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Autore: AdeleBlochBauer    13/03/2016    2 recensioni
Se Valjean fosse stato presente quando Javert tentò il suicidio.
Un percorso morale e spirituale che, da qui, può scaturirvi.
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Una storia scritta qualche tempo fa, dedicata unicamente all'amore e alla gratitudine per Victor Hugo.
Non chiedo nulla e non ho nessuna pretesa: ma, forse, se hai amato I Miserabili quanto l'ho amato io, forse questo ti piacerà.
O, almeno, lo spero.
Grazie.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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VIA LUCIS 



“La mer est ton miroir;
tu contemples ton âme

Dans le déroulement infini de sa lame,
Et ton esprit n'est pas un gouffre moins amer.”


 
“Il mare è il tuo specchio;
contempli la tua anima
Nello svolgersi infinito della sua onda,
E il tuo spirito non è un abisso meno amaro.”



- Charles Baudelaire, L’homme et la mer [L’uomo e il mare]


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PARTE PRIMA
ECCE HOMO

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1. La possibilità che due uomini pensierosi si incontrino sul lungosenna


“Macchinalmente, Jean Valjean si affacciò alla finestra e si chinò verso la via, che è breve e rischiarata dal fanale da un capo all’altro. Rimase alquanto meravigliato non scorgendo più nessuno. Javert era andato via.”

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Jean Valjean  percorreva il lungosenna nella direzione del Quai des Ormes. Seguiva, senza saperlo, il tragitto di un altro uomo, che pressappoco un’ora prima aveva percorso quello stesso tratto di strada nella medesima direzione. I passi di Jean Valjean erano, come quelli di chi l’aveva preceduto, lenti; le sue mani erano incrociate dietro la schiena esattamente come aveva fatto l’altro, su quello stesso sentiero. In effetti, solo un particolare differenziava la camminata di Valjean dall’uomo di cui lui, ignaro, calpestava le impronte: e questo particolare era la testa, che lui teneva alta, mentre l’altro aveva proceduto con lo sguardo basso.

Forse i lettori più accorti (o i più appassionati dell’opera a cui noi facciamo umilmente riferimento) hanno già intuito l’identità di questa figura misteriosa che, prima di Valjean, si era diretta da Rue de l’Homme-Armè al lungofiume. A chi si ritrova invece disorientato, poiché non tutti sono obbligati a conoscere a menadito il romanzo che ha ispirato la stesura di questo racconto, diciamo questo: il nome di quest’ uomo, singolarissimo personaggio in marcia da sempre e vagabondo per la prima volta, è il protagonista di questa breve storia.
Ma torniamo a Valjean, che fiancheggiava la Senna con lo sguardo rivolto verso le stelle. L’altro uomo, che davanti alla Senna ha abbassato la testa, lo incontreremo fra poco.

Valjean, dunque, era appena uscito da casa sua a Rue de l’Homme-Armè. Lì, aveva già regolato tutto il necessario: aveva avvertito Cosette delle condizioni di Marius, spiegandole che l’avrebbe trovato a casa del nonno in Rue des Filles-du-Calvaire, le aveva dato tutte le indicazioni del caso e l’aveva abbracciata per l’ultima volta. Valjean aveva ben visto che Javert era indubbiamente sparito da sotto casa sua, ma non aveva creduto neppure per un istante che egli potesse aver rinunciato ad arrestarlo: era dolorosamente ma fermamente convinto che sarebbe stato scortato in prigione da lì a poco. Conosceva fin troppo bene l’indole di Javert per considerare le cose in modo diverso. Dal canto suo, si sentiva già le manette ai polsi: aveva quindi sfruttato il tempo che Javert, volontariamente o no, gli aveva concesso, per regolare le ultime disposizioni con Cosette e per i suoi averi.

I motivi che avevano spinto Javert ad allontanarsi da Rue de l’Homme-Armè era l’ultima cosa che lo preoccupavano. Magari l’ispettore, ricordandosi della strabiliante forza fisica di Valjean, aveva ritenuto più saggio chiedere rinforzi al più vicino posto di Polizia, tanto per essere sicuro di stringerlo fra gli artigli una volta per tutte. Oppure, al contrario, ormai certo di averlo in pugno, si era assentato per uno qualsiasi dei suoi doveri di funzionario a cui era stato urgentemente richiamato. Ma che importava? Qualunque fosse la causa della momentanea assenza di Javert, una cosa era certa: era momentanea. Se Valjean aveva ricevuto la grazia di qualche istante in più da uomo libero era perché, non aveva dubbi, la sua condanna all’ergastolo era già decisa e firmata.

Non era stato facile, per Valjean, uscire di casa per quella passeggiata, l’ultima che lui avrebbe potuto condurre all’esterno di quattro mura. Una grande parte di lui avrebbe voluto passare quei minuti a casa sua, assieme a Cosette. Ma il pensiero di sedersi accanto a lei, guardarla piangere per Marius sapendo che, appena Javert sarebbe tornato, quella ragazza avrebbe dovuto sopportare il dolore non solo per il pericolo mortale del fidanzato, ma pure per la condanna del padre, lo opprimeva. Non le aveva detto nulla dell’arresto: perché mai infliggerle anche questo colpo, in un tale momento, quando lei già era distrutta dal dolore e dalla paura di perdere Marius? No, si sarebbe consegnato a Javert senza dirle nulla, e le avrebbe spiegato tutto il giorno dopo con una lettera dalla prigione.

Il comportamento di Jean Valjean potrebbe non sembrare corretto a più di uno dei lettori, e forse avrebbero ragione: aspettare che una cicatrice si rimargini, approfittare della sua guarigione solo per infliggere allo stesso corpo un’altra ferita mortale, sanguinosa come la prima? Sembra impossibile che un padre, e soprattutto un padre sensato e amorevole come Jean Valjean, possa ragionare in questo modo nei confronti della figlia. Ma, prima che il lettore imponga su Valjean un giudizio che davvero lui non merita, ci limitiamo a fare osservare ciò: che Valjean, benché sia un essere umano di proporzioni morali quasi divine, un essere umano rimane. E, come tale, soffre la paura. Lui, che per tanti anni mai aveva dato segno di temere qualcosa, era ora terrorizzato dal pensiero di assistere all’espressione di Cosette alla notizia del suo arresto. Dopo tutto quello che aveva fatto, non era riuscito a tirare fuori il coraggio per restare nella stessa stanza della figlia con un tale segreto nel cuore. L’essere umano è così: noi non lo biasimiamo né lo lodiamo, semplicemente ne contempliamo le affascinanti discordanze e le profondità di certi contrasti totalmente illogici, eppure così innegabilmente semplici e naturali.

Inoltre, per amor di esattezza, dobbiamo dire che non fu solo la paura umanissima di padre a spingerlo fuori casa quella sera: qualcosa di profondamente intimo e ignoto gli aveva suggerito di assaporare quella notte parigina, la sua ultima da uomo libero. Quella camminata sotto le stelle, con il fiume nero alla sua destra e le fronde degli alberi del viale del lungosenna alla sua sinistra, le figure di Notre-Dame e del Palazzo di Giustizia che si stagliavano in lontananza, il tutto che annegava nel buio e nel silenzio della mezzanotte inoltrata, sentiva che quella era una camminata che voleva e doveva fare in solitudine.

Sarebbe arrivato fino al Pont d’Arcole, l’ultimo della Ile de la Cité, poi si sarebbe voltato e ripreso lo stesso tragitto al contrario, verso Rue de l’Homme-Armé, ad aspettare nel cortile il ritorno di Javert. Aveva ormai oltrepassato il Pont Neuf, davanti a sé vedeva il Pont-Au-Change e, ancora più avanti, il Pont Notre-Dame. Su questo, cosa curiosa, scorse una figura nera appoggiata sul parapetto, immobile. Jean Valjean era troppo lontano per distinguerla con chiarezza: riusciva solo ad intuire quello che forse era il profilo di un cappello, un cilindro, forse da funzionario, che la figura indossava.

Se per caso il lettore se lo stesse chiedendo, avrebbe ragione: questa figura è la stessa che ha preceduto Jean Valjean nel sentiero del lungosenna che passa fra Rue de l’Homme-Armè e il Pont Notre-Dame.

Valjean, comunque, non le badò affatto, e continuò con le proprie meditazioni.

Quell’ex galeotto considerava il proprio futuro con una sorta di cupa serenità. Stava per tornare in prigione, è vero, ma la sua consolazione era che c’era già stato. Sapeva cosa voleva dire la galera, ci aveva passato diciannove anni della sua vita. A quel tempo aveva sofferto molto, sì, ma ora era un uomo completamente diverso da quando era stato arrestato a 26 anni. Ora, Valjean si sentiva infinitamente più forte e preparato di quel ragazzo impaurito e ignorante che era. E poi, c’era anche da considerare che ormai Jean Valjean aveva 62 anni: nonostante la sua proverbiale potenza e abilità muscolare fosse ancora possente, di certo la sua resistenza aveva ormai perso molto. Era sicuro che, in qualunque caso, non avrebbe resistito a lungo in prigione: gli stenti non avrebbero tardato ad ucciderlo. Lui pregava solo perché Marius si riprendesse, così che Cosette avrebbe potuto vivere felicemente anche dopo la morte di lui, Jean Valjean.

Molti altri pensieri egualmente cupi avrebbero potuto seguire Valjean nel suo cammino, se la sua mente non fosse stata improvvisamente distratta da una strana visione. La figura nera sul Pont Notre Dame, il quale ora gli stava davanti, si era appena tolta il cappello, quel cilindro che Jean Valjean aveva distrattamente scorto, appoggiandolo sul parapetto. La vide salire in piedi sull’orlo di questo, fronteggiando in bilico il fiume in piena sotto di sé.

Valjean, che distingueva più chiaramente la figura ora che era completamente esposta al chiaro di luna, riconobbe in essa un uomo alto con una redingote scura.

Il cappello posato sul parapetto era un cappello da ispettore di Polizia.

Valjean riconobbe Javert.

“Javert!” gridò lui, d’istinto, confuso e allibito. Ma l’ispettore, che ora si era chinato verso la Senna, sempre in equilibrio sul cornicione, non lo sentì.

Valjean aveva l’impressione di assistere ad una scena puramente onirica. Cosa aveva intenzione di fare Javert? Era impazzito? Cosa ci faceva lì sopra? Il pover’uomo, gli occhi spalancati fissi su Javert, non capiva o non voleva capire. Riconosceva in quella visione qualcosa di orrendamente lugubre e inquietante, ma il suo spirito così sinceramente religioso rifiutava con forza la spiegazione che la ragione gli suggeriva.

“Non capisco. E’ impossibile” si disse, mentre la figura nera si rialzava sul bordo del ponte, “perché mai dovrebbe…”

“JAVERT!” urlò.
Javert si era buttato. 
   
 
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