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Autore: Black White Dragon    18/03/2016    7 recensioni
In un mondo in cui le persone vedono in bianco e nero fino al riconoscimento della propria anima gemella, i nostri personaggi dovranno fare i conti con l'Amore, che cambia le carte in tavola e gioca sporco.
Percy e Nico vinceranno la partita?
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Jason Grace, Percy/Nico
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nome Autrice: Black White Dragon
Titolo della storia: Red is the new Black
Conteggio Parole (titolo incluso): 9.940
Generi: Angst, Sentimentale, Malinconico.
Tipo di coppia: Slash
Note: College!AU  / ColorBlindeness!AU
[Questa storia partecipa al contest indetto da rhys89 sul forum di EFP di FreeForumZone]
 
 
 
Questa One Shot è dedicata:
 ad Alessia,
che mi ha aiutata a scriverla, senza saperlo,
a Luna,
che durante una noiosissima ora di filosofia mi ha dato gli spunti giusti per la trama,
e a rhys89,
per aver indetto il contest.
 
 
 
 
Red is the new Black
 
 
Post Mortem
Percy guardava l’enorme pannello nella hall del college in cui studiava.
Si fermava sempre a guardarlo, appena poteva. Raffigurava una spirale fatta di tanti rettangoli e sotto di esso vi era un’insegna con scritto “Colori”.
Nonostante l’insegna dicesse il vero, Percy in quella spirale vedeva solo tre colori: bianco, nero, grigio.
E la sua vita era fatta di bianco, nero, grigio.
Nessun altro colore era consentito, nessun altro colore gli era dato conoscere, nessun altro colore avrebbe dovuto vedere.
Lui stesso non voleva vederli, perché quella era la sua punizione, dopo quel che era successo.
 
 
Ante Mortem
Annabeth era appoggiata con la testa sulla spalla di Percy, mentre se ne stavano seduti contro il muro della terrazza, a guardare le stelle. Era proibito andare lassù di notte, ma per loro era ormai diventata una prassi: uscivano rispettivamente dal dormitorio femminile e maschile, percorrevano furtivi i corridoi del college e si trovavano in terrazza.
«Un giorno o l’altro ci seguiranno e ci scoveranno» disse Percy.
«Se mai ci troveranno, sarà solo colpa tua, perché io sono troppo furba da non capire se qualcuno mi sta seguendo, Testa d’Alghe!»
Percy rise debolmente e pensò che effettivamente era vero: lui era sempre felice di incontrare Annabeth, quindi aveva la testa tra le nuvole e non prestava particolare attenzione a ciò che succedeva intorno a lui mentre andava in terrazza.
«E poi» continuò Annabeth, «se ci scoveranno ci costringeranno a qualche punizione che ci faranno scontare insieme. Non sarebbe poi così male.»
Percy sorrise. Diede ad Annabeth un bacio sulla fronte, poi sul naso, sul mento, infine sulla bocca.

 
 
Post Mortem
Dopo essere stato alla lezione di latino da Lady Minerva, mentre sbadigliava e confondeva opere e autori romani, Percy si ricordò che doveva andare in segreteria.
La segreteria si trovava all’entrata del college, quindi sarebbe dovuto passare davanti al grande pannello a spirale.
Com’era un mondo non in bianco e nero? Non riusciva proprio a immaginarselo, e comunque non gli era dato saperlo.
Guardò quel pannello per ben due minuti prima di entrare in segreteria.
«Oh, ce l’hai fatta?» disse una voce femminile. Era Lady Era, quella brutta zitella che si occupava della segreteria. Nonostante la sua bellezza, non aveva ancora trovato un uomo che la amasse, sicuramente per il suo carattere tremendo.
«Eccomi qui.» disse Percy sedendosi davanti alla scrivania di Lady Era. «Allora, cos’ha di bello da dirmi?»
Lady Era lo guardò torva, poi disse: «Allora, ti ricordi che l’anno scorso hai fatto da tutor a quel ragazzino dislessico... come si chiamava?»
«Leo Valdez.»
«Oh, giusto... Comunque. Dati i successi ottenuti con Leo Valdez dopo che ha avuto te come tutor, il preside ti sarebbe grato se tu volessi fare da tutor anche quest’anno, a un altro bel bamboccio.»
«Il preside? Perché? E poi solo i ragazzi del terzo anno possono fare da tutor ai primini, io sono già al quarto anno.»
«Non mi è stato svelato molto, ma da quello che ho dedotto, dovrebbe cominciare dal secondo anno.»
«Ma in questa scuola ci sono dei test d’ammissione, per entrare devi cominciare dalla prima, come mai questo ragazzo può entrare dalla seconda?»
«Oh, non lo so... Vallo a chiedere al preside Chirone, non a me! E adesso dimmi se lo vuoi fare, altrimenti vattene e non rompere!»
«Ehm... Va bene, lo farò.»
«Bene, ora, Jackson, vedi di smammare che qui ho altro da fare» chiuse così la discussione Lady Era.
‘Che caratterino’ pensò Percy.
 
 
Ante Mortem
Percy prese un libro dal davanzale interno della finestra. Lo teneva sempre lì, a portata di mano, ed era il libro a cui più teneva. Gliel’aveva regalato sua madre, quando era piccolo. Aveva solo otto anni. “Guida ai colori”, così faceva il titolo.
Mentre lo apriva, Percy ricordò quando aveva aperto quel libro per la prima volta, insieme a sua madre.
«Percy, vedi questo libro? Questo libro racconta la storia dei colori!» gli disse Sally, entusiasta.
Il bambino si sporse verso la madre, gattonando sul divano.
«Che cosa sono i colori?» chiese Percy.
Sua madre gli rivolse un ampio sorriso e gli rispose: «I colori rendono vive le cose, i colori danno identità alle cose, Percy. È come una sensazione che vedi attraverso gli occhi. Sai, il mondo non è fatto solo da bianco e nero, ma ci sono altre sfumature, molto più vivaci.»
«Ma mamma, io vedo solo bianco e nero, ovunque! Non riesco neanche a immaginarmi qualcos’altro.»
Sally si aprì in un altro sorriso.
«Li vedrai, prima o poi, Percy! Sono sicura che li vedrai.»
«Quando?» chiese il bambino, impaziente.
«Quando verrà il momento opportuno, non temere.»
Percy annuì impercettibilmente, mentre metabolizzava le informazioni. Non gli sembrava poi una gran cosa, il vedere oltre al bianco e al nero.
«Ma anche tu prima non li vedevi?»
«Sì, amore. Ma poi un giorno ho conosciuto tuo padre, e così, pian piano, ho cominciato a vedere qualcosa. Il mio primo colore è stato il verde, Percy, verde come il colore dei tuoi occhi, e come il colore degli occhi di tuo padre» rispose Sally.
«Ed è bello?»
«Oh, sì... bellissimo.»
«E come mai hai cominciato a vedere i colori dopo che hai incontrato il mio papà?»
«Perché eravamo innamorati e abbiamo entrambi riconosciuto che eravamo fatti per stare insieme » rispose sua madre, felice che il figlio le avesse posto quella domanda.
«Quindi, quando mi innamorerò anche io, e troverò la mia anima gemella, vedrò anche io questi colori?» chiese il bambino.
«Sì, Percy, quando troverai la tua anima gemella, vedrai i colori.»
Si ricordava di quella conversazione come se fosse avvenuta il giorno prima. Non aveva mai messo in dubbio quello che sua madre gli aveva detto. I suoi genitori ne erano stati la prova.
Si augurava di riuscire a vedere, prima o poi, il più presto possibile, quei dannati colori, quella caratterizzazione della materia, che tutti bramavano. E si augurava di riuscirci con Annabeth.
Percy cominciò a leggere quel libro, che ormai sapeva a memoria.
‘Partiamo innanzitutto dalla definizione di colore. Il colore è la...’

 
 
Post Mortem
Il preside Chirone, il giorno dopo la visita di Percy in segreteria, aveva mandato la vicepreside Lady Artemide a prelevarlo (leggasi salvarlo) dalla lezione di greco della professoressa Lady Atena.
«Ho bisogno di Perseus Jackson per un incontro col preside, Lady Atena» aveva detto Lady Artemide quando era entrata in classe. Così Lady Atena aveva acconsentito a fare uscire Percy dall’aula anche se decisamente contrariata.
«Si tratta del ragazzo a cui devo fare da tutor?» chiese Percy durante il tragitto verso l’ufficio del preside.
«Sì, ma te ne parlerà per bene Mr. Chirone.»
Una volta che furono arrivati a destinazione, Lady Artemide accompagnò il ragazzo dentro alla stanza e poi si dileguò in un attimo, lasciando Percy da solo, con il preside.
Aveva già visto il preside Chirone, con la sua barba lunga poco curata e due occhietti scuri che incutevano terrore a tutti, ma non era mai entrato nel suo ufficio. Non che ci fosse molto da dire: era un ufficio, con le pareti bianche, una libreria molto grande che occupava tutta una parete, una scrivania al centro della stanza, al di là della quale vi era Mr. Chirone seduto in poltrona, infine due scomode seggiole poste di fronte alla scrivania.
Il preside fece cenno a Percy di sedersi.
«Buongiorno preside Chirone» salutò cortesemente Percy, dopo aver preso posto sulla sedia e aver appoggiato lo zaino per terra.
«Buongiorno, Jackson. Allora... ti starai sicuramente chiedendo perché ti ho chiesto di fare da tutor a un ragazzino, anche se sei già al quarto anno.»
Percy annuì.
«La prima cosa che devi sapere è che è orfano sia di padre che di madre, e per questo non sa relazionarsi bene con le persone, ha difficoltà a interagire con la società e si lascia avvicinare da pochi» disse il preside.
«Quanto tempo fa è successo?»
«Due mesi fa, ma non ha importanza adesso... Ora, quel che è importante per te sapere è che quelle poche persone che sono riuscite ad avvicinarsi a lui, vivono o hanno vissuto una situazione chi più, chi meno simile alla sua, per questo ho voluto chiedere a te.»
‘Ovviamente. Ma certo. Fai pure con comodo, come se non ne avessi già abbastanza per me di sofferenza’ pensò Percy, ma non disse niente. D’altronde si trattava di un ragazzo a cui era toccata la sua stessa sorte in modo molto più tragico. Se poteva essergli d’aiuto, l’avrebbe fatto.
«Va... va bene. Ma perché lo state accettando? Nel senso, partirebbe dal secondo anno, e in questo college non è mai successo che qualche studente non cominciasse dall’inizio come tutti. Abbiamo addirittura sostenuto quattro esami per poter entrare, perché proprio lui? E poi, qual è il suo nome?» chiese Percy.
«Allora, il suo nome è Nico Di Angelo e i motivi per cui lui debba essere accettato sono diversi.»
Il preside terminò la frase senza rispondere esaurientemente alla domanda di Percy, il quale però se ne accorse. Inoltre aveva già sentito quel cognome da qualche parte, ma non ricordava dove.
«E quali sarebbero questi motivi?» chiese Percy.
Il preside sospirò.
«Per privacy, non potrei dirtelo, Jackson. Ma date le circostanze, credo sia saggio che tu sappia» rispose il preside.
Mr. Chirone si alzò, cominciò ad fare avanti e indietro per la stanza, mentre rispondeva a Percy: «Nico Di Angelo deve essere aiutato. Innanzitutto, se non lo accettiamo, sarà costretto ad andare in orfanotrofio, perché ha quindici anni. Se invece lo accettiamo, potrà autogestirsi e avrà sicuramente un’istruzione migliore rispetto alle scuole degli orfanotrofi.
«Inoltre ha un quoziente intellettivo leggermente sopra la norma. Potrebbe diventare una persona importante, un domani, quindi se lui studia qui e in qualche modo viene fuori che ha frequentato questo college, ne va del nome della scuola.
(‘Che cosa assolutamente egoista’ pensò Percy.)
«Come ultima cosa, ma non meno importante... Lui è, era, figlio dell’imprenditrice della Underworld Society. Per questioni politiche non possiamo non accettarlo.»
Ecco, dove aveva già sentito quel cognome: Maria Di Angelo, la donna più ricca e importante dell’economia americana, morta in un incidente aereo assieme al marito, Ade, e alla figlia Bianca, mentre stavano tornando da una vacanza in Italia.
Ricordava anche che Nico Di Angelo, secondo la stampa, era sfuggito all’incidente perché trattenuto in America da un litigio coi genitori e per questo non avesse acconsentito a partire.
«Ovviamente Nico Di Angelo verrà accettato più che altro per quest’ultimo motivo, il nostro college non può farsi scappare un’occasione del genere! Perché se per caso la stampa riprenderà in mano il caso, sicuramente verrà fuori che il figlio di Maria Di Angelo studia qui. Allora che ne pensi?» chiese infine Mr. Chirone, sedendosi di nuovo.
Percy, che fino a quel giorno aveva sempre provato una grande stima per il preside, era completamente sconvolto.
Davvero, non si aspettava tanto egocentrismo da parte di Mr. Chirone, proprio no. Usare il nome di un ragazzo orfano per tenere vivo il nome del college, assolutamente disgustoso.
«Io aiuterò quel ragazzo,» disse Percy, «ma sappia che lei sta sfruttando il ragazzo, e io non ho alcuna intenzione di partecipare attivamente ai suoi filmini mentali per il nome del college.»
«Va bene, limitati ad aiutarlo, non c’è problema. Ricorda però di mantenere la massima privacy sul suo conto. Diciamo, fai finta di non sapere chi è e soprattutto non dirgli che anche tu ci sei in qualche modo dentro, perché non vorrei che si sentisse preso in giro.»
«Bene» rispose freddamente Percy.
 
 
Ante Mortem
Percy osservava quei puntini anonimi nel cielo buio.
«Ho letto da qualche parte che le stelle non hanno un colore, se viste dalla Terra, quindi se le guardiamo così, in bianco e nero, non le vediamo in modo diverso rispetto a chi vede tutti i colori, Sapientona» disse ad Annabeth.
Annabeth annuì tenendo la testa appoggiata sulla spalla del suo ragazzo, mentre erano seduti sulla loro terrazza.
«È nel libro di astrologia in biblioteca, quello del terzo anno. Quello in cui ci sono le inserzioni a lato per le curiosità sui colori» confermò lei.
Percy le diede un bacio sulla testa, tra quei capelli che a lui sembravano di colore grigio chiaro.
«In questo momento vediamo come gli altri, allora» constatò Percy.
«Sì, siamo come gli altri.»

 
 
Post Mortem
Percy stava andando in biblioteca, per incontrare per la prima volta Nico Di Angelo.
Era passato davanti al pannello nella hall del college, l’aveva guardato per il tempo necessario ad attraversare l’entrato, ma non si era fermato, anche se controvoglia.
Percy ricontrollò per l’ennesima volta il foglio che aveva in mano: Biblioteca, aula 1, ore 14.30.
Nella biblioteca del college c’erano alcune piccole aule che erano delle stanzette a vetri munite di tavolo e sedie in cui i tutor insegnavano ai ragazzi del primo anno, o comunque i ragazzi più grandi davano ripetizioni a chi ne aveva bisogno, anche senza passare per ‘tutor’.
Controllò l’orologio: le 14.25, quindi era in perfetto orario.
Entrò nell’aula 1 alle 14.29, ma Nico Di Angelo si trovava già lì, seduto al tavolo, mentre fissava in modo assente il suo libro di greco antico.
Nel momento in cui Percy varcò la porta, Nico Di Angelo alzò lentamente gli occhi, per studiare la persona che aveva davanti.
La prima cosa che Percy notò di lui furono gli occhi. Scuri. Vuoti. Spenti.
Poi notò le labbra carnose, quasi invadenti sul suo viso. Dopo la pelle pallida, i capelli corvini spettinati, le leggere occhiaie sotto agli occhi, il piercing al naso e, infine, la sua magrezza.
Indossava la divisa del college, che a occhio doveva essere della più piccola tra le misure disponibili, ma indosso a lui sembrava enorme.
«Ciao, io sono Percy, il tuo tutor» lo salutò, porgendogli la mano. Percy voleva sorridergli, incutergli speranza, ma non ci riusciva.
«Nico» disse semplicemente, e gli strinse la mano.
Strinse per modo di dire. Toccò debolmente la mano di Percy, come se non avesse la forza di fare altro, poi si ritrasse subito dopo e tornò a fissare il libro sul tavolo.
Percy si sedette accanto a lui.
«Allora, vuoi cominciare da greco?» gli chiese gentilmente Percy.
Nico si girò a guardarlo, come se si fosse sorpreso per qualcosa, poi rispose, quasi sussurrando: «Va bene.»
 
Dopo tre quarti d’ora di noioso ripasso di alfabeto greco, lettere lunghe e corte e accenti vari, Percy capì che non aveva senso continuare con quelle cose elementari, perché Nico sapeva fin troppo da sé.
Così passarono a verbi e declinazioni, ma anche lì Nico era davvero ferrato.
 «Se vuoi possiamo passare direttamente alla parte in cui, se vuoi, mi fai delle domande sul college, se hai qualche dubbio o qualsiasi cosa da chiedermi...»
Nico chiuse il libro di greco.
«Non ho niente da chiederti.»
«Niente di niente?»
Nico non rispose, riprese a fissare il libro di greco.
«Posso farti una domanda io?»
Nico annuì e disse con una punta di veleno sulla lingua: «Tante persone mi fanno molte domande, ultimamente.»
Solo allora Percy si rese conto di quanto doveva essere stato sotto pressione quel ragazzo, forse la stampa l’aveva pedinato ovunque. Forse tutti quelli che gli stavano vicino un tempo gli avevano sempre chiesto come stesse, invece di stargli accanto.
«Volevo chiederti come mai ti sei sorpreso quando ti ho chiesto se volevamo cominciare con greco. Cioè... avresti preferito fare la... ehm... conversazione sulle domande riguardanti al college prima di fare greco, tanto per non parlare subito di studio?» gli chiese Percy tutto d’un fiato.
Nico alzò lo sguardo verso il più grande e socchiuse la bocca, mentre analizzava il viso di Percy, con fare sorpreso. «No, non era per quello.»
«Per cosa allora?»
«Pensavo che mi chiedessi come mai sono qui dal secondo anno già in corso...» rispose Nico quasi sussurrando.
«Credo che ci sia un motivo più che valido sul perché tu sia qui, ma preferisco non farmi troppo gli affari degli altri (‘Bugia’ pensò Percy).»
Suonò la campanella delle 15.30. Questo significava che Percy doveva muoversi per raggiungere l’aula di Fisica. Maledì mentalmente il tempo, che passava troppo velocemente.
«Devo andare, Nico, ho lezione adesso. Ti lascio il mio numero di stanza e il piano, se avessi bisogno di qualcosa.»
Percy scrisse velocemente su un foglio “Terzo piano, stanza D45”.
«Scusami, ci vediamo domani, ciao» disse Percy velocemente, poco prima di uscire dall’aula.
Dopo qualche secondo, quando Percy se n’era già andato, Nico rispose sussurrando: «Ciao.»
 
 
Ante Mortem
Percy e Annabeth avevano messo diversi tipi di frutta sul tavolo. Erano in mensa.
«Allora qui c’è scritto che la banana è gialla, chissà come sarà mai il giallo» disse Annabeth.
Percy accostò un limone a una banana. «Anche il limone è giallo, ma non sembrano avere qualcosa in comune.»
Annabeth sospirò. «Già, è proprio un bel casino!»
«Vediamo un po’. Le amarene, sono... rosse, o almeno qui c’è scritto che sono rosse» disse Percy prendendo in mano le amarene.
«Insieme alle fragole, giusto?» disse Annabeth avvicinando anche una fragola.
«Ancora nessuna somiglianza, sono tutti uguali!» constatò Percy sconsolato.
«Dai, procediamo.»
Percy prese un grappolo d’uva. «Allora, qui c’è scritto che l’uva bianca è di colore verde, ma perché l’hanno chiamata uva bianca se poi alla fine è verde?»
«Eh, cosa ne so io...» gli rispose Annabeth.
«Comunque... Dice che l’uva bianca è verde, e anche l’interno del kiwi è verde.»
Annabeth prese il kiwi, lo tagliò in due e lo affiancò all’uva.
Dato che non c’era alcuna somiglianza tra i due, continuò a leggere al posto di Percy: «‘La buccia del kiwi è di colore marrone, come la buccia del cocco’.»
Percy mise una noce di cocco (quanto ci era voluto per trovarla!) vicino al kiwi.
«Niente» constatò.
«Già, niente di niente.»
«Però c’è scritto anche che l’interno del cocco è bianco. Lo apriamo? Così almeno vediamo qualcosa che va bene...»
«Ok. Hai mai aperto un cocco?» chiese lei.
«Ehm, no,» rispose Percy ridendo «credo che userò l’istinto.»
Il ragazzo prese la noce di cocco e la sbatté con forza sul tavolo. Questa si aprì e tutto il liquido bianco che conteneva schizzò in ogni direzione, bagnandoli.
«Percy, sei un’idiota» gli disse Annabeth ridendo.
Il ragazzo si chinò verso Annabeth. Il loro bacio fu al gusto di cocco.

 
 
Post Mortem
Percy aveva detto delle lezioni con Nico solo al suo migliore amico, Jason Grace.
Ovviamente non aveva svelato l’identità di Nico, ma solo che gli avevano chiesto di fargli da tutor.
Tuttavia si sentiva in colpa, perché a Jason, solo a lui, aveva sempre detto tutto, e c’era sempre stato, anche dopo che gli aveva raccontato tutto.
In quel momento se ne stavano a far niente in un’aula qualsiasi della biblioteca.
«Tra dieci minuti devo andare da Nico» annunciò in piedi Percy mentre rifaceva lo zaino, così sarebbe stato pronto quando avrebbe dovuto andarsene.
«È bravo almeno?» chiese Jason, mentre lanciava per aria un pennarello.
Percy tornò sulla sedia. «Fin troppo, impara molto in fretta»
«Così hai qualcosa da fare, no?»
Percy alzò gli occhi al cielo, poi rispose: «Sto bene, Jason. Non devi preoccuparti per me.»
Jason scosse la testa, sospirando. Non era stupido, Percy lo sapeva, ma davvero non doveva preoccuparsi.
«Davvero, sto meglio» gli disse Percy, in modo rassicurante.
Jason non ce la fece più e lo abbracciò, come si abbracciano gli amici che si conoscono da una vita.
 
Percy entrò nell’aula 1 per la quinta lezione con Nico. Si erano messi d’accordo che si sarebbero visti al martedì, al giovedì e al venerdì.
In ogni lezione precedente avevano sempre ripassato la grammatica di latino o di greco, seguita poi da una mezz’ora di esercizi. Non avevano avuto molto tempo per parlare. Soprattutto, Percy si era accorto che Nico passava da una traduzione all’altra come se niente fosse, come se volesse sempre fare qualcosa, invece di parlare come avevano fatto la prima volta. Si era chiesto se aveva fatto qualcosa di sbagliato, ma non gli sembrava, così aveva deciso di dare a Nico il suo tempo.
Dopo che Percy si fu messo a posto (ovviamente Nico era già arrivato, come al solito), cominciarono subito a studiare verbi greci. Dopo tradussero insieme una versione. Al termine della versione, Nico non ne volle fare subito un’altra, stranamente, e chiese a Percy: «Ma voi non uscite mai?»
«Eh?»
«Gli studenti avranno dei genitori a casa che li aspettano, no? Non si può uscire? Non li vengono mai a prendere?»
«No, andiamo a casa solo durante le vacanze estive. Ovviamente possiamo telefonare a casa, ci sono i telefoni al primo piano, nell’ala Nord. Ieri ho chiamato mia madre, per esempio. Dalle sette di sera è sempre a casa» gli rispose Percy.
«E non potevi chiamare in un orario in cui c’era anche tuo padre?»
Percy capì. Tutto.
Nico voleva capire se il suo tutor era nella sua stessa situazione, o in una simile.
Forse voleva capire se doveva fidarsi di lui? Percy non lo sapeva, ma era certo che Nico gli stesse facendo quelle domande per capire la sua situazione. Se le risposte di Percy avrebbero fatto in modo che Nico si fidasse del più grande, allora sarebbe stato disposto a dargliele, anche se neanche lui sapeva cosa gli importasse della fiducia di Nico. Però la voleva, comunque.
«Non c’è un orario in cui mio padre è a casa, in realtà» rispose Percy.
«È via per lavoro?»
«No. Semplicemente non c’è più» rispose Percy.
Per qualche secondo calò il silenzio.
«Scusami, non avrei dovuto chiedertelo.»
«È morto quando avevo sei anni, non mi ricordo molto di lui, non devi scusarti.»
«Per questo non mi hai chiesto niente...»
«In che senso?»
«Oppure non sai chi sono. Non siamo in una situazione tanto divergente l’una dall’altra. Se sai chi sono, sapevi che non dovevi chiedermi niente, neanche sul mio stato di salute, come hanno fatto in tanti. Se non sai chi sono, meglio così.»
Nico non aveva mai parlato tanto a lungo e con tanta sicurezza.
Percy non voleva essere preso in giro. «Io so chi sei e so anche che non sarebbe stato opportuno chiederti come stai, dopo tutto quello che hai passato. Ma per quanto riguarda il tuo stato di salute, non ho bisogno di chiederti come stai. Soffri di anoressia e disturbi alimentari. Soffri della sindrome del sopravvissuto e presenti dei chiari sintomi di sociopatia e depressione, ma entrambe sono abbastanza lievi, fortunatamente. Non ho bisogno di chiedertelo, lo vedo.»
Nico guardò Percy con un’espressione confusa in volto.
«Ma... non hai detto niente a nessuno di come credi che sto...» rifletté Nico ad alta voce.
«Ovviamente.»
«No, non è così ovvio. Perché non ti sei precipitato a dirlo a qualcuno, come fanno tutti solitamente?»
«Perché non ti saresti mai fidato di me e l’avresti preso come un tradimento. Lo so come ci si sente con tutti che ti opprimono perché ti vedono che stai male, mentalmente e fisicamente, e vogliono aiutarti anche se non ne hanno le facoltà.»
Percy ci teneva davvero a fare in modo che Nico si fidasse di lui. Non sapeva perché e non sapeva nemmeno come, ma voleva aiutarlo. Sentiva che doveva farlo. Come se una forza più grande di lui glielo imponesse.
«Ma hai detto che tuo padre è morto quando avevi sei anni» ribatté Nico.
Percy si accigliò. «Non ho mai detto che sono stato male proprio per la morte di mio padre. Non si soffre solo per la perdita dei parenti.»
Percy era consapevole di essere stato duro con Nico. Ma non aveva potuto farne a meno, perché se si fosse rivelato debole davanti a lui, avrebbe perso la sua fiducia, ne era certo.
«Nico, io voglio aiutarti. E sono consapevole che tutti coloro che hanno provato ad aiutarti prima di me, hanno sicuramente sbagliato qualcosa, ma se ce l’ho fatta io, ce la puoi fare anche tu ad essere di nuovo felice.»
Quelle frasi erano quasi le stesse che gli aveva detto Jason, quando era successo. Con la differenza che Percy e Jason si conoscevano da almeno due anni, non da una settimana e mezzo.
Tuttavia, forse per la paura di rimanere solo, o per il semplice fatto di non sapere bene cosa fare, Nico annuì, e Percy lo prese come un ‘Sì, voglio farmi aiutare da te’.
 
 
Ante Mortem
Stavano mangiando insieme allo stesso tavolo della mensa: Piper e Jason da un lato, Annabeth e Percy dall’altro.
«Dobbiamo darvi una notizia stupenda» annunciò Piper, guardando Jason complice.
«Di che si tratta?» chiese Annabeth curiosa.
Jason disse: «È una cosa bellissima, non vedevamo l’ora che succedesse.»
Piper e Jason si guardarono sorridendo, poi Piper si sporse in avanti verso Percy e Annabeth e sussurrò: «Stiamo cominciando a vedere i colori, tutti e due abbiamo cominciato lo stesso giorno, quando ci siamo detti il primo ‘Ti amo’, sai com’è!»
Percy si aprì subito in un sorriso, mentre guardava Jason che dava un bacio sulla guancia di Piper.
«Wow!» fece Annabeth.
«Io e Piper siamo più piccoli di voi di un anno e i colori vengono fuori più o meno a quest’età, ammesso di aver trovato l’anima gemella, no? Quindi, direi proprio che tra poco toccherà a voi!» esclamò Jason.
«Speriamo!» disse Percy sorridendo.

 
 
Post Mortem
Nelle lezioni successive, Percy e Nico si erano avvicinati ancor di più.
Avevano cominciato a parlare del più e del meno e Nico interagiva molto di più con Percy, anche se era sempre limitato. Una volta avevano parlato dei gossip sui professori del college, un’altra di tutte le marachelle che Percy si ricordava che qualche studente del college avesse fatto, un’altra ancora avevano parlato dei loro gusti musicali ed entrambi avevano concordato che i Bring Me The Horizon erano la miglior band in circolazione, per non parlare della fissazione che entrambi avevano per i Super Eroi della Marvel...
Più che altro era Percy a parlare, ma si era accorto che Nico era più un ascoltatore che un parlatore, quindi stava bene a entrambi.
Quella volta, tredicesima lezione (Percy si stava segnando il numero), andarono nell’aula 1 insieme, dopo che entrambi avevano pranzato insieme a Jason. Percy voleva che Nico cominciasse a socializzare, tuttavia aveva visto che il ragazzino non aveva interagito con Jason, ma si disse che era già qualcosa che mangiasse in compagnia e che avesse almeno un cracker in più nel suo piatto. Stava cercando di non fargli pesare il fatto che fosse troppo magro e cercava di non forzarlo a mangiare. Quel giorno Percy gli aveva addirittura dato un biscotto e Nico l’aveva mangiato a metà, era già qualcosa.
(L’altra metà se l’era mangiata Percy.)
Per andare in biblioteca, i due erano passati dalla hall.
Percy aveva detto a Nico di fermarsi: voleva osservare il pannello, ancora.
Nico si fermò a guardare insieme a lui. «Perché ci stai sempre davanti? Quando passo dall’ingresso ti vedo sempre qui.»
«Non lo so» mentì Percy. «Credo di avere una specie di ossessione per questo affare.»
Dopo aver fatto tre quarti d’ora di traduzione del De Bello Gallico di Giulio Cesare, decisero che era abbastanza.
«Argomento di oggi? Abbiamo solo un quarto d’ora» chiese Percy.
«Volevo chiederti una cosa» disse Nico debolmente, come se si sentisse in imbarazzo.
«Dimmi.»
«Mi spieghi come funziona tutta la faccenda colori? Nessuno me l’ha mai spiegata per bene.»
Percy si mise comodo sulla sedia e sospirò. «È una cosa molto complicata, Nico. Molto, molto complicata. Innanzitutto devi sapere che la forza motrice di tutta la faccenda è l’Amore. Perché adesso noi vediamo in bianco e nero, ma cominceremo a vedere a colori, cioè come sono veramente le cose, solo quando riconosceremo che una persona è la nostra anima gemella.
«Di solito è un fenomeno che si manifesta dai quindici anni in su, ammesso di aver davvero trovato l’anima gemella.
«Molte coppie formate da uomini e donne, ne avrai sicuramente viste qui al college, non vedono ancora a colori. Però stanno insieme lo stesso perché sperano di aver trovato la persona della loro vita, anche se non ne sono ancora sicuri, dato che vedono in bianco e nero.
«Le due persone cominciano a vedere a colori o simultaneamente, oppure con una differenza al massimo di due settimane. La cosa può cambiare se un individuo della coppia si accorge di avere davanti la propria anima gemella prima che anche quest’ultima se ne accorga, ma sono casi molto rari e alla fine si risolvono.
«Di solito il primo colore che si comincia a vedere ha a che fare con l’anima gemella. Può essere il colore degli occhi, quello del braccialetto che ha sempre con sé, lo zaino, insomma qualsiasi cosa.
«Infine... tutti vogliono vedere questi colori, perché chi li vede racconta che sono una cosa straordinaria, che sono una caratterizzazione unica della realtà.»
Nico aveva annuito di tanto in tanto durante la spiegazione, ma Percy vedeva che era ancora perplesso.
Più volte aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo, come se avesse paura di chiedere.
«Chiedimi pure tutto quello che vuoi» gli disse Percy, anche se in cuor suo sperava che non lo facesse, o almeno che non toccasse un certo argomento della faccenda.
Per fortuna, o per sfortuna, la campanella suonò. Percy dovette andarsene a lezione di filosofia, lasciando un Nico un po’ perplesso nell’aula 1 della biblioteca.
 
 
Ante Mortem
Percy e Annabeth si trovavano nell’aula 3 della biblioteca.
«Allora, vediamo di fare il punto della situazione» disse Annabeth.
Percy cominciò ad elencare. «Fogli, pareti della scuola, camice della divisa della scuola, latte, neve, bicchieri di plastica della mensa, posate di plastica della mensa, gomma da cancellare, sale...»
«...e le strisce pedonali» concluse Annabeth.
«Queste sono tutte le cose bianche che conosciamo» disse Percy.
«Esattamente. Ora passiamo a quelle nere. Abbiamo... il cielo di notte, la cravatta della divisa, gli occhiali 3D, la liquirizia, il mascara...»
«Il mascara che cos’è?» chiese Percy.
«Non sai mai niente! È un cosmetico per gli occhi, allunga le ciglia e le rende più spesse» rispose Annabeth.
«Uhm, ok.»
«Torniamo a noi... Tutte le cose che abbiamo detto sono bianche o nere, ne abbiamo alcune sicuramente grigie?»
«Sì. Le nubi da temporale, i rinoceronti, gli elefanti e... i tuoi occhi» le disse Percy sorridendo.
«I miei occhi?» chiese Annabeth.
«Be’, Jason mi ha detto che i tuoi occhi sono grigi e, dato che posso vedere i tuoi occhi per come sono in realtà, posso dirti con assoluta certezza che hai dei bellissimi occhi» le disse lui, mentre le guance di entrambi si tingevano di rosso.
Annabeth si aprì in un sorriso e gli mise le braccia attorno al collo.
«Sono felice, perché conosco i tuoi occhi, Annabeth.»
Annabeth si avvicinò a lui ancora di più, posò le labbra su quelle di Percy, mentre lui le cingeva dolcemente i fianchi.

 
 
Post Mortem
Percy passò davanti al pannello nella hall, si fermò a guardarlo per due minuti circa, cercando di scorgerci dentro qualcosa. Non vide niente di anormale, quindi si diresse in biblioteca per la diciottesima lezione.
Entrò nell’aula 1 e si sedette di fianco a Nico, come succedeva sempre.
«Cos’hai portato oggi?» gli chiese.
«Greco» rispose.
«Porti più spesso greco che latino» disse Percy.
«Perché il greco è più bello, il latino non mi piace, è troppo rigido, così lo faccio da solo.»
«Non dovrebbe essere il contrario? Una materia la fai da solo perché ti piace e l’altra la fai insieme agli altri per renderla meno noiosa?»
«No, perché ho paura di mettermi a odiare anche la persona con cui studio la materia noiosa, oltre alla materia stessa» rispose Nico sorridendo debolmente.
Sì, aveva cominciato a sorridere e ogni volta che lo faceva a Percy veniva una voglia matta di abbracciarlo. Tuttavia si tratteneva dal mostrare i suoi istinti fraterni.
«È una teoria interessante...» constatò Percy.
Si misero a studiare e a tradurre. Dopodiché rimasero loro solo dieci minuti per parlare, come erano soliti fare alla fine della lezione.
Argomento della giornata: serie TV.
Dopo un breve dibattito su quanto Percy detestasse Once Upon A Time e anche su quanto Nico trovasse questo odio davvero infondato, arrivarono a serie TV un po’ più movimentate.
«Comunque la serie TV migliore in assoluto è American Horror Story» sentenziò Nico.
«L’ho vista anche io, però di solito preferisco guardare roba più... leggera
«Oh dai, non ti farà mica paura?»
Percy lo guardò sgranando gli occhi, poi gli disse in modo appositamente innocente: «Perché a te non fa paura?»
Nico si mise a ridere, e la sua risata era la più bella e cristallina che Percy avesse mai sentito, almeno da un anno a quella parte.
«Non si ride delle disgrazie altrui!» esclamò Percy mettendo il finto broncio.
E Nico continuò a ridere, di gusto, come se non lo facesse da tanto, troppo tempo.
Improvvisamente, si fermò, fissando il ragazzo più grande.
A Percy sembrava che Nico fosse spaventato, perché aveva gli occhi spalancati e muoveva gli occhi a destra e a sinistra, fissando alternativamente l’occhio destro e quello sinistro di Percy.
Nico non era spaventato, Nico era terrorizzato.
«Va... va tutto bene?» provò a chiedere Percy.
La campanella suonò.
«Devo andare» si affrettò a dire Nico.
E con una velocità che Percy non gli aveva mai attribuito, Nico prese rapidamente le sue cose e uscì dall’aula, correndo.
 
 
Ante Mortem
«Percy, devo dirti una cosa...» disse Annabeth, mentre si trovavano di nuovo sulla loro terrazza.
«Dimmi.»
«Credo di... credo di cominciare a vedere i colori.»
Percy si illuminò subito. «Davvero?» le chiese a bocca aperta.
Annabeth annuì energicamente.
«Che colore vedi?» le chiese sorridendo.
«Ci ho guardato, sul libro, è il blu, come la collana che porti sempre al collo» Annabeth gli rispose, mentre con una mano gli accarezzava la collana, unico dono che Percy aveva ricevuto da suo padre, unico ricordo. Non l’aveva mai tolta.
Il ragazzo si sporse verso di lei e la baciò come non aveva mai fatto prima.
Ci mise passione e dolcezza.
Quando si staccarono, Percy le disse, sussurrando, a due centimetri dal suo viso: «Ce la stiamo facendo!»

 
 
Post Mortem
Percy aveva pranzato insieme a Jason, ma a loro non si era aggiunto Nico. Anzi, Percy non l’aveva proprio visto in mensa.
Poi era andato nell’aula 1 al solito orario. Nico non c’era. Aspettò lì per dieci minuti, ma il più piccolo non si fece vivo.
Si diresse in segreteria per chiedere a Lady Era qual era la camera di Nico, ma prima di entrare si fermò ad osservare il pannello nella hall. Si maledì mentalmente per il fatto che poteva guardare quel dannato pannello quando voleva, ma quello non era il momento opportuno.
«Hey, in che stanza è Nico Di Angelo, secondo anno?» chiese non appena fu entrato.
«Non si usa più salutare?» lo riprese Lady Era.
Percy sbuffò.
«Fammi controllare sul computer.»
Percy era nervoso. Si tormentava le mani, non riusciva a star fermo. Perché avrebbe dovuto essere così agitato? Magari Nico non stava semplicemente bene e si era solo dimenticato di dirglielo.
«Eccoci qui, quarto piano, stanza H18!»
«Grazie» rispose semplicemente Percy, poi si catapultò fuori dalla segreteria.
 
Bussò alla porta della camera H18.
Dopo qualche secondo sentì la serratura scattare e Nico fece capolino dalla porta socchiusa.
«Ciao, non stai bene?» gli chiese Percy.
Nico annuì. Aprì la porta velocemente, tirò per un braccio Percy per farlo entrare in camera e poi la richiuse, facendo scattare la serratura.
La prima cosa che Percy notò della sua stanza fu l’ordine, a parte il letto che era completamente sfatto.
Poi vide quattro enormi locandine di serie TV incollate al muro: Merlin, Once Upon A Time, il Trono di Spade e infine, proprio sopra alla testiera del letto, American Horror Story.
«È successo qualcosa?» gli chiese cautamente Percy.
Nico andò sul letto e poi sotto le coperte. ‘Che si senta al sicuro sotto le coperte?’ pensò Percy.
Era vestito solamente con un pigiama grigio, segno che quella mattina non era andato a lezione.
«Non sto molto bene» farfugliò Nico.
«Cos’hai?» gli chiese Percy sedendosi sul bordo del letto.
Nico per una frazione di secondo guardò Percy negli occhi, poi prese a guardare un punto indefinito davanti a sé e disse: «Niente di preoccupante.»
«La prossima volta dimmelo. Hai bisogno di qualcosa?»
Nico scosse la testa.
Continuava a non guardare Percy negli occhi.
«Sei sicuro di non stare bene? È successo qualcosa che hai paura o ti vergogni di dirmi?»
Nico guardò di nuovo il più grande di sfuggita, poi deglutì. A quel punto Percy capì di aver colpito nel segno.
«Che cos’è successo?» gli chiese infatti.
Nico si guardò le mani appoggiate alla coperta, poi guardò Percy negli occhi per un piccolo istante e interruppe il contatto visivo subito dopo, un’altra volta.
«Mi giudicheresti» gli disse con una vocina piccola, come quella di un bambino.
Percy si sedette più vicino a Nico. «Di me ti puoi fidare. Lo sai.»
Nico annuì. A Percy sembrò che dentro di lui Nico stesse raccogliendo tutto il coraggio che aveva, nel tentativo di riuscire a parlare.
«Io ho paura di questa cosa» cominciò Nico. Sospirò. «È una cosa che mi è successa all’improvviso e speravo proprio che non mi capitasse proprio adesso, in questo momento della mia vita, ma comunque non posso farci niente.»
Sospirò di nuovo.
Percy gli mise una mano sulla gamba che si trovava sotto la coperta per incoraggiarlo, ma Nico sussultò al tocco, quindi Percy si ritrasse.
«All’improvviso. Io... io vedo un colore» disse Nico con la voce incrinata.
Stava per piangere.
Percy si avvicinò a lui e lo strinse in un abbraccio, che tanto aveva voluto dargli in altre occasioni.
Nico gli mise le braccia al collo, come un bambino, appoggiò la testa sulla spalla del più grande e pianse.
«Vuoi dirmi chi è?» gli chiese cautamente Percy poco dopo.
Nel fare quella domanda Percy provò una strana sensazione. Era un misto di tristezza e rabbia, con una punta di malinconia. Poi si rese conto che era gelosia.
Nico scosse la testa e si strinse ancora di più al corpo di Percy.
«Che colore vedi?» gli chiese.
«Il verde.»
«Il verde...»
Nico si staccò dal più grande e sorrise tristemente. Prese un libricino e ne sfogliò le pagine, fino a trovare quella che gli interessava.
«Questo è il verde» disse Nico, indicando una pagina che a Percy sembrava completamente vuota, poi Nico continuò: «L’erba è verde, le foglie sono verdi... ci sono tante cose.»
Il più piccolo guardò finalmente il più grande negli occhi e disse: «I tuoi occhi sono verdi.»
Percy gli sorrise. Si abbassò a cercare il suo zaino che aveva lasciato ai piedi del letto, ne estrasse un fazzoletto e lo porse a Nico.
«Grazie.»
Dopo che Nico di fu asciugato le lacrime e si fu soffiato il naso, Percy gli chiese: «Perché sei così triste per questa cosa? È una cosa bella, anche se magari non lo ritieni il momento più opportuno per innamorarti.»
Nico scosse la testa e gli disse: «Percy, non è come credi. Nel senso... ho paura di venire giudicato se lo venisse a sapere qualcuno.»
«Sai che di me puoi fidarti, non ti giudicherò. Forse non ti saresti mai aspettato di innamorarti di questa ragazza?»
Nico abbassò la testa. Riprese a piangere e Percy lo abbracciò di nuovo.
«È proprio questo il punto. È un ragazzo
Quelle tre parole colpirono Percy, perché era sempre stato certo che le due anime gemelle dovessero essere di sesso opposto. Se le cose non stavano effettivamente così, allora si era perso qualche passaggio, ma non gli sembrava proprio.
«Sei sicuro che sia un ragazzo?» gli chiese Percy. Sapeva di non essere d’aiuto facendo delle domande, ma doveva capire bene la situazione.
«Sì. Non mi sono mai piaciute le ragazze... ti prego, non dirlo a nessuno» rispose Nico.
«Non lo dirò a nessuno. Hai la mia parola» gli disse Percy prima di dargli un bacio sulla fronte.
«Grazie.»
«Nico, a me non importa che genere ti piace. Devi solo cercare di essere il più felice possibile nella tua vita, se sono i ragazzi a renderti felice e non le ragazze, non c’è nessun problema.»
Nico annuì contro la spalla di Percy.
«Vieni a lezione domani... non studieremo, cercheremo delle informazioni su questa cosa... ma, per favore, vieni, altrimenti ci sospendono entrambi.»
«Va bene » acconsentì Nico.
Rimasero abbracciati per tantissimo tempo, un’eternità, finché Nico non si addormentò tra le braccia di Percy e il più grande lo mise per bene sotto le coperte.
Il ragazzo uscì dalla stanza e l’ultima cosa che vide fu la locandina di American Horror Story, Tate che sovrastava Vivian su uno sfondo che a lui sembrava nero.
 
 
Ante Mortem
Era da circa un mese che Annabeth vedeva i colori.
Ma gli occhi di Percy non ne volevano sapere proprio di seguire la stessa via.
Annabeth all’inizio glielo chiedeva ogni giorno, se vedeva qualcosa, e lui le rispondeva che no, ancora non vedeva niente.
Ad Annabeth non importava molto, più che altro pensava che ci fosse una specie di ritardo, a volte succedeva. Anche Percy ci sperava.
Perché lui amava davvero Annabeth. A lui non importava di vedere i colori, perché lui sapeva che Annabeth era la sua anima gemella a prescindere.
Così, passato un mese, decise di parlarne ad Annabeth nel modo più semplice possibile.
«Niente colori ancora?» gli chiese Annabeth, mentre se ne stavano in piedi appoggiati alla ringhiera della loro terrazza.
«No, ma non credo che spunteranno fuori. Entrambi sappiamo che non esistono i ritardi per questa faccenda.»
Annabeth si rabbuiò. «Già.»
«Sai cosa? Non me ne frega niente di vedere i colori. Io so che ti amo, non ho bisogno dei colori per averne la conferma» le disse Percy sorridendo.
Annabeth si voltò a guardarlo con un’espressione in viso a metà tra il disperato e l’arrabbiato.
«Non puoi amarmi lo stesso, se vedi ancora in bianco e nero.»
«Sì che posso.»
«No. Non puoi.»
La risolutezza con cui Annabeth parlò, gli gelò il sangue, perché proprio una reazione così non se l’aspettava. Una pugnalata avrebbe fatto meno male.
«Perché fai così Annabeth? Non sto mentendo, io posso amarti.»
«No Percy, prima o poi non lo farai più, in ogni caso.»
«Perché?»
Annabeth sospirò, poi rispose: «Ho scoperto una cosa, qualche giorno fa. In pratica tutti noi, siamo convinti che smetteremo di vedere in bianco e nero quando riconosceremo che una persona è la nostra anima gemella. E soprattutto siamo convinti che questa anima gemella ce la scegliamo noi...
«Ho scoperto che non funziona così. Due individui sono già predestinati a stare insieme, è l’Amore a deciderlo, questa grande forza che ci sovrasta. A volte però l’Amore, tipo, gioca degli scherzi, dei bruttissimi scherzi, Percy. A volte succede che una persona, nella coppia, sia anima gemella anche di qualcun altro, ma questa persona non vede i colori per l’altro che non è all’interno della coppia.
«So che spiegato così è difficile da capire, ma quello che sto cercando di dirti è che... tu sei effettivamente la mia anima gemella, ma io non sono la tua, perché appartieni a qualcun altro, che forse non hai ancora incontrato.»
Percy non ci credeva. Non voleva crederci. Era troppo scioccato per parlare o per fare qualsiasi cosa.
Quindi Annabeth continuò: «Questa cosa non è molto diffusa. Succede molto raramente, per questo non ne abbiamo mai sentito parlare. Tutte le persone che non sono ricambiate vanno in alcuni centri. Lì a volte succede che si innamorano tra loro. Ma non è detto neanche questo.»
«No Annabeth, non riesco a credere a una cosa del genere, proprio no!»
«Dovrai crederci...»
«No, non devo! Mi rifiuto proprio di crederci! Annabeth, io ti amo davvero.»
La ragazza lo guardò intensamente. Si avvicinò a lui e gli disse, con le labbra a pochi centimetri dalle sue: «Lo so che mi ami davvero, ma un giorno, smetterai di farlo.»
Lo baciò. Una lacrima le solcava il viso.
Percy non fece neanche in tempo a ricambiare il bacio che Annabeth stava già correndo via, lasciandolo lì, solo.

 
 
Post Mortem
Nico non si era presentato neanche alla lezione del giorno dopo, quindi Percy aveva deciso di andarlo a trovare in camera sua.
Mentre camminava tra i corridoi e faceva lo slalom tra gli studenti, Percy riusciva solo a pensare a quanto gli dispiacesse per Nico, perché era quasi sicuro che le relazioni omosessuali non esistessero.
Percy arrivò finalmente al quarto piano. Bussò alla porta della stanza H18. All’interno una voce debole disse: «Avanti, è aperto.»
Percy entrò, richiudendo subito la porta dietro di sé.
Ogni cosa era al suo posto. Anche Nico lo era, sotto le coperte.
‘Si sente davvero protetto sotto le coperte’ pensò Percy.
«Ciao» lo salutò Nico.
Percy si sedette sul bordo del letto. «Sei uscito da questa stanza da ieri?»
Nico scosse la testa.
«Perché? Non è standotene qui che risolveremo la situazione...»
Nico abbassò la testa. «Avevo paura.»
«Di incontrarlo? Magari ricambia e non lo sai.»
«Non credo.»
«Dovresti dirglielo, magari anche a lui piaci» gli disse Percy, mentre dentro stava morendo di gelosia.
Percy si chinò verso il suo zaino per vedere se aveva qualcosa da mangiare per Nico, ma non trovò niente.
«Tu... tu conosci qualche episodio in cui c’era una persona che non ricambiava un’altra?»
Percy si sentì morire dentro. Però non voleva darlo a vedere.
Doveva raccontare quella storia. Era ora di farla conoscere a qualcuno che non fosse Jason.
«Conosco un episodio, sì. L’ho vissuto abbastanza da vicino...»
‘Ah, solo abbastanza?’ si rimproverò mentalmente Percy.
Nico si mise seduto, con la schiena appoggiata alla testiera del letto, in ascolto.
«Una cosa che devi sapere, e che ancora non ti ho detto, è che ognuno di noi non si sceglie l’anima gemella. C’è una forza, l’Amore, che tipo mette insieme due persone, un uomo e una donna, e li battezza anime gemelle. Ogni tanto succede che l’Amore, diciamo, faccia qualche sbaglio, e faccia innamorare una persona di un’altra, ma quest’altra persona è già anima gemella di qualcun altro.
«Ora, premesso questo... qualche anno fa c’erano un ragazzo e una ragazza, qui al college, che...»
Percy sospirò, in preda alla disperazione. Aveva già gli occhi lucidi.
«...che si amavano. Si amavano davvero. Per loro i colori erano importanti, anche se non sapevano bene cosa fossero. Spesso facevano degli esperimenti insieme con tutti i libri sui colori che possedevano. «Andavano davanti a quel pannello che c’è nella hall e lo esaminavano, anche se non vedevano mai niente di speciale e gli altri studenti li guardavano sempre male. Ma a loro non importava.
«Una volta fecero l’elenco di tutte le cose nere che conoscevano, di tutte quelle bianche, di tutte quelle grigie, chiedendosi che colore avessero le altre cose. Un’altra volta avevano preso della frutta e avevano paragonato un frutto o l’altro, a seconda del colore, seppur non vedendo niente di insolito.
«Erano molto innamorati, Nico, davvero tanto. E in cuor loro erano assolutamente convinti che erano anime gemelle.»
Una piccola lacrima scese lungo la sua guancia.
«Percy...?»
«Un giorno la ragazza cominciò a vedere i colori. Disse questa stupenda notizia al ragazzo. Erano felici, perché i loro sogni di vedere i colori e di farlo insieme si stavano avverando.
«Tuttavia dopo un mese di attesa il ragazzo non dava segni di vedere i colori. Era passato troppo tempo rispetto a quando la ragazza aveva cominciato a vedere a colori per considerarlo un ritardo.
«Ma al ragazzo non importava più dei colori. Anche se non poteva vederli, lui era felice di stare con la ragazza, perché l’amava.
«Tuttavia la ragazza non la prese così bene. Lei spiegò al ragazzo che se lui non vedeva i colori era perché non era la sua anima gemella. La notte in cui glielo spiegò, la ragazza... la ragazza...»
Percy stava piangendo. Nico gli si era avvicinato e gli aveva messo una mano sulla spalla, probabilmente non sapeva bene cosa fare.
«Percy, se non me lo vuoi raccontare, non fa niente...»
«La ragazza si suicidò. Si buttò giù dalla terrazza, lasciando al ragazzo soltanto una lettera.»
Nico chiese con voce tremante: «È Annabeth Chase, dove c’è la targhetta sul muro nell’ala Est?»
Percy annuì, poi riprese: «Da quel giorno, il ragazzo non riuscì più a passare dal posto in cui lei era caduta. E da quel giorno appena poteva, andava davanti al pannello nella hall, per esaminarlo, per capire cosa vedeva la ragazza, per cercare di starle vicina in qualche modo.»
Percy piangeva e tremava.
«Percy, ma... tu. Tu sei sempre davanti al pannello a guardarlo...»
Percy guardò Nico senza vergogna e annuì.
Nico lo abbracciò più stretto che poté, nel tentativo di scaldare quel cuore infranto dal destino.
 
 
Post Mortem
Percy si svegliò di soprassalto.
Guardò l’orologio digitale sul suo comodino, erano le quattro di mattina.
Non era riuscito a dormire bene per tutta la notte.
Dopo che Annabeth era corsa via, la mente di Percy era stata invasa da pensieri, supposizioni e paure.
Si alzò dal letto, camminò nel buio a tentoni per andare in bagno e sciacquarsi la faccia, quando calpestò qualcosa. Era un foglio di carta, che sicuramente non era stato lui a far cadere.
Lo raccolse, accese la luce e cominciò a leggere quella che si mostrò come una lettera:
 
Caro Percy,
probabilmente quando leggerai questa lettera, io non ci sarò già più. Ma non importa, tu devi andare avanti senza di me.
Io, invece, devo andarmene.
Tutto quello che vedrai accadere attorno a te, non è colpa tua, e non lo sarà mai. É e sarà sempre una mia scelta.
Sei una persona meravigliosa, non dimenticartelo mai.
Sono sicura che lo sei, perché saresti rimasto con me anche senza vedere i colori. E noi bramavamo i colori, era una cosa che volevamo che ci accadesse insieme.
È stato bello osservare da vicino, da lontano, a destra, a sinistra, in ogni angolo quel maledettissimo pannello all’ingresso, insieme.
Ma tu non sei destinato a vederlo con me per come è in realtà. Lo vedrai con qualcun altro.
Per questo, rendi la tua anima gemella il più felice possibile.
Se mi amavi davvero, fallo.
Ti amo.
 
Per sempre tua,
Annabeth.
 
Percy non si sentì bene. Appoggiò la lettera sulla sua scrivania.
Uscì dalla sua stanza senza sapere dove andare.
Ignorava cosa significasse quello che era scritto nella lettera. Non capiva. Tuttavia sapeva che doveva andare da Annabeth, e in fretta anche.
Scese quelle che a lui sembrarono un’infinità di scale e percosse un migliaio di corridoi, mentre la disperazione lo divorava.
Vide delle persone muoversi nel cortile, mentre passava accanto a una finestra, alcune avevano una faccia seria, altri disperata, altri semplicemente triste. E tutti guardavano in un punto. Ma Percy non riusciva a vedere quel punto.
Decise di andare a vedere cosa stava succedendo.
Quando uscì in cortile e guardò, non servì a nulla che il professore di ginnastica tentasse di spingerlo all’interno dell’edificio, neanche il preside riuscì in quell’impresa.
Percy aveva visto.
Annabeth era sdraiata in una posizione completamente innaturale, con gli occhi spalancati e vuoti che, inquietanti, sembravano guardare Percy, seguirlo, per urlargli ‘È COLPA TUA’.
Percy si liberò facilmente da chi cercava di fermarlo e si avvicinò, piangendo lacrime amare.
L’erba sotto la testa di Annabeth era intrisa di sangue e materia cerebrale.
Urlò, Percy urlò in preda al dolore.
Urlò e pianse mentre la stringeva per l’ultima volta, mentre lei, per l’ultima volta, si faceva coccolare e baciare, inerme, per l’ultima volta.
 
Da quel giorno, Percy si fermava sempre, almeno una volta al giorno, davanti al pannello a spirale nella hall, per cercare di esserle vicino.

 
 
Post Mortem
Dopo che Percy si fu finalmente calmato, Nico gli chiese: «L’hai mai detto a qualcuno?»
«Sì, a Jason. Lui sa tutto, anche della lettera.»
«E non l’hai detto a nessun altro?»
Percy scosse la testa.
«Mi dispiace, non avrei dovuto chiedertelo.»
«Non è un problema, qualcuno doveva saperlo. Ma ti prego, promettimi che non farai come la ragazza, giuralo!»
Nico si fermò a guardare Percy trattenendo il respiro. «Te lo giuro.»
Percy lo abbracciò, felice che Nico non avrebbe commesso lo stesso errore di Annabeth.
I due si diedero appuntamento il giorno dopo in camera di Nico, dato che non avevano lezione in biblioteca.
 
Percy voleva essere l’anima gemella di Nico, avrebbe dato qualsiasi cosa per esserlo, per non farlo più soffrire in quel modo. Si era affezionato al più piccolo, gli voleva un bene dell’anima. Percy non era sicuro di quello che provava per il più piccolo, ma forse perché anche lui si era trovato in una situazione simile e lo capiva, forse perché anche se era decisamente taciturno, Nico gli piaceva. Gli piaceva quando abbassava timidamente la testa e lo sguardo, quando aggrottava le sopracciglia, quando, concentrato nelle traduzioni, si mordeva il labbro inferiore.
Nico era dolce.
Percy si accorse di provare tutto questo da almeno due settimane, ma se n’era accorto solo in quel momento. Come aveva fatto a non capirlo prima?
Questi erano i pensieri di Percy mentre si dirigeva verso la camera di Nico.
Una volta arrivato a destinazione aprì la porta senza neanche bussare.
Percy sentì spuntare un accenno di mal di testa, proprio dietro alla nuca, che però si dissolse subito.
Si trovò davanti Nico, in piedi, sorpreso di vederlo, mentre la porta si richiudeva con un tonfo.
Percy era paralizzato a guardare il viso di Nico. Le sue labbra erano... accese. Non avrebbe trovato nessun altro aggettivo per descriverle in un modo migliore.
Nico aveva le labbra accese.
Percy prese la testa del più piccolo fra le mani e passò il pollice della mano destra sulle sue labbra, in contemplazione. Le accarezzava, le toccava, le premeva.
Erano una cosa strepitosa.
Erano meravigliose. Così dannatamente reali.
«P-Percy?»
In quel momento il più grande si rese conto di star spaventando Nico.
Gli lasciò la testa, alzò lo sguardo al di là di Nico e vide che c’erano anche altre cose accese.
La più accesa di tutte era l’enorme poster di American Horror Story: lo sfondo della locandina era completamente acceso.
E se quella accensione in realtà fosse stata un colore?
«Nico, hai ancora quel libricino sui colori che mi hai fatto vedere due giorni fa?»
Nico lo prese dalla scrivania e lo porse a Percy, che cominciò a sfogliarlo.
Dopo sole due pagine si fermò, contemplando ammirato quella pagina accesa.
Percy indicò la pagina con un dito. «Questo che colore è?»
«È il rosso.»
«Rosso...»
«Li vedi?»
«Solo il rosso. Per adesso.»
Percy sorrise. Poi rise di gusto, dandosi mentalmente dello stupido e provando una felicità immensa. «Sono io la tua anima gemella, vero?»
Percy vide le guance di Nico accendersi. Il più piccolo abbassò lo sguardo.
Percy si chinò e gli diede un bacio sulla guancia, mentre le guance di Nico si accendevano ancora di più, poi lo abbracciò a lungo.
«Perché pensavi che non ricambiassi?»
«Perché sei troppo bello per volere uno come me, anche se siamo predestinati.»
Percy lo strinse più forte che poté e gli lasciò un piccolo bacio sulla fronte.
«Io non sono bello, sono normale. E tu, sei... dolce.»
Ecco, gliel’aveva detto.
Nico si strinse ancora di più a Percy, nascondendo la testa contro il suo petto.
Percy prese ad accarezzargli dolcemente la schiena.
«Quand’è che hai cominciato a vedere i colori?» chiese Percy.
«Quando stavamo parlando delle serie TV. E stavo ridendo, dopo tanto tempo... ero spensierato per una volta. Ho visto il colore dei tuoi occhi.»
Percy sorrise. Prese il viso di Nico tra le mani, avvicinò le labbra alle sue e vi lasciò un casto bacio a stampo, che Nico non ricambiò, tanto era sorpreso.
Percy gliene diede un altro, ma stavolta Nico era pronto e ricambiò.
Dopo qualche altro bacio, Percy e Nico erano fronte contro fronte, sorridenti.
«La prossima settimana vedi di venire a lezione o ci daranno davvero una sospensione a entrambi. Anche perché adesso potrebbero pensare che facciamo cose inopportune.»
Le guance di Nico si accesero.
 
 
«No, no. Proprio non ci siamo!» lo rimproverò Nico.
Percy era appena andato a prendere Nico alla stazione e stavano camminando verso casa di Percy.
Avevano progettato di passare il più tempo possibile insieme in quella prima estate da coppia fidanzata.
«Perché no?!» gli chiese Percy di rimando.
In effetti Percy era vestito con una canotta che lasciava intravedere i pettorali scolpiti, jeans a vita bassa e, abbinati ad essi, un cappellino con su una foglia di marijuana verde, che richiamava il colore dei suoi occhi. In pratica era vestito da fighetto della scuola.
«Solo perché non sono in divisa come al college, non significa che io sia vestito male» si difese Percy.
«Non è perché sei vestito male. È che con quella canotta sei un po’ troppo... discinto
Percy lo guardò torvo. «Aspetta di arrivare a casa mia e ti discinto io.»
«Discinto non è un verbo...»
«Allora vado da lui e gli dico ‘Senta, signor Discinto, non è che potrebbe diventare anche un verbo?’. Tanto discinto significa ‘poco vestito’, anche se diventasse un verbo, non farebbe una piega, per l’uso che ne farei io con te!»
Nico sorrise senza farsi vedere. «Non vestirti mai più così per uscire di casa. Devi coprirti!»
«Hai paura che qualcun altro mi guardi? Sei geloso
«No! Io... ho paura che... che prendi freddo!»
«Ma se fa un caldo che neanche nel Sahara c’è così caldo!»
Nico sembrò pensarci su un attimo. «Ok. Sono geloso, adesso lo sai, quindi non vestirti più così!»
«Farò del mio meglio... ma non ti garantisco niente.»
Percy prese Nico in vita e gli diede un bacio sulla guancia.
«Percy, siamo in strada!»
«E cosa te ne importa?»
Nico sorrise. Si fermò, girandosi verso Percy, prese il suo viso tra le mani e lo baciò... in modo casto? Assolutamente no.
«Però per quelle cose dovrai aspettare ad arrivare a casa!» gli disse Percy in tono malizioso.
Nico gli morse il labbro inferiore.
«Ok, facciamo presto ad arrivare a casa, eh Nico?»
«Oh sì.»
Ma a casa c’era la madre di Percy.
Così si sedettero semplicemente sul letto a mangiare biscotti blu al cioccolato in camera di Percy.
«Ho scoperto una cosa, dopo svariate ricerche» disse Percy.
«Cos’hai scoperto?»
«Che non siamo gli unici omosessuali. Ci sono altre coppie come noi, anime gemelle, che vedono i colori, o entrambi maschi o entrambe femmine.»
«Davvero?»
Percy annuì.
«E perché nessuno ne sa qualcosa?»
«Non ce lo dicevano al college, ma in realtà ci sono molte coppie come noi, nel mondo.»
Nico sorrise. «È bello saperlo.»
Percy gli mise un braccio attorno al collo e insinuò la sua mano sotto il colletto della maglietta di Nico, accarezzandogli il petto, poi lo baciò. Nico rispose al bacio e furono solo loro due.
Non proprio.
La porta della camera si spalancò e Sally Jackson entrò con una finta espressione sorpresa.
Percy e Nico si staccarono, ma rimasero nella stessa posizione, con la differenza che Nico aveva anche una mano sotto la maglietta di Percy, molto vicino al bordo dei suoi boxer (perché i jeans a vita bassa hanno questa meravigliosa funzione di far vedere i boxer).
Entrambi erano arrossiti violentemente e la guardavano in attesa della sentenza di morte.
Sally li squadrò con un sorriso sghembo. «Vado a fare la spesa. Fate i bravi mentre non ci sono, chiaro?»
Poi fece loro l’occhiolino e si dileguò.
I due ragazzi aspettarono di sentire la porta dell’ingresso sbattere, prima di fare qualsiasi cosa.
«Sto amando tua madre.»
«O ami di più me?»
«Certo, scemo!»
Si baciarono di nuovo.
Percy e Nico non furono più interrotti.
 
Nico aveva finalmente trovato qualcosa, o meglio, qualcuno, con cui essere felice. Sapeva di chi fidarsi e aveva capito che nella vita si può sempre ricominciare.
Percy aveva fatto quello che Annabeth gli aveva chiesto: stava rendendo felice la sua anima gemella, e si sentiva profondamente contento nel prendersene cura.
 
Fine
 
 
 
 
-Angolo autrice-
Innanzitutto grazie se sei arrivato/a alla fine della One Shot!
Vi metto l’immagine a cui avevo pensato per il pannello nella hall del college:
 
Spero di aver fatto un buon lavoro e soprattutto spero che vi piaccia.
Le recensioni sono ben accette :)
-Black White Dragon
   
 
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