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Autore: Layla    04/03/2016    1 recensioni
La vita può essere dura a Sheffield se ti manca terribilmente l'Italia e Chiara lo sa bene.
Quello che non sa è che in malinconico pomeriggio invernale il destino le metterà sulla strada Oskar, il cane di Oli SYkes.
Un Oli Sykes che lo vuole riavere insieme a Lee Malia che si sente in colpa per aver perso il cane dell'amico.
E la vita di Chiara prende una svolta diversa ricordandole che a volte i sogni si avverano.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Tutta colpa di un cane.

La giornata è stata lunga e pesante.
Mi sono alzata alle sette di questa mattina e sono riuscita a lasciare la scuola solo alle cinque.
Mi chiamo Chiara e ho da poco compiuto ventotto anni, vivo da Sheffield da qualche mese e sono assistente di una professoressa di italiano al locale college.
Quello che faccio è commentare le notizie che vengono dal Bel Paese – di cui non mi importa nulla, avendo chiuso con la politica qualche anno – le nostre tradizioni e li aiuto con la pronuncia e la difficile grammatica italiana.
Oggi ho insegnato alla bellezza di cinque classi e sono stanca morta e sento gli artigli della nostalgia squarciarmi il petto, una cosa che mai avrei creduto possibile. Sin da piccola sognavo di andarmene dall’Italia e girare il mondo, ora che sta accadendo vorrei essere nella mia cameretta italiana.
Per me è difficile vivere qui, mi alzo troppo presto e non trovo del cibo che mi piaccia e mi mancano i miei genitori, vorrei dire che mi mancano i miei amici, ma sarebbe una bugia.
In Italia non ho lasciato nessuno e non ci sono messaggi di incoraggiamento, richieste di portare quello o questo quando torni.
Niente di niente.
Visto che ho un carattere complicato faccio anche fatica a fare amicizia con i colleghi, per ora ho solo un rapporto cordiale con loro e metà del mio soggiorno qui è passata.
Passata in serata solitarie a correggere i compiti o a guardare la tv, se non ci fosse Jack, il mio gatto, non saprei cosa fare. Non che lui sia più felice di me, sradicato dall’Italia fatica ad adattarsi come me e ho sempre paura di non trovarlo un giorno.
Fortunatamente sembra aver sviluppato un attaccamento morboso alla casa e non esce nemmeno sul tetto, non va a guardare Sheffield dall’alto e si gode l’appartamento in periferia in cui abitiamo.
Quando sono di questo umore mi rifugio in un piccolo parco del quartiere dove abito e guardo la natura, degli esseri umani e delle loro storie malate non mi interessa più nulla da molto tempo.
Ora sto fumando una sigaretta guardando le anatre dello stagno che litigano per un pezzo di pane e rabbrividisco nel vento freddo di fine gennaio. Qui fa più freddo che in Italia e io non l’ho messo in conto.
Me ne sto per andare quando un cane di piccola taglia nero con delle zone marroni sul muso e le zampe di quel colore mi si avvicina scodinzolando.
Annusa i miei piedi e poi alza il muso verso di me, io lo accarezzo incuriosita.
“Ehi, ciao, bello!”
Mi guardo intorno, aspettandomi di veder arrivare il padrone o la padrona di questo piccoletto.
Non arriva nessuno e io mi alzo in piedi, guardando la bestiola che ricambia il mio sguardo con quella che sembra essere felicità, ho sempre avuto più feeling con i gatti.
Butto il mozzicone spento nel cestino più vicino e noto che il cane mi segue.
“Ehi, non ce l’hai un padrone?”
Lui si limita a scodinzolare e a continuare a seguirmi, fermandosi ogni tanto per fare pipì e mandandomi in panico. Oddio, che faccio?
La mia etica mi impedisce di abbandonare un animale, ma non so che fare. Lo guardo ancora un po’, poi decido: lo porto a casa mia.
Domani, il mio giorno libero, lo porto da un veterinario per vedere se ha un chip o un tatuaggio che mi aiuti a identificare il padrone, se non ce l’avesse metterò un annuncio sul giornale locale per vedere se qualcuno risponde.
Vicino a casa mia c’è un piccolo supermercato, prendo in braccio il cane senza nome ed entro, tutti mi guardano e io sorrido imbarazzata: non mi piace che la gente mi guardi.
Mi dirigo al reparto animali e prendo qualche scatoletta di cibo per cani e poi lo pago ed esco di corsa, sempre correndo mi faccio i cinque piani del mio condominio in periferia con la bestia in braccio.
Quando apro la porta Jack si struscia contro le mie gambe e rivolge un’occhiata diffidente al nuovo arrivato, io lo metto a terra e quello inizia ad annusare ovunque soprattutto il didietro del mio gatto che risponde soffiando offeso.
Ok, devo sedare la lite.
“Bello, non hai fame?”
Non capisce l’italiano, ma quando gli mostro la scatoletta rivolge la sua attenzione a me e smette di tormentare il povero Jack.
Gli do da mangiare e lo lascio in cucina, io mi faccio una lunga doccia, poi arrangio una cena e accendo il computer prima di correggere i compiti dei miei allievi.
Vado su Tumblr e poi su Twitter dove mi colpisce un tweet di Oli Sykes: è disperato per aver perso Oskar, il suo cane, di cui posta un immagine.
Io la guardo e poi guardo il cane che ho trovato io e mi dico che quei due cani o sono lo stesso o sono sosia, vuoi vedere che ho trovato il cane del cantante di una delle mie band preferite?
Mi gratto il mento, accendo una sigaretta e mi decido a scrivergli un messaggio:
“Ciao, sono Chiara.
Vivo a Sheffield e penso di aver trovato Oskar.”
Probabilmente in questo momento starà ricevendo migliaia di messaggi e non è nemmeno detto che guardi il mio quindi mi metto a correggere i compiti.
Due ore dopo – quando ho il cervello in pappa – mi arriva una risposta.
“Puoi provarlo o sei solo una fan in cerca di notorietà?”
Il mio cuore rischia di uscire dalla cassa toracica e devo fare un paio di volte i miei esercizi di respirazione prima di rispondergli.
“Posso provarlo. Adesso ti mando una foto.”
Prendo un giornale e lo appoggio vicino alla bandiera italiana che decora un angolo di muro, poi prendo quello che ormai sono certa essere Oskar e lo depongo vicino al giornale di cui ho messo in vista la data.
Più che un’ insegnante mi sento una terrorista dell’ISIS che sta trattando il rilascio di prigionieri!
Faccio una foto a Oskar e la mando a Oli, pochi minuti dopo il cellulare vibra.
“Dove abiti?”
Io gli scrivo il mio indirizzo e mi siedo, per poi alzarmi subito dopo e correre sul balcone a fumare una sigaretta, sotto lo sguardo irritato di Jack.
Probabilmente Oli Sykes verrà qui, non ci posso credere!
Sto avendo dei pensieri da ragazzina cretina, poi guardo con orrore le mie ciabatte da turista tedesca in vacanza e mi rendo conto che indosso un paio di pantaloni neri sformati e un pile arancione anas.
Finisco la sigaretta e filo in camera, estraggo un paio di jeans sdruciti e pieni di tagli, una maglia nera e una camicia a quadri rossa e nera, controllo di non puzzare e mi cambio.
Metto un paio di scarpe da tennis e mi siedo in sala davanti ai compiti ad aspettare, dovrei correggerli, ma il mio cervello non ce la fa a concentrarsi sulla grammatica italiana e le sue regole quando sa chi dovrà vedere tra poco.
Che ansia!
Inizio a tamburellare la penna rossa sul tavolo, Jack se ne va in camera da letto con una smorfia di disapprovazione dipinta sul suo volto felino.
“Eddai, cerca di capirmi!
E se non vuoi capire, vedi il lato positivo! Il cane non dovrà rimanere con noi questa notte!”
Sì, parlo con il gatto e non me ne vergogno, è sempre meglio che parlare da sola, credo.
In questo momento non sono sicura nemmeno del mio nome!
Un’ora più tardi qualcuno bussa con forza alla mia porta.
Strano che non abbiano suonato!
Poi mi ricordo che la vecchietta che abita al secondo piano probabilmente ha l’Alzheimer e si dimentica sempre di chiudere il portone. Mi fa un po’ pena, la rimproverano sempre a tutte le riunioni condominiali, lei si scusa umiliata, ma poi continua a dimenticarsene.
Io apro la porta e vengo travolta da una pertica che si lancia sul cane e cadrei per terra se due braccia muscolose e tatuate non mi sorreggessero.
Senza fiato, alzo i miei occhi azzurro-verde e mi scontro con quelli blu di Lee Malia, che mi rimette gentilmente in piedi.
“Scusa, è che ci tiene davvero tanto al suo cane, nemmeno fosse suo figlio.
Io sono Lee Malia, comunque.”
Mi tende una mano che io stringo come in trance.
“Io sono Chiara, piacere.”
Dico con un filo di voce.
Sono incredula davanti a tanta fortuna!

 

Avere due rockstar in casa ti destabilizza giusto un po’.
Solo dopo cinque minuti in cui sono stata vagamente consapevole che Oli Sykes stava coccolando Oskar chiamandolo con i nomi più improbabili mi risveglio dal mio coma.
“Volete qualcosa da bere?”
Chiedo.
“Una birra per me, tu, Lee?”
“Una anche per me.”
Vado in cucina e torno con due lattina di birra e una di the freddo per me.
Oskar è in grembo a Oli, Jack ci spia guardingo dalla porta della camera a letto con felina disapprovazione, ma poi si muove e salta in braccio a Lee.
“Oh, scusami! Di solito non lo fa mai.
Jackie, scendi!”
“A me non dà fastidio! Ciao, Jackie!
Ma che bel gatto che sei.”
Beviamo in silenzio per un attimo.
“Cosa avresti fatto se non avessi messo quell’annuncio su twitter?”
“L’avrei portato dal veterinario per capire se avesse o meno un chip o un tatuaggio identificativo. Domani l’avresti riavuto comunque.”
Oli sorride e accarezza il cane, che scodinzola e guarda con amore il suo padrone. Che strano cane!
Finiamo la birra e Oli mi guarda.
“Vuoi qualcosa?”
“No, no!”
Alzo le mani.
“Mi ha fatto piacere aiutare un animale! Solo, se non ti dispiace, vorrei avere una foto e un autografo.”
“Va bene.”
Ci facciamo le foto insieme, ovviamente anche con Lee, e poi mi firmano due fogli, Oli poi ne prende un terzo e ci scrive qualcosa.
“Vai alla Drop Dead e mostra questo alla commessa, potrai prendere la cosa che più ti piace senza pagarla.”
“Ma non devi!”
“Ma voglio, ti sono debitore.
Adesso vado che devo rassicurare Hannah, ti lascio Lee, riportamelo a casa.”
“Non sono un cane! Mi riporto da solo!!”
Esclama irritato.
“Coglione, siamo venuti con la mia macchina! Se io me ne vado non puoi tornare a casa!”
“Magari lei ha una macchina.”
“No, mi dispiace.”
Intervengo.
“Chiamerò un taxi.”
“Va bene. Basta che domani torni!”
Oli se ne va accompagnato da uno sbuffo del ragazzo più basso e così sono rimasta sola con Lee Malia che prende in braccio il mio gatto e guarda i miei compiti.
“Sei un’insegnante?”
“Assistente di una professoressa di italiano, faccio la madrelingua al college di Sheffield.”
Mi guarda, scannerizzando la mia figura non proprio magra, i pochi tatuaggi e i miei capelli mezzi verdi, io arrossisco e incrocio le braccia sul petto.
“Io ti conosco!”
Io alzo un sopracciglio.
“Cioè, non ti conosco direttamente, ma mia cugina mi ha detto che ha una madrelingua di italiano tosta. Una con i capelli mezzi verdi e che ascolta la mia band.”
“Non sapevo di essere famosa.”
Balbetto senza aggiungere che non sapevo di avere l’onore di insegnare a una Malia.
“Già.”
“Da cosa l’ha capito?”
“Dal ciondolo con il simbolo di “Sempiternal” e poi dice che quando arrivi ascolti l’mp3 e se ti si passa vicino si capisce che ascolti noi.”
“Oh.”
Rimango un attimo in silenzio e lui si avvicina.
“Non ti va di approfittare di me?”
Io rischio di svenire e mi ritrovo di nuovo tra le sue braccia, dovrebbe essere seccato, ma sorride.
“Una fans che non salta addosso! Che bello!”
Vorrei dirgli qualcosa, ma non faccio in tempo perché lui mi bacia e io rispondo, poi mi stacco di forza e comincio a camminare avanti e indietro.
“Oh, no! Non ci casco.
Lo so come va! Tu mi baci, mi porti a letto e domani chi si è visto si è visto.
Un’altra tipa da mettere sulla lista di quello che si è fatto.
Perché diavolo mi hai baciato?”
Urlo come un’ossessa facendolo arrossire.
Un ragazzo che arrossisce, ma da quando?
Mai visto in vita mia.
“Non so, sei carina. Appena hai aperto la porta avrei voluto farlo, ma c’era Oli e lui l’ha capito e si è tolto dai piedi lasciandoci soli.
Poi mi devo far perdonare perché se quel cane ti è finito tra i piedi è colpa mia che me lo sono lasciato scappare.”
“Non ha senso. L’ultima frase non ha un cazzo di senso!”
“Sì, hai ragione.
Oli dice che sono in astinenza perché mi faccio troppe pare sulle tipe che mi piacciono e poi qualcuno arriva e se le prende prima di me.”
“Quindi, io sarei uno snack per saziare la tua fame di sesso?
Pensavo fossi migliore, me lo sarei aspettato da Oliver, ma non da te.”
“No, non è così!
Senti, domani ti accompagno alla Drop Dead e ci facciamo un giro e magari smetterai di scambiarmi per un maniaco.”
Io arrossisco.
“Non penso che tu sia un maniaco!
Però va bene, vediamoci domani alle tre davanti alla Drop Dead. Tu fumi?”
“Non fumo erba!”
Mi ammonisce severo.
“Ma che? No, sigarette!”
Ma che razza di commedia dell’assurdo sta diventando questo incontro?
Io non ce la faccio più, infilo un sacco di errori dietro l’altro.
Domani non vado alla Drop Dead, appena Lee se ne va mi butto dal balcone e domani mattina la vecchietta del secondo piano avrà un infarto trovandosi il mio cadavere sul balcone tra i gerani.
“Vabeh, meglio che ci vediamo domani.”
Esalo, ormai convinta di aver fatto le peggiori figuracce della mia vita.
“Scusa, per l’equivoco! Non volevo metterti a disagio!
Una sigaretta mi va, intanto che Oli non c’è.”
Usciamo nel mio terrazzino e io mi accendo una Camel nervosa, passando poi il pacchetto a Lee.
“Posto carino.”
“Non mi posso lamentare, è periferia, ma non degradata e gli altri inquilini non sono così male.
Mi ci trovo bene, ma anche se mi ci trovassi male alla fine dell’anno scolastico torno a casetta, in Italia.”
“E non provi a rimanere?”
“Magari ritorno tra qualche mese, non è che insegnare mi piaccia tantissimo, ma ho deciso di viverla come un’esperienza utile.”
“Capisco.”
“Vivi in un bel posto in Italia?”
“A qualche chilometro da una città molto bella, la arte storica è su un colle. Si chiama Bergamo.”
“Almeno so dove venirti a trovare.”
Mi va di traverso il fumo.
“Che ho detto di male?
Sono una rockstar stressata e dicono che l’Italia sia davvero bella e calda, verrei a rilassarmi.
La Toscana mi è piaciuta tanto.”
Ci sta davvero provando con me, non ci posso credere.
Forse il balcone-suicidio può aspettare.
Finita la sigaretta se ne va e io mi butto sul letto e scoppio in un pianto isterico che fa spaventare il povero Jack.
Ho respinto uno dei miei sogni proibiti, devo essere fuori di testa.
Quando mi ricapita un’occasione del genere?

 

La mattina dopo mi alzo e cerco di metabolizzare gli eventi.
Ho ritrovato il cane di Oli Sykes, lui e Lee Malia sono venuti da me, mi hanno fatto gli autografi e abbiamo fatto le foto di rito, Lee ci ha provato con me e io ho dato di matto.
Mi porto le mani davanti al volto grugnendo e insultandomi mentalmente per la mia stupidità, potevo avere una prima volta con una rockstar e invece ho reagito come una mezza matta. Di sicuro oggi non verrà, ma almeno potrò comprarmi qualcosa della Drop Dead.
Non è granché come consolazione, ma è meglio di niente.
Mi alzo e mi trascino a farmi una doccia, poi faccio colazione e finisco di correggere i compiti che ho lasciato indietro ieri sera ansiosa come non mai.
Si farà o non si farà vedere?
Una volta terminato di correggere mi accorgo che è ora di pranzo, non ho voglia di cucinare quindi andrò a un Mac Donald. Mi cambio ed indosso una mini di pizzo, una maglia nera e una felpa a fantasia di teschi, come tocco di ulteriore eccentricità metto un paio di calze a righe nere e bianche. Calzati gli anfibi e recuperati la borsa e il cappotto esco.
Mi reco in centro nella zona vicino a negozio ed entro nel primo Mac Donald dove mangio un menù sostanzioso, alla faccia di tutti. Il negozio apre alle tre, quindi ne approfitto per fare un giro per ammirare le vetrine dei costosi negozi del centro immaginando di avere i soldi e il fisico per indossarli.
Alle tre precise sono davanti alla sede della Drop Dead con una sigaretta in bocca, distratta e in preda all’ansia, tanto che non vedo subito chi c’è vicino alla porta.
“Chiara!”
Mi chiama un voce storpiando il mio nome come fanno gli inglesi.
Alzo gli occhi e i miei occhi azzurro-verde si scontrano di nuovo con quelli blue di Lee Malia e io lo guardo sorpresa, così sorpresa che non vedo un tombino e inciampo, finendo per terra lunga e distesa.
Lui si precipita verso di me e mi aiuta a rimettermi in piedi e nota che mi sono sbucciata un ginocchio e rotta il mio paio di calze preferite.
“Che figura di merda.”
Mormoro in italiano.
“Cosa?”
“No, niente.
Come mai sei venuto qui?”
“Avevamo un appuntamento, te lo sei scordato?”
“No, ma pensavo che dopo ieri sera non saresti venuto.”
Zoppicando entro in negozio accompagnata da lui, la commessa mi guarda curiosa, io le porgo il biglietto scritto da Oli, lei lo studia per un po’ poi sorride.
“Può comprare gratis un capo, signorina.”
“Bene.”
Sto per andare verso la zona felpe femminili quando Lee mi ferma.
“Annie, dammi il kit del pronto soccorso.”
Io sospiro.
“Non ce n’è bisogno, Lee. È solo una sbucciatura.”
“Che va medicata.”
Risponde testardo lui.
“Va bene.”
Mi arrendo subito io e sorprendo me stessa, di solito per convincermi a fare qualcosa ci vuole molto più tempo. Annie porta la cassetta e Lee la prende in mano, con aria professionale prende il cotone e il disinfettante.
“Ho la mano delicata, non ti farò male. Ho fatto un po’ di predica soccorrendo Oli Sykes in questi dodici anni di vita.”
Il suo tono è rassicurante e in effetti il suo tocco è molto leggero mentre passa il cotone sopra la ferita dopo aver tagliato le calze per facilitarsi il lavoro. Poi ci mette del betadine e mi benda.
“Ora puoi scegliere la tua felpa e un vestito.”
“Perché?”
“Il vestito è un mio regalo. Quel giorno ero io il responsabile di Oskar e me lo sono fatto scappare, se tu non l’avessi ritrovato Oli mi avrebbe ucciso. Un regalo te lo meriti, fine della storia.”
Mi aiuta ad alzarmi e mi accompagna verso la zona felpe, ne guardo molte e penso che le vorrei tutte o quasi. Alla fine decido di prendere una felpa nera con un teschio, due paia di ali, la scritta del marchio e dei decori rossi.
Me la provo, Lee mi aspetta fuori dal camerino e alza entrambi i pollici in segno di approvazione.
“Ti sta bene, in linea con la linea dark che hai.”
“Grazie, penso prenderò questa.”
Vado verso la cassa, ma lui mi ferma ancora.
“E il vestito?”
“Non posso accettare.”
“Dai, qual è il vero problema?”
“Nessun vestito mi sta davvero bene con questo corpo.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Guarda me, sono grassottello e con le orecchie a sventola eppure non mi faccio condizionare e poi non si rifiuta un regalo. Vieni.”
Mi trascina verso la zona vestiti, io lo seguo imprecando perché mi fa male il ginocchio, lui se ne accorge e rallenta il passo.
Sbuffando inizio a passare in rassegna il reparto e la mia scelta cade su un vestito estivo che mi piace un sacco, anche se forse è presto per pensare all’estate. È piuttosto corto, a maniche corte e stretto in vita. Sono i colori a conquistarmi. Il colletto è fucsia con disegni ovali che ricordano i semi di un’anguria e i vestito è a fantasia di righe verdi e bianche che convergono verso il centro.
“Non vorrai prendere questo?
Oli era in fissa con le angurie in quel periodo.”
“Penso che prenderò questo.”
Me lo provo e mi piace un sacco, Lee sembra perplesso, ma non apre bocca. Questa volta ci dirigiamo alla cassa, la felpa è gratis e il vestito lo paga lui.
Fuori mi accendo una sigaretta, lui invece si gratta la testa.
“Volevo invitarti a fare un giro, ma con quel ginocchio fai fatica, cosa ne dici di venire a casa mia?
Non ti stupro, promesso.”
Io do un paio di tiri alla mia sigaretta e alla fine annuisco.
Non sono così scema da farmi scappare due volte lo stesso treno, lui sorride e mi aspetta, poi saliamo sulla sua macchina.
Durante il viaggio mi parla di vari aneddoti che riguardano la sua band, inclusi alcuni che mi danno un’idea precisa del perché lui se la sappia cavare così bene con il pronto soccorso. Oli sembra una calamita per i guai, un disastro ambulante.
Arrivati a casa sua scendo dalla macchina e lo seguo in un grande atrio con un parquet di un caldo marrone.
Mi tolgo il cappotto e lo seguo.
Il soggiorno è elegante e caotico, i mobili sono costosi, di un legno non troppo scuro, il divano è di un bel color crema e il tappeto rosso dà un tocco di vivacità all’ambiente tappezzato dai premi vinti dalla band.
Il problema è che ci sono chitarre e fogli sparsi ovunque, io sorrido involontariamente.
“Scusa il casino…”
“È uguale a quello che c’è nel mio appartamento.”
Lui ride e mi fa cenno di sedersi sul divano, poco dopo torna con due birre, una la dà a me.
“Allora cosa mi racconti?”
“Non molto, non faccio una vita interessante.
Vado a scuola, insegno ai miei allievi, correggo i compiti e poi basta.”
“Non hai amici qui?”
“Faccio fatica a fare amicizia.”
Dico scuotendo le spalle.
Parliamo ancora un po’, poi finiamo per ritrovarci vicini, troppo vicini.
I miei ormoni sono a mille, i miei occhi sono calamitati dal blu dei suoi, dai capelli di un castano chiaro, dalla leggera barba e dalle adorabili orecchie a sventola per non parlare dei tatuaggi.
In un attimo lo bacio a stampo, lascio che sia lui a prendere l’iniziativa per qualcosa di più se lo vuole e in effetti chiede l’accesso alla mia bocca e presto le nostre lingue stanno lottando per dominare l’una sull’altra.
Le mie mani sono fra i suoi capelli, le sue sulle mie guance e le accarezzano dolcemente. Quando ci stacchiamo mi guarda confuso e io annuisco, ci baciamo di nuovo e di nuovo, fino a che lui scende sulla mascella e sul collo, baciandolo, leccandolo, succhiandolo. Io gemo e mi inarco per sentire meglio, lascio anche che le sue mani mi slaccino la felpa e mi tolgano la maglia.
Io non rimango inerte e gli tolgo anche io felpa e maglietta e gli accarezzo il petto, è muscoloso e morbido allo stesso tempo.
Non so come siamo finiti sdraiati con lui sopra di me che preme il bacino contro il mio strappandomi un gemito.
“Non fare così o non saprò fermarmi.”
“Forse non voglio che ti fermi.”
La frase sembra sbloccare qualcosa dentro di lui perché mi prende in braccio, io gli allaccio le gambe dietro la schiena e mi porta nella sua camera da letto. Mi depone sul letto e chiude la porta a chiave, poi si sdraia su di me e toglie il reggiseno, massaggia un seno e prende in bocca il capezzolo dell’altro. Io quasi urlo per la piacevole sorpresa, inizio a sentire caldo là sotto.
Dio, non pensavo potesse essere così bello.
Io gli accarezzo freneticamente la schiena e il petto, graffiandolo ogni tanto soprattutto quando la sua bocca avida scende verso l’ombelico.
Arrivato alle mutande mi guarda, in una muta richiesta di permesso, io annuisco senza fiato e lui mi toglie la gonna e le calze e mi accarezza dolcemente da sopra le mutande.
“Ti faccio un certo effetto.”
“Mi fai andare fuori di testa.”
Ansimo, lui sorride soddisfatto.
Mi toglie anche l’ultimo indumento e infila un dito giusto per esplorare e mandarmi ulteriormente fuori di testa e poi due, mentre con il pollice tortura abilmente il mio clitoride.
Io ormai sto ansimando a voce altissima e stringo le lenzuola fino a farmi venire le nocche bianche, travolta dalle ondate di piacere. Continua a muovere le dita sempre più forte, toccando i miei punti più sensibili fino a quando raggiungo l’orgasmo e imprigiono la sua mano tra le mie gambe.
Rimango sdraiata qualche secondo con la sensazione di galleggiare, poi mi accorgo che Lee armeggia con la cintura dei pantaloni. Io gli do una mano e lui li calcia via, poi gli tolgo anche i boxer liberando la sua erezione pulsante.
Seguendo quello che è puro istinto prendo in mano il suo pene e comincio a muoverla lungo tutta la lunghezza, lui appoggia una mano sulla mia corregge ritmo e posizione e poi sul suo volto iniziano a scorgersi i primi segni del piacere. Tolgo la mano e decido di prenderlo in bocca, di leccare e succhiare strappandogli gemiti acuti.
All’improvviso mi prende gentilmente per i capelli e mi toglie, poi mi stende sul letto, si infila un preservativo ed entra senza indugio in me.
La prima spinta è forte e mi strappa un gemito di dolore, lui solleva i suoi occhi blu, liquidi per il piacere sui miei.
“Tu sei vergine.”
Esclama sorpreso.
“Sì, mi dispiace.”
“Non fa niente.”
Mi accarezza dolcemente il volto e mi bacia la fronte, io lo stringo a me.
Rimane un po’ fermo per permettermi di abituarmi alla sua presenza, poi spinge ancora più piano e con spinte più lunghe, baciandomi per smorzare i gemiti.
Io gli graffio la schiena a ogni spinta, ma a lui sembra non importare e il dolore è stato sostituito dal piacere.
Continua a spingere aumentando il ritmo e diventando sempre più brutale mentre i peli delle sue gambe mi solleticano le cosce.
Non so di preciso quanto duri, so solo che a un certo punto sento un calore insopportabile al basso ventre e urlo il suo nome mentre raggiungo il culmine insieme a lui, che poi cade stremato su di me.
Ora respiriamo pesantemente, io gli accarezzo i capelli sudati, lui un fianco.
“Peso, mi sposto.”
“Per favore, rimani.”
Lo supplico e lui mi accontenta, accoccolandosi meglio dopo essersi tolto il preservativo.
“E adesso cosa facciamo?”
Gli chiedo.
“Facciamo finta che non sia mai successo e addio per sempre?”
“Veramente pensavo di invitarti a un vero appuntamento domani sera.”
“Oh, Lee.”
Lo bacio ancora.
“Mi piaci tanto.”
“Anche tu.”
Mi risponde seppellendo la faccia nell’incavo del mio collo e baciandolo lievemente.
“Malia! Ehi, Malia!
Urla una voce e la porta si spalanca rivelando un Oli Sykes sorpreso, Lee non deve avere chiuso bene la porta.
“Oh, alla fine ce l’hai fatta a fare il primo passo.
E bravo il mio ragazzone!”
Io divento di fiamma, fortuna che il corpo di Lee mi copre.
“Ci servi alle prove. Ora.”
“Ma…”
“Te la coccoli domani, anzi portatela con te.”
Oli se ne va.
Io e Lee scoppiamo a ridere e poi ci facciamo una doccia insieme.
Non so come andrà a finire questa storia, ma voglio viverla fino in fondo.
Il destino mi ha concesso un’occasione rara e non voglio sprecarla.
Bacio Lee prima di entrare in macchina.
“Penso quasi di amarti.”
“Anche io.”
Risponde baciandomi.
Poi lancia la macchina a velocità folle verso lo studio.
Mi piace la nuova piega che ha preso la mia vita.
Sì, dopotutto i miracoli possono accadere, basta solo saper aspettare.
Sorrido e mi rilasso meglio sul sedile, mano nella mano con lui.

   
 
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