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Autore: _armida    15/03/2016    2 recensioni
Ade si chinò sul suo volto, quasi volesse sfiorarglielo con il proprio. “Lo sentì il sole sulla tua pelle, Persefone?”, soffiò sulle sue labbra. Un gesto elegante della mano e le foglie secche ancora attaccate ai rami sopra le loro teste si staccarono, permettendo così ad un raggio di sole di penetrare all’interno del cerchio, finendo a lambire le loro due figure.
“Il bell’Apollo, il tuo caro Dioniso, loro parlano del sole, del suo calore sulla pelle, ma tu ti limiti a sorridere ed annuire, fingendo di sapere di cosa parlano ma in realtà non lo sai. Senti solo un leggero torpore, niente a che fare con la sensazione divorante che provano loro. La pelle delle divinità che conosci si scurisce e diventa ambrata, la tua rimane invece sempre pallida. Ti sei mai chiesta il perché di tutto questo?”
Parlava davvero di lei? Oppure c’era anche un pochettino di sé stesso in quelle parole?
“Io e te non siamo poi così diversi”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV: La festa, parte II

Tanto per cambiare, la 'carceriera' della sfortuna Persefone era nuovamente quella ninfa dei boschi inacidita che seguiva sempre sua madre come un cagnolino segue il proprio padrone.
La giovane dea sbuffò un'altra volta mentre osservava Leucippe  non  distoglierle gli occhi di dosso. Questa volta, per sicurezza, invece di restare fuori dalla sua camera, aveva insistito a tutti i costi per entrare. Ed ora non smetteva un attimo di squadrarla, seduta sulla sedia dello scrittoio della dea.   
Persefone aveva prima pianto dalla frustrazione, poi aveva inveito verbalmente contro la ninfa e, ovviamente, contro sua madre e poi si era lasciata andare alla rassegnazione; camminava semplicemente avanti e indietro per la propria camera a passo svelto.
Ad un certo punto si mise sdraiata sul proprio letto, osservando il soffitto con aria distratta: non si sarebbe di certo addormentata con gli occhi della dama di compagnia di sua madre puntati addosso, ma non poteva neanche continuare a camminare per la stanza. E di altre opzioni non ce ne erano.
Osservava il soffitto a volta affrescato con dei sottili ricami floreali dalle tinte delicate quando una melodia conosciuta si diffuse per la stanza: Persefone conosceva fin troppo bene quel suono e, prontamente, si tappò le orecchie con le mani. Leucippe le lanciò un'occhiataccia; stava per chiederle cosa stesse facendo, ma le palpebre le si fecero di colpo pesanti e si addormentò.
La giovane dea della primavera dovette mettersi una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere. Si guardò in giro, cercando con lo sguardo la cetra che aveva prodotto quel suono e, ovviamente, il suo proprietario: il dio delle arti.
Sentì un rumore alla finestra e proprio in quel momento vide un sasso sbattere contro il vetro, seguito immediatamente da un altro.
Aprì la portafinestra e si affacciò al balcone: sotto, con l'aria di chi ne aveva appena combinata una, vi erano Apollo e Dioniso.
Li guardò, scuotendo la testa con aria divertita.
"Che fai: resti lì o scendi?"
Persefone si guardò in giro, pensando ad un modo per scendere: con quel vestito era praticamente impossibile provare a scendere tenendosi per l'edera, come aveva fatto quella mattina.
Osservò il volto dei due fratelli e notò che su quello di Dioniso era comparso un sorriso furbetto. Apollo nel frattempo le indicò con il dito indice i piedi del dio del vino: portava delle strane scarpe con delle piccole ali sul tallone.
"Ma che...?"
La giovane dea della primavera non riuscì a finire la frase: Dioniso si era alzato in volo e, dopo aver percorso alcuni metri, cadde sul balcone, sbattendo in modo tutt'altro delicato il sedere a terra.
"Sembra più facile quando a farlo è Ermes", si lamentò il dio, massaggiandosi il fondoschiena. Guardò la sorella, che nel frattempo lo studiava con fare indagatore. "Bene, sorellina", le disse avvicinandosi "Ora ti porto giù"
Persefone, al vederlo avvicinarsi, fece alcuni passi indietro. Improvvisamente l'arrampicarsi sull'edera non era poi una così cattiva idea...  
Non fece in tempo a protestare che Dioniso le arpionò la vita e si vibrò in aria.
Forse fu a causa della dea, che non aveva alcuna intenzione di restare ferma, oppure fu a causa della totale mancanza di esperienza del dio del vino con i talari, o tutte e due le cose, ma, dopo un breve volo dritto, cadere entrambi al suolo: Persefone atterrò con tutto il suo dolce peso sul povero Dioniso che, suo malgrado, le attutì la caduta.
Si alzarono a fatica massaggiandosi, chi più e chi meno, le parti del corpo doloranti, sotto lo sguardo divertito di Apollo.
"La prossima volta faccio io", commentò.
"La prossima volta scendo da sola", ribattè Persefone, cercando di togliere la povere dall'elegante abito. Osservò attentamente i due fratelli. "Dove avete preso quei talari?". Le sembrava di fare la parte di Atena in quel momento, ma allo stesso tempo era curiosa di sapere.
I due fratelli si misero a sghignazzare. "Dalla camera di Ermes", fu la pronta risposta.
"Li avete rubati?!"
"Presi in prestito" biascicò Dioniso, mentre tentava goffamente di aprire il proprio fiaschetto del vino, che teneva appeso alla cintola.
"Ermes vi spellerà vivi"
"Solo se ci scopre", la corresse Apollo. Le si avvicinò, prendendola per mano. "E ora andiamo alla festa"
La giovane dea puntò i piedi a terra. "Io non posso tornare alla festa, se mia madre mi vedesse..."
I due fratelli si guardarono a vicenda, scoppiando a ridere. Dioniso le si avvicinò, dandole un'amichevole pacca sulla spalla.
"E chi ha parlato della festa nella sala del trono? Noi andremo ad un'altra"

L'altra festa, di cui Apollo e Dioniso parlavano tanto, non era altro che poco più di un raduno di giovani attorno ad un falò acceso nel parco, poco distante dall'ala nord del palazzo, in cui nessuno metteva mai piede.
Vi erano numerosi giovani che ballavano in cerchio, parlavano tra di loro e bevevano. Persefone riconobbe qualche giovane ninfa al sevizio della madre ed alcuni membri della guardia reale, probabilmente in pausa.
Osservò Dioniso intercettare subito una delle numerose bottiglie di vino che giravano; la prese in mano, dando immediatamente due avide sorsate.
La passò alla giovane dea che la osservò stizzita: quante persone avevano bevuto a canna da quella bottiglia? No, non avrebbe mai bevuto da lì.
Il dio alzò le spalle con fare indifferente, portandosi nuovamente il fiasco alla bocca.
Apollo, nel frattempo, si era seduto sul verde prato. Con un gesto della mano fece comparire magicamente la propria lira. Mentre le sue mani esperte ne pizzicavano le corde producendo una lenta melodia che aveva un chè di malinconico, venne attorniato da parecchie ninfe.
"Cagnette in calore", biascicò Dioniso, reggendosi alla sorella per non cadere.
"Non credi di aver esagerato un po' con il vino", gli disse Persefone, lasciandosi andare ad una risatina.
"Sono il dio del vino, se non mi lascio un po' andare io, chi altri può farlo?"
La giovane dea scosse la testa.
"Perchè non ti lasci andare un po' anche te, sorellina?"
Persefone avrebbe voluto rispondergli, ma il vedere il corridoio che attraversava longitudinalmente tutta l'ala nord del palazzo illuminarsi progressivamente, fece passare tutto in secondo piano.
Anche Apollo, alle sue spalle, smise di suonare. Si avvicinò ai fratelli.
"Cosa sta succedendo?", chiese retorico.
La dea della primavera ci pensò su un po', prima di rispondere. "Ieri, quando ero in biblioteca, ho sentito i miei genitori parlare di voler discutere con...", le suonava strano pronunciare il nome del Signore dell'Averno e, inspiegabilmente, ne era anche un po' intimorita. "...Ade, per negoziare una pace"
Dioniso osservò attentamente entrambi i fratelli: aveva un sorriso a trentadue denti che non prometteva niente di buono. "Perchè non andiamo a sentire cosa ha da dire?"
Persefone sbattè più volte le palpebre, per assicurarsi di aver sentito bene. "Credo che non sia una trattativa pubblica"
"Possiamo sempre origliare!", esclamò Apollo.
Lei scosse la testa.
"Troppo tardi", disse il dio, prendendola per un polso e trascinandola verso l'interno del palazzo. "Ora tu vieni con noi"

Si mimetizzarono nella bassa siepe che costeggiava tutto il perimetro del palazzo, alzando ogni tanto la testa e lanciando occhiate furtive nel corridoio, in attesa che tutto il corteo passasse.
"Ci sono proprio tutti", si lasciò sfuggire Apollo mentre Zeus e Demetra, in prima fila, gli sfilavano davanti. Dietro di loro vi era Ade, con un'espressione indecifrabile stampata in volto e che a Persefone ricordava molto un ghigno di vittoria. Poi vi erano Estia e Poseidone e, a chiudere il corteo, Era.
La situazione doveva essere davvero grave, per scomodare anche dalla sua sfarzosa dimora la dea del matrimonio.
Li videro scomparire in una delle numerose sale che si aprivano sul corridoio.
"Ora", disse il dio delle arti, scavalcando la finestra che, a causa della calura estiva, veniva lasciata leggermente socchiusa.
Una volta dentro, aiutò i suoi fratelli a fare il resto.
Si stavano dirigendo verso la porta, con tutta l'intenzione di origliare quel discorso così misterioso, quando vennero bloccati da una voce famigliare.
"Si può sapere, di grazia, cosa state facendo qui?". Era Ermes.
I tre si bloccarono all'istante, sospirando: c'erano andati così vicini...
"Potremmo fare la stessa domanda a te", ribattè Apollo.
Magari, se avessero giocato bene le loro carte, alla fine ce l'avrebbero comunque fatta.
Ermes guardò le tre divinità con sufficienza. "Sono il consigliere del re!", disse, più a sè stesso che ai suoi interlocutori, "Ho tutto il diritto di essere qui"
"Non mi pare che nostro padre ti abbia invitato..."
Il messaggero degli dei sbuffò infastidito, colto in flagrante.
Persefone si mise una mano davanti alla bocca, cercando con tutte le sue forze di non ridere.
Ermes allontanò il proprio sguardo da quello dei tre, puntando tutta la sua attenzione verso il basso. Spalancò gli occhi dalla sorpresa, mentre la vena sul suo collo cominciava a pulsare ad un ritmo insolitamente alto. "Ma quelli sono i miei talari!", urlò indignato.
"Shhh", gli fecero subito Persefone ed Apollo. Con quel volume di voce così alto, rischiavano davvero di essere scoperti.
"Mi avete rubato i talari!", ripetè, cercando di parlare a voce bassa.
"Tanto ne hai un armadio pieno", ribattè il dio delle arti, tentando di chiudere lì la faccenda.
"Avere rovistato nel mio armadio?!"
"Se no come facevamo a prenderli?", disse Dioniso.
Apollo e Persefone alzarono gli occhi al cielo, maledicendo l'ubriaco dio del vino. "Cosa ne dite se ne discutessimo dopo? Abbiamo una riunione segreta da origliare"
***

Si misero proprio davanti alla porta, con l'orecchio teso, in modo da riuscire a captare ogni singolo rumore dall'interno.
Da quello che sentivano, gli dei stavano ancora prendendo posto intorno al grande tavolo: si sentiva un parlottare sommesso e delle sedie che si muovevano.
Mentre si sedeva sul pavimento, a Dioniso scappò un rumoroso singhiozzo.
"Dioniso!", lo rimproverarono gli altri tre.
Prontamente, Persefone e Apollo gli tapparono la bocca con una mano; il dio del vino provò a ridere e a lasciarsi andare ad altri singhiozzi, ma non ci riuscì.
Il dio delle arti si guardò intorno, nervoso: se fosse stati scoperti o se qualche dio fosse casualmente uscito da quella stanza, loro si sarebbero dovuti mettere a correre velocemente. E dubitava che con Dioniso in quelle condizioni ce l'avrebbero fatta a correre velocemente.

Zeus osservò attentamente gli altri dei mentre si disponevano intorno al grande tavolo rettangolare che occupava l'intera stanza. Si sedette al proprio posto, a capotavola. Esattamente di fronte ad Ade.
Lo studiò attentamente: aveva stampata in volto l'aria tipica di chi aveva già la vittoria in pugno. Di certo non prometteva niente di buono.
Si scrutarono attentamente per dei lunghi momenti.
"Pensate di dare inizio a questa riunione, Zeus?" chiese spazientito Poseidone.
Il sovrano dell'Olimpo annuì distratto, mettendosi seduto in una posizione più composta. "Lasciamo stare i convenevoli", disse diretto, "Quali sono le condizioni, Ade?"
Il signore dell'Averno incurvò le labbra in affilato sorriso. "Le condizioni di cosa, Zeus?". Aveva un modo di parlare lento e tonalmente basso che, se possibile, agli occhi degli altri dei lo rendeva ancora più irritante.
"Questi giochetti con me non funzionano", ribattè Zeus. Se lo scopo dell'altro era quello di farlo irritare più di quanto già non fosse, ci stava riuscendo in pieno.
"Come fate ad essere così certo che io abbia delle richieste per voi?"
"Non sareste venuto, altrimenti"
"Arguto", commentò sarcastico Ade.
"Ora parlate"
Il dio degli Inferi si lasciò scappare una risatina che aveva un chè di sinistro. Si sistemò meglio sulla propria seduta, appoggiando i gomiti sulla liscia superficie di legno del tavolo ed portandosi le mani sotto al mento. "Ho deciso di prendere moglie"
Poseidone scoppiò in una fragorosa risata. "Tutto questo scompiglio per metterci al corrente che presto prenderete moglie? E chi sarà la fortunata ninfetta avernale, se posso chiedere?"
Ade nemmeno lo aveva ascoltato. Osserva dritto negli occhi Zeus che, per nulla intimorito, ricambiava quello sguardo con aria di sfida. "Avevo pensato ad una delle vostre figlie, Zeus"
"Voi cosa...?!". Il re degli dei si era alzato di scatto dalla propria seduta, stringendo i pugni fin quasi a farsi sbiancare le nocche.
Improvvisamente, imponenti nuvoloni scuri si profilarono all'orizzonte, coprendo il cielo sopra al Monte Olimpo.
Si udirono alcuni tuoni in lontananza e un fulmine illuminò a giorno il parco su cui il palazzo si estendeva.
"Voglio vostra figlia Persefone"
Se Poseidone ed Estia non si fossero prontamente alzati, frapponendosi tra i due sovrani, probabilmente Zeus gli avrebbe fatto un occhio nero.
Anche Demetra si alzò di scatto.Gli occhi improvvisamente appannati. "Voi non la toccherete"
"Vi do tempo sette giorni per prendere una decisione: o vostra figlia o la guerra". Come se niente fosse, Ade si alzò e si diresse verso la porta. "Indipendentemente dalla vostra decisione, l'avrò comunque. Diciamo che con la prima opzione, potreste almeno risparmiare ai vostri preziosi umani una prematura fine", disse, prima di richiudersi la porta alle spalle.

Avevano udito tutto. Appoggiati alla grande porta di legno massello, con l'orecchio teso, Apollo, Ermes, Persefone e Dioniso avevano udito tutto il discorso.
E le condizioni per la pace.
Apollo e Dioniso strinsero forte la mano della sorella. Ermes invece la osservava con lo sguardo pieno di compassione.
Persefone sembrava avesse gli occhi fissi su un punto lontano, oltre quel corridoio, oltre la vetrata, fuori, in quella che aveva tutta l'aria di diventare da un momento all'altro una tempesta in piena regola. In realtà lei, in quel momento, non osservava niente. E anche i suoni, le giungevano alle orecchie ovattati.
Era strana la sensazione che provava in quel momento: era come se si trovasse in una grande bolla e vedesse tutto quello che le accadeva intorno al rallentatore; quasi non fosse lei la protagonista di tutto, ma solo una spettatrice passiva. Una spettatrice passiva intrappolata in una bolla con l'aria limitata. Talmente limitata che ora le mancava il respiro e la gola lentamente le si restringeva.
Annaspò in cerca d'aria, mentre i suoi occhi cominciarono ad appannarsi e, nonostante ci avesse messo tutte le sue forze per tentare di resistere, le lacrime cominciarono a scorrere impetuose.
La porta alle loro spalle si mosse, ma a loro in quel momento non importava assolutamente. Che senso aveva, in quel momento, farsi scoprire ad origliare? Le sorti del loro mondo e della dea della primavera erano più importanti.
Apollo osservò malinconico la sorella: Persefone si era un po' calmata. Appariva come una bambina cresciuta troppo in fretta che con quell'abito elegante, il trucco sbavato e  i capelli in disordine, cercava di portare emozioni più grandi di lei.
La strinse a sè, facendole appoggiare la testa sul suo petto.
Sulla soglia del salone un uomo di spalle disse qualcosa agli altri dei riuniti. Poi si girò, passando di fianco ai giovani: era Ade.
Persefone alzò appena la testa e, per un istante, i suoi occhi colore dei prati, si incrociarono con quelli color ghiaccio del re degli Inferi.
La giovane dea lo osservò mentre percorreva a passo lento il corridoio. Quando fu il momento di fare una svolta, però, scomparve in una densa nuvola nera.
"Se ne è andato", disse Ermes, più a sè stesso, che per confortare Persefone.
Quest'ultima rimase alcuni secondi ad osservare quella specie di nebbia oscura diradarsi lentamente, poi si alzò in piedi.
Le gambe non sembravano molto stabili, eppure lei sentiva il bisogno di andarsene, di scappare lontano. Lontano da quel posto, lontano da ogni altra possibile divinità.
Senza pensarci due volte, si staccò dalla stretta protettiva di Apollo, cominciando a correre per quello stesso corridoio che poco prima aveva percorso Ade.
Come poteva, quel dio presuntuoso, agire in quel modo? Perchè proprio lei? Cosa poteva avergli mai fatto per rovinarle la vita così?
Sentì delle voci, alle sue spalle. Riconobbe quella di sua madre che la chiamava per nome, ma non si fermò, nè tornò indietro. Continuò a correre.
*** 

Persefone non sapeva spiegarsi come aveva fatto ad arrivare fino alle stalle, eppure quando aprì d’impeto quel portone, la prima cosa che udì fu il nitrire dei cavalli alati. Si fermò, guardandosi intorno spaesata e con il respiro affannato da tutto quel correre.
La sua mente si mise in fretta all’opera, pensando a quale sarebbe stata la prossima mossa da fare; troppi pensieri però l’affollavano e le rendevano tutto troppo complicato. 
Doveva andarsene.
Quello era l’unico punto fisso. 
Doveva andarsene. 
E doveva farlo il prima possibile. Prima che a qualcuno venisse in mente di andare a cercarla.
Presa dalla foga dell’attimo, si diresse velocemente verso il proprio cavallo alato, che nitrì rumorosamente quando capì che erano diretti all’esterno, dove la tempesta ormai imperversava violentemente. 
“Calmati, calmati ti prego”, mormorò la giovane dea, mentre cercava con tutte le sue forze di evitare che il cavallo si imbizzarrisse.
Un fulmine cadde a pochi metri da loro, facendo tremare il terreno e spaventando ancora di più il povero animale; Persefone, invece, parve non accorgersene neanche, talmente era concentrata sui propri pensieri.
Montò in sella, spronando il cavallo ad aprire le proprie ali per spiccare il volo.
“Persefone!”
Era la voce di suo fratello Apollo.
Il dio le corse incontro, riuscendo ad afferrarla per un polso, prima che riuscisse a fuggire.
“Persefone, fermati!”, urlò, cercando di sovrastare il rumore della pioggia e dei tuoni.
“Apollo, lasciami”, ribattè lei. I suoi occhi erano rossi dal pianto e le pupille dilatate dal panico che cresceva dentro di lei.
In quelle condizioni, la giovane dea neanche si accorse di quello che fece... Apollo mollò di scatto la presa, terrorizzato da quello che era appena successo, osservando la propria mano, tremante. Era stato solo un attimo, eppure quella mano, che fino a poco prima era stretta intorno al sottile polso della sorella, era come se fosse stata privata della vita. L’aveva vista rinsecchirsi, fino a diventare null’altro che pelle secca e ossa, per poi tornare alla normalità una lasciata la presa.
La osservò attentamente mentre riprendeva un sano colorito roseo, leggermente abbronzato. Che cosa gli era successo?
Alzò gli occhi al cielo, cercando Persefone, ma ormai la tempesta l’aveva inghiottita...
Si voltò, sentendo una presenza alle proprie spalle: Zeus e Demetra si trovavano a pochi metri da lui; il signore dell’Olimpo teneva stretta al proprio petto la consorte, nel tentativo di consolarla.
Erano riusciti a vedere tutto, a vedere la loro preziosa figlia usare quella parte del proprio potere che avevano sempre tentato di tenerle nascosto.
Neanche quella strana pietra incastonata nel bracciale che Persefone portava sempre al polso, era riuscita a bloccare i suoi poteri. 
Demetra nascose il viso contro il petto del suo sposo. “L’abbiamo persa”, disse tra un singhiozzo e l’altro. “Le moire avevano ragione”


Nda
Buongiorno a tutti! Già, dopo un lungo esilio spontaneo (dannata università -.-), rieccomi con un nuovo capitolo. E che dire? Finalmente siamo entrati nella parte interessante della storia :D
Spero che questo Ade in stile famiglia Targaryen (sì, ultimamente mi sto appassionando al Trono di Spade) non vi abbia sconvolto troppo. E di quei due buffoni di Apollo e Dioniso? Io all'inizio ci ho provato a fare qualcosa di serio...ma senza qualche simpaticone e le sue buffonate non riesco a stare. Per la figura di Ermes invece mi sono largamente ispirata a Sebastian della Sirenetta (infanzia passata a film Disney e miti greci -cattiva combinazione, mi dispiace-) 
Spero di sentire presto i vostri pareri e alla prossima (sperando che non passi nuovamente un mese e più) ;) 
   
 
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