitura della manica.
«E prima che tu mi chieda per quindicesima volta come lo so, ti dico subito che ho il bicchiere di carta di Costa, era caduto dal cestino appena qui fuori. Ah, a proposito, hai una mira pessima.» fece una piccola pausa per poggiare le tazze sulla superficie lucida del bancone. « In più dalla macchia si vede che il te era mischiato con il latte… e se la mia mamma inglese mi ha insegnato qualcosa, è che, se esiste un tè da bere con il latte, quello è l’earl grey.» concluse nonchalance prevedendo e stroncando qualsiasi mia richiesta di spiegazioni.
Rimasi paralizzato a fissare il vuoto con la bocca aperta, cercando un modo per dare un suono ai miei pensieri, ma il rumore metallico della maniglia della porta che scattava non me ne diede il tempo.
«Ben, sono tornata!» annunciò una voce cristallina.
«Ciao Vicky!» salutammo in coro. D’istinto mi voltai verso di lei incontrando i suoi occhi neri, colti alla sprovvista quanto me da quella nostra breve intesa.
«Beh vedo che vi siete già conosciuti, ragazzi» disse mia cugina inarcando un angolo delle labbra. «Sì, la tua nuova coinquilina mi ha quasi sparato.» la informai. Mi sorpresi a riconoscere nella mia voce la stessa tonalità che hanno i bambini quando devono riferire alla mamma che il fratello maggiore gli aveva appena rubato i lego.
«Che diavolo hai combinato Ben?» mi chiese con aria di rimprovero.
La mia espressione cambiò drasticamente, passando da un sorriso convinto della propria ragione a una smorfia di incredulità.
«Ma come cosa ho fatto io?!» protestai.
«Non gli ho quasi sparato. Ho semplicemente puntato un arma a difesa della mia persona, è legittima difesa.» intervenne l’agente dell’INTERPOL, prima che potessi cercare di giustificami. «Era nel bagno e non ha risposto quando ho chiesto se ci fosse qualcuno in casa, al che sono giunta alla ragionevole conclusione che si potesse trattare di un ladro.» concluse sorseggiando l’ultimo goccio di tè.
«Beh, sì, effettivamente è una conclusione sensata.» la assecondò Vicky.
Alzai le mani in segno di resa, già era difficile stare dietro ad una donna presa da sola, pensare di poterne affrontare due contemporaneamente sarebbe stato come gettarsi in pasto agli squali.
«Bene, visto che Vicky è tornata, cedo a lei i doveri di padrona di casa e vado a mettermi in tenuta casalinga.» annunciò la giovane donna dagli occhi neri, mentre varcava la porta del corridoio con la valigetta porta-armi sotto il braccio e un paio di stivaletti dal tacco spesso a penzoloni sull’indice e il medio.
Corrugai leggermente la fronte una volta colta la rarità di quel contrasto: un simbolo di pura aggressività a pochi centimetri dall’emblema dell’eleganza femminile.
«La consumerai a furia di fissarla.» la voce cristallina di mia cugina irruppe nella mia riflessione.
«Cosa?» inarcai un sopracciglio autoconvincendomi di non aver capito a chi si stesse riferendo.
«Sai benissimo che sto parlando di Virginia, con me non funzionano le tue tecniche d’attore.»
Sentii le il sangue affluire rapidamente ed inspiegabilmente alle mie guance, tingendo di imbarazzo la pallida pelle del mio viso.
«Se ti piace dovresti smettere di fare lo scorbutico e provare a conoscerla meglio.» continuò Victoria.
«Potresti evitare di fare il cupido tutte le volte che vengo a trovarti? Sei peggio di mia madre!» mi lamentai, sulla difensiva. Mi voltai verso di lei e subito notai come le sue labbra sottili si stessero inarcando in un sorrisetto malizioso. «Stavo solo pensando a quante mie colleghe vorrebbero avere lo stesso aspetto che ha Virginia alla sua età.» mi giustificai, notando come i miei respiri si facevano sempre più ravvicinati uno all’altro come se stessi annaspando in un fiume la cui corrente tentava di portarmi a fondo.
La risata di mia cugina risuonò per tutto l’appartamento cogliendomi alla sprovvista.
«Perché? Quanti anni credi che abbia?» mi chiese portandosi una mano alla bocca, come se cercasse di arginare le sue risa.
«Beh, nonostante ne dimostri almeno cinque in meno, deve aver passato i trenta. Non sono un esperto, ma so che l’iter per raggiungere l’INTERPOL è parecchio lungo.» risposi cercando di camuffare il mio disagio per quella sua reazione.
Per tutta risposta la bionda scoppiò di nuovo a ridere, ancora più intensamente di prima, tanto che dovette reggersi al bancone della cucina per non accasciarsi a terra.
«Che c’è?» chiesi inarcando un sopracciglio, non capendo il motivo di tale, esagerata, reazione.
«Virginia a ventisei anni.» rispose passandosi una mano sulla gota destra, per asciugarsi una lacrima sgorgata dai suoi occhi grigi durate quelle incontrollate risate.
«Quanti?!» esclamai.
«Ventisei.»
«Potreste almeno fingere di non comportarvi come se io non fossi a tre metri da voi?» disse una terza voce.
La vidi sbucare dalla penombra del corridoio. Indossava una felpa blu, al centro della quale spiccava la sagoma stilizzata di un planisfero trafitto da una spada con alle spalle una bilancia, e un paio di pantaloni della tuta grigi con i polsini alle caviglie. Dentro a quegli abiti semplici sembrava quasi una ragazza della sua età.
Mi beai di quella metamorfosi forse per un attimo di troppo e la sua innata capacità di osservazione mi colse in flagrante, ancora prima che io potessi rendermene conto io stesso.
«Che c’è?» mi chiese mentre si portava di lato la lunghissima coda di cavallo, che prima si appoggiava disordinata sul cappuccio scuro. «Non ho una pistola nascosta nella tasca della felpa, tranquillo.» mi rassicurò in maniera palesemente sarcastica. 

________


BUONSALVE GENTE!
Lo so, lo so, sono una pessima persona. Il mio silenzio è stato imperdonabile, lo so. In mia difesa posso dire di aver attraversato un periodo di crisi totale, in cui non mi piaceva nemmno una virgola di quello che scrivevo (oltre che ad una sessione d'esami interminabile).
Chiedo umilmente perdono a tutti, spero di non deludervi.
Buona lettura, x.
 
 
   
 
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