Capitolo
secondo
Luna
non dirmi che a quest'ora tu già devi scappare
in
fondo è presto l'alba ancora si deve svegliare
bussiamo
insieme ad ogni porta
se
sembra sciocco cosa importa, Luna.
(Luna,
Gianni Togni)
Sta
ancora aspettando.
È
fradicio di gocce di pioggia, tiene la coda tra le gambe e il muso
chino. Non
riesce a guardare la strada, non riesce nemmeno a dormire.
Si
sente estremamente solo.
Dovrebbe
cercare un riparo, con l’arrivo del buio ha visto alcune luci
in lontananza. Ma
non osa andare, non osa lasciare il punto in cui il suo padrone
tornerà a
prenderlo.
Perché
lui è certo che
arriverà.
Finalmente,
dopo quello che è sembrato un tempo infinito, i fari di
un’auto compaiono in
lontananza. Li guarda muoversi e intanto sente il cuore accelerare il
battito.
Si
alza, e prende a correre verso la luce, dimentico dell’acqua.
Non è più stanco,
d’improvviso è tornato a sentire
l’energia dentro di sé, e la speranza, quella
speranza che lo ha spinto ad aspettare, sembra essere stata
ricompensata: non
ha mai dubitato del ritorno del suo padrone.
Batte
le zampe sull’asfalto, spostando tutto il peso da una parte
all’altra,
attraversa le pozzanghere formate nei tratti di strada avvallata, e va
incontro
al suo amore.
Prestò
tornerà a casa.
Con
la lingua a penzoloni continua il suo galoppo, mentre la pioggia si
placa.
È
vicino, le luci diventano sempre più grandi e illuminano la
pioggia che scende
trasversale.
Ma
quando l’auto rallenta, quando il finestrino si abbassa e lui
fa un balzo per
aggrapparsi alla portiera, non è il suo padrone quello che
trova. È una donna.
Una
donna che non conosce.
Torna
con le zampe a terra e tutta la frenesia, che aveva colmato la sua
solitudine,
scompare.
È
di nuovo solo, adesso.
Sente
il suono del freno a mano, quello che ha imparato a riconoscere
aspettando il
ritorno del suo padrone nel giardino di casa. Ma non è lui.
La
delusione spinge di nuovo le orecchie verso il basso e la coda tra le
gambe. Si
volta per tornare nel punto di attesa. Ma la donna lo chiama, scende
dall’auto
e si avvicina.
A
lui non importa.
Non
gli importa di quella donna, non gli importa di essere chiamato da lei,
gli
importa solo del ritorno del suo padrone.
Con
passo mesto si allontana.
«Aspetta!»
grida la donna. «Vieni qui, vieni bello… Dai,
vieni…»
Quelle
parole gli ricordano tanto Marta. La sua
Marta.
Volta
il capo e la aspetta. È bassa e tozza, molto diversa dalla
sua compagna di
giochi. Ha uno strano cappello, uno di quelli che Marta gli infilava in
testa
per poterlo fotografare.
«Non
ti faccio niente…» La donna parla con dolcezza, e
i suoi movimenti sono lenti,
meditati, quasi timorosi. Eppure non ha paura, lui lo sa.
«Bravo… Bravo,
bello…»
Vede
la sua mano allungarsi verso il collo e resta a guardarla. Lascia che
se le sue
dita frughino nel pelo, finché non è lei ad
allontanarle. Le riavvicina per
fargli una carezza.
«Non
c’è… Non sei perso, piccolo.
Però adesso come faccio a farti salire in
macchina? Ci verrai con me?»
La
donna lo guarda come ad aspettarsi una risposta. Ma lui non ha niente
per lei.
Né un guaito, né un lamento, non riesce a sentire
niente di diverso dalla
gratitudine. Gratitudine per quella mano sul suo pelo, per quel tono
dolce, per
le carezze.
«Vieni,
dai… Vieni, piccolo.»
Lei
continua a chiamarlo, a chiedergli di seguirla. Ma non
può… Cosa direbbe il suo
padrone se si allontanasse?
È
triste, e non ha voglia di scodinzolare. O forse, semplicemente, non ne
ha la
forza. Perché tutte le sue speranze sono svanite nel momento
in cui il
finestrino si è abbassato e, lui, non ha scorto
l’uomo che aspettava…
«Com’era
il numero da chiamare? Oh, non lo ricordo più! Dai vieni,
bello. Vieni con me.»
La
donna batte le mani sulle cosce, come a dirgli di seguirla.
Non
sa perché, sa solo che è sbagliato, ma va da lei.
Arriva all’auto, allo sportello
aperto e, senza pensare, senza più chiedersi nulla, sale in
macchina.
«Vedrai,
starai bene. Non posso tenerti, ma troveremo qualcuno. Non finirai in
canile.
Non tu.»
┌
Chi non ha mai
posseduto un cane non sa cosa significa
essere amato.
(Arthur Schopenhauer)
┘
La
spiaggia è sassosa, e sembra quasi unirsi al paese che si
inerpica sulle
colline. L’acqua che ha davanti sembra racchiusa dai due
lunghi perimetri di
costa che ha intorno.
Tobia
si è appena liberato della giacca primaverile. Fa troppo
caldo per poterla
tenere, Luna lo sa, ma resta coperta.
«Non
c’è nessuno» mormora Tobia sedendole
accanto. Stringe gli occhi per il sole, e
Luna segue il suo sguardo: sono soli.
«Motivo
in più per studiare.»
Si
porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lascia che il
vento volti
pagina per lei. Non è davvero intenzionata a studiare, sa
che non è il luogo
adatto. Non per lei.
«Qui?
Eddai, Luna…»
Lei
sposta lo sguardo dalle scarpe da tennis al volto di Tobia.
È arrabbiata.
È
arrabbiata perché vorrebbe che fosse già
venerdì sera, per poter prendere il
treno e tornare a casa. È arrabbiata perché sa di
dover studiare, ma non ne ha
voglia. Ed è arrabbiata anche con Tobia, anche se non sa
perché.
«Allora
interroghiamoci. Sarà come studiare.»
La
fronte di Tobia si sta bagnando di sudore. Non è nemmeno
giugno, eppure lui soffre
già il caldo. Scuote la testa per dirle di no, che non gli
va.
Rimangono
un momento in silenzio; Luna distende le gambe sui ciottoli, lascia
cadere il libro
sul fianco e resta a fissare il mare. È scomoda e dolorante,
ma questo non fa
altro che farla sentire viva, come se essere sola, in riva al mare,
seduta sui
sassi, potesse solo farla stare bene.
C’è
Tobia con lei, è vero, ma è talmente abituata
alla sua presenza da non
considerarlo un altro.
È
Tobia, il suo amico di scuola, il suo coinquilino fuori sede, che segue
i suoi stessi
corsi.
«Arriva
qualcuno» mormora lui, chinandosi vicino al suo orecchio.
È
sempre così silenzioso da farle chiedere come possa fare
tanto rumore quando si
muove. Ma ha detto la verità: in lontananza una figura si
avvicina di corsa,
tanto da farle pensare a una madre con un bambino.
Ma
non è così.
«C’è
un cane!» grida Luna spostando il peso del corpo in avanti.
Sorride a Tobia.
L’animale
corre sulla battigia insieme al suo padrone. È libero, il
mantello crema luccica
al sole, e le zampe schizzano acqua salata.
Luna
può vedere le gocce splendere di luce. Ma è il
cane che osserva, i muscoli che
danzano nel galoppo, il muso nero rivolto al ragazzo che è
con lui, la lingua
di fuori, che rende espressivo il suo muso.
Ma
poi lei muove le braccia per farsi notare.
«Ehi!»
grida, rivolta all’animale.
E
lui la vede.
Il
ragazzo si ferma a riprendere fiato mentre il mastiff passa al trotto
per
raggiungerla. Scodinzola, e Luna si solleva sulle ginocchia per fargli
segno di
avvicinarsi.
«Ti
prenderà per pazza…» sussurra Tobia,
facendo un cenno verso il padrone.
Ma
a lei non importa.
Adesso
la cosa che più vuole è poter accarezzare il
cane, e rubargli un briciolo d’amore.
Quando
lui è a un passo da lei, Luna allunga la mano per fargliela
annusare. Si
presenta, così da non spaventarlo, anche se sa
già di non essere temuta.
«Argos!»
grida il ragazzo facendo qualche passo per avvicinarsi.
Luna
sente i suoi occhi impazienti addosso.
«Ciao,
Argos…» gli sussurra con dolcezza fra una carezza
e l’altra.
Ha
il viso vicinissimo al suo muso, e riconosce lo sbuffo di Tobia.
«Scusate,
vuole solo giocare. Non vi fa niente» dice il padrone, e
sembra abituato a ripetere
quella nenia.
Luna
gli lancia un’occhiata veloce, sorride, e torna a
preoccuparsi del cane. È un
bel ragazzo, è riuscita a notare il fisico atletico e i
lineamenti decisi.
«Non
è un fastidio» risponde Luna scostando le ciocche
ribelli. «Anzi.»
Al
sole i suoi capelli appaiono rossi, tanto da attirare lo sguardo di
lui. Luna
sposta gli occhi dal ragazzo a Tobia, e nota la sua espressione
contrita.
«Grazie.»
Il
padrone di Argos sorride, ed è un sorriso sincero quello che
Luna si trova ad
ammirare.
«Non
sono in molti a fargli i complimenti.»
Argos
continua a scodinzolare, tenta di leccarla, e sembra felice delle sue
attenzioni.
«Ah
no?» chiede Luna rivolta al cane. Solleva il muso con le mani
e lo guarda. «E
chi è che dice che non sei bello, tu? Eh? Ma chi
è che lo dice…»
Argos
uggiola e cerca di salirle sopra, spinge le zampe contro di lei e
riesce a
rovesciarla a terra.
«Basta!
Basta, Argos!» Il ragazzo lo afferra per il collare,
togliendoglielo di dosso.
«Mi dispiace! Scusa!»
Allunga
una mano per aiutarla a tirarsi su, e Luna la accetta, sorridendo.
«Ci
sono abituata.»
Si
scambiano un’occhiata, un istante che sembra durare a lungo,
e Luna sente una
scossa scenderle lungo la schiena. Lo vede voltare il capo verso la
spiaggia,
come se fosse tentato di andarsene.
Ma
poi ci ripensa.
«Vieni
spesso a studiare qui?»
Luna
segue lo sguardo di lui, puntato verso il libro di diritto privato.
Arrossisce,
perché sa di non aver letto nemmeno un paragrafo. Solleva il
mento.
«Forse…»
«Che
significa forse?»
Luna
scrolla la testa e ride: è un gioco al quale non
è abituata.
«Significa
che forse vengo, forse no…Dipende.»
Il
ragazzo la guarda stranito, ma non smette di sorridere.
«Da
cosa?»
Luna
non gli risponde, gli lancia una lunga occhiata prima di riavvicinarsi
ad
Argos. Lo accarezza.
«Lo
porto qui tutti i giorni» spiega il ragazzo, allentando la
presa sul collare.
«Se ti va di rivederlo…»
Tobia
dà un colpo di tosse quando lei continua a rimanere in
silenzio.
«Allora
a presto, Argos…» mormora Luna, grattandogli le
orecchie.
Lo
lascia andare, e il padrone deve tirarlo per riuscire ad allontanarlo
da lei. La
guarda ancora e ancora, come se si aspettasse qualcosa.
«Il
tuo nome?» chiede il ragazzo.
Luna
si aspettava quella domanda.
«Luna,
e non ricordo mai i nomi dei padroni. Solo dei cani.»
Vuole
essere una richiesta, e infatti lui sorride.
«Allora
è inutile che te lo dica.»
Luna
li guarda allontanarsi, ricambia l’alzata di mano volta a
salutarla, e si sente
bene. È davvero una bella giornata per lei.
Solo
allora sembra ricordarsi di Tobia, e quando si gira lo trova intento a
osservare il mare. Ha l’espressione corrucciata di quando
litiga con Luna, o di
quando lei gli fa qualche torto.
Ma
ora non è successo nulla, non hanno nemmeno
parlato… Luna non riesce a capire.
«Che
hai?» gli chiede, decidendo finalmente di togliersi la giacca.
La
mano corre al girocollo di velluto nero, e ne segue i tratti
finché non trova
il ciondolo. È bello, d’argento, a forma di cane.
Luna lo aveva desiderato
qualche mese prima, a una fiera; ed era stato Tobia a comprarglielo.
«Niente.»
«Non
è vero. Guarda che ti vedo.»
Esce
il vento in quel momento, un vento che increspa le onde del mare,
facendole
apparire minacciose. Sembra riflettere l’animo di Tobia.
Ed
è allora che lui si volta a guardarla. Stringe fra le mani
la sua giacca
leggera, tanto da far diventare bianche le nocche, e arriccia le labbra.
«Hai
una fissazione con questi cani…»
Suona
come un insulto e, se Luna non lo conoscesse bene, se non sapesse che
parla
così solo perché è arrabbiato,
tuonerebbe contro di lui, dando vita a un vero
scontro.
Invece
sospira, spinge indietro i capelli e, di nuovo, una ciocca rimane
incastrata
nell’anello.
È
Tobia, con un gesto rapido, a liberarla.
Luna
sente le mani di lui bollenti, e si chiede come possa avere
così caldo. Forse,
pensa, è la rabbia.
«Lo
sai che ci tengo.»
Sembra
una giustificazione, ma Tobia scrolla le spalle. Non la guarda in
faccia, come
quando è lui a sbagliare, e Luna si chiede perché.
È
strano. Tobia si comporta in modo diverso.
«Tieni
solo a loro…»
Luna
lo guarda accigliata. Il fuoco, quella fiamma che tiene vivi i suoi
ideali,
torna a bruciare dentro di lei.
«Non
è vero!» grida, sollevandosi in piedi.
Sente
le gambe indolenzite per le pietre, ma non lo dà a vedere.
«Non
è vero, Tobia! Non puoi dirmi così!»
Indossa in fretta la giacca, e sembra
pronta ad andare via. A tornare al loro piccolo appartamento in
affitto, quello
che paga sempre Tobia. «Io ci sono per te. Io ci sono sempre
stata. Non so
perché hai scelto di seguire i miei stessi corsi, ma
l’ho apprezzato, perché
vuol dire che sono come una sorella per te» Riprende fiato,
sente gli occhi
bruciare al sole, e cerca quelli di Tobia. «Mi hai detto di
non preoccuparmi
per la casa, che ci avresti pensato tu. E non l’ho mai
dimenticato. Prendiamo
il treno per tornare dalle nostre famiglie insieme, anche se io potrei
partire
il giorno prima, ma ti aspetto. Non sei solo tu a tenerci.
«Anche
tu, per me, sei come un fratello.»
Tobia
sgrana gli occhi, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno
viso.
«È
perché non ho ancora un cane, vero?» suggerisce
lui, alzandosi a sua volta. Ha
un che di minaccioso, ma Luna lo affronta da vicino.
«È solo per i cani che fai
così! Tu te ne approfitti, Luna!»
Le
sue parole sono incomprensibili per Luna.
E
le fanno male.
Improvvisamente
perde la voglia di litigare. Scuote la testa e fa per andarsene.
Afferra il
libro abbandonato, lo zaino, e fa qualche passo sulla spiaggia.
Il
sapore della salsedine è sulle sue labbra, eppure, mentre
pronuncia quelle
parole, Luna sente un gusto amaro in bocca.
«È
perché non l’hai mai avuto. E non hai idea di cosa
significhi» dice.
Poi
si volta e se ne va.
┌
Auschwitz inizia
quando si guarda un mattatoio e si
pensa: "sono soltanto animali."
(Theodor Wiesengrund
Adorno)
┘
Marta
si chiede se Anna la accompagnerà a fare una passeggiata
sulla strada che dà
sul mare. Sarebbe bello parlare un po’ con lei; quando sono
sole, Anna è più
dolce e sembra anche più disposta a confidarsi.
«Esci?»
È la prima cosa che le chiede sua madre quando la vede
prendere la giacca.
«Mando
un messaggio ad Anna e guardo se viene con me… Altrimenti
vado da sola.»
Sua
madre non sembra contenta. Storce il naso e incrocia le braccia sul
petto.
«Posso
venire io con te, se vuoi…»
«No.»
La
risposta di Marta è immediata. In quel momento pensa che se
il suo cane fosse
ancora con loro, potrebbe portarlo al parco, come faceva sempre. Senza
Anna.
Ma
adesso che lui non c’è, ora che Marta è
costretta a uscire da sola, non le va
di andare al parco, e non le va di rimanere senza nessuno. Per questo
estrae il
cellulare dalla tasca dei jeans e cerca il nome di Anna.
Lungomare?
È
una parola sola.
Ma
Marta è sicura che Anna capirà e
deciderà di accompagnarla. In fondo è la sua
migliore amica.
Ha
anche aggiustato i capelli per lei, e vuole farle vedere il lavoro
benfatto di
Becca.
«Io
vado, ciao!»
Mentre
richiude la porta, lo sguardo corre alla casetta vuota in cortile. Si
chiede
dove sia ora, cosa stia facendo, se si ricorda ancora di lei.
Ma
si risponde di no, perché suo padre le ha spiegato come sono
i cani.
«Sono animali, Marta. Sono solo animali.»
Marta
tira verso il basso la maglia della tuta nuova, quella piena di glitter
che le
ha regalato Anna per il suo compleanno. È di un blu scuro, e
Marta riesce a
pensare solo che prima, quando c’era ancora lui,
non l’ha mai indossata. Non voleva che si riempisse di peli,
non voleva che si
rovinasse.
Ma
ora può.
In
fondo ci sono cose positive dalla separazione da lui. Non ha ancora ben
capito
cosa, ma ci sono.
Aveva
paura di essere morsa, anche se il medico, dopo aver chiesto la stazza
del
cane, le ha spiegato chiaramente che non era un verso morso. Le ha
detto che se
il suo animale le avesse voluto fare male, lo avrebbe fatto. E non
sarebbero
bastati dei punti per rimettere insieme i pezzi.
Ma
suo padre è stato chiaro: niente più cani.
Lei
ne vorrebbe prendere un altro, un cucciolo magari. Uno piccolo,
così da non
correre rischi.
E
anche sua madre è contraria…
Non
posso.
È
la risposta di Anna.
Marta
si chiede perché non possa uscire con lei, cosa ci sia di
più importante. Pensa
che forse suo padre ha ragione, sono soltanto animali, ma il suo cane
non le ha
mai detto di no.
Non
si è mai sentita rifiutata da lui.
Non
come ora si sente rifiutata dalla sua migliore amica…
Prende
le cuffie e le infila nelle orecchie, saranno la sua unica compagnia
quel
giorno. Perché sì, saranno soltanto animali, ma
se il suo cane fosse ancora con
lei, ora non sarebbe sola.
┌
È il
momento di separarsi.
Lei non sa cosa
dire, sa solo che è giusto così.
Perché
questo è solo un nuovo inizio…
┘
Luna che cosa vuoi
che dica non so recitare
ti posso offrire
solo un fiore e poi portarti a
ballare
vedrai saremo un po'
felici
e forse molto
più che amici... Luna!
(Gianni
Togni)
Note
dell’autrice:
Non
vi ho ancora svelato il perché del titolo.
Non
sarà una storia veloce, forse proprio perché
nella mia mente è nata come one
shot, per poi diventare una mini long… Adesso invece
è una long a tutti gli
effetti. Ci sono cose che voglio approfondire, ma rimane una storia, e
devo
poter dare un soffio di vita a tutti i personaggi.
Alla
prossima!
Celtica