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Autore: Daleko    10/03/2016    1 recensioni
Alla fine mi sono trasferito in Francia, a Montpellier. I sensi di colpa mi attanagliano ogni volta che quei ricordi mi sovvengono alla mente e forse mi riterrete un pazzo per essere venuto qui; probabilmente la pazzia mi muove sin da quando ho cominciato a scrivere questi diari, più di due anni fa, ma non riesco a liberarmi dei miei demoni attribuendoli a qualche tipo d’insanità mentale; no, quelle sono faccende da arcaico simbolismo russo e di certo non tangono me, stupido venticinquenne di provincia troppo impegnato a crogiolarsi in realtà passate per agire nel presente. Se voglio confessare tutta la verità, mio malgrado, devo ammettere d’agire in modo insensato più che disattento: e così, nella mia giovanile noncuranza verso il rischio e la stoltezza che mi muovono, m’è d’uso ormai farmi chiamare John.
Attenzione, Questo racconto è il seguito di "Queste non sono le mie memorie". Non dovrebbe comunque essere difficile comprendere la storia in quanto ci sono dettagliate ricapitolazioni riguardo i precedenti avvenimenti, tuttavia questo racconto risulta essere, ovviamente, molto più gradevole se letto in seguito al primo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Diari'
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Memorie da Montpellier
 

Alla fine mi sono trasferito in Francia, a Montpellier. I sensi di colpa mi attanagliano ogni volta che quei ricordi mi sovvengono alla mente e forse mi riterrete un pazzo per essere venuto qui; probabilmente la pazzia mi muove sin da quando ho cominciato a scrivere questi diari, più di due anni fa, ma non riesco a liberarmi dei miei demoni attribuendoli a qualche tipo d’insanità mentale; no, quelle sono faccende da arcaico simbolismo russo e di certo non tangono me, stupido venticinquenne di provincia troppo impegnato a crogiolarsi in realtà passate per agire nel presente. Se voglio confessare tutta la verità, mio malgrado, devo ammettere d’agire in modo insensato più che disattento: e così, nella mia giovanile noncuranza verso il rischio e la stoltezza che mi muovono, m’è d’uso ormai farmi chiamare John.
“Ma come, Federico! Attribuisci a te stesso il nome di Steinbeck?” è la frase che sorgerebbe spontanea sulle labbra di chiunque dopo aver letto i miei diari: e sia, lo citerò per rispondere a questo comprensibile interrogativo. “Ho finito per persuadermi che un uomo deve lasciarsi vivere”, scrive Steinbeck nel suo romanzo da Pulitzer. “Prendere la vita come viene, e non cercare di modificarla”: come potrei rimuovere questo nome dalla mia mente, dalla mia vita, dalla mia esistenza dopo che è stato sillabato più volte dalle labbra più dolci e dannate di questa Terra? Mi calza come una veste troppo stretta e spesso temo di soffocarci all’interno; quando pronuncio questo breve, falso nome che mi appartiene come il frutto proibito d’un furto artistico, ecco: l’aria mi manca e annaspo alla ricerca di essa. “John!” mi presento mentre la stessa parola mi esplode esclamata nei ricordi, da una voce giovanile e cristallina che mi procura dolore ogni giorno, ogni notte, ogni istante in cui la mia mente provata ritorna lontano nel tempo e nello spazio alla ricerca del suo viso.

Marie.
Riesco appena a balbettare il suo nome nei miei pensieri senza perdere il senno, anche se le ginocchia nivee mi tormentano ogni volta che le palpebre pesanti tentano di procurarmi un po’ d’immeritato ristoro. Le strade di Montpellier sono così ampie da accendere i fantasmi delle mie paranoie; occasionalmente mi fermo nei pressi d’un luogo imprecisato, uno come un altro, e penso: “Avrà visto quello che sto guardando adesso? Ha mai calpestato questo identico suolo, udito queste stesse voci nell’aria?”.
Forse, nonostante le mie speranze, alla fine impazzirò davvero. Ho tentato, con l’allontanarmi, di dimenticare il suono della sua voce e di cancellare la sua risata dal mio mondo onirico; tutto inutile, che sforzo vano! Al mattino, così come alla sera, il suo ricordo incastrato fra le ore della mia giornata è terribilmente presente. Perché ne scrivo ancora, perché? Ho solo bisogno d’uno sfogo, d’un piccolo spazio ove io possa rigurgitare questi pensieri e queste terribili parole d’odio e d’amore che non trovano più agio in me.

Come farò? Je suis si fatigué…



 

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Note dell'Autore
Sì, "Memorie da Montpellier" è il seguito di "Queste non sono le mie memorie". Credo che Federico abbia ancora qualcosa da dire, qualcosa da fare e decisamente ancora molto da comprendere. Non so quanti capitoli durerà questo continuo di una storia già di per sé difficile, ma so che era necessario cominciare a mettere nero su bianco, per iscritto, le riflessioni di Federico e il seguito della sua "non-storia" con Marie. Non so nemmeno se questa storia sarà più cruda della precedente, se più drammatica o più romantica; dopotutto questo è il presente, e Federico non ha ancora vissuto alcuna nuova avventura...
Spero di leggere i vostri commenti, le vostre recensioni e, in generale, qualsiasi cosa abbiate da dire ora o in futuro riguardo la storia. Vi ringrazio di aver letto fin qui e, ancora una volta, v'invito a ricordare che Nomi, luoghi e fatti narrati sono totalmente frutto della fantasia dell'autore. Riferimenti a persone, luoghi o eventi realmente accaduti è puramente casuale. Grazie ancora una volta per la vostra attenzione; a presto,
Dal.
   
 
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