Abbiamo sentito dire più di una volta che il clan Nara ha qualcosa a che vedere con i cervi… ma chi li ha mai visti, chi ne ha mai parlato? A me sembra stranissimo che un manga (e anime) giapponese li nomini e poi li ignori così… e se invece i cervi avessero un ruolo tutt’altro che marginale nella vita di questo Clan di ninja?
- Un mese? E dov’è
che vorresti portare mio figlio per un mese? –
probabilmente le grida
furibonde di Yoshino Nara si udirono fino agli estremi confini del
Villaggio
della Foglia, quella volta.
- Ma
cara… cerca di capire… è
un’usanza dei Nara che si
tramanda di generazione in generazione… Shikamaru ha ormai
cinque anni… non
posso non…
- Ha
ormai
cinque anni? Io direi che ha appena
cinque anni! E comunque fra un mese deve cominciare
l’Accademia, te ne sei
dimenticato?
- Ne
ho già parlato con l’Hokage… non
c’è alcun problema
se anche comincia con qualche giorno di ritardo.
La moglie lo fulminò con lo sguardo:
- Se anche comincia…
in ritardo…?
Così il padre lo prese e se lo posizionò sulle
spalle,
appena sopra lo zaino.
- Papà,
ma non corri come un ninja? – chiese il bambino,
un po’ sorpreso. Di solito, quando il padre se lo sistemava
così, poi iniziava
a saltare di ramo in ramo, percorrendo in pochissimo tempo notevoli
distanze.
- No,
Shikamaru, stavolta no. Quello che dobbiamo fare
non ha niente a che vedere con i ninja – e
continuò a camminare
tranquillamente, con passo costante.
Andando così con calma, senza il bisogno di fare attenzione
a dove metteva i piedi, Shikamaru ebbe il tempo di guardarsi attorno.
Per quel
che gli sembrava di ricordare, non era ancora stato in quel punto della
foresta. E dire che ne aveva vista parecchia, dato che suo padre la
percorreva
in lungo e in largo per conto dell’Hokage.
Gli aveva raccontato tante volte, la sera dopo cena, mentre
sua madre sparecchiava borbottando, che i Nara erano famosi a Konoha
come il
“clan che allevava i cervi”. Anche se
“allevare” non era la parola adatta. La
loro era più che altro un’affinità
maturata di generazione in generazione.
“E’ per questo che mi chiamo Shikaku. Ed
è per questo che tu
ti chiami Shikamaru” concludeva
ogni
volta, puntandogli il dito contro e toccandogli il naso- cosa che gli
dava un
po’ fastidio- “Per ricordartelo”.
A questo punto sua madre saltava fuori ogni volta con la
fatidica domanda: “E se fosse nata una femmina come
l’avresti chiamata? Shikame?”.
Il che poneva la parola “fine” a qualunque discorso
serio.
Alzò la testa, quasi cullato dal movimento dondolante della
camminata: i rami si stagliavano nel cielo azzurro chiaro, e veniva
quasi da
chiedersi come mai quegli stralci di nuvole bianche non vi rimanessero
impigliati. Camminarono (o meglio, Shikaku
camminò) tutto il giorno,
senza pause, allontanandosi sempre di più da ciò
che il bambino conosceva.
Il sole iniziava a calare, e i raggi dorati si infiltravano
sempre più orizzontalmente fra gli alberi, abbagliando di
tanto in tanto padre
e figlio, che non parlavano da ore. Arrivati ai piedi di una collina
sommersa
dagli alberi, nella luce calda e dorata del tramonto, Shikaku
aprì finalmente
bocca:
- Eccoci
arrivati. Per un mese staremo qui.
Una volta entrati, dopo essersi guardato un po’ intorno
Shikamaru pose la fatidica domanda:
- Qui?
E come facciamo? – perché lì dentro
sembrava non
esserci assolutamente nulla.
- So
che non è come casa nostra, ma staremo benone. Di
notte fa piuttosto freddo, ma abbiamo il camino per il fuoco. Inoltre
non
mancano stoviglie e vettovaglie…
- Ma
tu sai cucinare? – fece il bambino, un po’ dubbioso.
- Non
preoccuparti, il tuo vecchio se la cavare! – lo
rassicurò il padre.
- Comunque
in casa ci staremo ben poco, vi torneremo solo
la sera per cenare e dormire. Durante la giornata staremo fuori.
- Devi
controllare le tracce dei cervi? – chiese
Shikamaru, ricordando quello che il padre faceva abitualmente.
- No,
dobbiamo cercarne
uno in particolare.
Il bambino alzò lo sguardo dalla propria polpetta di riso,
sorpreso:
- Anche
io?
- Anche
tu.
- I
suoi zoccoli sono leggermente più grandi rispetto a
quelli degli altri cervi, tuttavia lascia tracce meno in vista
– gli aveva
spiegato Shikaku.
- Ma
come fa? – se i suoi zoccoli erano più grandi,
allora doveva anche essere più pesante. Quindi
avrebbe dovuto lasciare tracce più evidenti, no? Shikamaru
queste cose le
sapeva, gliele aveva insegnate proprio suo padre.
- E
poi – insistette – Ha solo questo di particolare?
- No,
non solo. Ma una cosa difficile da trovare è sempre
e comunque speciale. Ricordatelo.
Un silenzio per rispettare il luogo in cui si trovavano.
Un silenzio per ascoltare tutti i suoni e i rumori che
produceva.
Un silenzio per entrare a farne parte.
E poi c’era quel momento- quel momento che rendeva le regole
sopraccitate tutt’altro che una seccatura- in cui le porte
della foresta
sembravano aprirsi, o le loro orecchie sturarsi, e tutto, da
“morto” e
silenzioso che era, prendeva vita.
Una cacofonia pazzesca li accoglieva ogni volta, come se finalmente
fossero arrivati gli ospiti
che qualcuno- la foresta stessa?-
stava aspettando.
Normalmente gli altri ninja riuscivano a vederli molto
raramente, ma non i Nara.
Quando li cercavano loro, i cervi sembravano aspettarli.
- È
la stagione degli amori – spiegò Shikaku, mentre
padre e figlio se ne rimanevano su un masso ad osservare il gruppo
nella radura
– Vedi? Sono tutte femmine, e quello è
l’unico maschio.
Effettivamente Shikamaru se n’era già accorto.
Sapeva
benissimo che i maschi hanno le corna e le femmine no.
- Ma
anche quello è un maschio, che ci fa qui? –
esclamò
il bambino, puntando il dito verso un giovane cervo che si stava
lentamente
avvicinando.
- Ora
comincia lo spettacolo, ragazzo mio! Guarda e
impara, presto anche tu dovrai lottare per una femmina!
Il piccolo Nara fece una smorfia disgustata, ma non staccò
gli occhi dagli animali. Vide il cervo che accompagnava le femmine
avvicinarsi
al nuovo arrivato prima che l’altro potesse raggiungerle, e
ben presto i due
ingaggiarono un vivace combattimento sfruttando i giovani palchi sulle
loro
teste.
Il bambino non staccò gli occhi da loro per tutto il tempo,
tenendo
il fiato sospeso.
Nel frattempo il padre spostava lo sguardo dal figlio agli
animali, sorridendo soddisfatto. Ah, buon sangue non mente! Lui stesso
era
rimasto incantato da quello spettacolo, tanti anni prima.
Suo figlio sembrava essere un vero Nara e, malgrado Shikaku
sapesse nasconderlo molto bene, ne era davvero fiero.
A quest’ora Shikaku andò a svegliare suo figlio.
- Mmmm…
- fu l’unico suono che emise il bambino, visibilmente poco
intenzionato a lasciare
il proprio letto. Oltretutto le notti si andavano facendo
più fredde, e
chiunque sarebbe
stato restio a lasciare il calduccio in cui ci si crogiolava sotto le
coperte.
- Alzati,
figliolo. Su, andiamo.
- Mmmm…
papà… - mugugnò il bambino, incapace
di credere
che il padre volesse davvero farlo
alzare e portarlo nella foresta a quell’ora. Forse sua madre
aveva ragione. Suo
padre era un po’ fissato, a volte.
- Forza,
Shikamaru. Stasera lo troveremo.
- Che
cosa? – articolò insonnolito il piccolo
interlocutore, che non accennava a volersi alzare.
- Il
cervo. Quello che stavamo cercando.
Ora, chiunque sa che tirare fuori un bambino dalla tana del
proprio letto è un’impresa ardua. Specialmente con
un bambino come Shikamaru,
sul quale il sonno pesava spesso e volentieri come un macigno.
Eppure… eppure
dopo quell’affermazione del padre la sonnolenza
sembrò sparire in un attimo:
era come se qualcuno gli avesse somministrato una dose massiccia di
caffeina,
tutta d’un colpo.
Si mise seduto a gambe incrociate sul letto, il codino un
po’ storto, mentre guardava il padre prendere in fretta le
poche cose di cui
avrebbero avuto bisogno.
- Sei
sicuro? – fu l’unico quesito che pose.
- Ascolta,
ragazzo mio – gli rispose l’uomo, guardandolo
dritto negli occhi – Un Nara può avere dubbi su
tante cose: donne, priorità,
decisioni da prendere… ce ne sono una montagna!
Il bambino lo stava ascoltando attentamente, colpito da
quella serietà che sua madre “andava inutilmente
cercando col lanternino”, come
diceva spesso.
- …
ma sui cervi no. Mai. E ora vestiti che andiamo.
Shikamaru si strinse un po’ di più al padre,
innanzitutto
per allontanarsi da quei rami che sembravano avvicinarsi sempre di
più. E anche
perché aveva un po’ di paura.
L’uomo proseguiva sicuro, senza bisogno di alcuna torcia,
guidato
da una sicurezza che di fronte alla moglie di solito perdeva
totalmente. Il
bambino si chiese come facesse a sapere esattamente dove andare:
c’era la luna,
d’accordo, ma la vegetazione era comunque piuttosto fitta,
con il risultato che
ci si vedeva gran poco.
Shikamaru non l’avrebbe mai ammesso, ovviamente. Ma era
tutto un po’ spettrale.
“Qui ci vorrebbe l’amico di papà, quello
con la figlia
insopportabile” pensò Shikamaru, respirando
più profondamente a quell’odore
penetrante “Lui sa tutto sulle piante, sicuramente
riconoscerebbe anche
queste”.
Troppo preso dai propri pensieri, il bambino non si era
accorto che il padre aveva proseguito, fermandosi sulla riva dello
specchio
d’acqua e sedendosi a gambe incrociate sull’erba
profumata, perfettamente in
vista.
- Ma
come, papà? Cosa fai? – chiese sottovoce
Shikamaru,
raggiungendolo. Nessun cervo si sarebbe mai avvicinato se se ne stavano
lì in
mezzo. Possibile che suo padre l’avesse dimenticato?
- Siediti,
figliolo, e aspetta.
- Aspetta
cosa? Se restiamo qui ci toccherà aspettare
tutta la notte per niente! – si lamentò il
bambino, quasi incredulo. Se c’era
una cosa in cui suo padre non sgarrava mai, quello era il sistema per
avvicinare i cervi. Era sempre paziente e silenzioso. E soprattutto
cercava di
rendersi il meno visibile possibile, per non disturbarli e farli
sentire a
proprio agio. Che gli era preso?
Shikaku lo guardò, sospirando rassegnato.
- Sai,
a volte mi dimentico che sei anche figlio di tua
madre – commentò – Dai, vieni qui.
Detto questo lo prese di peso e se lo sedette in braccio,
all’incrocio
tra le gambe, per evitargli il contatto con l’erba bagnata
dall’umidità della
notte.
Shikamaru avrebbe avuto ancora qualcosa da ridire, ma tutto
sommato se ne stava all’asciutto e al caldo,
protetto dal corpo del padre. In fondo
quella posizione non gli dispiaceva affatto, perciò stette
zitto.
E quando stette zitto, sentì.
- Mmmm…
- mugugnò, cercando di abituarsi alla luminosità
del giorno inoltrato, le palpebre incapaci di aprirsi del tutto.
- Certo
che sei monotono, ragazzo mio! Dici sempre le
stesse cose quando ti svegli! – esclamò Shikaku,
ridendo di gusto alla vista
del figlio che cercava in tutti i modi di scacciare il sonno rimastogli
addosso, con scarsi risultati – Forza, vieni a fare colazione
che poi dobbiamo
partire.
- E
dove andiamo? – articolò il bambino, rassegnatosi
a
finire in chissà quale altro angolo sperduto di foresta.
- A
casa, no? È ora di tornare, ormai, siamo stati via
fin troppo. Spero che nel frattempo tua madre non si sia risposata.
- Mi
sembra chiaro che tua madre non dovrà sapere nulla
di ciò che è accaduto qui. D’accordo,
Shikamaru?
Il bambino annuì, senza farsi domande inutili sul perché di quella richiesta. Doveva essere così, era chiaro
come il
sole anche a lui.
- Comunque
sarà già nervosa a sufficienza per conto suo,
cerchiamo di non farla arrabbiare ulteriormente. Quindi vedi di
impegnarti
all’Accademia.
Accademia? Ah sì, l’Accademia…
Shikamaru se n’era
completamente dimenticato, e storse il naso non appena gliene sovvenne
il
ricordo.
- Uffa…
- brontolò, per nulla convinto.
Shikaku non si scompose più di tanto di fronte alla totale
mancanza di entusiasmo del figlio.
- Questa
storia mi sembra di averla già vissuta… -
commentò, ricordando come la propria madre, a suo tempo,
fosse quasi arrivata a
strapparsi i capelli per riuscire a fargli combinare qualcosa
– … prevedo urli
da parte della mia adorabile moglie…
Chiacchierarono ancora un po’, ma ad un certo punto
l’uomo
si fermò, facendo un cenno a Shikamaru che si sporse a
guardare, osservando
attentamente il terreno.
Rimasero un istante immobili, assorti in ricordi che nessun
altro ninja di Konoha avrebbe mai potuto immaginare.
Poi Shikaku riprese il cammino a passo sicuro e tranquillo, col
bambino appollaiato sulle spalle, come un pirata col suo fedele
pappagallo.
Ma un po’ ampie rispetto a quelle lasciate normalmente dai
cervi. E tuttavia meno profonde.
La dedico al mio papà, che come Shikaku mi ha portato in
spalla senza fiatare quando volevo vedere l’alba sul mare,
anche se poi è
scoppiato un temporale pazzesco e ci siamo riparati sotto
un’edicola chiusa,
senza vedere l’ombra di un raggio di sole.
Lo ringrazio per esserci stato finché ha potuto.