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Autore: Harlou22    16/03/2016    0 recensioni
‘E’ con te il mio cuore, Louis?
L’hai portato con te?
E se non è così, ti prego, Amore, insegnami dove vanno i cuori spezzati?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di leggere questa brevissima os, dovete tener presente che si tratta di una one shot collegata ad ‘EIGHTEEN’, l’Os che ho pubblicato qualche mese fa.
Considerate questa, quindi, una sorta di sequel.
Pertanto, qualora voi non l’aveste fatto, v’invito a leggere prima quella, e poi questa.
Buona lettura.

 
 
‘WHERE DO BROKEN HEARTS GO’
 
Avrei voluto cancellarlo.
Dai miei pensieri, dai miei ricordi, dalla mia pelle.
Perché la voglia di vivere una vita semplice ed un amore normale aveva superato la tenacia del voler continuare a lottare.
A volte davvero mi sembrava possibile poter incontrare qualcuno che potesse prendere il suo posto, ritrovandomi ad immaginare labbra nuove da mordere, mani diverse da stringere, magari alla luce del sole, o più semplicemente alla luce dei flash.
 
Di sera in sera, di pub in pub a sciogliere alcool nel sangue, era così che m’illudevo di poterlo trovare…
 
Un altro lui.
 
L’avevo chiuso fuori dalla mia vita perché insostenibilmente stanco di essere lasciato solo per giorni interi, quei pochi che ci concedevano da vivere lontani dal palco.
Come il più vile dei ciechi innamorati riuscivo a sorvolare sulle ombre che velavano il suo sguardo ad ogni scatto che doveva passare come rubato e non architettato a dovere, concentrandomi solo sul mio bisogno di lui.
Che debole io.
Ed ora,
involucro d’uomo svuotato d’anima perché senza coraggio, di tentare e riprenderlo con me.
 
Ero riuscito a spegnere i pensieri per un po’, qualche settimana o mese, non lo so, il tempo aveva perso senso; fino a quella sera…
Ero immobile e fissavo il soffitto della mia camera da letto, quando hanno suonato quella canzone in radio.
Quella che avevamo ascoltato fino alla nausea nei mesi più semplici.
Quella che…
 
“Come away with me in the night”
 
“Oh andiamo Harry, è davvero da picco glicemico”
 
“Come away with me
And I will write you a song”

 
“e smettila di cantarla così,  con quella voce”
 
“così come, Lou?
Questa è la mia voce…
I want to walk with you
On a cloudy day…”

 
E poi finivo col cantargliela con un filo di respiro tra i suoi capelli, mentre lo sentivo muoversi su di me.
 
Dio solo sa quanto ho pianto quella sera, da quei scarsi tre minuti di incanto.
Ho pianto e mi sono vergognato, non per il respiro mozzato come quello di un bambino, non per le lacrime che mi stavano bruciando la pelle, nemmeno per aver vomitato anche l’anima ai piedi del letto….
No.
Mi ero vergognato per essermi reso conto, per la prima volta dopo settimane che ero io ad averlo lasciato andare.
Io a non aver voluto lottare.
Io a non aver apprezzato il suo sacrificio, io a non aver saputo leggere la tristezza e il senso di dovere che gli rigavano le iridi ogni volta con lei.
 
Io.
A non averlo amato abbastanza.
Io, forse, a non meritarlo il guscio che in quegli anni lui si era offerto di costruirmi attorno.
Io, a non averlo ancora imparato il suo amore così.
 
Passai i giorni che seguirono con una penna in mano, tanti pensieri su un foglio bianco, e lasciai che il suo ricordo mi rubasse anche il sonno.
Avevo cominciato a credere che solo metà della notte fosse mia. L’altra metà, quella che vivevo sveglio, apparteneva a noi.
Quanto freddo sentivo, Aprile fuori, Dicembre dentro, perché lui non c’era.
Mi svegliavo e aspettavo il suo sussurro caldo al mio orecchio gelido, mi facevo più piccolo perché il suo braccio potesse stringermi tutto, accennavo un sorriso aspettando che le sue labbra toccassero l’angolo delle mie piegate all’insù.
 
Ma nessun sussurro, nessun abbraccio, nessun sorriso baciato.
Solo, il nulla.
Solo, ancora, nessun lui.
 
Spesso uscivo per le strade di Los Angeles prima ancora che fosse l’alba, la città si srotolava ai miei piedi, ma persino quella non era più casa, e il cielo che si schiariva sfigurava col solo ricordo dell’azzurro dei suoi occhi.
Allora evitavo di guardarlo il cielo, e me ne tornavo nel mio letto a cercare il suo odore tra le pieghe delle lenzuola che percorrevo a memoria con le dita.
Ma era svanito anche quello, insieme al suo sapore sotto la mia lingua, quello dei lunghi baci.
 
Forse mi sarebbe bastata la certezza che anche lui stesse vivendo solo metà delle sue notti; forse il saperlo solo m’avrebbe aiutato ad immaginarmi nella mia parte di letto nella nostra casa a Londra, e m’avrebbe dato il coraggio di tornare da lui, e chiedergli scusa.
 
Mille parole, la distanza di un oceano a dividerci le anime e la mia folle pretesa di risolverla con l’immagine di un letto disfatto solo per metà all’altra sponda del Pianeta.
 
Mi ritornava costantemente in mente rivedendolo dipinto nei suoi occhi di quella sera, il mio errore.
L’unico che non riuscivo a perdonarmi.
Tutte le notti tornavano a ricordarmi di averlo lasciato andare.
 
E la vita continuava a scorrere, così.
 
Io.
 
Il suo esser sparito.
 
E la paura che non mi avesse aspettato, ad incatenarmi.
 
Nei giorni di pioggia restavo in camera a guardare le gocce seguirsi ed unirsi sul vetro, facendosi più grandi ad ogni unione. Pensavo a noi e avevo paura.
Paura che forse non ci eravamo uniti abbastanza da diventare più grandi e forti, tanto da scivolare sul vetro delle nostre vite trascinando tutto, decidendo noi velocità e direzione.
Noi, non loro..
 
Lo sentivo vuoto il mio petto.
 
Non c’era lui.
 
Potevo ascoltare l’eco dei miei respiri.
 
Ed era frustrante non capire se il mio cuore si fosse semplicemente dilaniato o mi avesse lasciato, allontanandosi anche lui da me.
 
Se l’era portato via il mio cuore, l’amore.
Chissà dove.
 
Era tempo di ritrovarlo, e riprendere a vivere.
 
‘E’ con te il mio cuore, Louis?
L’hai portato con te?
E se non è così, ti prego, Amore, insegnami dove vanno i cuori spezzati?
Lascia che io ritrovi il mio.
Sulle sue pareti c’è disegnata la mappa del nostro amore.
È lì che l’ho tracciata.
No so vivere senza, Louis.
Non riesco a ritrovarmi senza guardarla’
 
 
‘Stai sudando, Haz’

 
Aprii gli occhi.
 
Scostai la testa dal cuscino e mi resi conto di aver bagnato il tessuto.
 
Mi voltai, ma lui non c’era.
 
L’avevo sognata, la sua voce.
 
Quella frase ancora a tormentarmi il sonno.
 
Mi aveva imbastito sogni e ricordi col filo della sua voce, un ricamo perfetto, fino a rendermi incapace di capire dove finivano gli uni e dove cominciavano gli altri…
 
M’infilai sotto la doccia, rimpiansi la sua pelle bagnata ed uscìì.
 
Provai per l’ennesima volta a fare quello che, secondo la mia follia, m’avrebbe fatto stare meglio, come ci si sente meglio quando si torna a respirare dopo una lunga apnea..
Quella mattina ne avevo più bisogno di sempre.
Di ossigeno.
 
Era domenica e la galleria era praticamente vuota, apprezzai la mediocrità del genere umano come non mi ero mai concesso di fare.
Qualche stanza e me la ritrovai di fronte. Una grandiosa distesa di iris dipinta ad olio.
 
Solo il rumore dei miei passi e l’odore delle tele a diluirmi i pensieri.
 
La sentii scivolare tra le dita, la tensione.
 
Van Gogh.*
 
Mi sedetti davanti e mi lasciai guardare, lo sentivo posarsi addosso e calmarmi.
Quello, l’unico blu che riuscivo a concedermi.
L’unico a cui sapevo di non dover chiedere perdono.
Mi è sempre piaciuto pensare che al principio quegli iris fossero tutti bianchi come quello al centro, ed uno solo blu.
Una folata di vento e il blu aveva tinto l’intero campo.
Tu, un unico sguardo, e la mia anima come quei fiori.
 
Mi voltai e andai via.
 
Salii in auto e vagai per la città per un tempo che mi parve fatto di qualche attimo, ma che si rivelò poi essere di ore intere.
Dopo Dio solo sa quanti chilometri mi ritrovai senza neanche volerlo sotto casa, quando la mia attenzione fu richiamata dal vibrare del cellulare nella mia tasca; una mail.
Pochissimi avevano il mio indirizzo personale di posta elettronica, tra cui, lui.
 
-Sono l’01 del mattino qui, ergo, da te dovrebbero essere circa le 18
Ti sto inviando una demo, e vorrei che l’ascoltassi anche tu prima di tutti.
Promettimi di arrivare fino all’ultima nota, nonostante..
Qui è tutto ancora come l’hai lasciato tu………
ED.-

 
Spensi il motore mentre cominciava a piovere.
Su quel pezzo di mondo, e sul mio viso.
Ascoltavo quelle parole e realizzavo che lui era ancora lì, per me.
Nonostante.
Allora niente era perduto, nulla era finito, tutto era ancora nostro.
 
Dovevo dirglielo, che io ero cambiato, avevo capito ed ora lo rivolevo.
Rivolevo lui, le sue labbra sulle mie, il suo odore tra le mie lenzuola, il mio nome nel suo filo di voce la mattina appena aperti gli occhi, il suo corpo a muoversi su di me, per me, con me, la sua anima liquida a riempire le crepe della mia.
 
Contattai Paul dicendogli che avevo urgenza di tornare a Londra, non m’interessava dover rischiare la ramanzina del management per aver usufruito del nostro aereo per un motivo estraneo alla band, non m’interessava di nulla.
Dovevo tornare da Lui.
 
Quando l’aereo finalmente toccò terra erano le 12.
 
Tirai fuori il cellulare e digitai un messaggio.
 
-Aspettami-.
 
Qualche minuto dopo ED mi disse dove trovarlo.
 
Raggiunsi lo studio di registrazione mentre pregavo che lui fosse ancora lì.
 
Lo vidi di spalle, in silenzio, e la mia vita riprese a scorrere.
 
“Aspettami Louis.
Aspettami tutte le sere a letto,
aspettami tra le tue mani prima di un bacio.
Aspettami contro il tuo petto tutte le mattine.
Aspettami perché la vita mi appartiene a metà se al mio fianco non ci sei tu.
Imparerò a seguirti, Louis.
Ma tu aspettami sempre.”
 

Si voltò dopo qualche istante.
Un solo passo, ed eravamo ancora unico respiro.
Restammo in silenzio, a trasformare grigie paure in cristalline certezze.
 
E che bello fu poter riascoltare il suono del suo respiro.
 
“Ti aspetterò sempre Haz.
E lo so che ti ho tolto la parte più semplice dell’amore, ed hai ragion-“
 
“Shh…
Come away with me in the night,
come away with me
and I’ll write you a song”

 
Lo sentivo sorridere sul mio collo, me ne accorgevo dalla sua barba che mi pungeva per aver steso le labbra.
 
Lo baciai come si baciano due amanti tornati da una guerra che non speravano nemmeno di poter raccontare.
 
Baciai i suoi occhi, per prendermi di nuovo un po’ di blu,
il suo petto per prendere la cadenza del suo cuore e farla mia.
 
La sua mano dietro la mia schiena a rimettere insieme pezzi di anima che credevo di aver perduto.
 
Eravamo soli, il dove non c’importava.
Lui ancora ad avvolgermi, io a farmi spazio dentro la sua carne e ad ogni millimetro un pezzo di cuore tornava nel mio petto, fino a ricomporsi tutto.
Di nuovo.
 
“Dio quanto mi sei mancato, Lou”
 

Mi guardò col volto dipinto di piacere.
 
“Stai sudando, Haz”, e con la mano mi scostò i capelli dalla fronte.
 
 
 
NOTE:
*Il quadro di cui Harry parla è “Iris” di Vincent Van Gogh. L’opera raffigura un campo di iris azzurri, con uno solo, al centro, di colore bianco.
La tela è conservata al The J. Paul Getty Museum di Los Angeles.
 
Anche in questo caso, quella narrata non è la realtà assoluta dei fatti, ma solo il modo in cui io credo che tutto si sia svolto; con Harry a Los Angeles che scrive ‘Where do broken hearts go’, mentre Louis a Londra scriveva con ED ‘18’.
 
È la seconda volta che scrivo qualcosa per poi pubblicarla, quindi siate clementi e recensite in positivo o negativo che sia.
 
Il mio contatto facebook è: Ginger SheeranStyles
   
 
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