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Autore: giambo    06/03/2016    6 recensioni
Camminava lentamente, mani in tasca, sguardo fisso davanti a sé, percorrendo lo stesso, identico tragitto che compiva ogni giorno da cinque anni a quella parte. Quando vide il bianco muro, i suoi occhi divennero più duri, mentre i ricordi presero a graffiargli con più violenza il petto.
...
Il tempo trascorse, mentre il saiyan rimaneva lì, immobile, con lo sguardo perso nei ricordi. Aveva sempre paura a lasciare quel posto. Una paura sottile, strisciante, che gli irritava la pelle. Finché era lì dentro, in quel luogo silenzioso e pacifico, poteva ancora illudersi di non essere più vivo, una volta fuori, la realtà sarebbe tornata con violenza.
...
“Vegeta... perché hai voluto smettere di vivere? Sai che Bulma-san è arrabbiata con te?”
“Non pronunciare quel nome!” reagì furiosamente l'altro, gli occhi neri spiritati da rancoroso furore. “Non pronunciare... quel... maledettissimo nome...” ripeté, la voce atona, senza più forza.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore:

 

Era da molto tempo che avevo questa storia in mente, e finalmente sono riuscito a scriverla. Non sono mai stato un'amante di questa coppia, e mai lo sarò. Il motivo è presto detto: detesto Bulma come personaggio, e trovo la sua unione con Vegeta molto banale (la belloccia che si mette con il tenebroso dal passato triste che riesce a mutarlo). Tuttavia, il personaggio di Vegeta l'avevo, fino ad ora, descritto molto raramente, ed ero curioso di provarci, anche parlando di una coppia che non mi ha mai entusiasmato. Come noterete più avanti, in questa storia ho voluto di mia volontà non citare mai per nome i compagni di Trunks e Bra, per permettere a chiunque di immaginarli con la persona che preferiscono al loro fianco (Io ad esempio vedo bene Trunks con Marron, ma tanti lo vedono con Pan e quindi ho voluto evitare problemi di questo tipo, stesso discorso per Bra).

Come sempre, ricordo che chiunque vorrà lasciarmi una propria riflessione (positiva o negativa) su questa storia sarà il benvenuto.

Un saluto! E buona lettura!

Giambo

 

 

BACK

 

 

La sveglia trillò con violenza, rompendo la quiete della stanza. Il suo rumore acuto e continuo durò per circa una decina di secondi, fino a quando una mano uscì da un groviglio di lenzuola, spegnendola bruscamente. Il proprietario di quest'ultima si alzò lentamente, il volto una maschera inespressiva.

L'aveva sognata, di nuovo. Aveva rivisto per l'ennesima volta la cosa che mai più avrebbe voluto vedere, perché gli rendeva la realtà attorno a lui ancora più soffocante.

Bulma...

Vegeta si passò una mano sul volto, percependo, sotto i polpastrelli, la pelle morbida, compatta, levigata, inscalfibile dal passare del tempo. Strinse la mano a pugno, mentre soffocava giù per la gola la sensazione di soffocamento che sempre più spesso lo assaliva la mattina.

Si guardò i palmi delle mani, vedendoci incise sopra antiche cicatrici, ricordi di una persona che, forse, non c'era più.

Cosa sono diventato?

Si alzò con un grugnito, stranamente desideroso di riempirsi lo stomaco. La mattina, quando i ricordi erano ancora vividi, si sentiva incapace di mangiare, ma quel giorno no. Aveva decisamente voglia di cibo, e che fosse caldo ed abbondante. Lo interpretò come un segno positivo, un piccolo passo verso un futuro meno tormentato.

Come se avessi ancora un futuro...

Si mosse lentamente per i corridoi della piccola casa che occupava, trovandola, come ogni mattina del resto, vuota, grigia e priva di passione. Rispecchiava totalmente l'animo del proprietario. Da quando Bulma non c'era più, Vegeta non aveva tollerato di rimanere alla Capsule Corporation un secondo. Aveva come la sensazione che quella casa, con ogni oggetto dentro, fossero morti con sua moglie, rendendogli impossibile restarci. Aveva preferito abbandonare ogni contatto con i suoi discendenti, limitandosi ad intascare dall'azienda della defunta moglie una piccola pensione mensile per vivere. Riceveva ogni tanto lettere e cartoline da parte dei figli, ma pur conservandole gelosamente non li rispondeva, anche perché in quegli anni aveva trovato veramente difficile sopportare la compagnia di altre persone. Tutto quello che desiderava era rimanere solo, in compagnia dei suoi ricordi, in attesa di poter rivedere la donna che amava, ed il suo rivale di sempre.

Strinse gli occhi, neri come la notte, quando si vide allo specchio dell'ingresso. Ciò che la superficie rifletteva era un uomo giovane, sulla quarantina, nel pieno del vigore fisico. Eppure, anche se la sua natura respingeva l'avanzare del tempo, lui li sentiva tutti. Erano lì, i suoi anni, con i loro ricordi, più pesanti di qualsiasi peso da lui sollevato durante gli innumerevoli allenamenti effettuati nella sua lunga esistenza.

Rimase ancora qualche istante a fissare, con sguardo impassibile, la propria figura. Poi, con uno sbuffo, si diresse in cucina, sperando di dimenticare i propri problemi per qualche minuto.

Chissà... cosa sono diventato.

Era un quesito che spesso gli martellava il cranio, lasciandolo confuso, incerto su come rispondere. Cosa era lui? La sua vita era stata lunghissima, piena di avvenimenti, di battaglie, di delusioni e di soddisfazioni. Se si guardava indietro, sentiva addirittura le vertigini a pensare a quanto aveva visto nel corso della sua esistenza. Le persone erano arrivate e, lentamente, se ne erano andate una dopo l'altra, lasciandolo di nuovo solo. In preda a ricordi troppo dolci per essere sconfitti.

Cosa sono?

Era un saiyan? Era ancora il potente principe della razza guerriera per eccellenza? Difficile dirlo. Della sua razza era rimasto solo lui, ultimo purosangue, in tutto l'universo, mentre i suoi discendenti, e quelli di Kakaroth, erano invecchiati, mischiando sempre di più il proprio sangue con quello dei terrestri, dando vita all'estinzione della sua razza che ormai da decenni era scritto nel fato che avvenisse.

No, non era più un saiyan. Aveva smesso di allenarsi, di combattere, di vivere secondo gli usi ed i costumi della sua gente. Ormai viveva da moltissimo tempo su quel pianeta azzurro, ed aveva imparato a comportarsi, ma soprattutto a pensare, come un terrestre. Non era principe di niente, tranne forse che del proprio orgoglio, ma quella era una battaglia che sapeva di aver perso molti anni prima, quando aveva accettato di seguire il sentiero tracciatogli da Kakaroth.

Kakaroth...

Si era spesso chiesto in quegli anni dove fosse scomparso, assieme a Shenron. Riteneva assurdo che avesse accettato di sparire nel nulla, mentre i suoi cari, le persone per le quali aveva lottato per anni, morivano una dopo l'altra, senza il suo conforto. Vegeta si era spesso chiesto se anche a lui sarebbe toccato quel destino, il dover morire senza poterlo rivedere un'ultima volta, oppure se il suo spirito avrebbe retto abbastanza da vederlo tornare. Probabilmente no.

Quello stupido ormai... è diventato qualcosa di diverso da me. Non è più un saiyan, ma una creatura diversa. Con ritmi differenti dal mio... non lo vedrò mai più.

E nonostante tutto l'odio che nel corso della sua vita aveva riversato nei confronti del rivale, arrivare a quella consapevolezza gli rese la bocca amara, come se fosse piena di cenere, privandolo anche del piacere del cibo.

 

 

Camminava lentamente, mani in tasca, sguardo fisso davanti a sé, percorrendo lo stesso, identico tragitto che compiva ogni giorno da cinque anni a quella parte. Quando vide il bianco muro, i suoi occhi divennero più duri, mentre i ricordi presero a graffiargli con più violenza il petto.

Bulma...

Si immerse nel silenzio del cimitero, camminando con passo ancora più lento di prima, quasi fosse riluttante, anche se, in realtà, voleva godersi quegli istanti. Gli istanti prima di rivedere ciò che restava a quel mondo di sua moglie.

Ed infine la vide.

Il suo cuore, dal battito calmo, prese a sanguinare silenziosamente, ma la sua espressione rimase impassibile, così come i suoi occhi. Una maschera di ghiaccio inscalfibile.

Sono venuto anche oggi, lo vedi? Immagino che sarai felice... donna fastidiosa.

Era una lapide grande, di marmo bianco, che svettata nel mausoleo della famiglia Brief. Era stata situata, per ordine della defunta scienziata, affianco a quella dei suoi genitori. Inciso sulla fredda pietra, c'erano due date, il suo nome, ed una foto di lei da giovane, sorridente ed allegra.

Meccanicamente, come ogni giorno, Vegeta prese a lucidare la lapide della moglie, oltre che quella dei genitori di lei. Cambiò l'acqua ai fiori, sistemò i nuovi bastoncini di incenso davanti alle foto, senza pensare a nulla. Perché sapeva benissimo che, se avesse azionato il cervello in quel frangente, le conseguenze non sarebbero state piacevoli, per nulla.

Ma poi, come sempre, una volta finito di riordinare, si ritrovò lì, con le braccia molli lungo i fianchi, ad osservare la foto di Bulma, a chiedersi per quale assurda follia aveva accettato di costruirsi una famiglia con lei, se poi il risultato era stato quello di ritrovarsi da solo, con il cuore completamente a pezzi.

Scommetto che da lassù stai ridendo, donna. Hai sempre trovato divertente, per qualche stupido motivo, il mio modo di pensare, i miei dubbi. Forse avrai anche ragione, non dovrei pormi certe domande, ma sai anche tu che nessuno mi aveva avvisato di questo.

Il tempo trascorse, mentre il saiyan rimaneva lì, immobile, con lo sguardo perso nei ricordi. Aveva sempre paura a lasciare quel posto. Una paura sottile, strisciante, che gli irritava la pelle. Finché era lì dentro, in quel luogo silenzioso e pacifico, poteva ancora illudersi di non essere più vivo, una volta fuori, la realtà sarebbe tornata con violenza.

 

 

Vegeta...”

Cosa c'è?”

Sto per andarmene, lo sai?”

 

 

Strinse le labbra in una riga sottile, mentre i ricordi dell'ultimo incontro con lei ritornavano a galla nella sua memoria. Non li lottò, aveva smesso di farlo molto tempo fa ormai, affondandoci dentro docilmente, desideroso di poter rivedere il suo volto, anche se solo in un ricordo.

 

 

Entrare in quella stanza non era mai facile per lui. Gli sapeva troppo di morte. Non della morte gloriosa, che si trova in battaglia o nelle situazioni di pericolo, ma di quella lenta, infida, che si infila vigliaccamente nel corpo delle persone, ponendo fine alle loro esistenze in modo schifoso. Per quanto sua moglie fosse una donna ricca, quella stanza era pur sempre in un ospedale. Lussuosa, piena di comfort, ma pur sempre d'ospedale.

Si fece forza, avanzando con passo lento, mentre lei, dal letto, gli sorrideva dolcemente, felice di sapere che fosse al suo fianco anche in quel momento.

Vegeta...” sussurrò, con voce roca, innaturale. Le ciocche azzurre, ormai in gran parte bianche, erano sparse attorno al cuscino. Il suo corpo era magro, ma seppure rovinato mostrava ancora parte dell'antica bellezza giovanile. Solo gli occhi, due splendidi zaffiri, erano ancora vivi e lucidi come sempre erano stati.

Cosa c'è?” chiese lui, la voce bassa. Vederla in quello stato, circondata da macchinari e flebo, era un dannatissimo colpo al cuore, ogni maledetta volta che entrava in quella stanza.

Lei trattenne un colpo di tosse, sollevando, a fatica, la mano sinistra, sfiorandogli il volto.

Trunks e Bra sono passati prima.” mormorò. “Se arrivavi poco fa, li potevi incontrare...”

Invece sono arrivato adesso.” sbottò con fare sgarbato. Non voleva vedere nessuno in quei giorni, neppure i propri figli.

Le labbra secche della morente si incurvarono in un sorriso divertito, come tante volte aveva fatto, nel corso degli anni, di fronte al caratteraccio del saiyan.

Non... vuoi mai... smentirti, vero?” ridacchio a fatica, prendendo successivamente fiato. “Sei rimasto... cocciuto. Come la prima volta che si siamo visti su Namecc.”

Lui incrociò le braccia, conficcandosi le unghie nella carne, nel tentativo disperato di contenersi.

Sai... in fondo, non mi dispiace... che non sei mai cambiato... da questo punto di vista.” proseguì la donna, continuando ad accarezzare il volto del marito. “Mi è sempre piaciuto... bisticciare con te. È stato... molto bello... poterlo fare...”

La vuoi smettere?!” esplose il moro, la voce ringhiosa. “Piantala di fare questi discorsi melensi! Tu non andrai da nessuna parte! Guarirai, e ti alzerai da quel fottutissimo letto, è chiaro?!”

Gli faceva quasi male fissare l'azzurro degli occhi di lei. Gli dava la sensazione che Bulma fosse capace di leggergli nel pensiero, come nessuno, a parte forse Kakaroth, era mai riuscito a fare.

Peccato che invece lui, di cosa passasse per la testa della moglie e del rivale, non fosse mai riuscito a comprenderlo.

Vegeta...” sussurrò la scienziata.

Cosa c'è?”

Sto per andarmene, lo sai?” la voce dell'azzurra, per quanto fosse dolce, risuonò crudele alle orecchie di Vegeta. “Non vorrei... lasciarti così. Ma è la vita.”

Vaffanculo!” fu la secca risposta del saiyan, il volto una maschera rigida, impassibile, ma che dava la sensazione di potersi rompere in mille pezzi da un momento all'altro. “Vaffanculo...” ripeté lentamente. “A te ed a Kakaroth! Mi avete rovinato, ed ora volete anche lasciarmi solo! Voi...voi...” le parole gli morirono in gola, mentre digrignava i denti, in uno scatto disperato di trattenersi, di contenere ciò che gli ribolliva nello stomaco, liquefacendo la sua volontà, rendendolo debole, vulnerabile, solo. Dannatamente solo.

La mano della moglie si spostò dal volto alla sua mano sinistra, aprendola e stringendogli le dita. Il moro la lasciò fare, ormai incapace di reagire, impossibilitato a capire cosa ci fosse di sbagliato in lui, per quale maledettissimo motivo non riusciva ad accettare tutto quello. Aveva sempre saputo che quell'istante prima o poi sarebbe arrivato, e quindi perché? Perché la sua mente si sorprendeva, rifiutando di accettare la realtà?

Vegeta.” la voce di Bulma era dolce, leggera. Sembrava che le preoccupazioni terrene non la scalfissero più. “Perché sei arrabbiato?”

Lui non rispose, limitandosi a ricambiare, seppure con leggerezza, la sua stretta di mano.

Non era così... che doveva andare.” dichiarò infine, con un tono troppo fioco per essere il suo. “Non avevo mai... mai... pensato che...”

Che potessi morire?” lo interruppe la moglie. “Dei... sempre così sciocco... il mio saiyan.” il sorriso di lei era una stilettata al cuore del guerriero.

Perché sapeva che, con ogni probabilità, era uno degli ultimi che poteva vedere.

Baderai... ai ragazzi... una volta che io... io non potrò più farlo?” domandò la scienziata, guardandolo dritto in faccia.

Sono grandi.” replicò il moro, la voce spenta, amorfa, priva di volontà. “Non hanno più bisogno di me... un rudere del passato.”

Sbagli.” lo rimproverò lei, con tono severo. Era così Bulma: anche in punto di morte, desiderava far sapere a tutti come fosse la migliore, sempre. “Sono i nostri figli... ed avranno sempre bisogno di te... del loro padre.”

Vegeta non rispose. Strinse con più forza la mano della moglie, distogliendo lo sguardo da quello, ormai spento, dell'azzurra.

Vegeta...”

Ti ascolto.”

Resta con me... stanotte...”

Il saiyan tornò, riluttante, a fissare gli zaffiri di lei, perdendosi dentro, mentre un groppo in gola lo soffocava lentamente.

Non disse nulla, ma lei capì.

Le labbra secche della moribonda, un tempo morbide, si incurvarono in un sorriso, l'ultimo.

Grazie...”

Le ore passarono. Bulma non parlò più, cadendo ben presto in un sonno oscuro. Vegeta rimase lì, immobile, tenendo stretta la mano della moglie, osservando con quanta facilità il fato gli portava via ciò che più caro aveva al mondo. Il corpo di lei divenne freddo, un odore cattivo prese a diffondersi dalle sue membra, ma il saiyan non si mosse. Impassibile, proseguì a fissarla, imprimendosi nella mente ogni singolo dettaglio, desideroso di non dimenticarla mai.

Poi, a notte fonde, ci fu il decesso, segnalato da un macchinario.

Era morta nel sonno, con la mano stretta a quella del marito, in pace, senza sofferenze.

Vegeta non disse nulla, rimanendo immobile. Si limitò a digrignare i denti, mentre lucide lacrime gli scendevano dagli occhi, cadendo silenziosamente a terra, senza che nessun suono uscisse dalla sua gola.

Ora era solo.

Solo, e senza più Bulma.

 

 

Aprì gli occhi, il cuore che martellava con prepotenza. Sudore freddo prese a scendergli dalla schiena, mentre percepiva le mani tremare.

Non può essere...

Eppure quel ki lo conosceva bene, fin troppo. Quante volte aveva desiderato percepirlo, sapendo che avrebbe significato il ritorno alla normalità, il riavere di nuovo un rivale da odiare e detestare?

Ma lui non era mai tornato, e Bulma era morta.

“Vegeta...”

Udire la sua voce fu un colpo violento, molto più forte di qualsiasi pugno avesse mai ricevuto in battaglia.

Si conficcò le unghie nella carne dei palmi, sentendosi la rabbia ribollire dentro come magma pronto ad uscire. In un certo senso, era contento di essere furioso: era da cinque anni che non si sentiva così vivo.

“Vattene.” sibilò, con voce inespressiva, senza neanche voltarsi.

Goku sorrise, un sorriso sincero, leggero, allegro. Un sorriso come tanti gli aveva visto fare il principe dei saiyan. Per quanto non lo potesse vedere, sapeva che le labbra di quello stronzo erano incurvate all'insù, in quella tipica espressione che per anni aveva desiderato distruggere a cazzotti. Una speranza che ora sapeva non potere realizzare, ma non per questo sparì.

Le nocche scricchiolarono minacciosamente, rompendo il silenzio che aleggiava in quel luogo.

“Ti ho detto di sparire.” ripeté, con voce monocorde il saiyan più anziano. “Tornatene nel buco merdoso in cui sei sparito per tutti questi anni.”

L'altro non reagì, proseguendo a sorridere. Si avvicinò al suo vecchio rivale, un'espressione rilassata sul volto, il fisico abbronzato racchiuso nella vecchia tunica azzurra.

“Ne è passato di tempo... non è così? Vegeta.” dichiarò infine, aprendo bocca per la prima volta.

Vegeta si girò di scatto, notando come non fosse cambiato per niente, come se il trascorrere del tempo fosse per lui un fattore irrilevante. I suoi occhi era ricolmi di rabbia, una rabbia antica. Non sapeva neanche lui perché fosse così furioso, ma la cosa non gli interessava: Kakaroth era lì, davanti a lui. Prenderlo a pugni sarebbe stato bellissimo, un modo per ritornare indietro nel tempo, a quando il suo spirito non era ancora spezzato e disintegrato in una torma selvaggia di pensieri cupi ed oscuri.

Eppure, per quanto fremesse, per quanto desiderasse poterlo fare, si accorse di non esserne capace, non più ormai. Quello che aveva davanti non era più il suo rivale di una vita, colui a cui aveva mostrato ogni sfaccettatura del suo carattere, anche quelle più segrete. Mai come in quell'istante gli parve così distante, proprio quando era a pochi metri da lui.

“Perché?” chiese, con voce sgarbata, cercando, senza successo, di ottenere con le parole ciò che con i pugni non era più in grado di fare. “Perché sei venuto, Kakaroth?!”

Gli occhi di Goku, così neri e magnetici, sembravano brillare di luce propria. Una luce oscura, aliena a Vegeta. Sembrava così diverso dall'ultima volta che l'aveva visto, anche se, esteriormente, non era cambiato per niente.

“Perché era giusto che venissi.” rispose infine, la voce pacata.

Il saiyan più anziano strinse i pugni, digrignando i denti. Ancora una volta, fu pericolosamente vicino ad esplodere, sfogando su quel dannato imbecille che aveva davanti tutto ciò che si portava dentro da anni. Il suo rivale sembrò capire ciò che provava, ma il suo sorriso si intensificò.

“Non sarà prendendomi a pugni che risolverai la cosa.”

“Tu lasciami provare!” replicò l'altro, le vene del collo gonfie di rabbia. Era veramente furioso, come non gli capitava da anni. Vederlo lì, davanti alla tomba di sua moglie, dopo anni che era scomparso, con quell'atteggiamento rilassato era qualcosa che lo urtava con prepotenza, risvegliando dentro di lui un fuoco che credeva fosse ormai spento da tempo.

“Vegeta... perché hai voluto smettere di vivere? Sai che Bulma-san è arrabbiata con te?”

“Non pronunciare quel nome!” reagì furiosamente l'altro, gli occhi neri spiritati da rancoroso furore. “Non pronunciare... quel... maledettissimo nome...” ripeté, la voce atona, senza più forza.

Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, prendendo a fissarsi le punte degli stivali, senza più sapere neanche lui cosa desiderasse in quell'istante. Morire? Ricongiungersi con sua moglie? Spaccare la faccia a Kakaroth? Essere lasciato solo? Non lo sapeva. Forse un po' tutto di quello, un intruglio di rabbia, impotenza, rancore e dolore che aveva la capacità di lasciarlo stordito, incapace di reagire e provare a vivere ancora.

“Non ho mai dubitato di te, Vegeta... e neanche lei lo ha fatto.”

Fiducia. Già... fin dalla prima volta, Goku aveva preso a fidarsi di lui, in modo quasi folle. E lui, nonostante tutto, era caduto nella trappola che si era sempre ripromesso di evitare: diventare ciò che aveva sempre disprezzato, essere umano.

Fece un profondo sospiro, chiedendosi ancora una volta perché nessuno l'avesse avvisato. Perché non gli era mai venuto il tarlo del dubbio che la sua felicità, quella breve, tenue, fragile felicità sarebbe prima o poi finita, lasciandolo solo e in preda ai ricordi.

“Che cosa vuoi da me?” chiese infine, con voce rassegnata.

Senza smettere di sorridere, Goku gli indicò l'uscita del piccolo mausoleo, iniziando a dirigersi verso essa, chiaro segnale che desiderava essere seguito.

Fuori era il tramonto, mentre un tardo pomeriggio di primavera scaldava l'aria, profumata dai fiori e dall'incenso. I due saiyan presero a camminare in mezzo ai viali selciati, circondati da una profonda quiete.

Durò poco, non più di un paio di minuti quel tragitto. Eppure, in quei pochi secondi, Vegeta non riuscì a formulare un solo, singolo pensiero di senso compiuto, limitandosi a seguire Goku come un automa, il volto contorto in una fragile maschera di granito.

Peccato che non riuscì a mantenerla, una volta visto una figura a lui familiare.

Di fronte ad una piccola tomba di lucido marmo, una donna era inginocchiata, rivolgendo loro la schiena. Teneva gli occhi chiusi, ma i suoi brillanti capelli biondi, tenuti in un corto caschetto, e le sue forme avvenenti, racchiuse in un elegante completo da donna nero, la rendevano impossibile da non riconoscere ai due saiyan.

“Ma quella è...” gli occhi scuri di Vegeta si spalancarono per la sorpresa. Erano anni che non aveva più notizie di quella donna.

Goku prese a fissarlo. Il sorriso ora era scomparso dal suo volto, lasciando spazio ad un'espressione dura e seria.

“Che cosa ci fa... quel cyborg ancora in circolazione?! Credevo fosse finita all'altro mondo con suo marito!” sputò Vegeta. Non aveva mai provato un briciolo di simpatia per quella creatura tanto fredda quando bella, men che meno per il suo imbranato consorte, deceduto di vecchiaia ormai parecchi anni prima.

“Invece ha deciso di restare.” replicò, con voce pacifica l'altro saiyan. “Ha una figlia, dei nipoti, una famiglia che l'amava e che le chiedeva di non lasciarli. Di potere restare ancora un po' con loro.”

Vegeta rimase parecchi secondi a fissare la schiena di 18 prima di comprendere fino a fondo il discorso del rivale.

“In tutti questi anni, non è passato giorno che 18 non abbia sofferto immensamente l'assenza del marito. Lo so, perché l'ho visto, così come l'ha visto anche Crilin. Soffre, e continuerà a farlo, fino a quando il suo compito all'interno della sua famiglia non si sarà esaurito.” le iridi nere di Goku divennero più fredde dell'universo. “Solo allora potrà raggiungere in pace suo marito. Che l'attende, ed è orgoglioso di lei.”

I due saiyan videro l'androide alzarsi lentamente, dopo aver sfiorato un'ultima volta la fredda pietra della tomba di Crilin. I suoi occhi erano freddi, ma lucidi, mentre le dita toccavano tremanti ciò che rimaneva del marito su quella terra. Poi, lentamente, essa si voltò, senza degnarli di uno sguardo, imboccando la via d'uscita del cimitero.

“Viene qui ogni giorno... proprio come te.” osservò il saiyan più giovane.

L'altro non disse nulla, distogliendo velocemente gli occhi dalla bella cyborg, mentre si domandava cosa diavolo avesse voluti rivelargli, con quella visione, il suo antico rivale.

“Cosa vuoi che faccia?” chiese di nuovo, la voce smorta, priva di volontà. Era stanco di pensare, ed aveva accettato da tempo che la volontà di Goku, in un modo o in un altro, alla fine si compieva sempre. Combatterla sarebbe stato inutile, e lui era stanco di lottare contro il destino.

“Va da loro.”

I suoi occhi oscuri si adombrarono, mentre la sua mente si chiedeva il perché di quella richiesta.

“Torna a vivere, Vegeta. Hai ancora così tanto da vedere, da fare, da vivere. Crogiolarti in un dolore naturale, che fa parte della vita, farà solamente soffrire le persone a te care.” Goku non fece nomi, ma per Vegeta non era difficile capire a chi si riferisse.

“I miei figli...”

“Hanno bisogno di te.” lo interruppe l'altro. “Questo pianeta ha ancora bisogno di te.”

Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne, mentre sentiva il soffio del destino alla sue spalle, spingendolo verso la rotta decisa da Kakaroth.

“Io...” la voce sembrò uscirgli a fatica, quasi anche il suo corpo fosse contrario alla sua volontà. “Perché dovrei dare retta a te, Kakaroth?!” sputò infine. “Tu parli di dolore, ma quando mai l'hai provato?! Dove eri mentre mia moglie, la tua, ed i tuoi amici, uno dopo l'altro, morivano?! Dove eri quando la tua donna esalava l'ultimo respiro, circondata dai tuoi stramaledetti figli, ma non da te?! DOVE ERI KAKAROTH?!”

Alla fine del discorso, la sua voce era diventata un grido carico di rancore. In preda alla furia, il saiyan più anziano afferrò il colletto della tunica dell'altro, scuotendolo con rudezza. Non sapeva neanche lui perché avesse reagito in quel modo, il motivo per cui aveva deciso di urlare al vento ciò che si teneva dentro da tanti anni. Era successo, e basta.

Goku non reagì. Si fece strattonare dal rivale, tenendo il volto serio, inespressivo. Una vuota e fredda maschera che su di lui dava un effetto grottesco, come se tutto quello fosse solo un bizzarro sogno.

“Era la cosa giusta da fare, e lo sai anche tu... Vegeta.” rispose infine, la voce calda e pacata.

Vegeta lo lasciò, girandosi di scatto, stringendo la mascella con tale rabbia da far scricchiolare i denti. Era arrabbiato, furioso, ma non con Kakaroth. Perché comprendeva le sue ragioni, che in fondo erano anche quelle che si era portato dentro per decenni. Eppure, sentiva dentro di sé un sentimento nuovo: un senso di ingiustizia, come se, in un moto egoistico, avesse preferito che nulla cambiasse. Che Goku fosse rimasto sempre là, ad invecchiare insieme a lui, prendendosi a pugni, insultandosi, andando avanti per la vecchia via come sempre, insensibili al passare del tempo.

Ma non era accaduto, ed ora loro avevano preso strade diverse, troppo distanti perché continuassero a camminare fianco a fianco, come avevano fatto per tanto tempo.

“Non credere che io li abbia abbandonati. Ero lì, affianco ad ognuno di loro, quando la morte li ha presi.” la voce di Goku gli risuonò spaventosamente pacifica, mentre percepiva la mano calda di quest'ultimo appoggiarsi sulla sua spalla destra. “Sono sempre stato al loro fianco, nel momento del bisogno, e continuerò a farlo. Ogni volta che avranno bisogno di me... io ci sarò.”

“Non c'eri...” replicò lui, con voce fredda. “Quella sera... tu non c'eri.”

Ci furono alcuni secondi di pesante silenzio, che gravarono sulle sue spalle come macigni.

“Ero già passato... quando tu venisti. Era suo desiderio vedere solo te... negli ultimi istanti della sua vita.”

Vegeta chiuse gli occhi, mentre un volto a lui orribilmente familiare si formava davanti al suo sguardo interiore. Ci si perse dentro, ammirandone l'azzurro vivo e bruciante, la chioma scintillante, le forme avvenenti, e quel sorriso furbo e sbarazzino che tante volte l'aveva fatto incazzare profondamente.

“Lei vuole che tu torni a vivere, Vegeta. Se proprio non riesci a farlo per te, rendila felice... ancora una volta.”

Lo capì nello stesso istante in cui riaprì gli occhi. Si voltò lentamente, osservando davanti a lui solo il silenzio denso e pacifico del cimitero. Kakaroth era tornato nel suo mondo, in perenne bilico tra quello dei vivi e quello dei morti. Se lo immaginò, con un sbuffo irritato, a fissarlo sorridente da lassù, abbracciato ai suoi amici più cari. Lo immaginò là, e fu certo che attendeva solo lui, per poter riavere il suo rivale di sempre al suo fianco.

Ma prima doveva fare un'ultima cosa, un'ultima azione, per poter guardarlo di nuovo in faccia senza più vergogna.

Doveva tornare a vivere.

 

 

Il sole, ormai rosso, illuminava di una luce calda e malinconica le finestre di quell'edificio, a lui così familiare. Lo vide, percependo, al suo interno, i ki di loro, la sua famiglia. Quelle persone che aveva allontanato volontariamente dalla propria vita.

Si avvicinò, mani in tasca, un'espressione indecifrabile sul volto. Sapeva che lui sarebbe uscito tra pochi istanti, lo conosceva troppo bene per non conoscere perfettamente la sua routine: dopo il lavoro amava sempre fare una passeggiata attorno al quartiere.

Non sapeva neanche lui cosa stesse pensando in quegli istanti. Da quando era uscito dal cimitero, i suoi passi l'avevano condotto, quasi contro la sua volontà, davanti a quella casa, dove aveva vissuto per anni. Ora, che il suo percorso era terminato, non sapeva cosa dire, pensare, fare. Rifletteva sulle parole di Kakaroth, e le trovava vacue, quasi banali. Eppure, rivedeva il volto di 18, quella donna così fredda ed orgogliosa, ed era costretto ad ammettere che, per quanto scontate, quelle dannate parole era giuste, corrette.

E la cosa lo faceva incazzare parecchio.

Lui uscì, il volto stanco, sfatto dalla lunga giornata di lavoro. Vegeta rimase a fissarlo, una maschera troppo fragile davanti al volto, constatando come fosse diventato un uomo, una persona responsabile e dalla personalità forte. Lo vide e ne fu, dentro di sé, profondamente orgoglioso, vedendoci molto di lei.

Trunks lo vide dopo alcuni istanti. Notò quella figura, a lui così familiare, con stupore ed incredulità, mentre le sue chiare pupille si dilatavano, incapace di accettare, dopo tutti quegli anni, che avesse deciso di tornare.

“Papà?” sussurrò, la voce incredula.

Vegeta non mutò la propria espressione, anche se ciò gli costò più fatica di quanto immaginasse.

“Ciao... figlio.” esordì, con voce seria e scontrosa, anche se terribilmente falsa. “E'... da parecchio che non ci vediamo.” aggiunse, mentre le sue labbra si incurvarono lentamente verso l'alto, dando vita ad uno dei suoi rari sorrisi.

“Papà!” Trunks corse velocemente verso suo padre, abbracciandolo con foga per alcuni istanti, staccandosi subito, notando che il suo gesto non veniva ricambiato. Si allontanò da lui, temendo di averlo irritato, ma vedendo che continuava a sorridergli si rasserenò.

“Mi sei... mancato da morire!” esclamò il giovane uomo, trattenendo a stento le lacrime.

“Perdonami... avevo bisogno... di stare da solo.” rispose il moro, mentre i suoi occhi si spostavano verso la grande abitazione alle loro spalle. “Ora però... sono tornato.”

“Questo vuol dire... che tornerai a vivere qui, assieme a noi?!” chiese il figlio, incapace di accettare ancora fino in fondo quello straordinario ritorno.

Il sorriso sparì dal volto di Vegeta, lasciando spazio ad un'espressione seria.

“No... io non posso tornare.” replicò con voce pacata. “Quella casa... per me ha rappresentato troppo. Non posso e non voglio nascondere tutto questo, ma non ho la forza per ritornare a viverci.” vide la delusione sul viso di lui, e le sue labbra, quasi avessero vita propria, tornarono ad incurvarsi in un sorriso caldo, che raramente aveva usato “Ma questo non significa che non potremo vederci, d'ora in avanti.”

Trunks annuì, mentre si asciugava gli occhi lucidi con un gesto stizzito del braccio, un sorriso allegro e felice sul volto. Fu vedendo quel sorriso che il saiyan capì: quelle dannate parole erano corrette. Kakaroth aveva avuto ragione, ancora una volta.

Maledetto bastardo...

Sentì suo figlio afferrarlo per una mano, trascinandolo dentro casa, mentre lo sommergeva di parole riguardo lui, la sua vita, sua sorella, le famiglie che si erano costruite, i loro figli. Lo sentiva, ma non era in grado di assimilare fino in fondo quelle parole, incredulo di sentire, dentro di sé, una sensazione strana, che non avvertiva da tanto, troppo tempo. Non riusciva a decifrarla del tutto, ma si sentiva leggero e senza pensieri ad oberargli la mente, e la trovò una sensazione magnifica.

Lurido scarto di terza classe... non sperare che ti ringrazi però!

Sapeva che lui, con affianco sua moglie, la sua adorata Bulma, lo stavano fissando, vedendolo entrare alla Capsule Corporation, di nuovo assieme alla sua famiglia.

 

Vegeta... è sempre il solito cocciuto! Non imparerà mai!”

 

Non ho bisogno di capire, donna. Tanto prima o poi ti rivedrò, e potrai tornare a darmi il tormento, per la tua stupida, infantile gioia.

Superò la soglia di casa, a lui così tanto familiare, accorgendosi che poco era cambiato. Che nonostante l'arredamento fosse mutato, l'atmosfera era la stessa di cui aveva memoria, solo che ora non era immerso in qualche ricordo del passato, ma in un dolcissimo presente.

Sospirò, osservando il volto felice del figlio, mentre annunciava a tutti il suo ritorno.

“Sono a casa.” mormorò.

Si chiuse la porta alle spalle.

Era fermamente deciso a non riaprirla più.

 

FINE

 

 

  
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