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Autore: Sarija    18/03/2016    3 recensioni
"Guerra è pace. Libertà è schiavitù. Ignoranza è forza".
-cit. George Orwell, "1984".
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finn, Rey, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Attenzione. Inversione di gravità".
Lanciai il libro, com'ero solita fare, al suono della voce incorporea del computer di bordo. Era l'unico svago che mi concedevo, guardare meravigliata il libretto del Primo Ordine rimanere sospeso in aria mentre i sedili, su cui noi tutti eravamo seduti, cambiavano posizione mettendosi in un assetto corretto per il cambiamento della gravità.
Ripresi al volo il libretto rosso e  incontrai lo sguardo corrucciato di Finn, che seduto di fronte a me, incrociò le braccia al petto. Non capiva perché facessi quella specie di rito ogni volta, ogni volta che prendevamo la metropolitana, o meglio, l'ascensore che attraversava il centro della Terra, portando noi lavoratori dall'emisfero boreale a quello australe, il Sud del mondo, adibito al lavoro per portare beni di consumo al Nord del mondo.
Sospirai profondamente. Il Nord del mondo era il luogo delle città, adeguatamente divise tra le città dei lavoratori e quelle dell'élite, tramite mura altissime e costantemente vigilate dai robot-poliziotti. Il Sud del mondo era invece il luogo adibito alle fabbriche e ai campi agricoli.
Così era stato deciso dal partito del Primo Ordine. In realtà non era un vero e proprio partito, anche perché il governo era ora composto, in seguito a delle leggi emanate dal vecchio Parlamento, solamente dal Primo Ordine. Il governo attuale era un’oligarchia. Erano diverse le persone che facevano parte del partito, ma solo tre avevano il reale potere decisionale: non importava molto di cosa si discutesse, erano loro a prendere la decisione finale, anche se era l’esatto opposto di ciò che aveva espresso la maggioranza del partito. L’esistenza del partito e le discussioni che venivano effettuate prima delle stesura di una legge o altro, erano solo formalità.
Ritornai a leggere: "Il lavoro dell'individuo viene determinato dal lavoro effettuato dai progenitori".
Io ero una donna perciò il mio lavoro venne deciso in base a quello di mia madre, e lei aveva lavorato in una fabbrica di robot protocollari, perciò io avrei fatto lo stesso, finché sarei stata in grado di farlo.
Guardai di sottecchi Finn, sollevando appena lo sguardo oltre le pagine ingiallite e rovinate: aveva i capelli e gli occhi scuri, quasi quanto la pelle, temprata dagli anni passati sotto il sole cocente. Lui era sicuramente un bracciante. La mia pelle era invece pallida, talmente chiara da poter seguire il percorso delle vene. Il sole lo avevo visto solo durante l'infanzia. Ora invece mi alzavo prima dell'alba, la fermata della metro a cui scendevo era direttamente nella fabbrica, in un reparto separato, e tornavo a casa dopo il tramonto. Ovviamente la fabbrica non aveva finestre, cosicché i lavoratori non avessero la possibilità di distrarsi.
Finn era fortunato.
Forse.
Non sapevo praticamente nulla di lui, se non il nome sbiadito sulla targhetta attaccata alla canotta bucata e sporca di terra. Lavoratori di ambiti differenti non potevano parlare, ma il Primo Ordine non poteva proibirci di parlare con gli sguardi.
Sbuffai quando i miei occhi caddero sul codice a barre tatuato sul polso. Effettivamente conoscere il nome di una persona serve poco e niente, oramai si veniva identificati con quella sequenza. A volte dovevo guardare la mia targhetta per ricordarmi come mi chiamassi.
Rey, RY 2579.
La metro si fermò con un sobbalzo: era la mia fermata.
Finn mi guardò mentre mi tolsi le cinture di sicurezza e ci salutammo con lo sguardo. Era nata una sorta di routine da circa due settimane: ci sedevamo agli stessi posti e ci guardavamo finché io non scendevo dalla metro.
Saltai dal gradino sul pavimento grigio in cemento della fabbrica e mi feci strada tra la folla dei lavoratori per mettermi in coda per confermare la mia presenza sul posto di lavoro.
Arrivato il mio turno avvicinai il polso al piccolo scanner, che proiettò una luce bluastra sulla pelle e aspettai il solito *bip*.
Camminai verso la mia postazione e appoggiai con cura il libretto rosso del Primo Ordine sul piccolo piano su cui venivano posati attrezzi di vario genere. Era obbligatorio averlo e portarlo ovunque si andasse, per ricordarci in ogni momento quale fosse il nostro posto. Il colore del libretto variava in base al lavoro dell'individuo, ad esempio gli operai come me lo avevo rosso, i braccianti lo avevano verde e i mercanti, gli unici che potevano interagire con lavoratori appartenenti ad ambiti differenti, lo avevano giallo.
Guardai il cartellone del partito appeso al muro: due uomini e una donna vestiti di tutto punto, il volto granitico ed inespressivo. La scritta a caratteri cubitali recitava: "Il Primo Ordine ti sta osservando".
Deglutii rumorosamente. Già.
Scattò l'ora. Misi la mano destra all'altezza del cuore e recitai il giuramento come un automa insieme agli altri operai. "Giuro solennemente di servire e proteggere il Primo Ordine finché morte non sopraggiunga".
Sbuffai ed incominciai a lavorare. Il mio compito era abbastanza semplice, dovevo solamente prendere i robot protocollari completi e spostarli in una camera dove venivano disinfettati completamente con l'uso di radiazioni. L'élite voleva essere certa che non ci fosse alcun tipo di batterio o simili su quei robot, in quanto sarebbero stati in loro stretto contatto.
Spostai con fatica la prima serie della mattinata all'interno della camera, chiusi il portellone di sicurezza e premetti il pulsante di accensione.
Dovevo fare solamente questo. Nient'altro. A ripetizione continua fino alla morte, nel vero senso della parola, perché appena si diventava inabili al proprio lavoro si veniva eliminati, così per risparmiare materie prime, ossigeno e spazio. Lo spazio era fondamentale nel mondo attuale, così sovrappopolato. L'eliminazione prima del tempo stava risolvendo il problema.
La spia verde si accese, lasciandomi la possibilità di aprire il portellone e di immettere la seconda serie, mentre la precedente veniva rimossa da un altro lavoratore da un'entrata secondaria.
Voltandomi guardai con attenzione gli altri operai, i quali non alzavano gli occhi dal proprio lavoro. Muovevano le mani velocemente. Movimenti ormai normali, abituali, ossessivi. Eravamo solamente degli ingranaggi in quella enorme macchina che era la società.
Eravamo ingranaggi con un codice identificativo sulla pelle.
Eravamo ingranaggi viventi.
La voce del capo reparto risuonò forte e chiara dall'interfono, "L'ispezione giornaliera inizierà tra cinque minuti".
Chi avrebbero portato via oggi? Come ogni governo autoritario, anche il Primo Ordine doveva cancellare qualsiasi forma di dissenso, di opposizione. La Resistenza in questi ultimi giorni aveva dato diversi problemi. Questa settimana aveva portato a termine alcuni attacchi alle centrali elettriche, paralizzando le industrie per ore e ore, facendo perdere ingenti somme di denaro e il Primo Ordine aveva reagito a suo modo. Accusava innocenti di terrorismo per far vedere alla popolazione mondiale di avere la situazione completamente sotto controllo, quando invece era lontana anni luce della vera Resistenza, e difatti gli attacchi continuavano. Io non facevo parte di quel mondo, ma i mercanti si facevano sfuggire qualche parola di troppo.
Una divisione di robot armati entrò dalla porta principale. Come ogni giorno vi era un robot per ogni operaio.
Il rumore dei loro passi metallici era cadenzato, regolare, sincronizzato alla perfezione.
Un robot si fermò davanti a me. Era sempre strano vedersi guardare da occhi elettronici, da occhi che non vedevano veramente.
Feci una smorfia nel momento in cui mi prese il polso destro con la solita delicatezza da elefante. Con lo scanner incorporato mi lesse il codice tatuato sulla pelle e, ricevuta la conferma, mi lasciò andare. Mi massaggiai il polso, ora con alcune macchie rosse dove le dita meccaniche avevano stretto con decisione.
Un urlo. Uno strillo. Una voce gracchiante e disperata. Un'anziana signora veniva trascinata con forza da due robot.
Abbassai lo sguardo a terra, odiavo scene del genere, ma non avevo il coraggio di guardare. Non avevo il coraggio di agire, di oppormi. Ma cosa avrebbe cambiato la ribellione di una persona sola?
"No! Io sono ancora abile per questo lavoro!", la voce rauca della donna echeggiò tra le mura silenziose della fabbrica.
"I muscoli presentano una degradazione avanzata. La mente è prossima al declino delle proprie prestazioni", la voce meccanica e atona di uno dei robot mi arrivò alle
orecchie come una condanna a morte.  Ma effettivamente era così. Quella donna sarebbe stata presto eliminata.
A scuola veniva insegnato ai bambini che tale procedura era giusta, necessaria per il regolare proseguimento della società, e quell'idea inevitabilmente si radicava nella mente rimanendo fino all'età adulta. Tranne che per alcuni, come i soldati della Resistenza.
Erano terroristi per il governo e per coloro che credevano fermamente alle sue parole; erano angeli della salvezza per i disperati e per i coraggiosi che sfidavano ogni giorno quelle macchine fredde ed insensibili.
E io, chi ero?
 
Buona sera cari lettori! Spero di avervi incuriosito con questo inizio un poco strano ahah XD Sarei felicissima se mi faceste sapere cosa ne pensate, consigli, critiche … insomma tutto quello che volete!
Ci vediamo al prossimo capitolo, un bacione! :*
   
 
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