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Autore: Orehsydobon    05/03/2016    0 recensioni
Giosuè ed Arya non sono due ragazzi normali. Sono due creature magiche rifugiate sulla terra dopo la guerra buia dove il genitori di quest'ultimo sono spariti. Provengono da un regno parallelo che viene chiamato Tegimen, luogo sicuro. Questa terra ospita le creature magiche, maghi e stregoni; le creature fatate come fate, folletti, elfi; figli della notte come vampiri e lupi mannari; creature delle basse terre come goblin, troll, nani; creature delle foreste come centauri e ninfe.
Arya fa parte delle creature magiche mentre Giosuè è un ibrido illegale.
I suoi genitori fanno parte di due stirpi di guardiani differenti. I guardiani sono creature che sorvegliano i confini di Tegimen per mantenerla sicura dall' invasione di draghi, giganti e altre creature oscure. I guardiani che pattugliano le buie terre del nord prendono il nome di Atitam, quelli che pattugliano la bariera del sud sono gli Aseil mentre quelli che pattugliano le foreste dell'altopiano vengono chiamati Auroal. I guardiani sono considerati delle vere e proprie macchine da guerra e non gli è permesso riprodursi tra diverse stirpi per evitare la nascita di ibridi dei quali poteri sono sconosciuti.
Giosuè scoprirà che nelle sue vene non scorrono semplicemente il sangue di un'atitam
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA CREPA NEL TEMPO "Tegimen é una grande isola che si estende tra vallate, colline e montagne. Al sud il mare caldo bagna le rive ghiaiose mentre gli Aseil, guardiani del confine, con le loro ali candide sorvolano l'azzurro in cerca di pericoli. L'isola principale continua fino al nord ricoperta di boschi verdi che si trasformano in pini e steppe al dilà della vallata vulcanica. Tra i boschi abitati da esseri incantati sorgono diversi villaggi dove i guardiani delle foreste, gli Auroal, pattugliano e mantengono al sicuro le creature. Al nord, a difendere il confine dalla minaccia dei draghi ci sono gli Atitam i guardiani della notte. Nella grande isola sorgono cinque importanti città collegate tra loro da lunghe strade. Al centro tra gli incroci delle vie si staglia la capitale: La Città Del Tempo, dalla quale si dice sia nata Tegimen. Al centro della città sale verso il cielo una grande torre marmorea con un fregio inciso che la percorre suddividendola in varie fasce. La torre ha un tetto a cupola con un foro che si inclina seguendo il sole. All'interno é conservato l'orologio che scandisce il Tempo. É lui a controllare passato, presente, e futuro" il bambino fece un grande sbadiglio "Continua per favole" chiese alla zia, seduta accanto a lui sul letto "É tardi, devi dormire adesso, tesoro" "Zia?" Chiamò il bambino "La mamma era un Atitam velo? Aveva le zanne, gli altigli ed ela..." fece un altro sbadiglio e si stiracchiò "Era una grande guerriera, e anche tuo padre. Lui era l'Auroal più forte di tutti. Sapeva controllare tutti gli elementi, anche l'ombra, la più difficile di tutti" "Zia, noi siamo qui perché papà ha rotto l'orologio non é vero?" La donna fece sprofondare le dita tra i capelli neri del bambino "Ora dormi, Giosuè. Ti prometto che un giorno rivedremo i tuoi genitori, va bene?" "Mi mancano tanto" mugugnò il bambino in uno sbadiglio chiudendo gli occhi "Anche a me, tesoro. Anche a me..." mormorò la zia spegnendo la luce e lasciando la camera. LA CASA NELLA NEBBIA La pioggia scendeva forte creando un'aurea di vapore sul terreno arido. Sotto quel velo di gelo bagnato c'era una bambina dai capelli scuri che correva reggendo un fagotto. Era sporca di sangue sulle mani e sui vestiti. Se fosse il suo sangue o no poco importava. Correva con le gocce di pioggia ghiacciata che le perforavano le ossa come mille pugnali. Sotto quell'acqua scrosciante piangeva e sentiva gli occhi secchi e asciutti bruciare come non mai. Non aveva più un rifugio, una casa, una famiglia. Tutto ciò che le rimaneva era quel piccolo fagotto che portava tra le braccia. Correva senza voltarsi indietro. Non era sicura di aver seminato gli inseguitori ma la pioggia avrebbe di sicuro nascosto le sue tracce. Sentiva ogni cellula del suo corpo bruciare, era un dolore immenso, il giusto prezzo per quello che aveva fatto. Nella sua mente c'era ancora l'immagine vivida di qule corpo sdraiato in un mare di sangue. Era stata costretta a farlo, si rammentò, e se non l'avesse fatto ora sarebbe morta pure lei. Strinse il fagotto tra le braccia e si spinse in un bosco di ulivi selvatici e altre piante mediterranee. Una casa, un rifugio, doveva trovare un posto per nascondersi, non sarebbe durata ancora a lungo, la resistenza non era mai stata il suo forte. Con il respiro smorzato cadde in ginocchio, sputò per terra e si rialzò con il fagotto pesante che iniziava a muoversi inquieto. Riprese l'avanzata sulle gambe storte mentre le spalle le bruciavano come se le stessero versando del catrame rovente. "Aiuto" trillò con la gola che doleva strizzata dai polmoni in cerca di ossigeno. La bambina cadde ancora, questa volta le sue ginocchia atterrarono nel fango. Strinse il fagotto contro di se con una mano mentre con l'altra si aiutava ad avanzare nel terreno melmoso "casa", "riparo" mormorava mentre avanzava nel fango che si faceva sempre più liquido e sempre più caldo. Ad un tratto la pioggia scorsciante divenne più leggera e gli alberi intorno a lei mutarono. Dall'acqua calda sorse una nebbia bianca, un fumo fitto che rendeva difficile dstinguere le figure degli alberi in quel buio che faceva pian piano spazio all'alba. La bambina teneva il fagotto più in alto possibile mentre avanzava ancora, con il mento sul pelo dell'acqua. In fondo, tra la nebbia, scorse delle alte colonne. Il livello dell'acqua iniziò ad abbassarsi e la bambina riemergeva ora pulita dal sangue che prima le segnava le mani incriminate. Raggiunse le colonne greche che creavano un viale lungo una struttura più alta, una villa chiara e alta dall'architettura insolita. La bambina strizzò gli occhi, il dolore alla schiena era diventato isopportabile, sbirciò nel fagotto dove due grandi occhi famigliari l'accolsero. Rialzò lo sguardo e scorse una figura alta che le veniva incontro. Era una donna non molto alta, ma non ne riconobbe il viso nascosto dall'oscurità "Mamma?" chiese, poi cadde a terra esausta. L'OMBRA DELLA MORTE La locanda era ormai vuota. Una cameriera ripulive il pavimento lurido e incrostato. Le lanterne elettriche tremolavano e bruciacchiavano le zanzare pigre e rintontite. In un angolo buio, sul tavolo di legno marcito stava seduta una figura tozza dalle mani guantate che lanciava e riprendeva un pugnale facendolo conficcare tra il boccale di birra vuoto e il piatto con le briciole avanzate. Aveva un respiro profondo e faticoso e sembrava brontolare qualcosa. Di colpo la porta del locale si aprì e tre persone varcarono la soglia. Indossavano dei pesanti mantelli scuri. Il primo era un nano, basso e tarchiato, con la barba incolta e la pancia arrotondata; la seconda figura era una ragazza dalla bellezza straordinaria, le orecchie apuntite sostenevano i capelli biondi e lisci che incorniciavano il viso perfetto dalle guancie di un leggero colorito verde; il terzo era un uomo con la pelle pallida, il viso esangue con le occhiaie profonde ma dalla bellezza sorprendente, quando sorrise alla ragazza al suo fianco mostrò dei canini affilati. "Tancredi, Serafina, Regulus. Miei fedeli servitori, accomodatevi" era stata la figura nell'angolo a parlare. Aveva una voce metallica, irriconoscibile. I tre si sedettero al tavolo silenziosi "Vostra grazia, vi siamo fedeli, ma solo con la giusta ricompensa" precisò il vampiro con un inchino. La figura lanciò tre sacchetti tintinnanti sul tavolo che la fata prese e nascose sotto il mantello. "Vostra grazia abbiamo nuove informazioni sulla Fenice" disse Serafina con la sua voce accattivante "Regulus, la mappa" Il nano srotolò una vecchia pergamena ingiallita che mostrava il perimetro di Tegimen "L'ultima volta che la dimora é apparsa si trovava qui" con il dito tozzo Regulus indicò un punto tra le vallate del sud. "Forse Tancredi é riuscito a trovare un modo per intercettarli. E quando ce l'avremmo fatta..." il nano sbattè il pugno sul tavolo frantumando una noce "Lei sarà morta, e noi avremmo la nostra ricompensa" concluse il vampiro leccandosi il labbro. La figura ridacchió "Dovete trovare anche il figlio. Ho sentito che é ancora in circolazione. Tornerà a Tegimen, é destinato a farlo, e voi lo ucciderete, così il Signore potrà sorgere finalmente" "Sarà fatto, vostra grazia" disse Serafina con un leggero inchino. Alle fate non piaceva inchinarsi a esseri di altre specie che consideravano inferiori. "Un ultima cosa" disse la figura "il suo nome é Giosuè, Giosuè Lueuraube" In quel momento un'ombra sorse dal pavimento e si formò un'alta figura umana senza volto. Alzò un braccio dal quale apparve una lunga spada affilata "E tu chi sei?" Sussurrò Serafina "La morte" rispose l'ombra e la battaglia esplose. LA FIGLIA DI NESSUNO L'aria era densa di fumo e cenere che crollava dalle pareti di pietra del palazzo. I pavimenti una volta lustri ora erano ricoperti di sangue che scorreva tra le piastrelle creando piccoli canali cremesi dall'odore pungente. Tra la nebbia bianca arrancava una piccola figura alta un metro circa piegata su se stessa per coprirsi le vie respiratorie da quell'aria nociva. Il terreno tremò di nuovo e la figura cadde. Non poteva arrendersi, l'aveva promesso, sarebbe soppravvissuta a ogni costo. La bambina si rialzò faticosamente con un grande volume rilegato in pelle tra le braccia. I capelli erano appiccicati alla sua fronte sudata e le guance ricoperte di polvere erano scavate dalle lacrime. La bambina si precipitò giù verso i sotterranei. Il suo unico desiderio era raggiungere la madre ma non le era concesso. Scese rampe e rampe di scale con il soffitto sopra di lei che tremava e si apriva in crepe profonde. Una trave crollò e con uno strillo si lanciò in avanti. Ora non c'era più via di ritorno. Casa sua stava andando in pezzi, e non l'avrebbe più recuperata. Con il fiato mozzo e i muscoli che dolevano corse tra i corridoi bui finché non raggiunse una grande porta a dua battenti. Vi ci si infilò dentro. Era una stanza spoglia con una vasca rotonda al centro circondata da quattro pilastri cilindrici. Sentì dei passi sopra di lei, forti come tamburi. Il cuore mancò un battito: erano entrati nel castello. Posò il libro a terra e con le dita che tremavano voltò le pagine di pergamena. Gli incantesimi erano stati incisi a mano nella carta in un alfabeto runico che ancora non conosceva perfettamente ma non aveva altra speranza, sua madre l'aveva ritenuta pronta o comunque sarebbe dovuto diventarlo al più presto. Con il dito sporco di cenere e sangue tracciò tre rune e iniziò a recitare l'incantesimo. La vasca si riempì di una luce opaca e facendo ampi movimenti con le braccia la bambina tentò di incidere dentro la nebbia lucente un luogo; ma i passi che sentiva ora provenivano da dietro il portone. Ripeté la formula e la luce divenne più forte ma non c'era più tempo. Il portone cadde e delle ombre scure e possenti si riversarono nella stanza. La bambina afferrò il libro e saltò nel portale. Non vide più nulla, solo nero. Si teneva stretta il libro al petto dove i polmoni dolevano vuotati completamente dall'aria. Poi la sua schiena colpì un suolo duro e sentì le vertebre spezzarsi.
   
 
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