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Autore: Sapphire_    06/03/2016    1 recensioni
Nella New York del ventunesimo secolo, Ophelia Winston è una diciannovenne con una vita piuttosto comune, con gli alti e bassi come tutti. Almeno fino a quando tre tizi dall'aria sospetta non la rapiscono (o salvano, a detta loro) e la portano alla sede di una delle due principali fazioni dei cosiddetti Malus Sanguis. E Ophelia si rende conto che avrebbe dovuto riconsiderare la sua visione di quotidianità.
Dal testo:
«Guardala: già dalla faccia si capisce che è fastidiosa. E poi mi spiegate perché sono stato io quello a doverla recuperare? L'idiota mi ha pure morso!» continuò lamentoso quel Nicky, Domi, o come cavolo si chiamava, iniziando a sventolare la mano ferita su cui spiccavano rossastri dei segni di denti.
«Tu mi stavi quasi impedendo di respirare» intervenne furente Ophelia.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio a tutti!
È da un secolo che non pubblico qualcosa qui su EFP, mi mancava!
Rivelo il perché: sono una che quando scrive una storia ha bisogno di sapere tutti i dettagli prima di metterla effettivamente nera su bianco, e a causa della mia (in)costanza difficilmente arrivo a quel punto. Ho tipo un milione di storie organizzate e praticamente nessuna conclusa. Mi stavo chiedendo il perché di questa cosa, e mi sono accorta di come, a un certo punto, finisco per stancarmi e perdere la verve che mi aveva spinto a organizzarmi tutta felice.
Per questo ho voluto provare un altro metodo, uno che non usavo da quando avevo appena iniziato a scrivere - ovvero... otto anni fa? - in pratica scrivere seguendo la scia dell'ispirazione. Proprio per questo vi dico subito che la trama è ancora vaga nella mia testa, ho solo alcuni punti sicuri, ma di altro andrò dove mi porta il cuore - o meglio le mie dita. Anche il titolo d'altro canto deriva da una ispirazione momentanea, cercherò di essere fedele anche a quello.
Vi chiedo scusa in anticipo per dei (sicuri) ritardi negli aggiornamenti, ma purtroppo mi sto incamminando verso la fine del mio percorso liceale e la maturità si fa sempre più vicina, perciò non so quanto potrò dedicarmi alla storia come altre volte invece faccio. In ogni caso farò il possibile per non perdere l'ispirazione e concludere questa storia - è una sfida personale, questa!
Ringrazio in anticipo chiunque voglia leggerla e anche chi, eventualmente, mi voglia lasciare una recensione: anche il più piccolo parere (positivo o negativo che sia) mi farebbe un enorme piacere, e mi affido a voi per correggere eventuali discordanze fra i vari capitoli - starò attentissima a non commetterne, ma come ho già detto solitamente mi organizzo le cose in anticipo!
Buona lettura!

~Sapphire_





~Dirty Blood





Capitolo uno

Non sapeva come fosse finita in quella situazione. Più ci pensava, più le sembrava una situazione insensata.
Era tutto iniziato come una brutta giornata, con una perpetua nausea che non voleva abbandonarla, giramenti di testa e il buio che le compariva di fronte agli occhi, in fastidiosi flash che le facevano venire fitte alla testa, come se qualcuno la stesse ripetutamente infilzando con uno stiletto proprio alle tempie.
Si era detta che fosse una banale sindrome premestruale – anche se di solito diventava solo isterica e molto irritabile – ed era andata avanti in quella giornata orribile.
Almeno fino a quando, tornando a casa in quella buia e grigia serata invernale, dopo che il sole era già calato e New York veniva illuminata dalle luci artificiali dei locali e dei lampioni, si era ritrovata quasi rapita da qualcuno – no, qualcuno non era il termine adatto. Da uno strano essere di dubbia provenienza.
Dopo quel momento era stato solo un susseguirsi di terrore e proprio mentre stava per svenire – almeno non avrebbe dovuto sopportare mentre era cosciente un probabile stupro – era stata tirata via e costretta a correre per non si sa quanto tempo, traballante su dei tacchi che avrebbe dovuto lasciare a casa.
E ora era lì, in un sudicio vicolo che puzzava in maniera preoccupante, immobilizzata da una mano sul polso e il peso di quella persona addosso e taciuta da un'altra mano sulla bocca.
Dalla corsa e dal buio di quel vicolo non era riuscita a vedere chiaramente la persona che l'aveva costretta a quella fuga così improvvisa e confusa.
Ophelia si divincolò in preda al terrore, gli occhi verdi sbarrati e puntati su quella figura che la costringeva a stare ferma con malagrazia, riuscendo a vedere solo una massa di mossi capelli biondi.
In tutto quel trambusto, l'unica cosa a cui pensò fu che quella mattina avrebbe dovuto mangiare la torta al cioccolato e fregarsene dei brufoli che le sarebbero usciti l'indomani.
Tanto non ci arrivo a domani, pensò con una sarcastica constatazione, abbastanza inadatta a quel frangente.
Presa però ancora dallo spavento continuò a divincolarsi, senza particolare successo, finché non riuscì a mordere la mano che continuava a coprirle la bocca. Sentì il sapore ferroso del sangue che le pizzicava la lingua e il ragazzo che emise quasi un ringhio di dolore.
La mano non si spostò, ma quell'attimo di debolezza fu sufficiente per strattonare un'altra volta e avere lo spazio per allontanarsi; fu però ancora trattenuta al polso, mentre la bocca era finalmente libera.
Stava per urlare, quando il ragazzo si girò con aria irata e il fuoco negli occhi.
«Vuoi farti ammazzare? Stai ferma, cazzo!» sibilò a bassa voce.
Ophelia fu praticamente trapassata da un paio di occhi bianchi come la neve, che di certo non si aspettava di vedere.
Si stette finalmente ferma e iniziò a tremare come una foglia.
«Che succede? Chi sei tu?» pigolò spaventata, mentre sentiva le lacrime pungerle gli occhi in maniera fastidiosa.
Il ragazzo la guardò sprezzante con quegli occhi bianchi.
«Se sopravviviamo te lo dico» fece ironico.
Ophelia tacque di nuovo e cercò di ascoltare anche lei quello che provava a sentire il tizio. Ma purtroppo non udì nulla, neanche il rombo di una macchina – eh già, erano in una zona troppo sperduta anche per le auto.
«Merda!» mormorò il ragazzo, facendola sussultare. Poi si girò verso di lei.
«Ascoltami bene, idiota: noi adesso ci spostiamo
in silenzio, per questo motivo tu dovrai stare assolutamente zitta, d'accordo? E non ti conviene tentare di scappare, altrimenti ti mollo a quel bastardo che ti farà la festa e me ne laverò le mani. Sono stato chiaro?» disse a bassa voce, avvicinando il volto a quello della ragazza per farsi sentire meglio.
Ophelia non ebbe neanche la forza di rispondere, annuì a testa bassa.
«Bene» mugugnò l'altro, lanciandole un'altra occhiata di sufficienza con quegli spaventosi occhi bianchi.
Dopo che l'aria spaventata della ragazza ebbe convinto l'altro che non ci sarebbe stato nessun tentativo di fuga, con cautela uscirono dal vicolo – o, perlomeno, Ophelia fu trascinata fuori da esso, per poi iniziare di nuovo a correre su quei traballanti tacchi che le facevano cedere ancora di più le gambe.
Subito riprese a mancarle il fiato – doveva mettersi a fare un po' di esercizio fisico, non poteva rischiare di svenire per una corsa a diciannove anni – ma continuò a correre, più spaventata da cosa avrebbe potuto farle quel ragazzo piuttosto che da quello che li stava inseguendo.
Non sapeva dove stavano andando e neanche per quanto avessero corso, finché non sbucarono in una stradina e un'auto nera inchiodò di fronte a loro due, costringendoli a fermarsi bruscamente. Dal finestrino mezzo abbassato una voce risuonò chiara.
«Salite!» l'esclamazione imperiosa fece tremare Ophelia più di quanto non stesse già facendo, ma il ragazzo dagli occhi bianchi, senza sorpresa, si lanciò sulla portiera, aprendola rude e buttando tra i sedili la povera ragazza sballottata da una parte all'altra.
L'odore fresco e pungente di menta mischiata a quello più soffocante del tabacco le fece arricciare il naso, mentre un fianco iniziò a dolerle inseguito alla botta appena ricevuta.
«Parti» il ragazzo disse quello mentre entrava di volata, ma non fu necessario perché il guidatore stava già partendo in quarta, senza nemmeno aspettare che lo sportello fosse chiuso.
Ophelia si ritrovò sbalzata in avanti dal movimento improvviso e fu costretta ad appigliarsi al sedile del guidatore di fronte a sé per non farsi troppo male, ma così facendo il polso, già malandato a causa della stretta ferrea del tizio, dovette sopportare tutto il suo peso, facendola gemere di dolore.
«Ancora un po' e quel bastardo vi avrebbe preso entrambi»
La voce, con tono canzonatorio, la richiamò alla realtà e sollevò di scatto lo sguardo, finendo per fissare colui che stava a fianco del guidatore, girato verso i sedili posteriori e con un sorriso sardonico sul volto pulito e uguale a quello del ragazzo che l'aveva praticamente rapita. Al posto di un paio di occhi bianchi però, ce n'erano un paio castano-verdi che spostavano alternativamente lo sguardo da lei all'altro tizio e viceversa. Quest'ultimo si girò imbufalito verso colui che aveva parlato – la cui voce, Ophelia l'aveva riconosciuta, era quella che gli aveva ordinato di salire – e lo guardò in malo modo, mentre la ragazza si stupiva di non vedere più gli occhi bianchi, ma un paio sempre castano-verdi, uguali in tutto e per tutto a quelli del nuovo arrivato, solo con una luce incazzosa al posto di quella divertita.
«Taci idiota»
«Non trattare male Milly, Nicky» una terza voce, femminile, intervenne, rivelando la ragazza che vi era alla guida.
«Non chiamarmi Nicky!»
«Non chiamarmi Milly!»
Le due voci, uguali, risposero in sincrono, irritate.
Ophelia, ancora in una posizione scomoda, notò solo un vago movimento con la mano da parte della giovane.
«La ragazza sta bene?» continuò imperturbata la sconosciuta. Ophelia, sentendosi chiamata in causa, smise di adocchiare la strada in cui si trovavano – esattamente, dove si trovavano? - e fissò con occhi grandi e spaventati i due gemelli – sì, lo erano senza dubbio – che la osservavano.
«Sì» rispose secco quel Nicky.
«Insomma, sembra che stia per morire di infarto, ma tutto sommato non sembra messa male» fu più esauriente Milly, osservandola con curiosità.
Ophelia, sentendosi osservata, si mise lentamente seduta composta, venendo squadrata senza tregua dai due ragazzi. Cercando di evitare il loro sguardo, finì per incrociare gli occhi anch'essi castano-verdi della giovane che guidava, la quale cercava di intravederla dallo specchietto retrovisore.
Ophelia deglutì, percependo il suo gesto fin troppo rumoroso.
«Potreste spiegarmi chi diavolo siete?»
Le parole stridule uscirono prima che potesse frenare la lingua. Subito dopo si diede della stupida, pensando che se volevano quei tizi potevano benissimo ucciderla e nascondere il suo cadavere da qualche parte in cui nessuno l'avrebbe mai trovato.
Pensando a tutti i modi in cui poteva finire allegramente a far compagnia ai lombrichi sottoterra le venne un brivido di terrore e di disgusto.
I tre non sembrarono toccati dal tono che usò, a metà tra l'isterico e il minaccioso.
«L'avevo detto io che sarebbe stata una ragazzina molesta» disse con tono accusatorio sempre lo stesso Nicky, ignorandola su tutta la linea.
«Avanti Domi, non la conosci nemmeno. Non sembra male» cinguettò allegro l'altro.
«Guardala: già dalla faccia si capisce che è fastidiosa. E poi mi spiegate perché sono stato io quella a doverla recuperare? L'idiota mi ha pure morso!» continuò lamentoso quel Nicky, Domi, o come cavolo si chiamava, iniziando a sventolare la mano ferita su cui spiccavano rossastri dei segni di denti.
«Tu mi stavi quasi impedendo di respirare» intervenne furente Ophelia, stupendosi di partecipare a quella conversazione. Anche se sapeva che poteva finire in un fosso da un momento all'altro, quei tre erano talmente strani che si ritrovò a battibeccare anche lei come se non fossero dei totali sconosciuti che l'avevano appena rapita.
«Mi sono pentito di non avertelo impedito del tutto» rispose velenoso il ragazzo.
«Avanti Nicky, non essere così astioso. E non continuare a spaventarla» intervenne la ragazza, notando il pallore di Ophelia a sentire le parole di “Domi”.
«Perché invece di fare la mamma non mi spieghi perché il principino ha mandato noi a recuperarla e non ha mosso il suo regale culo? E non tentare di trovare una scusa questa volta, Claire» continuò il solito, sbuffando come una teiera.
«Ti sei risposto da solo, fratellino. È un principino, per questo manda noi cavalieri a recuperare le donzelle con cavallo, armatura e spada» ironizzò “Milly”.
«Se continua così la spada gliela ficco su per il culo»
«Va bene» interruppe subito Claire, senza spostare lo sguardo dalla strada «Rimanda il tuo adorabile turpiloqui a dopo tesoro, e dai qualche spiegazione a quella povera ragazza – a proposito, com'è che ti chiami?»
Ophelia fu ritirata dentro la conversazione con la forza.
«Ophelia» borbottò.
«Uh, che nome adorabile» rispose deliziata Claire, lanciandole un veloce sguardo dallo specchietto.
«Perché devo essere io a darle spiegazioni? Sono già stanco di tutta questa storia» rispose con voce isterica Domi.
«Dio, fratellino, sembri una donna in piena fase mestruale» fece sarcastico Milly in risposta.
«Se non la pianti finisci in strada»
«Smettetela entrambi. Cavolo, mi sembra di stare con due dodicenni invece che con due adulti» si lamentò stanca la giovane ragazza «E comunque sei tenuto a darle spiegazioni in quanto sei stato tu a trascinarla fino a qui» asserì convinta.
Domi fece una faccia sconvolta.
«Io? Io sono quello a cui dovrebbero essere date spiegazioni, dato che me ne stavo tranquillo per i fatti miei finché quel coglione non mi ha trascinato via strillando come un invasato che dovevamo andare a recuperare questa... Questa...» si interruppe, indeciso su come definirla.
Ophelia gli lanciò un'occhiata irata.
«Se voi volete darle spiegazioni bene, io non farò proprio nulla»
E con queste parole da bambino viziato, Ophelia vide il ragazzo assumere un'espressione corrucciata e incrociare le braccia in un angolo del sedile.
Sentì chiaramente Claire sospirare esausta.
«Beh, direi che a spiegarle tutto sarà direttamente Sargas, ormai non c'è più tempo» tubò allegro Milly, guardando fuori.
Proprio in quel momento Ophelia sentì l'auto accostare e il motore spegnersi.
Guardò fuori dal finestrino, cercando di riconoscere il posto, ma non riuscì a capire dove diavolo fosse finita. Fuori una sequela di edifici tutti grigi e simili tra loro rendevano la strada monotona; c'erano alcuni lampioni a illuminare la strada ma non erano sufficienti, perciò il luogo oltre a essere monotono risultava anche abbastanza lugubre e desolato.
«Dove siamo?» sussurrò, ormai certa che la stessero per trascinare nell'ennesimo vicolo, questa volta per soffocarla con una busta di plastica.
«La smetti con tutte queste domande?» berciò infastidito il solito Domi.
«Su Domi, non farti saltare le coronarie» fece con falso tono smielato il gemello, ricevendo come risposta un dito medio molto chiaro.
«Da qualche parte a New York»
Vanno pazzi per le risposte esaurienti qui, pensò sarcastica Ophelia, attenta a frenare la lingua questa volta.
«Avanti, scendete» ordinò Claire. Ophelia rimase immobile mentre il ragazzo affianco a lei apriva lo sportello e usciva. Dopo un paio di secondi, rituffò la testa bionda dentro l'auto.
«Ti sbrighi o vuoi rimanere qui tutto il giorno?» fece con tono infastidito.
La ragazza si precipitò fuori, rischiando quasi di rompersi l'osso del collo su quei maledetti tacchi e venendo investita da un venticello notturno leggero ma gelido, che la costrinse a stringersi meglio addosso il cappotto grigio scuro.
I tre non l'aspettarono, andando sicuri verso l'edificio davanti a cui si erano fermati. Ophelia si affrettò a seguirli, mantenendo una certa distanza e iniziando a frugare disperatamente nella borsa e nelle tasche, alla ricerca di qualcosa che però sembrava scomparso.
«Cerchi questo?» chiese beffardo Domi.
L'odio che cresceva nei confronti di quel ragazzo si mischiò alla disperazione che provò nel vedere il suo cellulare nelle mani dell'altro, che lo faceva dondolare incurante del rischio che potesse frantumarsi a terra.
Il telefono, la sua unica e ultima speranza di poter essere salvata da quei tre pazzi che con tutta probabilità l'avrebbero smembrata e sparso i suoi pezzetti in giro per la città – ok, forse non doveva esagerare in tal modo – comunque, il suo telefono era andato nelle mani di quel bastardo che continuava a ridersela di fronte alla reazione di Ophelia, che era sbiancata.
«Domi» lo richiamò il gemello, ridacchiando di fronte alla scena «Avanti, smetti di giocherellare con lei e muoviti a entrare. Anche tu, sbrigati»
Domi si limitò a scrollare le spalle, ancora ridendo, poi si mise il cellulare in tasca e la precedette mentre il gemello attendeva che Ophelia uscisse dalla trance in cui era entrata e camminasse. Lei, in risposta, più che camminare si trascinò verso di loro come una condannata a morte, intravedendo Claire che stava già entrando dentro l'edificio senza attenderli.
Non provava nemmeno a scappare, consapevole che sarebbero riusciti a riprenderla senza troppi sforzi, ma un lato della sua mente, non sapeva se quello più incosciente o quella più ragionevole, le diceva di correre via perché, d'altro canto, c'era qualcosa di più che strano in loro, in primis in quel diavolo di Domi che poco prima aveva gli occhi bianchi e l'attimo dopo di un normalissimo castano-verde.
In qualche modo anche la curiosità la spronò a seguirli perché si era resa conto che quei tizi non l'avevano rapita a caso, ma ero decisi a prendere proprio lei.
Arrivò di fronte all'edificio ed entrò prima di Milly, che gli apriva con galanteria la porta – certo, galanteria, per non dire “così evitiamo gesti scemi da parte tua” che sarebbe stato brutto.
Si ritrovò in una stanza di medie dimensioni, completamente spoglia; nonostante ciò il pavimento a scacchi era lindo e ci si poteva quasi specchiare. Non vi erano porte di sorta, escludendo quella da cui erano appena entrati, solo un ascensore, il cui pulsante veniva premuto più volte da Claire, rischiando di venir frantumato.
«Guarda che non arrivi prima se lo rompi» disse Domi, inarcando un sopracciglio in direzione della ragazza e poi un'occhiata di diffidenza per Ophelia, appena arrivata con l'altro gemello.
È diffidente? LUI è diffidente? Sono io qui quella che non capisce che cazzo succede, pensò isterica.
Ma non disse nulla manco questa volta e dopo pochi secondi le porte dell'ascensore si aprirono, rivelando uno spazio di tre metri per tre, ricoperto di moquette blu e con una fastidiosa canzoncina che proveniva da degli altoparlanti.
Fu spinta dentro da Milly – a quanto pare la delicatezza era qualcosa che avevano in comune i due gemelli – ma non riuscì a vedere che pulsante avesse premuto Claire, in quanto era stata relegata nell'angolo opposto e a malapena vedeva la porta coperta com'era dai due ragazzi che, notava solo ora, erano fin troppo alti.
In quei due minuti di ascensore, nel quale sentiva vagamente i due ragazzi riprendere a battibeccare come al solito, riuscì finalmente a osservare bene i tre rapitori.
I due ragazzi, due gocce d'acqua, con medesimi capelli biondi e carnagione dorata, si distinguevano fondamentalmente per il taglio di capelli, un poco diverso, e l'atteggiamento anch'esso per certi lati differente: Ophelia coglieva in Milly meno cattiveria rispetto a Domi, i cui cinque canonici minuti di incazzo sembravano non finire. Erano comunque entrambi molto alti e con un fisico che sembrava allenato, anche se non poteva vedere più di tanto dalle felpe che ambedue indossavano.
La ragazza, Claire, era alta anch'essa, con un fisico longilineo e lunghi capelli neri nei quali spiccavano ciocche verde elettrico che facevano contrasto con la carnagione dorata uguale a quella dei due.
Ophelia guardò il fisico dell'altra con una smorfia, osservando i vestiti aderenti che mettevano in evidenza la belle curve.
Ma che cazzo, pure i rapitori-modelli mi dovevano capitare, pensò sconsolata, pensando che forse aveva fatto bene a non mangiare la famosa torta al cioccolato.
La porta si aprì con un lieve suono, interrompendo le elucubrazioni di Ophelia ma non le battutine dei due.
«...avrei potuto ammazzarlo quando volevo!» berciava Domi con la perenne aria irata. L'altro rideva sarcastico.
«E perché ti sei fiondato sull'auto allora?» lo pungolava.
«Sai che ansia dovermi togliere poi il sangue dalla maglia. E poi quella tizia mi sarebbe svenuta davanti e l'avrei dovuta portare in braccio. Ma anche no»
Ophelia iniziò a sudare freddo.
Ok, l'avrebbero uccisa, lo sapeva.
«Mi state facendo venire il mal di testa, sembrate due oche starnazzanti» sibilò Claire.
«Senti chi parla» la pungolò Domi «Sei peggio di noi, sorellina»
Claire gli lanciò un'occhiataccia mentre Ophelia sobbalzava. “Sorellina”, beh, alla fine non era stupita più di tanto.
Evviva, era incappata in tre fratelli serial killer.
La paura che si era attenuata riprese a farla tremare mentre veniva condotta dai tre per corridoi, porte e scale senza un apparente ordine preciso.
Passarono di fronte a porte dalle quali si sentivano alcune voci e se Ophelia non urlò fu solo perché il solito Domi le lanciò un'occhiata lampeggiante e perché sarebbe potuta cadere dalla padella alla brace.
Quando Ophelia si iniziò ad accorgere che non c'era neanche una finestra in quel posto – erano sottoterra per caso? - si dovettero fermare di fronte all'ennesima porta. Claire non bussò nemmeno, aprì la porta senza troppi convenevoli ed entrò; i due ragazzi invece si premurarono di spingere anche questa volta Ophelia dentro.
Dopo l'ennesima spinta però Ophelia cadde come rischiava di fare da ore: un tacco le si impigliò da qualche parte e rotolò a terra con pochissima grazia, sbattendo dolorosamente un ginocchio e causando le risate incontrollate dei soliti gemelli.
Viola dalla vergogna, Ophelia si risollevò e alzando lo sguardo finì per incrociare quello di un ragazzo che, appoggiato mollemente su una scrivania, la guardava con le braccia incrociate e un sopracciglio inarcato.
«Davvero, Sargas, non capisco perché volessi assolutamente che ti portassimo questa tizia» Milly ruppe il silenzio creatosi osservando il bel ragazzo che continuava a fissare Ophelia.
Quest'ultima si sollevò traballante, non osando ricambiare lo sguardo e lanciando solo veloci occhiate di sottecchi a quel Sargas, ritrovandosi a considerare che lì sembravano tutti fatti con lo stampino. Com'era possibile che fossero tutti così belli? Si sentiva fuori luogo!
Le occhiate lanciate furono sufficienti per notare i corti capelli corvini che gli incorniciavano il volto pallido dall'espressione improvvisamente corrucciata e gli occhi blu cupo che la squadravano in maniera sfacciata dalla testa ai piedi.
Ma la sorpresa che provò in quel momento Ophelia non fu data tanto dalla bellezza del tipo, bensì dal vedere un ragazzo legato e imbavagliato su una sedia all'angolo della stanza, un ragazzo che riconobbe subito dai riccioli castani.
Sbiancò.
«Matthew?»

  
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