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Autore: Bill Kaulitz    07/03/2016    0 recensioni
Thomas si morse il labbro e sospirò, chinando il capo e guardandosi la punta delle scarpe. Si mise le mani in tasca e scalciò un sassolino ad un paio di metri da lui.
«Tom, cosa c’è?» disse l’amico mettendogli una mano sulla spalla. Non occorreva nemmeno che Thomas gli desse una risposta. Minho la sapeva già, ma parlò ugualmente.
«Se conosci già la mia risposta, perché me lo chiedi?»
«Speravo che mi stessi sbagliando. A quanto pare non è così, vero?»
«No, Minho. Credo di essermi preso una bella cotta per il nuovo arrivato.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Newt, Newt/Thomas, Thomas
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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AVVISO: i personaggi della storia NON avranno i nomi dei personaggi dei libri/film bensì i loro nomi reali (fatta eccezione di Minho). Non trovado la coppia Dylmas/Newtmas ho pensato di postare la Dylmas in questa sezione, sperando sia corretta.



FOLLOW YOUR HEART

Mugugnò qualcosa prima di aprire un occhio dimodoché vedesse dove fosse quel dannato tasto per spegnere quella fottuta sveglia. Segnava le 07:12. Era in ritardo come al suo solito. Anche il primo giorno dell’ultimo anno di liceo.

«Cazzo, è tardi!» lanciò per aria il piumone. Lo sbalzo termico quasi lo fece collassare. Sarebbe rimasto volentieri a letto per il resto del giorno ma, purtroppo, quello stesso e così tutti gli altri, si sarebbe dovuto alzare presto per andare a scuola. Cercò le sue pantofole gettando la testa sotto al letto.

«Ma come accidenti ci finiscono lì sotto?» infilò le braccia e le afferrò.

«Tooom, farai tardi a scuola. La colazione è pronta.»

Sbuffò udendo la madre gridare dalla cucina. Puntualmente non riusciva mai a sedersi al tavolo con i genitori e fare colazione con calma.

«Sì, mamma. Lo so. Arrivo.» urlò a sua volta.

Si precipitò in bagno, si ficcò nella doccia e l’aprì di getto.

«AAAAAH MERDA. È gelata.»  ringhiò, chiudendo immediatamente l’acqua. «Che idiota, ovvio che esca fredda, se apro l’acqua fredda.» si picchiò mentalmente e aprì l’acqua calda. Molto meglio.

 

Dopo circa dieci minuti, era giù in cucina ad azzannare voracemente una frittella alla crema e a trangugiare del cappuccino. La madre, Lisa, lo guardò con aria esterrefatta.

«Qualche giorno di strozzerai se continui a mangiare così velocemente. Imposta la sveglia venti minuti prima, no?»

Thomas smise improvvisamente di mangiare. Posò la frittella ed alzò lo sguardo verso la madre.

«Ma hai una vaga idea di quanto siano importanti per me quei venti minuti in più che dormo?» disse con la bocca piena. Tirò un altro morso. Dannazione, era davvero buona quella frittella. Avrebbe voluto gustarsela un po’ meglio, e non strafogarla di fretta. Aveva appena cinque minuti di tempo prima che il bus passasse. Il problema era che la sua fermata si trovava a tre isolati da casa sua. Avrebbe corso, come ogni giorno.

«E non parlare quando mangi. Quando si mangia non si parla.» lo rimproverò Lisa. Thomas sbuffò ancora e, stanco già di prima mattina, decise di alzarsi da tavola. Bevve d’un fiato il restante cappuccino e si infilò la frittella in bocca.

«Dove stai andando? Non hai nemmeno finito la colazione.»

Afferrò il suo giaccone pesante, il suo zaino e si avvolse nella sciarpa di lana e riprese in mano la frittella.

«Devo scappare per tre isolati prima che quel dannato bus passi senza fermarsi. Non voglio fare una maratona già di prima mattina e non voglio che la colazione mi esca dalle orecchie.»

Uscì di casa sbattendo la porta, senza salutare. Era stufo di essere trattato come un bambino. Ormai non aveva più dodici anni. Aveva le cuffiette alle orecchie. Aveva cominciato la giornata con una delle sue canzoni preferite: Alone, dei Falling in Reverse. Camminava a passo svelto e controllava l’orologio ogni dieci secondi guardandosi alle spalle col timore che il bus gli sfrecciasse davanti.

Il freddo era pungente e quasi gelido. Si strinse nelle spalle scomparendo nella calda sciarpa di lana e si infilò le mani nel giaccone.

«Fottuto freddo.» sibilò a denti stretti.

Una nube di condensa uscì dalla sua bocca. Fortunatamente, arrivò alla fermata in meno di tre minuti. Aveva il fiatone, il naso ghiacciato e le gote di un rosso vivido, ma ce l’aveva fatta. Il bus, di un giallo acceso, arrivò con qualche minuto di ritardo; un sollievo per Thomas. Si fermò ed aprì gli sportelli anteriori. Thomas salì e salutò l’autista che ormai conosceva da cinque anni. Non era mai cambiato da quando aveva iniziato il liceo.

«Buongiorno Adam.» disse togliendosi una cuffietta dall’orecchio destro.

«Buongiorno a te, Sangster. Oggi siamo stati puntuali, vedo. Niente corse mattutine.» scherzò l’autista che partì subito dopo aver chiuso gli sportelli. Thomas sorrise e non rispose. Si infilò nuovamente la cuffietta nell’orecchio e si accinse a ricercare un posto libero – cosa alquanto difficile visto che, l’ultima fermata prima di giungere a scuola, fosse la sua – ovviamente erano tutti occupati e, come ogni volta, avrebbe dovuto farsi venti minuti di autobus in piedi.

Solo dopo qualche minuto si accorse che, nell’ultima fila, c’era un posto vacante. Si avvicinò furtivo a quel posto che pareva essere occupato da uno zaino.

«Scusa, posso?» disse al ragazzo che sedeva vicino al finestrino e vi guardava attraverso. Questi si girò velocemente e, sorridendogli, spostò il suo zaino mettendolo sulle gambe.

«Grazie mille.»

Si accomodò al proprio posto e prese a godersi il ritornello della canzone successiva.

*

La sua fermata era un po’ prima del capolinea. Scendeva sempre al bar a due isolati dalla scuola. Lì avrebbe incontrato il suo migliore amico, Minho e avrebbero proseguito assieme.

Prenotò la fermata pigiando l’apposito pulsante. Si alzò dal proprio posto e si diresse verso gli sportelli centrali. Qualche istante dopo si ritrovò davanti al bar.

Proseguì qualche metro prima di incontrare il suo migliore amico.

«Ehi Tom. Ti aspettavo cinque minuti fa. D’altronde non è una novità il tuo ritardo.»

«Vaffanculo Minho.» disse Thomas, tirando un pugno sulla spalla dell’amico asiatico. Minho si lamentò massaggiandosi la parte colpita.

«Auch! Ma che sei scemo? Mi hai fatto male.» disse continuando a massaggiarsi. Thomas gli fece il verso, colpendolo di nuovo; questa volta in maniera più lieve.

Minho e Thomas non andavano in classe assieme. Erano amici d’infanzia e i genitori lo erano stati a loro volta. Erano cresciuti praticamente insieme. Trascorsero assieme solo i primi due anni di liceo, dopodiché ognuno prese un indirizzo differente; ma ciò non stette a significare la fine di un’amicizia così duratura, anzi, questo influì ancor di più sul loro legame. Erano davvero inseparabili.

«Ti ho preso un donuts, sapendo che non avresti fatto colazione.» disse Minho porgendo a Thomas un sacchetto di carta contente un donuts al caramello. Il ragazzo lo aprì velocemente e lo divorò in tre morsi. Aveva ancora tanta fame.

«Gvaffie. Fei un vevo amifo» disse con la bocca strapiena. Briciole di donuts fuoriuscivano da essa. Minho fece un’espressione disgustata.

«Dio Thomas, sei un animale quando mangi. Chiudi quella fogna.» Minho restò a fissarlo schifato fin quando non divorò del tutto quel donuts. Forse sarebbe stato meglio non comprarglielo. Tra l’altro, dove metteva tutte quelle calorie?

«Se qualcuno mangiasse come mangi tu, credo rotolerebbe piuttosto che camminare.»

Thomas fece uno sguardo saccente e mise il braccio attorno alla spalla dell’amico. Guardò l’orologio. Era già in ritardo di cinque minuti.

«Merda Minho. È tardi.»

I due amici si scambiarono un’occhiata disperata. Iniziarono a correre. Non era la classica giornata di Thomas, se non iniziava con una sana maratona.

*

Qualche minuto dopo, i due amici si salutarono a volo. La classe di Minho era praticamente una delle prime; quella di Tom, invece, una delle ultime. Dovette fare lo slalom fra gli studenti per poter raggiungere la sua aula. Fu piuttosto bravo a schivarne tre, o quattro. Al quinto non fu così fortunato.

Un ragazzo sbucò all’improvviso venendo travolto completamente. Entrambi caddero a terra. I libri si sparsero per gran parte del pavimento e alcuni fogli cominciarono a volare.

«Sei impazzito? Potevi ammazzarmi.» disse il ragazzo moro alzandosi in piedi e cercando di raccogliere i libri sparsi in terra. Thomas imbarazzato, cercò di prendere sia i suoi che quelli del ragazzo, sedendosi sulle ginocchia.

«Dio perdonami. Sono in ritardo.» disse poi Thomas porgendo i fogli e i libri.

«Grazie…a dire la verità anche io sto cercando la mia…aspetta un attimo.» Solo dopo alcuni istanti, il moro capì di aver già visto quel ragazzo. «Eri sul pullman stamattina o sbaglio?»

«Sì…oh, sei il ragazzo che mi ha fatto sedere. Sei stato molto gentile. Sei nuovo di qui?»

Il moro si portò i libri sotto il braccio e si aggiustò un ciuffo ribelle che fuoriusciva dal suo cappello bordeaux. Annuì. Lo scontro tra i due era già un lontano ricordo.

«Sto cercando la 5^ A indirizzo programmatori.»

Thomas ebbe un tuffo al cuore.

«È anche la mia classe. Seguimi che ti accompagno.» gli fece un sorriso smagliante e il moro ricambiò.

«Comunque, mi chiamo Dylan. Dylan O’Brien.» disse il moro porgendogli la mano. Thomas l’afferrò sicuro di sé e la strinse forte.

«Thomas Sangster, ma chiamami Tom o Tommy, se preferisci.»

«Va bene, Tommy.» disse Dylan dandogli una leggera-ma-non-tanto pacca sulla spalla.

Un lieve sfarfallio gli partì dallo stomaco. Tommy. Perché proprio Tommy? Si grattò il capo ed abbassò lo sguardo sorridendo leggermente impacciato. Non dissero nulla per i restati venti metri prima di arrivare alla porta della loro aula. Ovviamente era chiusa. Thomas poggiò l’orecchio su di essa è sentì il professore fare l’appello.

Bussò ed aprì. Il signor Gregory Brown, ovvero il professore di matematica, si interruppe e si voltò verso i due ragazzi ritardatari. Si portò gli occhiali sulla punta del naso e gli squadrò da capo a piedi.

«Sangster! Anche il primo giorno di scuola lei è riuscito a fare ritardo. Mi domando quando lei si deciderà a mettere la sveglia almeno mezz’ora prima.» ovviamente tutta la classe si mise a ridere. Thomas, imbarazzato, si grattò la nuca e si guardò la punta delle sue All Stars nere.

«Prof, non credo lo farò mai. Amo dormire.»

«Chi dorme non piglia pesci, Sangster…oh…lei deve essere il nuovo acquisto…il signor…» l’uomo sulla quarantina rivolse nuovamente lo sguardo verso il registro e scorse lungo l’elenco numerato. «…O’Brien, giusto?»

Dylan si sistemò lo zaino sulla spalla ed annuì. Sì, prof. Mi chiamo Dylan O’Brien.

«Sì, d’accordo. Guardate, sono rimasti due posti liberi nella terza fila. Sedetevi lì.» il professore indicò con lo sguardo i posti vacanti. I due ragazzi si fecero spazio fra i banchi e le cartelle gettate in terra fino a raggiungere i due posti liberi.

«Dove eravamo rimasti? Ah, sì…l’appello…visto l’interruzione del nostro caro compagno di classe, Sangster, ricominciamo.» Thomas sentì addosso lo sguardo di tutti. Maledisse il professor Brown in tutti i modi.

«Ho capito che non vai molto a genio a questo professore.» bisbigliò Dylan, sorridendo beffardo. Thomas gli diede una leggera gomitata sul fianco.

«Non vado a genio al 90% dei professori, in generale.»

Dylan cercò di soffocare le sue risate dimodoché non venissero sorpresi a far comunella già da subito. Gli era davvero tanto simpatico. Forse aveva trovato un nuovo amico.

*

Fortunatamente il momento dell’intervallo arrivò molto in fretta. Thomas afferrò il suo zaino ed andò in cortile, seguito da Rachele e un’altra ragazza riccia; presumibilmente una sua amica. Thomas non l’aveva mai vista. L’anno precedente non era in classe con loro.

Dylan restò leggermente in disparte. Non voleva accollarsi fin da subito ad un ragazzo che nemmeno conosceva, anche se non avrebbe mai voluto restare solo. Cercò con lo sguardo Thomas e, fortunatamente, si accorse di lui. Alzò il braccio destro e gli fece cenno di venire.

«Certo che…è davvero carino il ragazzo seduto accanto a te, Tom. Quasi ti invidio.» disse Rachele sottovoce. «…è uno strafigo da paura.» aggiunse poi l’altra ragazza. A Thomas parve si chiamasse Nancy.

«Ragazze, volete piantarla? Ho capito che siete invidiose che mi sieda accanto ad uno gnocco come lui.» Thomas rise sotto i baffi. Le due ragazze non ebbero il tempo di controbattere perché Dylan sbucò dietro di loro.

*

Thomas addentò il suo panino e parlava contemporaneamente con il suo migliore amico Minho. Gli presentò Thomas. Tra i due ci fu subito simpatia. Del resto, tutti andavano d’accordo con Minho.

«…e quindi…tu di dove sei, Dylan?» fece Thomas, mordendo ancora una volta il panino preso dal distributore automatico.

«Sono di Springfield, in New Jersey. Mi sono trasferito qui in California per la mia ragazza. Va alla Loyola Marymount University. È un anno più grande di me. Si chiama Emma. Se oggi viene a prendermi, ve la faccio conoscere.»

Sia Minho che Thomas restarono sbalorditi. Quella era una delle più prestigiose università di Hermosa Beach. Doveva essere piuttosto ricca. Omisero di dirlo. Si complimentarono semplicemente.

Okay Thomas, Dylan è dichiaratamente etero. Non hai speranze.

Pensò Thomas fra sé e sé. Rise da solo. Era davvero stupido certe volte. Diciamo che lui non l’aveva ancora detto a nessuno, nemmeno ai suoi genitori. Solo il suo migliore amico lo sapeva, e le cose dovevano restare così.

*

Quando suonò la campanella, uno stridio assordante di banchi e sedie invase tutta l’aula. Thomas e Dylan si alzarono con la stessa rapidità con cui lo fecero i loro compagni di classe. Dylan afferrò il suo zaino e se lo mise in spalla, così fece anche Thomas.

«…e quindi…sei un vero e proprio secchione eh?» disse Thomas sorridendo e cercando di schiavare gli animali delle prime classi. Sembravano una mandria impazzita.

Dylan non rispose. Sorrise imbarazzato.

«Diciamo di sì, dai. Tutto merito di Emma. Lei è davvero un genio. La maggior parte delle cose che so me le ha insegnate lei.»

«Devi esserne davvero molto innamorato…»

Dylan non rispose, scrollò le spalle e sospirò.

«Sì, è importante per me…non mi sarei trasferito qui altrimenti, ma a volte ci sono alti e bassi...»

Thomas storse leggermente le labbra e mugugnò qualcosa.

«Non ho mai avuto una ragazza, ma credo che sia normale avere degli alti e bassi in una coppia, vero?»

«Sì…credo di sì.»

Thomas preferì non aggiungere altro. Ancora qualche altro metro e si trovarono fuori dalla scuola. Minho li stava aspettando davanti l’ingresso.

«Ehi ragazzi, ci avete messo un po’ eh.» disse il ragazzo dando una pacca sulla spalla ad entrambi.

«Minho, la tua classe è praticamente in culo all’ingresso. La nostra è dall’altra parte del pianeta.» scherzò Thomas. Dylan sorrise e cominciò a scendere le scale.

«Oh, ragazzi…c’è Emma. Venite che ve la presento.»

Ad aspettarlo davanti l’ingresso, c’era una bellissima ragazza bionda, semplice, acqua e sapone. Aveva un leggero rossetto color salmone, un filo di trucco sugli occhi. Indossava una camicetta bianca e un capotto nero lungo fino al ginocchio. In mano portava dei libri piuttosto tosti. Fisica quantistica. Appena vide Dylan, il suo viso si dipinse di un meraviglioso sorriso. Era davvero molto bella.

«Ehi, amore!» disse la bionda, andando incontro al suo fidanzato. Dylan non rispose. L’abbracciò e le diede un leggero bacio sulle labbra.

«Emma, ti presento i miei nuovi amici. Thomas e Minho. Thomas è il mio compagno di banco.» Emma rivolse lo sguardo prima su Thomas e poi su Minho e sorrise compiaciuta.

«Sono felice che abbiate fatto amicizia con Dylan. Era davvero terrorizzato all’idea di cambiare città. Per fortuna è andata bene.»

«Sì, ho conosciuto Thomas perché mi ha letteralmente investito nel corridoio.» scoppiarono a ridere entrambi.

«Era proprio necessario farlo sapere?» disse Thomas divertito. I due si scambiarono un’occhiata d’intesa. Sentì una morsa allo stomaco. Decise subito di distogliere lo sguardo dai suoi occhi.

«Beh ragazzi, io vado. Ci vediamo domani. Thomas, a proposito, dove prendi il pullman? Magari possiamo prenderlo assieme.»

Non appena disse così, Thomas sentì un fuoco accendersi dentro di sé. Giurò di essere diventato paonazzo perché sentiva del calore fuoriuscire dalle sue guance. Minho lo guardò e gli dette una gomitata sul fianco.

«Eh? Cosa? Oh, sì… certo. Magari mi tieni il posto.» disse ridendo, sperando che Dylan non si fosse accorto della sua reazione.

«Perfetto. Allora ci vediamo domani. Ciao ragazzi.»

«Ciao!» Emma agitò la mano e sorrise. I due dettero le spalle ai ragazzi e si diressero verso l’auto.

Thomas si morse il labbro e sospirò, chinando il capo e guardandosi la punta delle scarpe. Si mise le mani in tasca e scalciò un sassolino ad un paio di metri da lui.

«Tom, cosa c’è?» disse l’amico mettendogli una mano sulla spalla. Non occorreva nemmeno che Thomas gli desse una risposta. Minho la sapeva già, ma parlò ugualmente.

«Se conosci già la mia risposta, perché me lo chiedi?»

«Speravo che mi stessi sbagliando. A quanto pare non è così, vero?»

«No, Minho. Credo di essermi preso una bella cotta per il nuovo arrivato.»

 

Quattro mesi dopo

«Fanculo. Cazzo. Non ci voleva.» Thomas imprecò in silenzio fissando il compito di chimica.

«Ehi Tommy, è andato male?» disse Dylan cercando di sbirciare il compito del suo migliore amico. Thomas si spalmò sul banco cercando di coprire quell’obbrobrio.

«No, è andato talmente bene che non voglio farlo sapere a nessuno.» disse sarcasticamente. Avrebbe voluto appallottolarlo e ingoiarselo. Se solo avesse potuto farlo.

«Insomma, Tommy, non può essere andata così male. Guarda, ti faccio vedere anche il mio. Ho preso una A-»

Thomas, prima col capo chino sul banco, lo alzò con un’estrema lentezza e lo carbonizzò con lo sguardo.

«Spero tu mi stia prendendo per il culo, Dyl. Ho preso una fottutissima F. Capisci? Una cazzo di F. Questo vuol dire che sono una totale capra in chimica. Una capra.» sbatté di proposito la testa sul banco e ripeté altre tre volte di essere una capra.

«Andiamo Tommy, la F si può recuperare con un’interrogazione.»

«Che è anche peggio di una merdosa verifica. Non recupererò mai e quella stronza mi boccerà. Così mi toccherà ripetere l’anno.»

Si mise le mani nei capelli. Aveva voglia di piangere. L’anno non era iniziato affatto bene, come tutti gli altri anni, del resto. Con la sola differenza che questo, era quello decisivo. Avrebbe dovuto diplomarsi. Avrebbe…

Dylan, vedendolo in quello stato, si dispiacque parecchio. Storse le labbra e gli poggiò una mano sulla spalla.

«Se vuoi possiamo studiare assieme.»

In quel momento Thomas ebbe nuovamente quella fitta allo stomaco che ebbe il primo giorno in cui il suo sguardo incontrò quello dell’amico; ormai erano frequenti da quando lo conosceva. Alzò il capo e cercò di asciugarsi gli occhi prima che si accorgesse che stava piangendo.

«C-come? Scusa Dyl, ma non studi con Emma?»

Dylan chinò il capo e sorrise, scuotendo leggermente la testa.

«Diciamo che io ed Emma stiamo affrontando un periodo un po’ no. Lei è molto presa dai suoi studi. Ci stiamo vedendo praticamente… mai.»

Thomas notò che Dylan era davvero affranto ed amareggiato per quanto gli avesse appena detto. Avrebbe tanto voluto abbracciarlo e dirgli che poteva contare su di lui; ma non lo fece, anche perché Dylan già lo sapeva.

«Io spero davvero che riusciate a risolvere questa situazione. Io non sono mai stato fidanzato, quindi forse sono l’ultima persona al quale puoi chiedere consiglio.» disse Thomas in maniera sarcastica dando una gomitata sul fianco dell’amico. «Puoi sempre chiedere a Minho, lui sì che capisce le donne. È fidanzato dall’età della pietra.»

Dylan sorrise. Thomas si sentì morire.

Devo imparare a controllare un po’ di più le mie emozioni.

Giurò di essere arrossito. Sperò che Dylan non se ne fosse accorto.

«…quindi facciamo oggi da me alle cinque in punto?» disse poi secco Dylan. Thomas non rispose, annuì semplicemente.

*

Finalmente il suono della campanella annunciò la fine delle lezioni. Sia Thomas che Dylan si alzarono dai propri posti facendo stridere la sedia precipitandosi nel corridoio. Come sempre, Minho era lì ad aspettarli.

«Ehi amico» Dylan gli andò incontro e gli diede una pacca sulla spalla. «Thomas mi ha detto che capisci le donne. Bene, ho davvero bisogno del tuo aiuto.»

Il ragazzo coreano scrollò le spalle e fece un’espressione soddisfatta.

«Modestamente, tutti hanno bisogno del mio aiuto quando si tratta di capire una donna. Certo pivello, sono a tua disposizione.»

Lo ringraziò e, come ogni giorno, difronte l’entrata della scuola, si salutarono. Dylan appena uscì, cercò invano tra i volti degli studenti, quello della sua ragazza. Non c’era nemmeno questa volta. Il suo sguardo era perso nel vuoto. Gli occhi lucidi e sofferenti. Sospirò e abbassò il capo.

«Qualcosa non va?» chiese poi Thomas sistemandosi lo zaino sulla spalla destra. Lui scosse la testa e disse che andava tutto bene.

«Ti aspetto a casa mia alle cinque, okay? A dopo, amico.»

Non gli diede il tempo di rispondere. Sparì tra la folla.

«…a dopo…Dyl.»

*

Era la prima volta dall’inizio della scuola che Dylan l’aveva invitato a casa sua per studiare assieme. Non sapeva né come fosse fatta, né che aspetto avessero i suoi genitori. Seppure fossero ottimi amici, Thomas non si era mai preso la libertà di autoinvitarsi a casa sua, soprattutto perché sapeva benissimo che Dylan studiasse assieme ad Emma, almeno fino a quel momento.

Non sapeva davvero come comportarsi. Non era molto distante da casa sua. Decise di andarci a piedi.

«Dove vai Tom?» domandò sua madre facendo capolino dal bagno.

«Vado a studiare chimica a casa di Dylan. Devo recuperare assolutamente quella F. Spero di tornare per cena.»

Chiuse la porta della sua stanza e si diresse verso le scale.

«Tom?» lo chiamò di nuovo. Lui si fermò sulle scale e si voltò a guardarla, sospirando. Non disse nulla per qualche istante, restò a fissarlo amorevolmente e, al contempo, con aria dispiaciuta, di compassione. «Sarò sempre orgogliosa di avere un figlio come te, tesoro. Sono certa che Dylan ti aiuterà a recuperare quella F.» Thomas sorrise frustato e le mandò un bacio volante. Uscì.

 

Stava percorrendo a passo svelto la via con il capo chino. Le mani in tasca. Dylan non gli aveva detto di portare né un quaderno, né una penna. Avrebbe dovuto forse? Stava torturandosi il labbro inferiore. Avrebbe tanto voluto fumare dieci sigarette in una sola volta, ma si era promesso di non farlo. In strada non c’era molta gente.

Dylan gli aveva detto che abitava proprio di fronte il supermercato. Lui lo conosceva molto bene. Sua mamma lo mandava molto spesso a fare la spesa lì. Non gli ci volle molto ad arrivarci. Distava circa dieci minuti a piedi.

Si ritrovò di fronte una villetta con un cancello di ferro battuto di colore nero. Grande. Circondato da aiuole di piccole margherite bianche. Camomille, forse. La villetta era sistemata su due piani, non molto grande all’apparenza, ma molto accogliete. Guardò la buca delle lettere. O’Brien. Sì. Quella era la casa di Dylan. Diede un’occhiata all’orologio. Segnava le 16:25.

«Merda, sono largamente in anticipo. Mi torturerò per mezz’ora. Dannazione.» imprecò alzando gli occhi al cielo. Si sfregò le mani sui jeans chiari. Decise di farsi un giro dell’isolato per ammazzare il tempo quando gli arrivò un messaggio. Era Dylan.

Guarda che ti ho visto, idiota. Inutile che aspetti fuori. Entra. Ti ho aperto il cancello.

Giurò di essere diventato dello stesso colore delle tegole del tetto della sua villetta. Rosso acceso. Deglutì a fatica e si avvicinò al cancello automatico che, nel frattempo, si stava aprendo. Si guardò attorno con aria disorientata fin quando Dylan non lo accolse, aprendo la porta.

«Ciao, Tommy. Sapevo che saresti arrivato in anticipo, così mi sono messo ad aspettare davanti la finestra. Anzi…» guardò l’orologio. «Pensavo arrivassi dieci minuti fa.» sorrise, dando una pacca amichevole sulla sua schiena. Thomas deglutì imbarazzato e ricambiò il sorriso.

«Non ho portato praticamente un cazzo. Né un quaderno, né una penna. Sono un povero disgraziato, lo so.»

«Avevo immaginato anche questo, Tommy. Ti conosco meglio di chiunque altro, amico.»

No, Dyl. Non credo proprio.

«Non c’è nessuno a casa, fortunatamente. I miei genitori sono dai miei nonni in Irlanda. Non torneranno prima di dopodomani sera.»

A quel punto Thomas sentì un fuoco accendersi dentro il proprio stomaco, scatenando un vero e proprio incendio. Cominciò a sudare freddo e ad agitarsi.

Mantieni la calma. Non dare nell’occhio.

Fece un respiro profondo nella sua mente per poter allentare la tensione.

«Okay, Dyl. Non perdiamo tempo allora. Sono pronto a farmi il culo.» si sfregò le mani e ci sputò immaginariamente sopra.

«Andiamo in camera mia.»

Collasso fra tre…due…uno…SBAM. Morto.

*

Era circa un’ora e mezza che stavano studiando e ripassando tutto il programma che aveva fatto dall’inizio dell’anno fino a quel momento. La testa di Thomas stava letteralmente esplodendo. Vedeva formule anche sui muri.

«Quindi aspetta…» disse Thomas fissando la formula dell’acido acetico. «Nell’acido acetico CH3COOH, la lunghezza del doppio legame C=O (121,4 pm) e del singolo

legame C-OH (136,4 pm) e l’angolo di legame O=C-OH (116°) sono compatibili con un’ibridazione sp2 del carbonio centrale lievemente deformata. Giusto?»

 

Dylan non rispose. Annuì. «Okay, ma non ho capito un cazzo di come ci si arriva. Cioè, che cosa sono tutte queste formule? Cos’è la teoria di valenza VB? Dio mio, Dyl. Non sto capendo un cazzo. Ho solo imparato a memoria. Porca puttana se vengo bocciato quest’anno, sono fottuto.»

Prese il foglio sul quale aveva appena scritto la formula e lo stracciò in mille pezzi. «Non sono un cazzo di genio come te e la tua perfetta fidanzata. Sono un povero ignorante incapace di fare anche due più due senza calcolatrice. Non ce la faccio, Dyl. Non ce la faccio.»

Si afferrò la testa con le mani e strinse forte i capelli. Scoppiò a piangere involontariamente. Si sentì molto imbarazzato.

«Ehi idiota, ma cosa fai? Smettila di piangere.» Dylan lo scosse leggermente e chiuse i libri. «Piangere non serve a niente, nella vita. Avanti, Tommy. Esci le palle e affronta questa cazzo di materia.»

Thomas non lo ascoltò. Continuò a piangere. Il motivo non era realmente quello. Stava dando sfogo al nervosismo e alla tensione che aveva accumulato nel corso di questi mesi. Nascondere la propria omosessualità e ciò che provava nei suoi confronti, lo stava lacerando dentro. Non era davvero chimica il motivo. Quella l’avrebbe recuperata in qualsiasi momento.

«Non capisci, Dyl. Non capisci.» iniziò a singhiozzare. Dylan iniziò a sentirsi a disagio. Non sapeva né cosa fare, né come comportarsi.

«Cosa, Tommy? Cosa non capisco?»

«Non è questa materia il problema. Non è la scuola il problema. Non è quella cazzo di F il vero problema.»

Alzò il capo e si strofinò gli occhi con la manica della maglia. Erano gonfi ed umidi. Lo stava fissando dritto negli occhi, cercando di non cedere. Non doveva cedere.

«Parlami, Tommy. Qual è il tuo problema. Sei il mio migliore amico. Lo sai che puoi contare su di me.» lo prese per le spalle e lo scrollò leggermente, reggendo il suo sguardo. «Non potrei mai e poi mai giudicarti, intesi?»

Thomas volse la propria attenzione altrove, scuotendo la testa.

«No, Dylan. Non capiresti. Non puoi capirlo. Solo Minho lo sa.»

«Almeno provaci, no? Cosa ci può essere di così tanto grave da farti stare così maledettamente male?»

Sospirò. Cosa avrebbe comportato se lo avesse detto? Cosa avrebbe fatto Dylan se solo avesse saputo che aveva una cotta per lui? Che provava qualcosa per lui diversa dall’amicizia?

«Dyl…se io ti dicessi quello che ho da dirti, ti perderei. Non voglio questo.»

«Ti sei portato a letto Emma? Hai scopato con Emma?»

Thomas urlò un ‘no’. Giurò che anche i vicini l’avessero sentito.

«Non mi permetterei mai di fare una cosa del genere.» le mani presero a tremare. Stava per esplodere. L’avrebbe fatto. L’avrebbe fatto eccome. Infischiandosene di ciò che sarebbe accaduto dopo.

«Promettimi che resterai mio amico. Qualsiasi cosa io stia per dirti o fare, promettimelo.»

Dylan non capiva. Cosa poteva esserci di così brutto? Ad ogni modo, gli promise che non si sarebbe arrabbiato. Che sarebbe restato suo amico.

Thomas prese coraggio, ma non riusciva a parlare. Era bloccato dalla paura che Dylan potesse sparire dalla sua vita. Ma come poteva andare avanti in quel modo? Doveva dirglielo o l’avrebbe scoperto comunque.

«Dyl…quello che voglio dirti è che…io…Cristo santo…» non terminò la frase. Improvvisamente lo afferrò dal viso con entrambe le mani e lo baciò. Lo baciò con tutta la forza che aveva in corpo. Fu quasi un bacio violento. Aveva gli occhi serrati e il cuore gli esplodeva. Temeva che da un momento all’altro gli fosse uscito dal petto. Aveva paura di staccarsi. Aveva paura di affrontare i suoi occhi. Non riusciva a vedere Dylan. Non voleva vederlo. D’un tratto però…

«Ma cosa cazzo stai facendo?» Dylan si staccò, spingendolo dalle spalle con entrambe le mani. Si pulì con il dorso le labbra.

«Sei impazzito? Cosa cazzo ti passa per la mente?»

«Era quello che stavo provando a dirti. Non riuscivo a trovare le parole per dirtelo.»

«E mi baci? Che cazzo dovrei capire con un bacio? Che sei un frocio

Quella parola lo colpì peggio di un pugno in pieno volto. Peggio di una sprangata di ferro sulla schiena. Peggio di un calcio nel fianco. Dylan non avrebbe mai capito.

«No, razza di idiota. Non me ne vado in giro a baciare la gente così a casaccio. Volevo solo cercare di dirti che sono innamorato di te. Dal primo momento che ti ho guardato negli occhi. Dal primo momento che sono salito su quel maledettissimo autobus. Mi stavo torturando. Ho avuto il coraggio di dirlo solo a Minho. Nemmeno ai miei genitori. Sai cosa vuol dire?»

Dylan andò per parlare, ma Thomas lo zittì.

«No, anzi. Non lo voglio sapere. Non voglio sentirti parlare. Pensavo che capissi. Pensavo che fossi leggermente più intelligente. Mi sbagliavo. Essere intelligente non vuol dire prendere tutte A o saper fare i calcoli a mente o altre minchiate di questo genere. Essere intelligenti vuol dire anche riflettere prima di parlare, di vedere il mondo con occhi differenti. Pensavo fossi diverso, Dyl. Mi sbagliavo. Adesso, se non ti dispiace, devo tornare a casa. Grazie per avermi dedicato del tuo tempo prezioso.»

Si alzò dalla sedia e si diresse verso la porta d’ingresso. Non si aspettò nemmeno che Dylan lo accompagnasse alla porta. Infatti restò lì, fermo, con lo sguardo nel vuoto, a pensare a ciò che gli fosse appena accaduto.

*

«Glielo hai detto?»

L’espressione di Minho era sorpresa. Restò con la bocca semi aperta e gli occhi sgranati quando l’amico gli disse che aveva fatto il coming-out con Dylan.

«Non gliel’ho proprio detto. L’ho baciato. Non riuscivo a trovare le parole adatte. È stato più forte di me, Minho.»

«Porca puttana.» esternò poi il coreano. Si portò entrambe le mani sul capo, stringendosi i capelli e fissando incredulo Thomas.

«Lui ovviamente non ha reagito bene. Pensavo capisse, Minho. Sono rimasto davvero deluso.»

«Anche io sono rimasto allibito quando mi hai confessato di essere gay e ancor di più quando mi hai detto di esserti innamorato di Dylan. Non è facile amico innamorarsi di un etero se…insomma…dai mi hai capito.»

Thomas non rispose. Annuì. Non era affatto una bella situazione. Stranamente quella mattina arrivò puntuale, forse perché non voleva trovarsi in pullman con Dylan; anzi, si sarebbe fatto cambiare anche di posto. Gli andava bene chiunque. Chiunque purché non lui.

«Sarà meglio entrare. Voglio che quando arriva deve trovare il mio posto vuoto. Deve capire che non voglio parlargli mai più. Mi metterò ai primi banchi, dimodoché non possa vederlo. Mi ha ferito tanto.»

Minho non rispose. Gli diede una pacca amichevole sulla spalla e si sistemò lo zaino. Successivamente entrarono a scuola, pronti per una nuova e stancate giornata. Fortunatamente era venerdì. L’indomani sarebbero rimasti a casa.

*

Come aveva detto a Minho, Thomas cambiò posto, mettendosi due file più avanti. Ovviamente, non appena Dylan varcò la soglia dell’aula, rimase sconcertato da un atto così drastico. Thomas non si degnò nemmeno di guardarlo. Restò a fissare la lavagna ancora pulita. Come immaginava però, tutti i suoi compagni di classe iniziarono a riempirlo di domande. Lui non rispose a nessuna di queste. Li liquidò ringhiando ‘taci’ ad ognuno di loro.

Dylan si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, spalmandosi contro la spalliera e lasciando molli le gambe, dritte sotto il banco con le punte delle scarpe puntate verso l’esterno. Fissò il posto accanto a sé, ora occupato dal suo zaino. Sbuffò e si lasciò cadere sul banco, coprendosi il capo con le mani. Non aveva chiuso occhio. Aveva rimuginato tutta la notte sul comportamento che aveva assunto nei confronti del suo migliore amico e, per giunta, era stato scaricato da Emma. Non aveva alcuna voglia di presentarsi a scuola, quel giorno; ma restare solo a casa, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Quella sarebbe stata la giornata più lunga della sua vita, ma avrebbe dovuto trovare il coraggio per parlare con Thomas. Non poteva perderlo. Non lui.

*

La campanella annunciò l’intervallo e tutti si precipitarono nel cortile come se quel suono avesse appena annunciato lo scoppio di un incendio. Tutti uscirono dall’aula, fatta eccezione di Thomas e Dylan.

Dylan restò a fissare le spalle dell’amico che si alzavano e abbassavano regolarmente e lentamente. Stava scrivendo qualcosa. Sperò fino all’ultimo che si girasse verso di lui, almeno per un saluto. Thomas sapeva che non era il solo ad essere rimasto in aula.

Il moro quindi prese un respiro profondo e si alzò, andandogli incontro. Le gambe gli tremavano e il cuore gli esplodeva fuori dal petto. Era più agitato di quando chiese ad Emma di fidanzarsi.

Quando gli fu davanti, Thomas non alzò lo sguardo dal foglio. Continuava a scrivere.

«Tommy?» lo chiamò piano, ma questi non rispose. Lo ignorò totalmente. «Tommy, ho bisogno di parlarti. Per favore. Non ignorarmi.» nessuna risposta.

Dylan decise quindi di accovacciarsi dimodoché potesse incrociare il suo sguardo una volta che Thomas si fosse deciso a rispondergli. Posò le braccia sul banco e poggiò il mento sulle mani. Era seduto sulle punte dei piedi.

«Non mi muovo di qui fin quando non ti decidi a parlarmi.»

«Sparisci, Dylan. Sto facendo una cosa importante.» sussurrò Thomas senza mai guardarlo negli occhi.

«Io non mi muovo di qui, Tommy.»

Thomas sbatté la penna sul banco e finalmente si degnò di guardarlo negli occhi. Entrambi si fissarono per un periodo infinito senza dire niente. L’unico suono che si udiva in quel momento era il loro respiro.

«Cosa diamine vuoi? Ti ho già detto abbastanza ieri, anzi, forse anche troppo. Adesso se non ti dispiace devo finire questo cazzo di problema di matematica perché la prossima ora ho un’interrogazione.» ringhiò poi, riprendendo la penna in mano e cominciando a scrivere.

«Perché non torni al tuo posto, Tom? Posso aiutarti io, se vuoi.»

«Non mi serve il tuo cazzo di aiuto.» lo sguardo fisso sul foglio. Iniziò a scrivere con nervosismo. «E se non te ne fossi accorto, io sono al mio posto. Sarà meglio che tu torni al tuo, invece. Oppure va a goderti l’aria fresca nel cortile.»

«Sono stato scaricato da Emma, ieri sera.»

Improvvisamente si fermò, smettendo di scrivere in maniera nevrotica sul quel foglio a quadretti. Continuò a tenere fissi gli occhi su di esso. Poi sospirò e riprese a scrivere.

«Forse si è resa anche lei di quanto fossi stronzo ed insensibile. Ha fatto bene.»

In quel momento il cuore di Dylan si fermò. Sentì una morsa allo stomaco come se non mangiasse da chissà quante settimane. Si sentiva male. Voleva vomitare. Non aggiunse altro. Si alzò di scatto ed uscì dall’aula, sbattendo la porta.

Fu quando restò solo che Thomas posò la penna, alzando lo sguardo e volgendolo verso la porta chiusa. Scoppiò a piangere.

 

Era passata un’interminabile settimana da quando Thomas si era dichiarato al suo ormai ex migliore amico. Non si parlarono più da quella volta in classe. Sentiva maledettamente la sua mancanza, ma non l’avrebbe mai ammesso. Minho aveva cercato in tutti i modi di farli riappacificare, di farli parlare, organizzando persino un incontro al buio ma, una volta giunti sul posto, entrambi si voltarono prendendo poi strade differenti, lasciando Minho da solo.

«Perché continui a non parlargli, Tom. Lo vedi come sta male? Non ha nessuno se non noi due.»

«Non me ne frega assolutamente nulla.»

«Non puoi negare che ti manca.»

Thomas non rispose. Eccome se gli mancava. Gli mancava come l’aria che respirava. Niente aveva più senso, senza il suo amico accanto. Dylan era diventato in pochissimo tempo la sua spalla, la sua roccia e, per la sua idiozia, l’avevo perso.

«Non voglio parlargli mai più, Minho e ti prego non insistere.»

Minho alzò le mani in segno di arresa, chinando il capo. Non aggiunse altro ed entrò nella sua classe. Thomas alzò gli occhi al cielo e sospirò. Aveva ripreso a fumare da quando non parlava più con lui. Si mise le mani in tasca e si diresse verso l’aula. Aveva l’interrogazione di chimica.

 

«Allora Sangster, parlami della chimica organica.» la professoressa lo fissava con quegli occhi furbi ed ingigantiti da quei spessi occhiali a ‘culo di bottiglia’ – come li aveva denominati lui – e batteva in maniera nervosa la penna sulla cattedra. Le labbra serrate in un’espressione indispettita ed inacidita.

Thomas deglutì. Doveva solo ricordarsi tutto quello che Dylan gli aveva insegnato la settimana prima. Fece girare gli occhi rapidamente fra tutti i compagni di classe e, inevitabilmente, il suo sguardo si posò proprio su Dylan. Con sua immensa sorpresa, notò che lo stava osservando insistentemente. Cercava di spronarlo con gli occhi. Il suo cuore ebbe un tuffo, così come il suo stomaco.

«E bene?» ripeté puntigliosa la professoressa.

Thomas distolse immediatamente lo sguardo da Dylan e lo rivolse nuovamente a quell’essere spregevole.

«Il termina "chimica organica" fa pensare ad un ramo della chimica che abbia a che fare con i composti presenti negli organismi viventi: in origine la chimica organica trattava infatti soltanto le sostanze isolate da questi organismiNel corso degli anni si notò che molti dei composti presenti nel mondo vegetale e animale sono costituiti nella maggior parte dei casi sempre dagli stessi elementi: carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto e pochi altri. Praticamente il carbonio è sempre presente. Questo fatto portò così a considerare la chimica organica come la chimica che studia il carbonio e i suoi composti»

Mentre parlava in maniera scorrevole e sicura, teneva testa allo sguardo allibito e sbigottito della professoressa che, per il suo stupore, posò persino gli occhiali sulla cattedra dimodoché potesse osservarlo meglio. A Thomas si riempì il petto d’orgoglio vedendo che tutti furono sorpresi nel vederlo così preparato. In maniera fugace poi, fece scivolare lo sguardo verso Dylan. Stava sorridendo.

*

Finalmente aveva preso una piena sufficienza. Una B assolutamente meritata. Aveva detto la professoressa. Quando andò al suo posto, non poté fare a meno di sorridere compiaciuto. Istintivamente si voltò verso Dylan e gli sorrise, anche lui lo fece. Poi però, si rese immediatamente conto che non parlavano da una settimana e quel sorriso svanì nel nulla.

«Professoressa, dovrei andare in bagno.» disse alzando il braccio. La professoressa gli diede l’assenso con un cenno del capo. Thomas si alzò ma, prima di uscire, volse il suo sguardo a Dylan. Lui capì immediatamente cose intendesse: seguimi.

«Prof, non mi sento molto bene. Potrei uscire un attimo.»

«Cosa c’è O’Brien? È già fuori Sangster.»

«Sì, lo so…ma sa meglio di me quanto Thomas stia fuori. È davvero urgente.» cercò di fare un’espressione di dolore mantenendosi la pancia.

«Okay, O’Brien. Cinque minuti. Se vedi Sangster fallo tornare.»

Non se lo fece ripetere due volte. Si alzò dal proprio posto e corse per i corridoi fino a raggiungere i bagni.

 

Aprì la porta. Fortunatamente non c’era nessuno. Solo lui. Era lì che l’aspettava seduto sul marmo dei lavandini. Stava dondolando le gambe e aveva lo sguardo fisso sulle mattonelle grigie del pavimento.

«Volevi parlarmi?» disse Dylan trovando un po’ di coraggio. La sua voce era un flebile suono.

«Sì. Chiudi la porta a chiave.» scese con un balzo e si mise in piedi. Era ancora troppo lontano da lui. Dylan così fece. Si chiuse la porta alle spalle e dette un colpo alla sicura della porta.

«Scusami per ciò che ti ho detto la scorsa volta, sono stato davvero uno stronzo.» fece un passo verso di lui e si fermò.

«Sì. È stato piuttosto bastardo da parte tua, ma anche io ho le mie colpe. Forse me lo sono meritato.» balzò a terra e fece un passo avanti.

«Mi manchi, lo sai?» Thomas stavolta fece due passi verso l’amico, l’aveva quasi del tutto raggiunto.

«Anche tu.» Dylan azzerò la distanza. Ora si stavano fronteggiando. Si guardarono per un tempo indefinito. Il cuore di entrambi batteva all’impazzata.

«In questa settimana mi sono reso conto di quanto io sia stato un perfetto idiota, a non capirlo sin dall’inizio. Solo ora ho capito che mi hai sempre lanciato delle frecciatine, mi hai sempre dato degli indizi, ma sono sempre stato cieco…fino a quel momento in cui mi hai detto di essere innamorato di me. Solo in quel momento ho riavvolto il nastro, ricordando ogni cosa che abbiamo fatto assieme. Tommy, ci sei sempre stato per me.» gli tremavano la voce e le mani.

Thomas non sapeva affatto cosa dire. Il suo discorso gli aveva fatto dimenticare ogni cosa.

«Puoi perdonare la mia ignoranza?»

Thomas continuava a guardarlo dritto negli occhi, cercando di non cedere alla tentazione di guardargli le labbra ma, sorprendentemente, Dylan lo batté sul tempo. Fece cadere per una frazione di secondo il suo sguardo sulle sue. Il biondo reagì d’istinto. Gli afferrò con forza il capo e lo baciò con prepotenza e, con suo immenso stupore, Dylan rispose al bacio.

Cominciò a dominare su di lui, aprendogli le labbra con la lingua. Il respiro di entrambi era pesante ed affannato. Presero a mordersi a vicenda. Entrambi avevano gli occhi chiusi e il cuore pulsante.

Solo dopo svariati minuti si staccarono per poter riprendere fiato. Nessuno disse nulla. Si guardarono negli occhi.

«Tommy?» disse poi Dylan, sospirando affannosamente. Era senza respiro. Come se avesse corso per venti chilometri senza mai fermarsi.

Il biondo non rispose. Aveva lo sguardo perso nel vuoto. Non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere da parte sua. Perché aveva risposto in quel modo al suo bacio?

«Tommy stai bene?» Dylan gli accarezzò delicatamente la guancia con il dorso della mano ma, sorprendentemente, lui si scansò.

«Scusa Dyl. Io-io devo tornare in classe ora.» aveva uno sguardo perso e confuso.

«Ehi, cosa ti prende? Sei ancora arrabbiato con me?» il moro l’afferrò per il polso girandolo verso di sé prima che uscisse fuori dal quel bagno freddo.

«No, Dyl. Non sono arrabbiato. Voglio solo tornare in aula adesso, ed ho bisogno di schiarirmi leggermente le idee. Si può sapere come cazzo fai a mettermi così in confusione?»

Non aggiunse altro. Dylan sorrise ed abbassò il capo.

Già. Perché l’aveva appena baciato?

*

‘Tommy, ma perché non rispondi al telefono? Ti ho chiamato cinque volte. Chiamami appena puoi.’

Thomas lesse quel messaggio quasi immediatamente. Era sul letto a fare praticamente niente. Il televisore era acceso giusto per compagnia su un canale musicale. Decise di non rispondere. Doveva ancora fare mente locale di ciò che era accaduto quella mattina a scuola. Quando rientrò in aula, seguito qualche minuto dopo da Dylan, non riusciva a guardarlo negli occhi; eppure un attimo prima erano stati a cercarsi vogliosamente. L’imbarazzo fra i due era incommensurabile.

Ripose il cellulare sul comodino e vide l’orario segnato: 15:31. Sbadigliò e decise di lasciarsi trasportare per qualche ora fra le braccia di Morfeo.

 

«Thomas? Thomas?» la madre picchiò due volte sulla porta chiusa della sua camera prima di aprirla leggermente e sbirciarci dentro. Notò il buio incombere all’interno della stanza. Dedusse che stesse ancora dormendo.

«Posso anche tornare in un secondo momento, signora Sangster. Volevo solo fare una sorpresa a suo figlio.»

«Assolutamente no, Dylan. Sono le cinque del pomeriggio. Puoi entrare tranquillamente.»

La signora rispose e facendo entrare la mano all’interno dello spiraglio della porta leggermente aperta, tastò il muro in cerca dell’interruttore trovandolo al primo colpo. Improvvisamente la stanza venne illuminata da una luce intensa.

«Puoi entrare tranquillamente. Avvisa Thomas che stiamo andando ad una riunione fuori città e che non torniamo prima di cena. Anzi, se vuoi cenare con lui ho lasciato il numero del ristorante e 20$ in cucina. Potete ordinarvi una pizza.»

«È molto gentile da parte sua, signora Sangster. L’avviserò senz’altro.»

Detto questo, Dylan salutò la madre del suo migliore amico ed entrò nella stanza. Thomas era sotterrato completamente dal piumone.

«Tommy?» sussurrò Dylan avvicinandosi cautamente al letto per non svegliarlo. «Tommy?» ripeté di nuovo. Era giunto ai piedi del letto e tentò di scoprirgli almeno la testa. Afferrò un lembo del piumone e lo sollevò leggermente scorgendo così la chioma folta del ragazzo.

«Mmhh» udì un lamento. «Mamma, spegni quella dannata luce.» Thomas si strofinò entrambi gli occhi e, non appena mise a fuoco ciò che si ritrovò davanti, sobbalzò, mettendosi immediatamente seduto composto sul letto.

«Cosa cazz—cosa cazzo ci fai tu qui?»

«Ehi, anche io sono felice di vederti.»

Thomas gettò le coperte per terra e spintonò l’amico lontano da lui.

«Dove sono i miei genitori?»

«Ehi Tommy, non ho ammazzato nessuno. Tua madre mi ha detto di avvisarti che ha lasciato 20$ e il numero del ristorante in cucina. Loro non torneranno prima di cena e mi ha anche invitato a restare qui con te.»

Thomas lo guardò con occhi ancora impastati di sonno. Si grattò il capo e volse la propria attenzione ad un oggetto poggiato sul pavimento. Una palla da baseball. Cosa diamine ci faceva una palla da baseball sul pavimento?

«Devo farmi una doccia.»

Si alzò controvoglia dal letto e si diresse verso l’armadio per prendere i vestiti puliti.

«Ci metto non più di dieci minuti.» disse poi afferrando una felpa e un pantalone di tuta largo. «Aspettami qui.»

«Agli ordini.»

Thomas sbuffò e si affrettò ad uscire dalla stanza per dirigersi verso il bagno proprio di fronte la sua camera.

Dylan si lasciò cadere di peso sul letto, si tolse le scarpe e si distese. Cominciò a fare zapping fra i canali per ammazzare il tempo. Muoveva nervosamente la punta del piede destro. Perché era andato a casa sua? Quali erano le sue intenzioni? Il suo cuore prese a battere all’impazzata quando sentì lo scrosciare della doccia. Deglutì a fatica. Perché stava facendo così? Cosa gli passava per la mente? Prese a muovere ancora più velocemente la punta del piede. Ormai aveva volto tutta la sua più completa attenzioni lì. In quella stanza di fronte.

«Dannazione Tommy!» sussultò poi, alzandosi con un colpo di reni e mettendosi seduto. Si infilò rapidamente le scarpe da ginnastica e cominciò a vagare come un’anima in pena mordicchiandosi le unghie.

Entro o non entro?

Si sporse leggermente dimodoché potesse controllare se la porta del bagno fosse aperta. Lo era.

«Okay Dylan. Entra.» prese un forte respiro e lo gettò tutto d’un colpo fuori, svuotando completamente i polmoni. Uscì dalla stanza e restò sull’uscio della porta del bagno, poggiandosi sullo stipite. Aveva le braccia incrociate ed era di spalle. Non aveva il coraggio di guardare all’interno.

Passò così la maggior parte del tempo fino a quando non sentì lo scrosciare dell’acqua cessare e la tendina della vasca aprirsi di scatto. Sobbalzò e, istintivamente, si girò.

«Dylan? Cosa stai facendo lì impalato?» disse Thomas, cercando di afferrare l’accappatoio. Inizialmente il moro non seppe cosa dire, balbettando in maniera imbarazzata.

«Tommy, io—io non volevo stare solo in camera e…ero di spalle…non ti ho guardato. Giuro.»

Thomas sbuffò ed agitò la mano nel vuoto.

«Non hai capito, idiota. Mi stai vedendo in difficoltà? Afferrami l’accappatoio e passamela.»

Dylan annuì e con il capo chinò afferrò l’accappatoio e la porse al ragazzo, senza guardarlo. Thomas percepì notevolmente il suo imbarazzo, così decise di divertirsi un po’.

«Guarda che non sono una donna, Dyl. Puoi anche guardarmi in faccia.»

Non rispose. Tornò nella medesima posizione in cui Thomas l’aveva trovato. «Quando ti metterai l’accappatoio allora ti guarderò.»

Thomas sorrise in maniera divertita.

«Okay, stupido, l’ho messa. Puoi girarti.»

Dylan tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che Thomas non gli aveva detto una stronzata. Osservò l’amico passarsi l’asciugamani fra i capelli biondo cenere con una leggera pressione. Non appena la lanciò nel lavandino, scoppiò a ridere. I suoi capelli erano disordinatissimi. Non gli aveva mai visti così.

«Cosa ridi? Devo asciugarli ancora.»

Ma Dylan non riusciva a smettere. Gli davano un aspetto davvero buffo.

«La vuoi piantare?» afferrò l’asciugamani che aveva appena posato nel lavandino, l’appallottolò e gliela lanciò addosso, colpendolo in pieno viso.

«AUCH! Che male. Ma sei scemo?»

«Almeno hai smesso di ridere.»

«Vaffanculo.» disse Dylan, prendendo l’asciugamani e lanciandogliela nuovamente. Thomas ebbe la prontezza di afferrarla al volo.

«Ho fatto baseball tanti anni, Dyl. Non ho i riflessi di un bradipo morto come te.» entrambi scoppiarono a ridere in una risata fragorosa. Il suono riecheggiava nel bagno, avvolto da una nube di vapore caldo e condensa. Le goccioline scivolavano lungo le mattonelle celesti. Dylan si piegò dalle risate ed appoggiò una mano sulla parete bagnata per potersi mantenere, quasi scivolò a terra. Poco dopo però, inevitabilmente, si accasciò sul pavimento e continuò a ridere a crepapelle.

«Non ridevo così da non so quanto tempo.» disse poi Thomas, asciugandosi quelle poche lacrime che uscirono.

«Anche io.» continuò poi Dylan poggiando la schiena sulla parete umida e portandosi al petto le ginocchia, circondandole con le braccia. Thomas lo guardò e sorrise di nuovo, avvicinandosi all’amico e mettendosi accanto a lui.

Dylan restò a fissarsi le scarpe mentre Thomas i piedi nudi. Nessuno dei due aveva più niente da dirsi. Il cuore di entrambi cominciò a palpitare velocemente; un po’ come quella stessa mattina nel bagno della scuola.

«Ehm…vuoi parlare di Emma?» chiese poi di punto in bianco Thomas, alzando il capo e rivolgendo la propria attenzione all’amico. Inizialmente Dylan non rispose, restò a giocherellare con i pollici fissando sempre il pavimento.

«A dire la verità…no.»

Thomas annuì e aiutandosi con le braccia, si mise in piedi e si diresse verso la sua stanza.

«Che fai resti lì seduto come uno stoccafisso oppure mi segui?» si diresse verso la propria stanza. Dylan si alzò dandosi una spinta. Il suo cuore batteva all’impazzata. Cosa sarebbe accaduto di lì a poco? Non voleva pensarci, anche perché Thomas non era propenso a relazionare più di tanto.

Non appena entrò nella sua camera, si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani. Sbuffò.

«Mi vuoi dire cosa ti prende, Dylan? Perché sei venuto a casa mia?» Thomas era davanti al moro, in piedi, con le mani sui fianchi. L’accappatoio stretto in vita.

«Sono solo tanto confuso. Troppo confuso. Vuoi sapere la verità, Thomas?»

«Certo che voglio saperla.»

Dylan sospirò, si picchiò forte sulle tempie come se volesse scacciare via qualcosa. Thomas gli afferrò i polsi.

«La vuoi piantare? Mi stai mettendo ansia.»

«La verità…la verità è che ho detto ad Emma che mi hai baciato.»

In quel momento Thomas avrebbe voluto riempirgli la faccia di pugni. Come aveva potuto dire una cosa del genere? Una cosa così personale? Lo fulminò con lo sguardo. Iniziò ad inspirare ed espirare rumorosamente dalle narici. Pareva un toro pronto all’attacco.

«TU HAI FATTO COSA?» urlò poi.

«No, no, no, non arrabbiarti…» Dylan tese le braccia davanti a sé, come per dirgli di stare calmo. «Adesso ti spiego…»

 

Una settimana prima

‘Devo parlarti. Non per telefono. Voglio parlarti di persona. Ti aspetto tra venti minuti’

Dylan inviò quel messaggio ad Emma con le mani tremanti e un po’ intimorito. Come avrebbe reagito? Cosa avrebbe pensato?

Durante l’attesa, si torturò continuamente le mani, percorse ogni centimetro quadro del suo appartamento.

Dopo circa mezz’ora, Emma bussò al suo campanello. Dylan si precipitò ad aprirle.

«Spero non sia una stupidata, Dylan. Ho interrotto gli studi per venire da te e sai benissimo che a breve devo dare un esame molto importante.»

Dylan era frustrato. Il loro rapporto si era del tutto sgretolato da quando la ragazza era andata al College. La sua priorità era solo ed esclusivamente il College. Non esisteva altro.

«Buonasera anche a te, Emma. Non vuoi nemmeno accomodarti?»

La ragazza sbuffò e girò il capo dall’altra parte concentrandosi su un punto vuoto.

«Cosa c’è Dyl? Mh? Ti ho detto che non ho molto tempo. Dimmi, vuoi lasciarmi? Vuoi mandarmi al diavolo?»

Emma cominciò a battere i piedi per terra. Le mani poggiate sui fianchi.

«Vuoi entrare per favore?»

«No, Dyl. Non ho tempo per le tue stronzate.»

Dylan capì quanto fosse arrabbiata. Emma usava un linguaggio scurrile solo quando era davvero ma davvero arrabbiata. Quindi decise di fare a modo suo. Le avrebbe detto tutta la verità davanti la porta.

«E va bene Miss Perfezione. Mi sono rotto il cazzo di questo tuo atteggiamento da Miss Reginetta dello Snob. Mi sono scocciato di essere completamente ignorato da te. Mi sono trasferito qui per te, per stare insieme a te, per cercare di non farti sentire sola. Tu cosa fai? Ti comporti come se non esistessi. Vuoi sapere una cosa? Mh? La vuoi sapere? Oggi è venuto Thomas a casa, volevo aiutarlo con chimica. Sai cosa ha fatto? Mi ha baciato. Assurdo vero? Mi ha baciato.»

Dylan si portò le mani tra i capelli e li strinse forte, voltando il suo sguardo a destra e a sinistra. Cercò in tutti i modi di non incrociare lo sguardo della ragazza. Emma risultò allibita, sconvolta. Non l’avrebbe mai immaginato.

«C-cosa?»

«Sì, hai capito bene. Mi ha baciato…ed io…ed io come uno stupido l’ho spinto…dandogli del frocio. Non mi sono mai sentito così crudele in vita mia. Sai perché ti ho fatta venire?»

Adesso Emma non era arrabbiata, ma triste. Sul suo volto perfetto era apparsa un’espressione affranta, delusa, amareggiata.

«Ho provato qualcosa quando mi ha baciato, Emma. In quel momento ero terrorizzato ed ho reagito così, ma ho provato davvero qualcosa.»

La ragazza non rispose, chinò il capo e prese a piangere. Forse non avrebbe mai immaginato che la sua relazione con Dylan sarebbe finita per questo motivo. Non poteva tollerare una cosa del genere.

«Emma?»

Dylan cercò di accarezzarle il viso ma lei si scansò, tirandogli uno schiaffo. Aveva gli occhi rossi e il trucco cominciò a colarle via.

«Vaffanculo, Dyl. Vaffanculo. Spero tu riesca a ritrovare te stesso. È finita.»

Lo fissò per qualche istante.

«Avrei preferito sentirmi dire che nella tua vita ci fosse un’altra…non un altro.» sussurrò quelle parole in maniera quasi impercettibile. Se non ci fosse stato un silenzio assordante, Dylan non le avrebbe udite.

«Non cercarmi mai più…»

E con quelle parole, Emma voltò le spalle al ragazzo e, piangendo, si diresse verso la macchina.

Non l’avrebbe più rivista.

*

Quando Dylan finì di raccontare, Thomas era seduto sul letto. Lo fissava con occhi lucidi. Il suo cuore batteva così forte da poterlo sentire rimbombare nelle sue orecchie. Aveva paura a parlare perché gli tremava la voce.

«I-io…non…non so cosa dire.»

Guardò il pavimento. I piedi nudi sul parquet ancora bagnati.

«Non devi dirmi niente, Tommy. Non devi dirmi niente.»

Thomas si alzò di scatto e si diresse verso la porta della sua stanza fermandosi proprio sull’uscio. Dava le spalle a Dylan, ancora seduto sul letto.

«Hai paura?»

Thomas non si girò, restò così com’era.

«No…e tu?»

«Sì…»

Si slacciò la cinta dell’accappatoio. Deglutì. Il cuore prese a tremare e le gambe a cedere. Stava per succedere? Con un movimento di spalle lasciò che l’accappatoio cadesse per terra. Restò completamente nudo.

Dylan ingoiò il groppo di saliva che gli si era formato in gola e inaspettatamente, si sentì strano, molto strano. Abbassò il capo e vide che il cavallo dei suoi pantaloni gli stava calzando stretto.

O cristo.

Pensò. Non disse nulla.

Thomas aveva gli occhi chiusi e cercò di non perdere il controllo e di non vomitare. Il suo stomaco si stava contraendo fin troppo. Con lo sguardo ancora riverso al pavimento, si girò molto lentamente, alzando lo sguardo in una maniera così eccitante che Dylan si sentì morire. Si alzò anche lui ed istintivamente si leccò le labbra guardandolo da capo a piedi. Sentì come un fuoco accendersi all’interno del proprio corpo. Una concentrazione maggiore, era proprio vicino la sua virilità. Chi l’avrebbe mai detto? Thomas arrossì notando quella sua reazione tanto evidente.

Si guardarono senza dir nulla. Si udivano solo i loro respiri pesanti.

«Mi stai prendendo in giro?» sussurrò poi Thomas, imbarazzato. Non si era mai fatto vedere nudo da nessuno, almeno non in quel modo.

Dylan lo fissò per qualche istante.

«No.» e senza preavviso, si avventò su di lui. Thomas fece lo stesso. Si scontrarono l’uno con l’altro, quasi facendosi male. Il biondo cominciò a privarlo della maglietta, gettandola accanto all’accappatoio. Iniziò a baciargli il collo, la clavicola, la spalla. Dylan prese ad ansimare.

«Non hai idea da quanto attendessi questo…» sussurrò Thomas al suo orecchio, facendogli accapponare la pelle. Dylan sussurrò qualcosa che Thomas non capì, ma poco importava in quel momento.

Continuarono a baciarsi, a toccarsi, avevano i brividi entrambi. Il moro lo prese per le spalle e si lasciarono cadere entrambi sul letto, con forza. Spontaneamente Dylan – ora sopra Thomas – cominciò a muovere il bacino in avanti e indietro, cercando contatto. Thomas girò gli occhi all’indietro e si lasciò sfuggire un sussulto.

«Via i pantaloni!» gli ordinò poi, aiutandolo a slacciarsi la cintura. Dylan non se lo fece ripete due volte. Con un rapido movimento si sfilò i jeans e li gettò accanto a tutti gli altri. Riprese a baciargli ogni centimetro del suo corpo. Scese sulla pancia, cominciando a dargli piccoli morsi, alternandoli a leggeri succhiotti. Thomas andò in delirio.

«Facevi questo ad Emma?» ansimò poi, intrecciando le dita fra i capelli dell’amico, stringendoli delicatamente.

«…lei non è te. Adesso taci, e godiamoci il nostro momento.»

Thomas si morse le labbra quasi facendosi male.

«Sì, okay…ma prima divertiamoci un po’.»

*

Restarono abbracciati per un po’ di tempo, a coccolarsi. Il letto era sfatto, c’era ancora il loro odore impresso nelle lenzuola.

«Tommy…che ore sono?»

Dylan si stiracchiò, distendendo braccia e gambe. Thomas prese il cellulare e controllò l’ora.

«Merda!» imprecò. «Sono le 20:00»

Thomas scaraventò il piumone giù dal letto costringendo anche Dylan a scoprirsi. L’impatto con l’aria fredda gli fece accapponare la pelle dal freddo.

«Ehi, ma che ti prende. I tuoi genitori non torneranno a casa prima di cena.» Dylan si coprì nuovamente fin sopra i capelli. Thomas fece un sorriso malizioso e con un gesto, scoprì nuovamente l’amico.

«Non è questo il punto, idiota.» con un salto si lanciò sul letto, facendo balzare Dylan. I due si guardarono e si persero l’uno negli occhi dell’altro. Dylan prese a giocare con una ciocca di capelli del biondo, baciandogli successivamente la fronte ancora sudata. Thomas chiuse gli occhi e sorrise.

«Sei tutto ciò che ho sempre desiderato…» disse poi, dandogli un delicato bacio sulle labbra. «…forse c’è solo una cosa che desidero di più però, in questo momento.»

«…cosa sarebbe?» Dylan corrugò le sopracciglia e l’amico scoppiò a ridere.

«Cazzo, Dyl…ho una fame che non ci vedo più.»

Risero entrambi per svariati minuti, abbracciandosi, baciandosi, erano finalmente felici.

«Pizza?»

«Pizza!»

-Fine -
   
 
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