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Autore: FairLady    11/03/2016    2 recensioni
[BonKai!]
Lui, Kai – sì, poteva dirlo, poteva azzardarsi almeno a pensarlo, quel nome – era al limitare del bosco che la implorava con lo sguardo. Era ferito – forse più nell’animo che non nella carne – e urlava il suo nome.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie Bennett, Kai Parker
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Aprì gli occhi di scatto, cercando di normalizzare il respiro che, per qualche incomprensibile motivo – o, forse, comprensibilissimo – galoppava a un ritmo esasperato.
Bonnie si mise a sedere, il lenzuolo scivolò giù lasciandola in balia di una gelida folata di vento proveniente dalla finestra aperta. D’istinto, una mano si alzò a sistemare una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre l’altra accarezzava la coperta accanto a sé nel tentativo di riacquistare un po’ di calma.
«Era solo un sogno, Bonnie. Solo un… sogno.»
Già, lo aveva sognato di nuovo: ne era passato di tempo; e lei che aveva creduto di essersene liberata. Si era illusa di essere riuscita a chiudere quei pensieri – quei sensi di colpa, quei… non sapeva nemmeno lei cosa – in un cassetto in fondo all’anima, e invece…
Il suo subconscio malato le aveva giocato davvero un pessimo tiro riproponendole l’unico volto che mai e poi mai avrebbe voluto rivedere, eppure c’era qualcosa che le sfuggiva, un dettaglio a cui non aveva prestato particolare attenzione. Assurdo…
 
Few months before…
 
Con la fronte madida e un senso di nausea che le rendeva difficile persino respirare, Bonnie se ne stava accoccolata in un angolo del bagno. Il Whitmore sonnecchiava nel suo solito buio nebbioso; persino Caroline aveva finalmente trovato il tempo di dormire un po’; e lei? Lei continuava, notte dopo notte, a rivivere l’incubo.
Le prime volte apriva gli occhi nel più totale terrore; le capitava di accorgersi di urlare, in quel suo stato di semi–incoscienza – urlare per qualcosa, o contro qualcuno, questo non era stata in grado di capirlo.
Erano pochi fotogrammi, così veloci da farle paura: lei che pronunciava l’incantesimo stringendo l’ascendente, lui che gridava il suo nome, con urgenza e desolazione nella voce e, infine, il proprio corpo esanime, in una pozza di sangue, in mezzo alla neve.
Si era sempre svegliata di soprassalto, sudata, spaventata, tremante. Non era mai stata capace di spiegarsi veramente perché, perché continuasse a vederlo, a sentirlo; così vivo, così reale.
Si alzò da quel buco vicino alla vasca, respirava ancora con affanno, ma il peggio – anche quella notte – era passato. Ormai era diventata brava a non farsi sentire, a diventare invisibile, impalpabile; esattamente come lo era sempre stata la sua vita da quando i vampiri e il soprannaturale erano entrati a farne parte. La Bonnie altruista, la Bonnie generosa; quella sempre pronta a mettere i bisogni dei suoi amici davanti ai propri; la sua esistenza dopo la loro.
Si avvicinò allo specchio e aprì il rubinetto; si sciacquò il viso nel vano tentativo di sistemare almeno in parte il casino che era. Quelle occhiaie, però, non se ne sarebbero andate così facilmente, e ancor più difficilmente se ne sarebbe andato quel peso che continuava a opprimerle il petto dalla notte in cui lo aveva abbandonato.
«Dillo! Dillo, Bonnie!», sussurrò quasi con cattiveria, guardandosi allo specchio, dritta negli occhi. «Pronuncia quel nome, dì quella frase a voce alta!»
Ricominciò a piangere silenziosamente, scossa da singhiozzi che non sarebbe mai riuscita a spegnere se non fosse stata sincera – almeno una volta, almeno con se stessa.
«Scusami.», sussurrò fra le lacrime. «Perdonami se ti ho abbandonato.»
D’un tratto Caroline entrò in bagno, trovando l’amica sconvolta, appallottolata vicino al lavandino.
«Ehi, Bonnie…», per strano che fosse, la vampira non fece alcuna domanda. Si limitò a sedere accanto alla strega e la strinse forte; lei si lasciò cullare in quell’abbraccio, sentendosi in difetto nell’accettarlo perché in cuor suo era convinta di non meritare comprensione, né perdono, tantomeno consolazione. E con il mento appoggiato alla spalla della bionda, alzò lo sguardo al cielo.
«Perdonami, Kai.»
 
Today
 
Con la testa persa nella decina di grimori, alla ricerca disperata di un incantesimo per tirare fuori Stefan e Damon dalla Pietra della Fenice, continuava a pensare a lui, a quel sogno; quei pochi istanti avevano disseppellito mesi di auto–afflizioni, di risentimenti verso se stessa, di sensi di colpa che non credeva di dover provare – dopo le efferatezze che quel gemello difettoso aveva commesso, dopo tutte le cose orribili che le aveva fatto -, ma che si presentavano ugualmente a chiedere il conto.
Tutti i sentimenti contrastanti che aveva sempre covato da allora erano lì, pronti a ghermirla di nuovo e a farle mettere tutto ancora una volta in discussione. Tutto. Se stessa. Loro.
Più cercava di liberare la mente dal costante chiodo fisso che ormai quel sogno era diventato, meno riusciva a concentrarsi su qualcosa – qualcuno – che non fosse lui.
Erano sempre gli stessi fotogrammi che le vorticavano in testa…
 
~ “Sometimes the dreams that come true are the dreams you never even knew you had.” ~
 
«Sangima Maerma, Bernos Asescenda», i suoi amici, Elena e Damon, insieme con la signora Salvatore, lì accanto a lei, pronti per essere riportati nel mondo reale. Lui, Kai – sì, poteva dirlo, poteva azzardarsi almeno a pensarlo, quel nome – al limitare del bosco che la implorava con lo sguardo. Aveva l’aria di chi era appena stato ferito – forse più nell’animo che non nella carne – e urlava il suo nome.
Poi, all’improvviso, lei si ritrovava distesa nella neve, una pozza di sangue – il suo – a farle da letto. Era terrorizzata e piangeva, ma non voleva svegliarsi. Voleva restare e pagare, almeno nei propri sogni, per quello che aveva fatto – per non avergli permesso di dimostrare quanto veramente fosse cambiato; per avergli negato una possibilità, come invece aveva fatto tante volte con altre persone. Meno meritevoli?
Kai si alzava da terra e la raggiungeva velocemente, il cappotto zuppo, pieno di neve. Le si posava accanto e lei, tutte le volte, credeva che di lì a poco le avrebbe inferto il colpo di grazia; invece imponeva le mani sul suo petto e, pronunciate poche parole, la guariva. Il buco nel petto svaniva e quel peso soffocante sullo sterno si dissolveva, come la nuvoletta di vapore che fuoriusciva dalle loro bocche gelate.
Si guardavano poi per un lungo istante, gli occhi di Bonnie annegati di lacrime.
Improvvisamente iniziava a sentire che la realtà la stava chiamando, che la tirava da un braccio per riportarla alla vita che, da quando lo aveva abbandonato, temeva di non meritare più così tanto. A breve si sarebbe svegliata, ma cercava ancora con tutte le forze di restare aggrappata a quel sogno, a quell’istante in cui finalmente avrebbe saldato i suoi debiti – almeno lì, in quell’impalpabile mondo onirico.
Kai però, contro ogni aspettativa, si chinava sul suo volto, mentre d’istinto Bonnie chiudeva gli occhi, nell’attesa di accusare il colpo finale, percependo, invece, delle labbra gelide – quelle del suo aguzzino, verso il quale non era in grado di provare più odio di quanto non ne provasse per se stessa –  premere sulla sua fronte, posandovi un bacio leggero.
La strega, intimorita, apriva lentamente gli occhi, indolenziti per le troppe lacrime, increduli. Kai le sorrideva – di quel sorriso fanciullesco e sincero che poche volte gli aveva visto indossare –, e le sussurrava all’orecchio solo tre parole: «Io ti perdono.»
 
***
 
Caroline stava camminando avanti e indietro nella stanza, nervosa non tanto per Damon che giaceva lì sul tavolo, quanto per Stefan che si era di nuovo ficcato nei casini per colpa del fratello. Bonnie sentiva che, pur non volendo, i presenti stavano giudicando la sua incapacità di finire quell’incantesimo. Era chiaro che qualcosa non stava funzionando se ancora, dopo ore, i fratelli Salvatore non erano tornati indietro da qualunque fosse il posto in cui erano finiti.
Bonnie ci stava provando con tutte le sue forze, ma forse la sua mente era troppo affollata, troppo debole, troppo confusa, per essere in grado di arrivare fino in fondo; e i suoi amici non le stavano rendendo facile il compito, soffiandole sul collo come condor.
«Bonnie, so che ti stiamo chiedendo un grande sforzo, ma provaci ancora. Non ti arrendere.»
La strega sbuffò di frustrazione e si volse a guardare l’amica. Aveva ragione, non doveva perdere le speranze, doveva trovare la concentrazione giusta e salvare le vite dei suoi amici, ché lei sapeva bene a quanta gente avevano dovuto lasciare per strada, ed era sicura che non avrebbe retto ad altri addii.
E stava già abbastanza male, tra Elena chiusa in una bara, con la vita legata alla propria e… Ka… no, nient’altro.
«Forse io posso darvi una mano», Caroline raggiunse con lo sguardo la porta d’ingresso dove Valerie aveva appena fatto la sua comparsa. Bonnie scrutò la strega appena arrivata, indecisa se fidarsi o meno. Era stanca di continue prese di posizione e colpi di scena; desiderava semplicemente riportare indietro Damone e Stefan a farla finita – ché, forse, se avesse risolto almeno quel problema si sarebbe sentita un tantino più leggera.
 
***
 
Le aveva provate tutte ormai e, dopo l’ennesimo tentativo, le candele si erano spente, segno che qualcosa era sicuramente accaduto – ché di folate di vento non ne aveva avvertite. A Bonnie – e a Caroline e Valerie – non restava che aspettare. Non sapevano bene in che condizioni Stefan e Damon sarebbero tornati, ma sarebbe stato già tanto se si fossero riappropriati dei rispettivi corpi.
Finalmente, dopo un tempo che sembrò a entrambe infinito, prima Stefan e poi Damon ripresero conoscenza.
Caroline si fiondò sul suo fidanzato per assicurarsi che fosse tutto intero, che stesse bene, che fosse… lui, lasciando l’eretica indietro.
Bonnie fece la stessa cosa con il suo migliore amico, ché per la prima – anzi, seconda – volta in vita sua non era mai stata più contenta di vederlo aprire gli occhi e sorriderle.
«Ehi, Bonnie… come, come hai fatto a…»
«Sh, zitto e abbracciami!»
 
***
 
Kai si alzò in piedi, l’espressione stupefatta di chi non credeva nemmeno per sogno a ciò che vedeva, che sentiva. Si avvicinò al grande specchio del salone, toccandosi il viso e dipingendosi in volto un sorriso di incredulità, gli occhi azzurri che brillavano – così diversi da quelli che ricordava suoi, eppure in qualche modo così simili.
Dietro di lui scorse nel riflesso Bonnie che lo fissava con le labbra curvate all’insù, a mostrare felice la sua meravigliosa fila di denti bianchi. Stava sorridendo mentre lo guardava, mentre guardava lui!
Non era certo quel tipo di sorriso – quello che in qualche modo aveva sperato, nell’ultimo periodo prima di quella notte nel 1904, di vederle addosso indirizzato a lui, ma poteva ritenerlo già un inizio.
«Damon, come ti senti? È… è tutto ok?», Stefan lo interrogò, indovinando nella sua voce un lieve timore.
«Io, sì… Damon, Damon sono io. Sì, è tutto ok… Sono solo un po’ frastornato», avrebbe dovuto prestare molta più attenzione ai modi di fare di quel vampiro dagli occhi blu, dovette ammettere a se stesso, Kai.
«Vi sentirete un po’ confusi, chissà cosa avete passato là dentro, ragazzi… ma la bella notizia è che siete tornati e siete nei vostri corpi», Bonnie sembrava soddisfatta di sé, ma in qualche modo – in fondo a quel verde che tante volte aveva fissato nella vana speranza di conquistarsi almeno il suo rispetto – leggeva una nota trista, cupa; un velo che stava coprendo anche la gioia di aver salvato i suoi amici.
«Bonnie, non so come tu ci sia riuscita, ma… grazie.»
Era la prima volta che Kai pronunciava una parola di gratitudine verso qualcuno e, benché la strega – le streghe, perché di fronte ne aveva due, lo sentiva – avesse fatto l’incantesimo per tirar fuori dalla Pietra i fratelli Salvatore – e non lui, il cui corpo marciva chissà dove – le era grato.
Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto in quel corpo che a lui pareva persino inutile – nonostante i superpoteri vampireschi e l’immortalità –, ma sapeva che, qualunque cosa avesse deciso di fare, sarebbe cominciata con Bonnie Bennett.
 

 
 
 
 
   
 
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