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Autore: Amens Ophelia    08/03/2016    7 recensioni
Roma, maggio 1945. La città è libera, ma la guerra aleggia ancora per le strade e infesta case, pensieri e parole, separando ancor di più coloro che la morte ha risparmiato – e che la vita vorrebbe solo vedere riuniti, finalmente.
***
Abbandona la mano destra sul ventre, scoprendosi meno disgustata da se stessa. Ha compiuto atti di cui si vergogna, ha rubato, non ha mosso un dito per aiutare Antonia e ha perpetrato un peccato mortale per giorni e notti; ma di un’unica cosa, non si pente.
Genere: Angst, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento, Dopoguerra
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Si fa quel che si può, in guerra,

per rimanere vivi

 

 


«Dunque hai battuto,» assoda il ragazzo, contraendo la mascella.

Non lo vede da quasi due anni, non ha ricevuto nessuna sporadica visita né uno straccio di notizia, in quel lasso di tempo, e questo è ciò che riesce a dirle appena giunge a casa, sporco di terra, polvere e vuota soddisfazione. Chiude la porta, senza girare il chiavistello, e gli ripete le ultime parole che lui stesso aveva proferito prima di allontanarsi da quell’abitazione: «Si fa quel che si può, in guerra, per rimanere vivi».
Aveva quindici anni quando Ennio se n’era uscito con quella frase bislacca in risposta a un suo accorato “Prometti di non morire”.

Una smorfia a metà tra il divertito e il disgustato, che vira subito verso la seconda sfumatura, attraversa il volto smunto del giovane, rivelando per un istante i ventidue anni che la guerra ha cercato di sottrargli. «Ti sei venduta anche a qualche tedesco?» le chiede.
Gli occhi neri di Anna vorrebbero fissare il suolo, e invece nella loro visuale entra solo il ventre dolcemente rigonfio, fasciato dalla gonna a fiori sgualcita. Una volta era stato l’abito della domenica, quello, ma da anni non sa cosa sia una festa – e che cosa ne sia stato dei banchi della chiesa. Prega inutilmente in silenzio, da mesi e mesi, e chiede perdono per il peccato mortale che puntualmente compie: tentare di sopravvivere con i mezzi rimasti.
«I tedeschi non compravano; si prendevano ciò che volevano con la forza.»
“Un po’ come tutti gli altri,” vorrebbe aggiungere.

Ricorda l’aggressione ad Antonia, le sue gambe brutalmente divaricate e rigide, che lei stessa ha dovuto chiudere, e il foro alla tempia, il sangue dello stesso colore della confettura di frutti di bosco che loro madre preparava durante l’estate del 1937, quando lo zucchero ancora occupava una mensola della credenza.
Ricorda il fugace sorriso della sorella, poco prima che ella la chiudesse proprio dietro le ante della madia, accompagnato da una rassicurazione troppo incerta: «È qui fuori. Me ne occupo io, ché sono più grande di te». Un tentativo di protesta, represso da una preghiera: «Per l’amor di Dio, Nannarè, non fiatare e rimani qui, qualsiasi cosa accada».
Infine ricorda i suoni sgraziati dell’amplesso, le urla in quella lingua oscura, lo sparo; il buio, il gelo e l’odore stantio dell’interno del mobile.

«Non sono stata con nessun tedesco,» mormora, con l’orrore ancora nelle pupille. Si sarebbe gettata nel fiume, pur di non essere sfiorata da mani teutoniche, disgustosamente bianche e fredde come il burro. Non che le sia andata meglio: «Diversi ufficiali fascisti, quelli sì, al casino di donna Lucia,» confessa, «ma quando sono arrivati gli Alleati ho lasciato quel posto e sono tornata qui».
Ennio non reagisce; il disarmo e il disgusto sono troppo forti, e il senso di onnipotenza, di tronfia soddisfazione per quanto compiuto con i compagni, va smorzandosi. Osserva la cucina spoglia, il vago fantasma di quella che la madre ha arredato nei suoi ultimi anni, da sola, nella speranza che il fiume, un giorno, le restituisse un uomo disperso ormai da quasi un decennio, al quale avrebbe cucinato anche il suo stesso cuore, se solo glielo avesse chiesto. Un cuore che aveva smesso di battere sotto le macerie dello spaccio alimentare dietro l’angolo, il giorno prima che Ennio avesse finalmente deciso di aderire ai Gruppi d’Azione Patriottica.
«E Antonia?» chiede, fingendo di aver capito male quanto la sorella gli ha accennato la mattina.
«Morta nel febbraio dell’anno scorso. Una qualche rappresaglia nei campi,» ripete con la medesima vaghezza. Quello che le è successo rimane un segreto tra lei e la donna che l’ha aiutata a preparare la salma; nemmeno il becchino, che ha avuto il cuore di scavare una fossa senza chiedere compenso, e il prete, che ha celebrato un funerale tanto rapido da sembrare clandestino, sanno della violenza carnale che ha preceduto la sentenza del grilletto.
«Cani! Figli di puttana!» inveisce lui, nuovamente, stringendo le dita attorno alla spalliera della sedia. Se solo fosse il collo dell’assassino, quello!
La ragazza vorrebbe dirgli che non ha sofferto, ma è una menzogna troppo pesante da sorreggere, e quasi irrispettosa del sacrificio di Antonia.

«Così rimaniamo solo tu ed io, eh?» ragiona Ennio, scrollando le spalle e raddrizzandosi. Osserva Anna, le trecce castane abbandonate lungo le clavicole sporgenti, ben visibili dallo scollo del leggero vestito della domenica. Ha l’aria che dovrebbe avere, quella di una diciassettenne, se solo non fosse per quel grembo profanato, venduto alla bramosia di qualche sconosciuto. «Quel bastardo non lo crescerò io,» puntualizza indicando, 
con un cenno del capo, proprio il ventre. «Trova il fascista che ti ha messa incinta e fatti spo-»
«È stato un partigiano, Ennio,» lo interrompe, tentando di controllare il tono di voce. È stato l’unico ragazzo ad abbandonarsi teneramente fra le sue braccia, in un brullo campo novembrino, riparati dietro il maestoso tronco di un pioppo; l’unico a usarle gentilezza, a baciarle la fronte e a chiederle scusa, prima di lasciarle poche lire e andarsene. «Uno come te, di sì e no vent’anni. E sarà Dio solo sa dove, probabilmente con il cranio crivellato.» Ne ignora il nome, a stento ricorda i lineamenti del suo viso, ma spera di tutto cuore che sia scampato al peggio.
È pietà quella che attraversa il volto del fratello, per un secondo? Compassione per l’ennesima vita acerba macellata dal nemico, alla quale Anna ha donato cinque, dieci minuti di distensione, in tutto quel raccapriccio?
Il giovane si volta verso l’ampia sala adiacente alla cucina, dove spera di trovare ancora un giaciglio su cui poter abbandonare i pensieri. «Domani mattina,» comincia con un tono incrinato, che va via via acquistando fermezza, «prima che il sole sorga, andremo da donna Lucia. Saprà chi chiamare e cosa fare».
«Non puoi! Va contro la morale, ciò in cui crediamo e…»
«Stronzate, Nannarè. Stronzate. Non esiste nulla di quello in cui credevamo prima del Quaranta, e lo sai anche tu,» biascica lui, stancamente, accasciandosi sul materasso di foglie di pannocchie. Lo scricchiolio gli procura un brivido nostalgico: ora si rende davvero conto che è finita, che è salvo, che tutto è da ricostruire, a partire dall’indomani. Sospira, chiudendo gli occhi: «E sai anche che è la miglior cosa da fare, ché nessuno crederà mai che quello non sia il figlio di un tedesco». Socchiude le labbra e schiocca la lingua, in attesa di una sommessa parola di resa – che non giunge. «Ti raderanno a zero, verrai marcata a vita e nessuno ti prenderà in moglie,» conclude, sperando d’indurla a comprendere.
«Possiamo aspettare che nasca e…» La voce le trema perché quella soluzione, ai suoi occhi, è persino più dolorosa e immorale di un aborto.
«La rota del Santo Spirito?» intuisce lui, contrariato. «No, non ne saresti capace. Te l’ho detto quel che si fa, domani.»
Anna, ancora appoggiata al tavolo della cucina, non replica; è una battaglia persa, lo sa, perché Ennio è un uomo – è suo fratello, è suo padre. Digrigna i denti, strizza gli occhi e regola l’intensità della fiamma del lume. «Quanti ne hai uccisi?» domanda dopo qualche minuto.
«Undici,» è la sua risposta distaccata. «Alcuni non li ho nemmeno visti in faccia.» Riecco Ezio, “l’Aquila”, il partigiano che ha salvato tanti compagni quanti nemici ha dilaniato.

Il numero le si stampa in mente per una, due ore, mentre il respiro regolare del fratello, dall’altra stanza – così improvvisamente ampia, buia, soffocante – si fa più pesante. Sarebbe fiera di lui, se solo non fosse così nauseata dall’odore del sangue.
È vero, ciò in cui ha creduto era un’illusione, ma anche quello di cui si è convinta negli ultimi anni è una bugia: l’empietà sopravvive alla guerra e la disumanità può presentarsi anche senza divisa, nella pelle e nel sangue a lei più prossimi.

Così come può presentarsi anche un sentimento opposto, fragile e inatteso, nelle sue carni sfibrate.
Abbandona la mano destra sul ventre, scoprendosi meno disgustata da se stessa. Ha compiuto atti di cui si vergogna, ha rubato, non ha mosso un dito per aiutare Antonia e ha perpetrato un peccato mortale per giorni e notti; ma di un’unica cosa, non si pente.
«Lui non sarà il dodicesimo,» sussurra, finalmente risoluta, riavendosi.

Raccoglie qualche abito ancora fruibile, poche lire e una fotografia scampata all’incuria generale; li avvolge in un lenzuolo e con passo furtivo, senza trovare il coraggio di voltarsi, abbandona le mura domestiche.
La guerra è finita e rimanere vivi continua a essere un imperativo.

 

 

 

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La storia è ambientata in una zona non precisata di Roma, alla fine della cosiddetta guerra civile italiana (8 settembre 1943 – 2 maggio 1945). Qui di séguito, qualche indicazione storica di cui mi sono avvalsa:

-          Dal 12 settembre 1943 i tedeschi presero il controllo di Roma, che nell’agosto dello stesso anno era stata dichiarata “città aperta”, cioè “bendisposta” all’occupazione nemica; da quel momento furono creati nuclei di resistenza ai nazifascisti – come i Gruppi d’Azione Patriottica (GAP), legati al Comitato di Liberazione Nazionale. Dal 22 gennaio 1944, per quanto formalmente suddita della Repubblica Sociale di Salò, la capitale divenne “zona di operazioni” diretta dai tedeschi. Fu naturalmente un periodo violento, caratterizzato da rastrellamenti di ebrei, antifascisti, sovversivi e partigiani, oltreché di razzie, stupri e rappresaglie (tristemente celebre è certamente quella delle Fosse Ardeatine).

-          Il primo bombardamento su Roma avvenne il 19 luglio 1943, ad opera degli Alleati, nel quartiere di San Lorenzo.  Da questa data a quella della Liberazione, le forze alleate hanno colpito ben cinquantun volte la città; è in uno di questi attacchi, nel settembre del 1943, che perde la vita la madre dei protagonisti. Ennio, nello stesso periodo, si unisce ai neonati GAP con il nome di Ezio (la cui origine latina viene fatta risalire al greco ἀετός [aetòs], “aquila”).

-          Gli Alleati entrarono a Roma il 4 giugno 1944; iniziò così la definitiva liberazione della città – anche se, ovviamente, la guerra civile tra fascisti (sostenitori della Repubblica di Salò e collaborazionisti dei tedeschi) e partigiani (sostenuti dagli Alleati) proseguì per quasi un anno.

-          Al termine del conflitto, le donne che avevano intrattenuto relazioni con i soldati tedeschi durante l’occupazione vennero tacciate di collaborazionismo e per questo furono trascinate in strada, spesso pestate, e umiliate pubblicamente con la rasatura dei capelli. Inutile dire che la stigmatizzazione sociale persistesse anche quando la chioma era ricresciuta.

-          La ruota degli esposti cui Ennio fa riferimento è quella dell’Ospedale di Santo Spirito. È una delle più antiche d’Italia e di essa si avvalsero moltissime madri dei cosiddetti figli di guerra.

-          La piena del Tevere del 17 dicembre 1937 fu una delle più alte mai registrate, ed è l’ultima annoverata come eccezionale. Del padre dei ragazzi, che lavorava al consolidamento degli argini, si sono perse le tracce presumibilmente durante la messa in sicurezza.

***

Note lunghissime, ma un po’ di storia fa sempre bene!

Questa OS non volevo nemmeno pubblicarla, in realtà, ma ormai sono qui ed è troppo tardi per tirarsi indietro, eh?

Non è nulla di troppo originale, immagino, ma per chi ha sempre e solo pubblicato fanfiction, credetemi, questa è un’originale, ahah!
Ringrazio la cara graciousghost per aver insistito tanto con me, affinché io “respirassi aria nuova”, e voi per la lettura. 
(Per i pomodori, mirate qui!)

Ophelia

   
 
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