Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: johnlockhell    04/03/2016    3 recensioni
La scoperta del segreto di Mary è l'ennesimo trauma che la vita non ha risparmiato a John Watson. Anche dopo il ritorno a Baker Street, si trascina depresso nella routine quotidiana sotto il peso della consapevolezza che tutto quello in cui spera si distruggerà. Sherlock non può più sopportare di vedere l'amico, la luce dei suoi occhi, in questo stato afflitto. Nonostante le emozioni e interazioni umane non siano il suo forte, per farlo reagire e rimettere le cose a posto è pronto a ricorrere a qualsiasi espediente. Ma Londra non lascia mai un attimo di respiro, e c'è sempre un crimine da risolvere dietro l'angolo. [Pairing: Johnlock, accenno di Warstan]
Dal Capitolo 6: “Quello che intendo dire, è che sei tu a farmi questo effetto. Sei sempre e solo tu, John.”
Dal Capitolo 8: Aveva fatto un sogno assurdo quella notte, e il vago ricordo del sogno, la sua immagine sfocata, non si cancellava dalla sua testa. Aveva sognato di baciare Sherlock.
Genere: Drammatico, Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 3 – Touch me


“Insomma, ho capito, vuoi farmi passare la notte in bianco,” si lamentò Greg, dando un'occhiata veloce all'orologio da polso che segnava mezzanotte meno dieci, mentre con l'altra mano apriva lo sportello della macchina della polizia con cui era arrivato, parcheggiata lungo la strada affollata di turisti e giovani londinesi fuori a divertirsi.

“Dobbiamo intervenire subito, prima che l'assassina faccia perdere le sue tracce,” rispose Sherlock, la voce fremente dall'emozione della caccia.

Mentre Greg si sedeva al volante e chiudeva la portiera, Sherlock e John si avvicinavano ai propri sportelli.

“Fortuna che avevi detto che mi avresti fatto dormire stanotte,” commentò sarcastico John andando ad aprire la portiera posteriore; non si poneva neanche il quesito di chi si sarebbe seduto davanti sul sedile accanto a Lestrade, l'enorme ego di Sherlock non entrava nel sedile posteriore. Inoltre, magari sedendosi dietro nessuno avrebbe notato se John riposava un attimo gli occhi e finiva di smaltire la sbornia.

“Hai ragione,” commentò piano Sherlock, soffermandosi con un piede dentro la vettura e l'altro ancora fuori, “avevo promesso di occuparmi di te come un vero amico, ma... che scelta avevamo, è morta sotto al nostro naso!”

“Ti conosco, non aspettavi altro,” rise John, con una punta di provocazione rimasta ancora nella sua voce dallo scontro di poco prima, ma l'ira era già sfumata. Come gli aveva detto, per quanto lo facesse sempre arrabbiare, non riusciva proprio a portare rancore a Sherlock. Non dopo tutto quello che avevano fatto e passato insieme.

“Neanche tu,” lo punzecchiò Sherlock, con un mezzo sorriso, “... e forse è proprio questo il problema,” mormorò fra sé e sé entrando completamente dentro l'auto e chiudendo lo sportello.

Ogni volta che John finiva in pericolo, veniva rapito o rischiava la vita, Sherlock si chiedeva se non avesse fatto male a coinvolgerlo nella sua sgangherata vita da detective. Il suo egoismo si intrecciava alla paura di perdere il compagno e alla consapevolezza che prima o poi sarebbe successo. Adesso sapeva per certo che quello che serviva all'amico era stabilità e tranquillità, per rimettere insieme i pezzi della propria vita e chiarire le questioni in sospeso, non distrazioni adrenaliniche e avventure potenzialmente letali. Ma allo stesso tempo lui più di tutti sapeva cosa voleva dire avere a che fare con una dipendenza, e quella che John aveva per i crimini e risolvere casi insieme a Sherlock era a pieno titolo una dipendenza, più allettante di qualsiasi droga, per questo si era fatto coinvolgere così facilmente in questo mondo. E in fondo, John e Sherlock erano dipendenti anche l'uno dall'altro; potevano stare qualche settimana, qualche mese, senza risolvere crimini insieme, ma non uno di troppo. Che tutto questo stesse facendo del male a John, e gli stesse rovinando la vita che Sherlock credeva che non avrebbe mai potuto avere per sé, era un pensiero sul fondo della sua testa che, conferma dopo conferma, era sempre più difficile mettere a tacere per il detective.

Ma in questo momento era quello che doveva fare. Il gioco era in corso, l'orologio stava ticchettando impaziente, e tutta la sua concentrazione doveva andare sul caso. Il resto dei pensieri potevano tornare per un po' sotto al tappeto dove era più facile lasciarli invece che affrontarli apertamente.

“Saremo da voi fra qualche minuto,” disse Lestrade, che intanto aveva iniziato una conversazione al telefono, e riattaccò. “Ho avvertito la polizia metropolitana che ci serviranno i loro video di sorveglianza, come mi hai chiesto,” fece in direzione di Sherlock, “ma dovremo andare a prenderceli di persona in stazione.”

“Che stiamo aspettando, allora?” lo incitò Sherlock, allacciandosi la cintura.

“Così magari avremo l'occasione di scambiare altre quattro chiacchiere con i simpatici poliziotti di prima,” commentò ironico John, assumendo una posizione comoda per il viaggio.

Greg mise in moto, e si gettarono nel traffico notturno. Mentre l'ispettore si destreggiava per le strade, le luci della notte sfrecciavano sui finestrini dell'auto, si riflettevano e si inseguivano in maniera ipnotica. Nelle ristrette dimensioni dell'abitacolo, i rumori e le voci provenienti dalla radio della polizia, su cui Lestrade doveva tenere un orecchio in caso di avvisi e aggiornamenti, rimbalzavano e riecheggiavano come un continuo e indistinto messaggio registrato, interrotto solo da qualche frase o commento sul caso da parte dei passeggeri. Greg cercava di carpire qualche dettaglio e deduzione da Sherlock, ma questo si lasciava scucire ben poco, per la sua avversione a fare ipotesi azzardate prima di essere certo del quadro completo, e per la sua passione per le grandi rivelazioni finali a sorpresa con cui poteva mettersi in mostra e dare spettacolo.

Non impiegarono molto per raggiungere la stazione che avevano lasciato qualche ora prima. Scesi dalla macchina e inforcate le scale per scendere nel piccolo atrio sotterraneo della stazione, avvicinandosi alla guardiola della polizia in prossimità dei tornelli, ritrovarono la faccia conosciuta del capo della polizia interna alla metropolitana che li aveva trattati così gentilmente poco prima.

“Ma guarda chi si rivede, il famoso Sherlock Holmes,” lo canzonò il poliziotto da dietro il vetro della portineria vedendoli arrivare, facendo riferimento alla colluttazione avuta al binario.

Innervosito dal commento irriverente, John assunse subito una posizione dritta e rigida con la schiena e il suo severo sguardo orgoglioso da soldato pronto a scattare all'attacco, non accettando la mancanza di rispetto verso il collega, ma Sherlock liquidò il poliziotto con uno sguardo torvo di sufficienza e superiorità, ormai troppo abituato a sentirsi chiamare in ogni modo denigratorio dagli agenti di polizia perché la cosa potesse minimamente scalfirlo.

“È tutto qui?” fece semplicemente il detective, afferrando i dischi con la copia dei nastri delle telecamere di sicurezza appoggiati sul bancone della guardiola e scavalcando Lestrade, che sarebbe stato responsabile di prendere in cura le registrazioni; anche lui ormai era troppo abituato a seguire Sherlock e lasciargli fare quello che voleva per esserne infastidito.

“Perdete tempo, li abbiamo già controllati noi, e non abbiamo notato nulla di sospetto,” rispose il poliziotto delle metropolitana, con fare saccente.

“Per questo ci siamo qui noi: voi non notate mai nulla,” ribatté Sherlock lapidario, infilando i dischi dentro la tasca interna del lungo cappotto e lasciando spiazzato il poliziotto, con grande soddisfazione di John che non si preoccupò di contenere un sorrisetto compiaciuto.

Voltandosi e tornando sui loro passi, Sherlock, John e Greg risalirono le scale dell'uscita e rimontarono nell'auto della polizia, direzione Scotland Yard. Arrivati alla sede, senza attendere di essere invitato e facendo come fosse a casa propria, Sherlock si fiondò nell'ufficio di Lestrade con i due amici al seguito e rovesciò i dischetti con le registrazioni delle telecamere di sorveglianza sulla scrivania. Urlò ad un inserviente che stava terminando di pulire gli altri locali ormai completamente deserti di portargli l'impianto video per visionare i filmati, e visto che questo tardava si preoccupò di andare a procurarsi lettore e monitor di persona, sbuffando che 'doveva fare tutto da solo' e che 'quel posto sarebbe finito in rovina se non ci fosse stato lui', mentre John e Greg si stavano ancora togliendo i soprabiti e meditavano di prendersi un caffè al distributore automatico in fondo al piano per prepararsi alla nottata.

“È questo il meglio che Scotland Yard può offrire?” sbuffò Sherlock, spingendo nell'ufficio di Lestrade un carrello con un vecchio televisore a tubo catodico collegato a un banale lettore DVD. “Alla faccia del progresso tecnologico,” continuò a lamentarsi, mettendolo in posizione e collegando i cavi della corrente alle prese elettriche.

Greg farfugliò distrattamente qualcosa sul taglio alle spese, sull'orario assurdo e la necessità di prenotare i dispositivi tecnologici in anticipo, ma era troppo scocciato all'idea di trascorrere anche quella notte al lavoro per prestargli attenzione. Nel frattempo, John rientrò nella stanza con due bicchieri di plastica pieni a metà di liquido scuro annacquato che voleva spacciarsi per caffè, e ne porse uno a Lestrade, andando a sedersi sulla scrivania e osservare Sherlock trafficare con i cavi.

Quando il vecchio televisore diede segni di vita, Sherlock inserì il primo dei dischi con i filmati di sorveglianza, e spinse il tasto 'play' sul telecomando.

“Fantastico, le registrazioni sono tutte mescolate,” sbottò Sherlock, alzando una mano al cielo in segno di stizza, “dovremo controllare tutti i dischi e verificare gli orari impressi sul filmato per essere certi di beccare la fascia oraria che ci interessa e non perderci nulla.”

“Ho la vaga sensazione che l'abbiano fatto di proposito,” biascicò John, leccando il cucchiaino del caffè, ancora troppo bollente.

“Cosa stiamo cercando, esattamente?” chiese Greg, che si stava rassegnando al fatto che questo sarebbe stato il programma per il resto della serata.

“Una giovane donna vestita in modo elegante, professionale, capelli castani, completo scuro, tacchi, con in mano una valigetta porta documenti e un cellulare,” rispose Sherlock velocemente, “che scende dal treno e abbandona il binario facendosi spazio fra la folla. John, tu l'hai vista, dovresti essere in grado di riconoscerla facilmente.”

“Non l'ho notata,” ammise John, mescolando il suo caffè.

“Strano, di solito hai sempre l'occhio attento per le belle donne, mi stupisce che ti sia sfuggita,” lo punzecchiò Sherlock, iniziando a mandare avanti il video.

“Mi stupisce invece che tu sappia riconoscere una bella donna,” ribatté John, ritorcendogli contro la frecciatina.

“Puro interesse professionale,” tagliò corto Sherlock, premendo troppi pulsanti tutti insieme sul telecomando.

“Sarebbe la nostra sospettata?” intervenne Lestrade, che ci stava capendo ben poco.

“Sì,” rispose Sherlock, “dall'abbigliamento e portamento simile alla vittima ritengo svolgessero la stessa professione, ovvero quella di membri del parlamento, se la mia deduzione sulla prima donna è corretta, è stata verificata la sua identità?”

Lestrade annuì. “La vittima si chiamava Catherine Reynolds, ed era una parlamentare del partito laburista.”

“Quindi, anche escludendo l'allontanamento sospetto dalla scena del crimine, c'è sicuramente una connessione professionale con la sospettata,” continuò Sherlock. “Devo verificare esattamente da quale vagone è uscita per confermare la mia ipotesi sullo svolgimento del delitto, e dobbiamo cogliere quanti più elementi possibili per scoprire la sua identità.”

Così iniziarono a scorrere i video della sorveglianza alla vecchia maniera, sperando di trovare la registrazione della fascia oraria in cui era accaduto il delitto il prima possibile. Ovviamente, la trovarono solo ore dopo sull'ultimo disco.

“Grazie al cielo, iniziavo a temere vi foste inventati tutto per farmi uno scherzo!” sbuffò stanco Lestrade, ormai al quarto 'caffè'.

“Rimanete concentrati, ho bisogno anche dei vostri occhi per scorgere ogni possibile indizio,” lo zittì Sherlock.

“I miei occhi non sono molto d'accordo,” commentò John, visibilmente assonnato.

Sherlock iniziò a mandare avanti il video piano, saltando circa una mezzora di registrazione ordinaria, fino al punto in cui si riconobbe mentre scendeva dal treno e andava ad avvisare la sicurezza dell'omicidio. A quel punto iniziò a riprodurre il filmato a velocità regolare, per non perdersi nulla.

Rividero tutta la scena dalla prospettiva del binario, gli uomini della sicurezza che correvano verso il treno, notificavano via radio la polizia metropolitana dell'avvenuto delitto, cercavano di tenere buona la folla che si accalcava e faceva domande. Ma gli occhi di Sherlock erano puntati sulla alta e longilinea donna con la borsa.

“Eccola, è lei!” la indicò toccando lo schermo con il dito. “È scesa dalla prima porta dell'ultimo vagone, quello adiacente al nostro, John, come pensavo. La pozione è esattamente quella che avevo previsto, tutto torna,” dichiarò con esaltazione nella voce.

“E quale sarebbe esattamente questa tua previsione?” tentò Lestrade.

“Shh,” lo ammutolì Sherlock, “dopo! Tenete gli occhi fissi sulla donna, non perdetela di vista!”

Fortunatamente, la visuale sulla donna era ottima grazie alla pozione della telecamera, attaccata sul soffitto nell'angolo estremo di fine binario, esattamente in prossimità della carrozza da cui era scesa, ma al momento la sospettata era ancora voltata di spalle. La donna stava esitando sul binario, avvicinandosi alla folla e apparentemente assistendo insieme agli altri viaggiatori alla scena con sorpresa. Ma, nel momento in cui stava per arrivare la polizia metropolitana, il suo atteggiamento cambiò. Iniziò a guardarsi in torno, poi a fissare il cellulare – “Avete visto? Avete visto cos'ha attaccato al cellulare?!” aveva esclamato Sherlock eccitato come un bambino ambizioso a cui la maestra dice che ha azzeccato tutte le risposte del compito – poi di nuovo a guardarsi in torno, e alla fine prese la sua decisione.

Mentre poco più in là Sherlock e John erano impegnati nella conversazione, la donna di scatto cercò di farsi spazio fra la folla per abbandonare il binario prima che fosse troppo tardi, e in quel momento lo Sherlock del video la notò e si voltò verso di lei, scansionandola con un'occhiata. Nel momento in cui Sherlock urlò di fermarla, forse presa dal panico, la donna si voltò verso di lui, poi dal lato opposto mostrando completamente la faccia alla telecamera, poi iniziò a spingere più forte fra la folla, e riuscendo a farsi largo uscì dal binario proprio mentre il poliziotto bloccava Sherlock. L'ultima apparizione della donna misteriosa la vedeva impegnata a cercare di staccare il gancio da monopiede attaccato al suo cellulare mentre risaliva il corridoio d'uscita e scompariva dalla visuale della telecamera. A quel punto iniziava la colluttazione vera e propria con gli agenti di polizia, e Sherlock finiva sbattuto contro il fianco del treno.

“Perbacco!” rise Lestrade, tutto compiaciuto alla vista di Sherlock immobilizzato col braccio dietro la schiena, “sono contento che questo momento sia stato catturato in video, così potrò rivederlo ogni volta che sono giù di morale e mostrarlo ai miei futuri nipoti per generazioni e generazioni,” lo prendeva in giro scherzosamente.

“Ok,” fece Sherlock interrompendo il video perché Greg non si divertisse troppo, e rimandandolo indietro, “ho le conferme che mi servivano, ma c'è un momento in cui la donna guarda in camera che sarà utile per l'identificazione.”

Sherlock scorre il video all'indietro, faticando a fermarlo al punto giusto e beccare il volto della sospettata. “Come diavolo funziona questo rudere,” si lamentava. “Eccola qua!” esclamò poi, quando riuscì finalmente a centrare il volto sullo schermo. “Ha lo zoom questo coso?” chiedeva, cercando di decifrare i pulsanti del telecomando e premendo tasti a caso, “può fare un fermo immagine? Ci serve per fare un controllo incrociato con i database della polizia. John!” lo rimproverò, come se fosse colpa sua se non riusciva a far fare al televisore quello che voleva.

“Credevo che tu sapessi tutto,” se la rideva di gusto invece il dottore, “vuoi che vado a cercarti il manuale di istruzioni?” Sonno a parte, assistere allo scontro fra Sherlock e tecnologia datata era uno spettacolo che non si sarebbe perso per nulla al mondo.

“Sta' zitto, John,” lo ammonì, “e passami il tuo cellulare. Farò una foto allo schermo e-”

“Aspetta un attimo,” lo bloccò Lestrade, alzandosi dalla sedia, “credo proprio di aver già visto questa faccia ora che la guardo con attenzione!”

“Conosci la sospettata e ce lo dici solo ora?” lo attaccò Sherlock, “fai pure con comodo, eh, non c'è fretta, abbiamo tutta la notte.”

“L'ho già vista da qualche parte,” continuò Lestrade, “ma non ricordo... ma certo! Quel volantino!”

Con uno scatto veloce, tornò alla sua scrivania e aprì il cassetto, e rimestando fra i fogli tirò fuori un volantino su cui troneggiava proprio la faccia della donna misteriosa della metropolitana. Sherlock, preso in contropiede, strappò immediatamente il foglio dalle mani dell'ispettore per guardarlo più attentamente.

“Harriet Borwick. Parlamentare di punta del partito conservatore. Faccia della nuova campagna per l'uscita dall'Unione Europea,” spiegò Lestrade

“Avevi la risposta nel cassetto da tutta la sera e ci hai fatto passare la nottata così?!” sbottò John, andando vicino a Sherlock a guardare anche lui il volantino.

“Come potevo saper-” tentò di giustificarsi Greg.

“Non importa,” lo liquidò Sherlock, “quel che conta è che sappiamo chi è. Falla venire subito in centrale,” ordinò a Lestrade, restituendogli il volantino.

“Sono le sei di mattina!” sbottò l'ispettore, “e sai che non è possibile, serve il via libera del procuratore prima di rilasciare il fermo e iniziare l'indagine, non se ne parla prima che faccia giorno.”

“Va bene,” sbuffò Sherlock, abituato a doversi districare fra l'inutile burocrazia, “fa' in modo di chiamare il procuratore appena si sveglia e farti rilasciare il mandato d'arresto subito. Per velocizzare le pratiche, andiamo a prenderla direttamente a casa prima che ci sfugga di nuovo, se non l'ha già fatto. Dimmi l'indirizzo.”

“Dovrò fare una ricerca nel database, ci vorrà un po'.”

“Ok, fallo,” accordò Sherlock, “e quando l'hai trovato mandami un messaggio con l'indirizzo, intanto io e John cerchiamo un taxi. Ci vediamo a casa della nostra parlamentare killer preferita!”

Infilando il cappotto, uscì dall'ufficio di Lestrade fulmineo così come ci era entrato ore prima, come se la stanchezza fosse qualcosa che non poteva affliggerlo. John lo seguì al trotto, congedando Lestrade con un cenno della mano.

Usciti in strada, Sherlock iniziò a camminare lungo la via alla ricerca di un taxi disponibile a quell'ora.

“Non ti stanchi proprio mai tu...” soffiava John, trascinandosi dietro di lui.

“Mi spiace per la nottata John, ma dormirai domani,” ribatté il detective, “tanto ci sei abituato ormai.”

Se John non avesse trovato l'irriverenza di Sherlock così divertente avrebbe anche potuto offendersi.

Arrivati alla fine delle via, dove intersecava la strada principale, riuscirono a beccare un taxi fermo in sosta, e ci montarono dentro.

“Procedi verso la zona sud di Londra,” indicò Sherlock all'autista in risposta alla sua domanda sulla destinazione, “ti daremo altre indicazioni lungo la strada.”

Dovendosi accontentare dell'indicazione vaga, l'autista avviò il tassametro, mise in moto e partì.

“Per ora è il massimo che posso dedurre,” Sherlock continuò a spiegare a John, seduto di fianco a lui, “basandomi sulla direzione della linea della metropolitana su cui si trovava, che ha capolinea appunto a sud, ammettendo che viva nella stessa area della parlamentare uccisa e che non si trovasse su quella linea solo per ammazzarla, il che è abbastanza probabile in effetti.”

“Rivalità politica?” bofonchiò John con la voce impastata e lo sguardo distante, proponendo un movente per l'omicidio.

“Possibile,” ammise Sherlock, “a giudicare dalla natura del delitto non si tratta solo di una divergenza di opinioni con successiva lite finita in tragedia, è stato sicuramente premeditato, e in vista della campagna che sta portando avanti la Borwick eliminare un possibile ostacolo potrebbe essere un buon movente, ma non escluderei anche che-”

Voltandosi verso John, Sherlock interruppe il suo monologo. Un po' per la comodità del sedile, un po' per il tepore del riscaldamento del taxi, un po' per la melodica voce del detective, John si era addormentato.

Sherlock stava lì a guardarlo nella penombra del sole sorgente, grazie all'inconsapevolezza dell'altro che gli permetteva di posare i suoi occhi su di lui in maniera più insolente di quanto avrebbe mai potuto osare altrimenti. Il profilo di John era un oggetto di studio affascinante; l'ampia fronte che spioveva sulla punta arrotondata del naso, le labbra strette leggermente protundenti, la ruga d'espressione che delimitava la bocca conducendo alla fossetta sul mento, la mascella colorata dalla barbetta corta – anche se lui la preferiva ben rasata – che risaliva alla basetta e all'orecchio graziosamente circolare. Sherlock lo fissava con lo stesso sguardo indagatore con cui cercava indizi per le sue deduzioni, ma adesso non c'era alcuna analisi dietro la sua osservazione se non la pura ammirazione estetica della composizione. Nonostante si sentisse in imbarazzo per la sfacciataggine del suo sguardo indagatore, non riusciva a distoglierlo. Sarebbe potuto stare ad osservare John per sempre. Non disse più una parola, per non svegliarlo.

Soltanto quando ricevette il messaggio di Lestrade sulla residenza della parlamentare Borwick, dal lato opposto della città rispetto a dove si stavano dirigendo, come temeva, ruppe il silenzio per comunicarlo al tassista. E solo un'altra volta quando gli chiese di fare una breve sosta, per scendere a comprare qualcosa. Ma ogni volta i suoi occhi tornavano immancabilmente a John, alle sue labbra che si schiudevano e schioccavano nel sonno, alla testa che si inclinava per il movimento della macchina svelando i tendini tirati e il pomo d'Adamo sul collo, al torace robusto che si alzava e abbassava dolcemente a ritmo col respiro rilassato. Quel breve viaggio insieme, da soli all'avventura come ai vecchi tempi, come se nulla fosse cambiato e tutto potesse succedere, era un tuffo in un passato così dolce per Sherlock, e parimenti così amaro perché non poteva più tornare e in realtà tutto era cambiato. Ma la realtà poteva rimanere fuori dal finestrino ancora per un po'. Qui, ora, c'erano solo Sherlock e John, da soli, all'avventura, come doveva essere.

“Siamo arrivati, signori,” gli comunicò l'autista facendo manovra per parcheggiare il taxi quando si trovarono di fronte alla villetta a schiera con giardino, identica a tutte le altre allineate nella strada residenziale, che era stata designata come la loro destinazione. Il sole si era ormai già alzato da un pezzo e aveva stirato i suoi raggi su una mattinata invernale particolarmente calda e soleggiata per la stagione.

“John...” tentò di chiamarlo piano Sherlock, ma questo non si svegliava. “John,” fece di nuovo, portando la sua mano a toccare leggermente la spalla del dottore. Un tocco lieve, una carezza delicata sopra il suo cappotto, per svegliarlo delicatamente.

Arcuando le sopracciglia e sbattendo le palpebre, John si svegliò.

“Accidenti, devo essermi addormentato,” si giustificò, stropicciandosi gli occhi.

“L'ho notato,” replico Sherlock ironico, porgendogli un pacchetto, “tieni.”

“Cos'è?” chiese John, ancora intontito.

“La colazione,” rispose Sherlock, estraendo dal sacchetto un cappuccino in un bicchiere di carta da asporto e un toast, e dandoli a John.

John li accettò, confuso. Le volte che Sherlock aveva fatto la spesa o si era interessato agli affari di casa si contavano sulle dita di una mano, e comprargli la colazione non era certamente un gesto che John si sarebbe aspettato dall'amico così proverbialmente, apparentemente, freddo. Ma lo gradì molto.

“Grazie,” mormorò, addentando il toast, non sapendo cos'altro dire.

“Non c'è di che,” minimizzò Sherlock, che stava ritornando alla sua normale facciata impassibile, “pensi sia meglio buttare giù la porta e assaltare la nostra assassina nel sonno, o aspettare che si svegli?” chiese, guardando fuori dal finestrino.

“No, Sherlock,” lo fermò John, ingoiando il boccone di toast, “intendo sul serio. Grazie.”

Sherlock si voltò noncurante verso l'amico, pronto a lanciare qualche battutina per cambiare discorso, ma in quel momento John gli appoggiò la mano sul ginocchio.

“Sherlock, amico mio...”

Le dita divaricate di John poggiavano sulla gamba di Sherlock, con i polpastrelli che si inclinavano verso l'incavo sotto al ginocchio. Un contatto cordiale, amichevole, ma che per Sherlock bruciava come il fuoco.

“Grazie per tutto quello che stai facendo per me,” continuò John, “un po' a modo tuo,” sorrise, “ma so che non è facile.”

Sherlock lo guardava negli occhi con un espressione completamente sconfitta, tutte le difese crollate. La pressione e il calore della mano di John sul suo ginocchio era l'unica cosa che riusciva a sentire, e voleva che non smettesse mai, ma allo stesso tempo non riusciva a sopportarla. Avrebbe voluto mettere la sua mano sopra quella di John, stringerla, accarezzarne le dita, spingere più forte il contatto contro la carne del ginocchio, ma era completamente inerme.

Forse per lo sbandamento dell'auto durante la manovra di parcheggio, forse per un gesto mal calcolato, la mano di John scivolò appena verso la coscia di Sherlock. Qualche millimetro appena, forse, ma che per Sherlock significava resa e distruzione. Distruzione di tutte le maschere che aveva costruito, di tutti i paletti che aveva infilzato nel suo animo, di tutte le menzogne che si era raccontato per fare quello che doveva, per rimanere al posto che sapeva spettargli. Il delicato contatto caldo della mano di John sulla sua gamba era un gesto di affettuosa intimità che lo stava uccidendo. Quel calore, quel contatto, cominciarono a generare un nuovo calore dentro Sherlock, una piacevole pressione crescente dentro ai suoi pantaloni che saliva e germogliava nonostante le proteste del detective. Non poteva assolutamente permetterlo, non qualcosa di così sconveniente, non poteva darlo a vedere. Il panico iniziò ad affluire nei suoi occhi. Doveva interrompere quel calore, quella pressione, quell'eccitazione.

Lo sguardo di John si fece più serio, perplesso per una frazione di secondo, mentre il suo busto andava ad irrigidirsi sull'attenti. Si era sbilanciato troppo, e adesso stava arretrando, un misto fra lo stupore per il suo stesso inusuale gesto di fraternalizzazione e l'imbarazzo per la posizione in cui si era messo da solo, amplificato dall'inesperienza emotiva di Sherlock, che rispondeva ad ogni segno d'affetto che lui gli porgeva con il vuoto. Forse John aveva intravisto qualcosa che non riusciva a decifrare negli occhi di Sherlock, forse era stato troppo avventato nel suo slancio di innocua intimità da ritrovarsi in prima persona a disagio. Velocemente, alzò e allontanò la mano dalla gamba di Sherlock così come ce l'aveva messa, interrompendo il contatto. Girando gli occhi verso lo schienale del sedile di fronte, si schiarì la voce, e ripeté flebile solo un altro 'Grazie'. Adesso sperava davvero che Sherlock cambiasse argomento.

Fortunatamente, fu il tassista ad intervenire. “Signori, siamo arrivati,” ripeté. E le barriere difensive di Sherlock furono magicamente di nuovo in posizione, le maschere al loro posto, la crisi sepolta di nuovo in qualche meandro del suo animo.

“Non ringraziarmi,” disse sorridendo a John, “ho finito i contanti e il tassista devi pagarlo tu.”

Uscì dalla macchina, e rimase lì fuori in piedi ad aspettare il compagno, fronteggiando la villetta della parlamentare.

“Non pensare di cavartela con la colazione,” fece divertito John richiudendosi alle spalle la portiera del taxi, “mi devi settanta sterline.”

Uno accanto all'altro, rimasero ancora qualche secondo ad aspettare sul marciapiede opposto alla villetta, mentre il taxi ripartiva. In quel momento, un uomo e un bambino, in età da elementari, uscirono dal portone di ingresso. Rimasta sulla porta a salutarli, invece, c'era proprio la donna colpevole dell'omicidio.

“Che bella famigliola, una di quelle apparentemente perfette che nascondono ogni tipo di nefandezza,” commentò Sherlock. “Andiamo, prima che se ne vadano,” partì.

“Aspetta,” lo fece esitare però John, che stava osservando la scena con un'altra sensibilità, “non stanno fuggendo. Aspetta almeno che il bambino sia andato via. Non c'è bisogno che sia presente.”

Sherlock ci mise qualche secondo, ma capì, e acconsentì. Rimasero ad attendere per qualche altro attimo, finché la macchina di famiglia con dentro il padre e il bambino diretto a scuola abbandonò il vialetto e scomparì dall'orizzonte. A quel punto, nessuno poteva risparmiare la criminale al giudizio di Sherlock.

Mentre i due entravano nel vialetto della casa, l'auto della polizia di Lestrade si fermò accanto al marciapiede, e l'ispettore ne uscì svelto per raggiungerli, con un cenno di saluto del capo. Saliti i gradini del porticato e arrivati tutti e tre sul ciglio della porta, Greg bussò, tirando il distintivo fuori dalla giacca.

La sospettata aprì subito la porta, come se si trovasse ancora lì dietro, ad aspettare.

“Buongiorno, signora,” le disse Lestrade, aprendo il distintivo e mostrandoglielo, “Scotland Yard.”

La donna, con lo sguardo sbarrato, si scostò dalla porta per lasciare ai tre il campo libero per entrare nella casa.

“Dobbiamo interrogarla per il sospettato omicidio di Catherine Reynolds.”


***

Nel prossimo capitolo: La soluzione del caso – questa volta per davvero!

***

Nota dell'autore: Questo capitolo è uscito molto più lungo di quanto pensassi e avessi calcolato nelle bozze, grazie se siete arrivati fino alla fine. Piuttosto che affrettarlo, ho preferito dividerlo in due, quindi qui trovate la rivelazione dell'identità dell'assassina, nel prossimo il resto della soluzione del caso. Intanto, la tensione elettrica fra Sherlock e John continua e peggiora, vedremo dove conduce e fino a che punto arriverà. Grazie a tutti per la lettura, la pazienza, il supporto e l'interesse. Un abbraccio speciale a Creepydoll, Hotaru_Tomoe, emerenziano, adlerlock e mikimac per le loro gentilissime recensioni allo scorso capitolo, e a tutti quelli che stanno seguendo la storia. Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo nuovo capitolo, ci riaggiorniamo presto! ;)

  
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