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Autore: Fabbricante Di Sogni    07/03/2016    1 recensioni
Shirou/Atsuya | Psicologico | DDI | Tematiche delicate | Missing Moments
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Ognuno di noi ha tante persone diverse dentro di se […] Il disturbo dissociativo dell’identità è caratterizzato dall’incapacità del soggetto di ricordare il passaggio da una persona all’altra...
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Lui era pienamente convinto che il suo nome fosse «Atsuya» e non Shirou, sapeva che gli piaceva molto giocare a calcio, specialmente se in attacco. Adorava la neve e gli sport a essa annessi, eppure rievocare il colore candido dell’inverno, gli procurava uno strano senso di dispiacere.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Shawn/Shirou, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ognuno di noi ha tante persone diverse dentro di se, c’è la persona più aggressiva, quella ribelle, quella ragionevole, quella sentimentale, quella infantile. Il disturbo dissociativo dell’identità è caratterizzato dall’incapacità del soggetto di ricordare il passaggio da una persona all’altra. In poche parole il paziente non ha ricordi degli istanti nei quali era una persona diversa da quella del momento presente. Questo disturbo è spesso frequente nei casi in cui il paziente ha subito abusi o traumi da bambino, una negazione del dolore subito può portare al dividersi della personalità. Questo disturbo implica la presenza di due o più personalità separate che prendono il controllo del comportamento del soggetto, accompagnato da un’incapacità di rievocare ricordi personali.


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Capitolo 1
.: Lui vive in te :.
 
La prima volta che *1«Atsuya» uscì fuori era nell’orfanotrofio; qualche giorno dopo la tragica morte della famiglia Fubuki, eccezione fatta per il figlio maggiore: Shirou.
Lui era spaventato, non sapeva cosa né sarebbe stato di lui e per di più non poteva convivere con il senso di morte che gli era rimasto addosso dopo l’incidente.
Non riusciva ad accettare la situazione per quella che era, inutile girarci attorno; lui era sempre stato così buono, aveva sempre cercato di far quadrare tutto.
Perché gli era capitata una cosa del genere? Perché non a qualcun altro?
Il dolore che non riusciva a esprimere era incredibile, troppo per un bambino della giovane età di otto anni. Fu così che sul posto*2 arrivo «Atsuya».
«Atsuya» assomigliava moltissimo al fratello che Shirou aveva perso nell’incidente d’auto, aveva addirittura lo stesso nome! Possedeva una voce calda e accesa, e uno sguardo malizioso e penetrante, quest’«Atsuya» però, oltre ad avere un marcato senso dell’umorismo e una sfiducia nei confronti degli altri, impressionante per un bambino, era totalmente inconsapevole dell’esistenza di Shirou.
Al sentire un’educatrice chiamarlo in quel modo rimase in parte interdetto.
Lui era pienamente convinto che il suo nome fosse «Atsuya» e non Shirou, sapeva che gli piaceva molto giocare a calcio, specialmente se in attacco. Adorava la neve e gli sport a essa annessi, eppure rievocare il colore candido dell’inverno, gli procurava uno strano senso di dispiacere.
Solo sei mesi più tardi avrebbe scoperto, dai discorsi delle educatrici, che fosse per via del della morte dei genitori del presunto Shirou in un incidente stradale, proprio nella medesima neve bianca.
«Atsuya» però non né soffrì tanto, non era un bimbo molto sensibile, e non piangeva, per di più lui non conosceva le persone di cui stavano parlando. Sentiva unicamente dentro di se un profondo senso di vuoto, come un assenza incolmabile. Anche se non avrebbe saputo dire cosa.
Adesso seduto a tavola in mezzo agli altri bambini dell’orfanotrofio, «Atsuya» non vuole buttare giù un boccone della minestra che si trova davanti, non si fida di quelle persone, prima i medici gli hanno provato a dare delle pastiglie, ma non appena si sono voltati le ha subito sputate.
Non conosce i dottori e non sa cosa gli vogliano fare, quindi non vede perché dovrebbe fidarsi di loro, del resto non gli ridaranno né i genitori del presunto Shirou, né la felicità.
Nonostante tutto però ha una discreta fame, ma non può mangiare, significherebbe arrendersi.
 
Shirou si svegliò trovandosi davanti un piatto di zuppa, non ha ricordi del lasso di tempo precedente, ma una cosa la sa, ha molta fame.
Trangugiò rapidamente tutto il contenuto del piatto e poi un’educatrice lo accompagnò in camera in mezzo a tanti altri bambini.
Gli piaceva quel posto tutto sommato; l’ambiente era accogliente e gli permetteva di non pensare ai tristi eventi dei giorni precedenti.
In oltre le assistenti gli raccontavano una fiaba tutte le sere prima di andare a dormire. Sentiva che poteva fidarsi di loro e iniziare una vita nuova, anche se l’incidente lo avrebbe segnato per sempre.
 
Dopo quasi un mese Shirou mise per la prima volta piede sul campo da calcio dell’orfanotrofio, aveva preso ormai abbastanza confidenza con l’ambiente circostante da provare perlomeno a giocare.
In parte aveva paura di far riemergere il ricordo del fratello, ma era anche dell’idea che non si potesse continuare a posticipare la cosa.
La maggior parte delle preoccupazioni però non furono di carattere commemorativo, Shirou sapeva giocare davvero bene in difesa, e la maggior parte dei suoi compagni si complimentarono con lui.
Ciò nonostante iniziò ad avere dei vuoti di memoria durante le partite; sempre più spesso gli capitava di andare a segnare nella porta degli avversari senza ricordarsi benché minimamente come avesse fatto.
Nonostante questo ogni volta che Shirou finiva una partita, si cambiava con estrema lentezza come se ogni suo arto gli si fosse congelato. Capitava così che si ritrovava sempre solo nello spogliatoio, abbandonato a se stesso, ed era allora che la mancanza di Atsuya si faceva sentire, non sopportava il distacco che col tempo si era andato a creare.
Perdere i suoi genitori era un conto, ma perdere il suo fratello gemello con cui aveva condiviso gran parte delle esperienze da piccolo era tutto un altro paio di maniche.
In quei momenti riaffioravano i ricordi di tutte le volte che i due fingevano che le coperte del letto fossero una tenda per restarvi sotto a raccontarsi storie, i litigi per le cose più banali, le discussioni in campo durante la partita per decidere a chi spettasse il compito di calciare un pallone anzi che un altro.
Avrebbe potuto fingere di non ricordarsi, soffrire di meno, ma in qualche modo era come se lui volesse soffrire e rivivere tutti quei bei momenti per mantenere vivido il ricordo del gemello. Aveva paura che se solo avesse smesso di pensarlo i ricordi sarebbero svaniti e così la sua infanzia.
Poteva ingannare gli altri dicendosi di star bene, ma non poteva ingannare se stesso. L’assenza del fratello lo logorava ogni secondo di più. Lacrime calde sgorgarono dagli occhi celesti dell’albino.
 
«Atsuya» aprì gli occhi, sentiva il volto bagnato e non sapeva perché, si ritrovò a toccarsi il viso e scoprirsi a piangere. Perché stava piangendo? Nemmeno lo ricordava. Sbuffò, non andava bene per niente, continuava ad avere dei completi vuoti di memoria, l’ultima cosa che ricordava era lui che segnava in porta. Poi il vuoto.
Un conto era avere brevi amnesie, ma un lasso di tempo così lungo rendeva la cosa preoccupante. Studiò l’ambiente in cui si trovava; erano gli spogliatoi, ed erano deserti, lui che ci faceva lì a piangere?
Ipotizzò che una squadra lo avesse picchiato per averla fatta perdere, eppure non aveva ripercussioni fisiche, com’era possibile? Finì col abbandonare lo spogliatoio nella confusione più totale.




 

*1 Utilizzerò “«»” per indicare l’Atsuya personalità, mentre per la persona viva lascerò il nome senza virgolette
*2 Userò questa frase per spiegare quando una o l'altra personalità prendono il controllo del'atteggiamento.
 Spero di essere stata chiara, per qualsiasi cosa chiedetemi pure c: 


Smiley's Corner

Che dire, per questa Fic mi sono puramente ispirata al libro Una stanza piena di gente, in caso non lo abbiate letto ve lo consiglio vivamente, è molto psicologico e scritto bene.
Ad ogni modo ho provato ad analizzare l'esperienza di Shirou da un punto di vista psicologico, tenendo sempre conto che è di un bambino che stiamo parlando e quindi non si possono avanzare ragionamenti troppo complessi.
Questa storia l'ho già scritta, è lunga cinque capitoli suddivisi in sbalzi temporali lunghi più o meno un anno, penso che posterò un capitolo a settimana, salvo inconvenienti.
Spero di aver chiarito qualsiasi dubbio, in caso di incertezze chiedetemi pure e sarò lieta di spiegarvi meglio, in ogni caso una recensione o un qualsiasi commento mi farebbe davvero felice.

Un sorriso,

Smiley


 
  
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