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Autore: Destyno    07/03/2016    9 recensioni
Ezrael è un incubus. Ed è, di base, uno sfigato.
Raphael è un ragazzo comune, ma "forse" reagisce in maniera eccessiva.
Ed ha un grimorio.
E fa schifo a disegnare le rune.
Ed Ezrael si diverte a infastidirlo.
Genere: Comico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A tale of dorks'
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Prima cosa da sapere su di me: sono un demone, per la precisione un incubus.
Secondo: sono uno sfigato.                                                                      
Perché? Boh. Forse perché ho settecentocinquant’anni e non sono mai stato convocato. O perché ho un blog su Tumblr.
Preferisco pensare alla prima ipotesi. Pochissimi demoni conoscono Tumblr, il che è uno spreco, visto che la connessione qui all’Inferno è ottima. E poi, in tal caso non sarebbe colpa mia.
Gli umani non conoscono i nomi di incubi e succubi. In parte perché i nomi hanno potere, ed in parte per evitare figure imbarazzanti del tipo:
 
“Continua così, Baphomet!”
“Guarda che io mi chiamo Bephamot”
“…stessa cosa”
 
Le convocazioni degli umani arrivano fino all’Inferno e poi smistate dall’Ufficio di Evocazione nell’Antinferno. Da lì vengono inviati dei demoni minori, o imp, che fungono da messaggeri che portano i demoni richiesti fino all’Ufficio.
Per gli incubi e le succubi vengono fatte convocazioni generiche, quindi sono i capi dell’Ufficio a decidere a chi inviare gli imp.
Inutile dire che vengono scelti i soliti tre-quattrocento più bravi e gli altri vengono lasciati da parte.
Io sono stato l’ultimo della mia generazione ad essere stato chiamato. Non è stato bello, ma almeno sono riuscito a trovare il tempo per imparare quasi tutte le lingue del mondo. Riesco perfino a comprendere l’Enochiano, la lingua degli angeli. Purtroppo, però questo mi è costato un po’ in termini di vista, dato che porto gli occhiali. E non c’è molta gente con il fetish degli occhiali.
Quindi, dire che fui sorpreso quando mi convocarono è decisamente un eufemismo.
 
Stavo gironzolando per il Primo Cerchio, quello dei lussuriosi, dove abito. Come al solito c’era un sacco di vento, quindi giravo con un enorme giaccone, un berretto di lana e una sciarpa a ricoprirmi il viso (dicono che c’è una città che assomiglia incredibilmente al Primo Cerchio. Trieste, mi pare si chiami. Non ci voglio andare).
Speravo di trovare qualche anima dannata con cui chiacchierare. Didone era sempre disponibile a fare due chiacchiere, ma non mi piaceva parlare con lei. Era un po’ schizzata.
Francesca era la mia preferita. Era gentile, mi capiva e sembrava genuinamente interessata al mio blog. Qualche giorno dopo averle parlato di Tumblr avevo trovato una certa “paoloxfrancesca4ever” tra le persone che mi seguivano.
Purtroppo, però, era costantemente accompagnata da Paolo. Quell’uomo mi inquietava un pochino, sempre a guardarmi storto, in silenzio. Non mi piaceva averlo vicino quando parlavo con Francesca, ma non potevo mica chiedergli di lasciarci un momento soli. Voglio dire, erano tra i pochi il cui amore non era stato separato nemmeno dalla dannazione eterna, non potevo arrivare e dirgli così a caso di farsi un po’ da parte.
Quindi, dicevo, stavo cercando qualcuno con cui scambiare due chiacchiere ed eventualmente da ritrarre, sebbene avessi ancora un po’ di difficoltà con le proporzioni. Mi vengono sempre le braccia troppo lunghe o una gamba più corta dell’altra.
Fu allora che vidi l’imp.
I demoni più intelligenti assumono forma umana, di solito; tutti gli incubi e le succubi, Minosse, qualche demone guardiano del Limbo (sono i più simpatici), o i diavoli della città di Dite. Gli imp hanno un’intelligenza limitata, e così anche la loro forma: sono dei piccoli mostriciattoli a forma di occhio, con piccole ali di pipistrello, che girano per l’Inferno emettendo piccoli squittii da non si sa bene quale organo.
Lo riconobbi per un imp dell’Ufficio di Evocazione per via del caratteristico marchio dei loro impiegati: un pentacolo rovesciato inscritto in un cerchio, che questo demone aveva impresso sugli interni delle ali.
Questo si guardò attorno, freneticamente, schizzando da un incubus all’altro, finché non mi vide. Ed iniziò a strillare, svolazzandomi intorno e sbattendo le ali.
«Cosa vuoi?» chiesi bruscamente. Più di una volta mi era capitato che qualche succube stronza mi ingannasse con una finta convocazione ed un finto imp.
«Tu!» strillò il demone «Andare! Convocazione! Per te!»
«Eh?»
«Convocazione! Nominale! Per te! Procedura di teletrasporto!»
«Aspetta un momento…»
Ma era già troppo tardi. Prima ancora che potessi chiedergli che cosa intendeva con “nominale” l’occhio del demone passò dal blu elettrico al verde acido, e mi ritrovai all’interno di un cerchio magico, un pentacolo interno ad una cornice formata da due cerchi. La cornice era riempita di rune in Abissale antico misto a qualche lingua del mondo mortale. Riconobbi formule in latino, ideogrammi giapponesi e persino qualche parola in inglese e spagnolo.
Un impiegato, un demone di mezza età dalla pelle violacea e pelato, con due piccole corna sopra le sopracciglia, mi lanciò un’occhiata veloce.
«È la prima volta che vieni evocato?»
Non riuscivo nemmeno a parlare, tanto le cose si erano svolte in fretta.
«Io…»
«D’accordo, allora stammi a sentire. Fai semplicemente tutto ciò che il tuo padrone ti dirà di fare. Gli umani possono essere pericolosi, con le formule di un cerchio, e possono farti molto male. Tu non dargli motivo di fartene e tutto andrà per il verso giusto»
«Ma…»
«Hai ricevuto una convocazione nominale. Non so come abbia fatto a reperire il tuo nome e francamente non m’importa. Ma questo significa che il mago ti conosce e ha bisogno esplicitamente dei tuoi servigi. Cerca di essere il più discreto e accondiscendente possibile e vedrai che sarai di nuovo qui in un batter d’occhio»
Il cerchio di gesso si illuminò di un tenue bagliore violetto. Fu in quell’istante che mi resi conto di cosa stava per accadere: sarei stato convocato sulla Terra. Per la prima volta nella mia vita, servivo a qualcosa.
Non mi soffermai troppo sul dettaglio del mio nome, che nessuno avrebbe potuto sapere, e forse fu meglio così. Troppe domande fanno male.
 
*
 
Raphael chiuse il libro, tentando invano di mantenere la calma.
Tremava violentemente, mentre attendeva che la sua chiamata giungesse all’Inferno. Sapeva che ci sarebbe voluto un po’; dopotutto, non aveva mica convocato un demonietto di rango infimo.
Cercò di scacciare dalla mente il pensiero del futuro imminente, quello più incerto, osservando il libro.
Era rilegato in cuoio, dall’aria molto vecchia, e aveva le pagine ingiallite dal tempo. La copertina era spoglia, ma la prima pagina recava il titolo in latino.
Il libro era interamente scritto in quella lingua arcaica. Per una volta, gli studi da classicista gli erano serviti a qualcosa.
 
L’aveva trovato in biblioteca, in un grigio pomeriggio settembrino, col cielo carico di pioggia. Si era riparato nell’edificio per ripararsi dal temporale, e aveva iniziato a vagare tra gli scaffali, cercando di ammazzare il tempo.
Quel libro l’aveva attirato, perché non era stato contrassegnato come appartenente alla biblioteca. L’aveva preso e portato al bancone del bibliotecario, che però aveva asserito con fervore di non aver mai visto un libro del genere nella sua biblioteca, e aveva deciso di regalarglielo.
Come aveva ben presto scoperto, una volta tornato a casa, quello era un grimorio: un libro che conteneva indicazioni per invocare le potenze infernali.
Normalmente Raphael avrebbe bollato quel libro come un ricettacolo di fesserie. E l’aveva fatto, almeno finché non aveva scoperto il cadavere di Robert, il suo vicino di casa, riverso sul pavimento in una pozza di sangue e con due ali color della pece che gli spuntavano dalla schiena nuda.
Allora si era richiuso in casa, credendo di stare avendo un’allucinazione. Non ne aveva mai avute – quasi mai, almeno – ma controllare non faceva mai male.
Si sciacquò il visto con acqua fredda, si diede un paio di schiaffi e uscì nuovamente sul pianerottolo. Il cadavere di Robert era ancora lì, e quelle due ali anche, beffarde.
Non aveva mai scoperto cosa fosse Robert in realtà. Quando arrivò la polizia il corpo era già scomparso nel nulla, ed il sangue evaporato come fosse acqua. L’unica testimonianza e prova che non fosse impazzito era una penna, nera come la notte e sporca di sangue.
Allora Raphael aveva iniziato a vedere.
Non succedeva sempre, e solo con la coda dell’occhio. A volte scorgeva figure umanoidi che camminavano dietro alle persone, ma che non avevano un volto; oppure, le statue che impercettibilmente si muovevano; ancora,  una volta fu certo di aver visto una figura alata sfrecciare tra le nubi.
Era stato allora che Raphael si era reso conto che il libro non era così stupido come pensava.
 
Il pentacolo si illuminò di una morbida luce violacea. Poi ci fu un lampo, e il demone apparve.
Non appena lo vide, alzò scetticamente un sopracciglio.
Il demone era alto e dinoccolato, dai capelli mori tagliati corti. Gli occhi, neri, erano coperti dalle lenti di un paio di occhiali quadrati, dalla montatura moderna ed essenziale. Indossava una grossa felpa di un arancione slavato, diverse taglie più grande di lui, e jeans. Sarebbe passato per un comune diciassettenne, se non fosse stato per la pelle bluastra.
Il demone si mise le mani in tasca e lo fissò.
«Un adolescente. Dovevo aspettarmelo, credo» disse, inclinando la testa e squadrandolo per bene. Per un attimo, il suo sguardo parve indugiare sul petto di Raphael e sul cavallo dei pantaloni.
No. Doveva essersi sbagliato. Per forza.
«Cosa intendi dire?» chiese, deglutendo. Vero, pareva inoffensivo, ma il libro l’aveva messo largamente in guardia contro i demoni.
«I demoni del mio rango vengono spesso evocati dai giovani» rispose l’altro, sventolando una mano in aria, con l’aria tranquilla di chi parla del tempo «Allora, giovane padrone, cosa vuoi che faccia?»
Gli occhi verdi di Raphael si fecero scuri e determinati. Era il suo momento. Aveva aspettato tanto, aveva sacrificato tempo e sonno solo per quell’unico, freddo istante.
«Desidero che tu trovi François Motierre, in modo tale da non essere né visto né udito, senza lasciar tracce che possano ricondurre a me, la mia famiglia o qualsiasi luogo da me frequentato, e che non visto né udito e senza lasciar tracce, tu» prese un  respiro brevissimo «lo uccida.»
 
Il silenzio che seguì l’ordine durò qualche istante.
Poi il demone scoppiò a ridere.
«Cosa c’è di tanto divertente?!» gridò Raphael, pestando rabbiosamente il piede a terra e cercando inutilmente di trattenere l’irritazione. Era il suo momento di gloria! Come osava rovinarglielo?
«Ma dai…» il demone era piegato in due dalle risate, gli occhi chiusi e la bocca spalancata «Come… oh.»
Aveva aperto gli occhi. La risata si interruppe a metà.
Per la prima volta, vide il pentacolo in cui era imprigionato.
«No.» disse, scuotendo la testa «No, non può essere»
Si gettò a terra, studiando le linee del cerchio e le rune inscritte nella cornice con crescente orrore, mentre Raphael lo osservava spaesato, la rabbia svanita. Non era questa la reazione che si aspettava.
«Queste rune…» borbottò il demone tra sé e sé, senza curarsi dell’umano che lo guardava «Sottomissione potevo anche capirla, ma Imposizione e Non-Ritorno? Troppo potenti per un incubus»
«Incubus? Vuoi dire che… non sei l’Angelo della Morte? Non sei Azrael?»
«Certo che no, brutto idiota!» urlò l’incubus, rialzandosi in piedi e imprecando «Io sono Ezrael! Ezrael, con la e! Hai fatto un maledettissimo errore di battitura e adesso sono bloccato sulla Terra per sempre!»
 
*
 
Raphael si sedette scocciato sul suo letto, fissando torvo il demone lì di fronte.
«Devi uccidere Motierre» tentò di nuovo, ma Ezrael sbuffò.
«Nada. Non posso. Se vuoi però posso farti un pompino»
Per un istante il ragazzo fu certo di aver capito male.
«Come prego?»
«Un pompino» replicò il demone, con tutta la calma del mondo, appoggiandosi mollemente alla parete di fronte al letto.
«Non- non parlarne come se fosse normale!» gemette Raphael, rosso fino alla punta delle orecchie – ma se per imbarazzo o per rabbia, non era dato saperlo.
«Ma è normale»
«Come se la gente normale vada in giro ad offrire po… pom…» incespicò «pompini agli sconosciuti!»
Ezrael gli scoccò un’occhiata quasi compassionevole.
«Hai davvero bisogno di una bella scopata»
«Non voglio una “scopata”! Io voglio che tu uccida François Motierre!» gridò Raphael. Meno male che in casa non c’era nessuno. Sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
«Te l’ho già spiegato, non posso ucciderlo. O meglio, potrei, ma dovrei sedurlo e poi farci sesso per, non so, un paio d’ore»
Adesso il ragazzo era talmente rosso da fare invidia ad un paio di demoni che Ezrael conosceva. Il pensiero lo rese stranamente allegro.
«Le modalità non mi interessano» mormorò. Un altro minuto in compagnia di quell’essere, e probabilmente sarebbe esploso.
«Oh, credo che tu debba sapere una cosa» rise l’incubus, ghignando e portandosi le mani dietro la nuca «Dovremo vivere insieme finché il contratto non sarà portato a termine»
«Eh?!» 
   
 
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