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Autore: Revival    19/03/2016    1 recensioni
[O di come Akaashi si preoccupi - sempre - inutilmente dei comportamenti esagerati di Bokuto.]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bokuto era in ritardo per l'allenamento. Di nuovo.
E Akaashi stava, di nuovo, per esaurire la sua proverbiale scorta di pazienza.
 
La storia si ripeteva da un paio di giorni, ormai, e l'intera squadra si trovava divisa tra un senso di tremenda irritazione (“è il capitano, dopotutto!”) e una preoccupazione che non pensavano di poter mai provare nei confronti del loro ace. Akaashi più di tutti.
Il giovane alzatore non sapeva se esserne arrabbiato o continuare a fare come se niente fosse. Si trattava di Bokuto-san, insomma, la stessa persona che aveva mancato la fermata della scuola perché troppo preso dal piccolo gufo addormentato sul braccio di un passeggero del treno, o che, durante una delle prime loro uscite al di fuori dell'edificio scolastico e del campo da gioco (come amici, veramente solo come amici), aveva portato Akaashi quasi fuori città invece di dirigersi alla solita caffetteria in centro solo perché "Akaashi, hai mai provato a seguire la scia di un aereo? Allora devi propri venire con me- veloce! Sta andando da quella parte!"
Non si poteva aspettare molto da lui, in quanto a responsabilità.
 
Però per la pallavolo era un altro discorso. Per quanto i suoi improvvisi cambiamenti d'umore avvenissero almeno un paio di volte a settimana e quando non era in disparte ad auto compiangersi era sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti urlando di quanto fosse grandiosa quell'ultima schiacciata!, sulla sua presenza in campo si poteva sempre contare.
 
Eppure, da un paio di giorni, sembrava che anche l'unica certezza riguardante il singolare capitano della Fukurodani fosse venuta meno.
Non solo Bokuto appariva ad allenamenti già iniziati, ma lasciava la palestra come un fulmine non appena venivano congedati dall'allenatore. Nessuno avrebbe creduto si trattasse del ragazzo che fino alla settimana precedente doveva essere letteralmente trascinato fuori dal campo perché sembrava non accorgersi di quella cosa chiamata trascorrere del tempo, meno che mai della stanchezza.
 
Akaashi era terribilmente infastidito dal comportamento del suo senpai. Infastidito e, odiava ammetterlo, anche piuttosto preoccupato.
Lo aveva osservato e studiato tanto a lungo da riconoscere ogni suo minimo cambiamento d'umore, il più piccolo sguardo, la più insignificante espressione del viso - questo nuovo atteggiamento aveva lasciato perplessa addirittura tutta la squadra, figuriamoci lui.
Temeva ci fosse qualcosa sotto, qualcosa di importante e potenzialmente pericoloso per l'equilibrio mentale di Bokuto e, di conseguenza, di tutti loro.
 
Devo cercare di capirci qualcosa, si disse soprappensiero mentre si aggiustava una ginocchiera, prima di raggiungere il resto del gruppo, lo sguardo sempre fisso sulla porta della palestra.
 
~
 
Com'era prevedibile, Bokuto onorò i suoi compagni  della propria presenza solo per metà allenamento, una scusa non meglio identificata biasciata a mezza voce come saluto e gli occhi rivolti verso terra un po' più del normale. Akaashi aveva l'impressione che stesse evitando di proposito il suo sguardo sospettoso, così, anche se poteva sbagliarsi, (in realtà no, non poteva),  non forzò alcun discorso, né fece allusione al suo, quanto?, quarto ritardo nel giro di una settimana, e nemmeno lo placcò con le spalle al muro pretendendo spiegazioni -  nonostante quello fosse ciò che avrebbe istintivamente fatto. Se solo avesse avuto la tendenza ad agire d'istinto.
 
Akaashi Keiji non era il tipo da prendere decisioni affrettate. Stare a contatto con Bokuto-san per quasi due interi anni lo aveva reso ancora più cauto e attento di quanto non lo fosse già di natura, la consapevolezza di poter incrinare la precaria stabilità mentale del proprio capitano alla prima parola fuori posto gli impediva di agire senza prima aver valutato accuratamente ogni possibile soluzione.
(E lo rendeva affetto da forti mal di testa.)
 
Passava gran parte del suo tempo in campo pensando a Bokuto, a come mantenere alto il suo umore e non rovinare l'atmosfera per il restante tempo dell'allenamento, o della partita. Gli piaceva pensare che lo facesse per la squadra, solo e per nient'altro che la squadra, si sentiva l'eroe grazie al quale potevano avvenire i miracoli della sbadata divinità della Fukurodani, il merito del loro successo era in gran parte suo.
Anche se, in realtà, preoccuparsi per quel ragazzo dai modi di fare troppo espansivi e gli occhi brillanti gli era venuto naturale fin da subito, come un angelo custode che finalmente trova il suo mortale da proteggere. In qualche modo, Keiji sapeva di essere legato indissolubilmente al suo capitano.
Per questo doveva agire quella sera stessa, durante quell'allenamento, per troncare sul nascere qualsiasi cosa stesse contaminando la mente di Bokuto. Dopotutto era compito suo.
 
Riuscì a bloccarlo mentre, borsone in spalla e vestiti dell'allenamento ancora addosso, stava per uscire dallo spogliatoio, sbarrandogli la strada con un braccio allungato da uno stipite all'altro della porta. Erano da soli, il resto della squadra doveva ancora sistemare gli ultimi attrezzi in palestra, nessuno li avrebbe sentiti e Akaashi avrebbe potuto benissimo fare la scenata che aveva in mente, urlando a voce talmente alta da scuotere il proprio capitano dalla testa ai piedi. Ma sapeva che, con lui, non ce n'era bisogno.
 
“Bokuto-san,” esordì con voce neutra e pacata, inchiodando i suoi occhi in quelli dorati dell'altro.
“C'è qualche problema? Ti stai comportando in modo strano, in questi giorni.”
 
Bokuto si irrigidì per un attimo, allargando gli occhi per la sorpresa e, forse, per il timore di essere stato in qualche modo smascherato. Il suo volto venne attraversato da un'espressione di confusa indecisione, e Akaashi era ben consapevole che stava velocemente decidendo se mentirgli o azzardarsi a spiegare le cose come effettivamente stavano. A quale conclusione sarebbe arrivato, però, a lui importava poco, perché era perfettamente in grado di distinguere persino le bugie di Bokuto dalle verità; in qualunque caso era sicuro che avrebbe ottenuto quello che aveva chiesto.
 
Ma, inaspettatamente, il capitano non sembrò volersi arrischiare né a raccontare una balla inventata di sana pianta, né ad ammettere la causa della sua recente assenza mentale; nonostante le sue spalle fossero di nuovo rilassate e il suo sguardo di nuovo in grado di sostenere quello del suo inquisitore, mantenne le labbra strette in una linea dritta e sottile, il comportamento infantile che usava per indicare di non voler assolutamente prendere voce in qualche argomento.
 
Akaashi sospirò. Come aveva potuto pensare che sarebbe stato facile?
“Non sei obbligato a spiegarmi nulla, lo sai. Sono solo preoccupato per te, per l'atmosfera che si sta creando nella squadra. Una cosa del genere non ci fa bene. Sei il capitano, dovresti comportarti in modo più responsabile,” gli ricordò serio, il tono della voce si fece più duro mentre pronunciava l'ultima frase.
Sapeva di stare un pochino esagerando, dopotutto erano in grado di gestire alla grande i comportamenti di Bokuto, ma la cosa che lo infastidiva davvero era il menefreghismo che lui sembrava avere nei confronti dei doveri che, in quanto capitano, gli spettavano di conseguenza.
 
Questa volta le parole sembrarono avere un effetto migliore sul ragazzo del terzo anno, il quale parve scuotersi dal suo stato di impertinente silenzio per assumere un'espressione stanca e imbronciata. Akaashi sapeva già quale parola sarebbe uscita dalla sua bocca negli istanti successivi.
 
“Akaaaaaashi...”
 
Il lamento fece tendere i nervi al giovane alzatore, il quale non aveva nessuna voglia di affrontare un Bokuto gemente e lagnante, quello che meno preferiva in assoluto. Era ben consapevole che una volta iniziato a comportarsi in questo modo, non sarebbe stato possibile tirargli fuori un discorso serio e degno di due persone mature. La sua impresa stava fallendo sul nascere.
Ma apparentemente Bokuto non aveva intenzione di far cadere il discorso.
 
“Devi sempre rovinarmi il divertimento, Akaashi! Sempre a controllarmi, sempre a rimproverarmi, per una volta abbi fede nel tuo capitano e lasciami libero nella mia vita. So badare a me stesso, sai?” concluse guardandolo ad occhi sgranati e indicandosi il volto con un dito, per enfatizzare la sua osservazione.
 
Akaashi inclinò la testa leggermente di lato e alzò un sopracciglio, facendogli silenziosamente notare che in realtà se lui interveniva costantemente a parargli il fondoschiena era perché il grande ace era ben lontano da padroneggiare l'intero aspetto del badare a se stessi. Non dubitava che Bokuto-san avesse la capacità di muoversi sui propri piedi attraverso la maggior parte dei percorsi della sua vita, ma aveva anche potuto constatare che quando c'erano di mezzo troppe emozioni lui entrava in cortocircuito, e allora addio stabilità mentale, addio alla più preziosa risorsa per la squadra. Erano questi i casi in cui l'alzatore entrava in scena a salvargli la faccia. Casi come quello che stavano affrontando lì, sulla porta dello spogliatoio.
 
Bokuto sbuffò incredulo, percependo pienamente il significato dello sguardo del suo kouhai, nonché la persona di cui si fidava maggiormente, e sentendosi un pochino punto nell'orgoglio. Sentirsi screditare, anche se implicitamente, da un ragazzo più giovane non era una bella sensazione, indipendentemente dal fatto che quel ragazzo fosse la persona che più preferiva nell'universo e per la quale Bokuto spesso pensava di provare qualcosa di più dell’affetto che si prova per un amico.
No, non poteva lasciare irrisolta la questione, a questo punto. Era stata lanciata una provocazione e il capitano avrebbe risposto.
 
Akaashi non fece in tempo a registrare le espressioni che si susseguivano sul volto di Bokuto che quest'ultimo gli era già passato accanto come un fulmine, afferrandolo per il polso per riuscire a superare la soglia della porta e, senza mollare la presa, lo stava trascinando fuori dall'edificio, verso il cancello d'uscita della scuola.
 
“Bokuto-san! Ho tutta la mia roba nello spogliatoio! Ho ancora i vestiti dell'allenamento!”
“Torniamo a prenderla dopo, non ci metteremo molto,” gli rispose Bokuto, guardandolo da sopra la propria spalla senza rallentare in alcun modo la sua andatura spedita, mantenendo le dita chiuse intorno al braccio dell’alzatore che, suo malgrado, si trovava costretto a seguirlo senza possibilità di protesta.
 
Fu solo dopo che ebbero attraversato un paio di vie, perdendo vista dell’edificio scolastico, che finalmente Bokuto si decise a lasciarlo andare, forse perché sapeva che a quel punto Akaashi lo avrebbe seguito da solo fin dove avesse intenzione di condurlo. O forse aveva realizzato solo in quel momento per quanto tempo i loro corpi fossero stati a contatto e di come la sua mano avesse iniziato a formicolare e sudare fastidiosamente.
Anche dopo aver mollato la presa, però, non perse nemmeno un attimo a fermarsi, continuando imperterrito per la sua strada, una semplice occhiata lanciata alle proprie spalle giusto per controllare di essere seguito.
Sorrise quando vide il ragazzo più giovane arrancargli dietro, l’espressione infastidita sul viso che malcelava qualcosa di molto simile a curiosità e sollievo. C’era da aspettarselo.
 
“Bokuto-san,” si sentì chiamare poco dopo da una voce che tradiva la fatica di quella scarpinata, “posso almeno sapere dove stiamo andando? Questa non è la strada per casa tua?”
Bokuto sorrise. “Pazienza, Akaashi.”
 
Maledetto, urlò Akaashi nella propria testa, pentendosi di aver provato a risolvere l’ennesima questione del capitano. Non solo non aveva ottenuto ancora nessuna spiegazione logica, ma ora si trovava sballottato tra una via e l’altra di Tokyo, in tenuta da allenamento, quasi costretto a correre per tenere il passo delle ampie e veloci falcate di Bokuto. Pensare che sarebbe dovuto tornare indietro a scuola nel giro di un’ora per non rischiare di lasciare ogni cosa chiusa in spogliatoio lo faceva sentire male.
Non sapeva nemmeno se quello che Bokuto voleva mostrargli valesse veramente la pena di tutto quello sforzo, anzi, iniziava a dubitarne profondamente. Doveva imparare a tenere la bocca chiusa e i pensieri lontani dal proprio ace.
 
Erano in cammino ormai da una decina di minuti e Akaashi cominciava a riconoscere il quartiere in cui si stavano addentrando. A quanto pare la destinazione era davvero la casa di Bokuto. Il ragazzo aveva voglia di mettersi a gridare, pestando i piedi e prendendo a pugni la schiena dell’amico, qualsiasi cosa per sfogare la frustrazione che sentiva crescere dentro di sé perché era stanco, stremato fisicamente dall’allenamento appena concluso e psicologicamente dalla situazione che, ne era sicuro, si trattava di uno scherzo e si sarebbe rivelata un fallimento.
Akaashi era stanco e i suoi piedi non rispondevano più e i suoi muscoli sembravano gridare pietà e Bokuto-san non gli aveva rivolto quasi una parola per tutto il tempo e voleva solo stendersi a-
Il flusso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto dallo scontro che avvenne tra il suo naso e la spalla di Bokuto, il quale si era finalmente fermato senza preavviso e senza curarsi della povera anima che lo seguiva tormentandosi tra i suoi pensieri.
 
In un’altra situazione Akaashi avrebbe perso tempo a lamentarsi del suo comportamento, ma la felicità per aver arrestato la corsa aveva riempito ogni spazio funzionante della sua mente. Era talmente preso a bearsi della sensazione di leggerezza che avvolgeva le sue gambe, che non si accorse di trovarsi davanti al cancello della casa dei Bokuto fino a quando il capitano non lo chiamò con un Oi!, indicandogli l’entrata con un dito prima di incamminarsi, questa volta ad un’andatura decente, verso la porta.
Akaashi deglutì e lo seguì ubbidiente, respirando a pieni polmoni per recuperare un briciolo dell’aria che sembrava aver abbandonato il suo corpo, e per cercare di calmare il battito del cuore che aveva sentito accelerare dolorosamente una volta oltrepassato il cancello.
 
Aspettandosi di dover irrompere in casa di Bokuto senza invito e di sicuro non nelle condizioni di fare una buona impressione a chiunque avesse trovato all’interno, Akaashi si sentì gelare. Se mai aveva immaginato come sarebbe stato il suo primo incontro con la famiglia dell’amico (e sì, lo aveva fatto), niente stava rispettando le aspettative che aveva avuto riguardo a quel momento. Presentarsi a sua madre, o peggio, a suo padre, grondante di sudore e con l’espressione stralunata che era certo di avere stampata sul volto era la peggior cosa gli sarebbe potuta succedere.
 
Perciò il sospirò di sollievo che tirò quando Bokuto, ad un passo dalla porta d’ingesso, svoltò a destra per seguire un sentiero di terra che conduceva dietro casa fu enorme e ben udibile dalle orecchie dell’altro, il quale si girò a fissarlo con un’espressione confusa, non riuscendo a cogliere il perché di quella reazione.
 
Akaashi sorrise e gli si avvicinò, facendogli segno di proseguire senza preoccuparsi. Ora che si trovavano lì, la curiosità era diventata veramente troppa.
 
Il capitano lo condusse nel giardino sul retro, senza rompere il silenzio che avevano mantenuto per buona parte del loro tragitto, lo sguardo serio rivolto davanti a sé ad esaminare il piccolo spazio aperto, alla ricerca di qualcosa che Akaashi ignorava completamente. Finalmente i suoi occhi sembrarono trovare ciò che cercavano, perché la sua fronte si distese, i lineamenti si rilassarono e un brillante sorriso apparve sulle sue labbra. Prima che l’alzatore potesse capire cosa stesse guardando con tanta gioia, Bokuto aveva attraversato di corsa il giardinetto, fermandosi davanti a un cespuglio rigoglioso per mettersi ad armeggiare tra i gracili rami e tirare fuori una corda che si allungava sempre di più, fino a che, all’altra estremità,  fu possibile vedere-
 
“Un cane?!” la sorpresa fece alzare il tono della voce di Akaashi ad un volume decisamente più alto del necessario, e il giovane si portò una mano alle labbra, come per evitare che un’eco di quel suono si spargesse ulteriormente nell’aria. Ci mancava solo che venisse rimproverato per essersi messo ad urlare nella casa di cui era ospite.
 
Cercando di contenere meglio il suono delle proprie parole, il ragazzo si avvicinò a Bokuto, il quale lo stava osservando con un sorriso stampato sul volto.
“Bokuto-san, cosa significa? Un cane? Questa sarebbe la tua spiegazione?”
Il capitano annuì, continuando a sorridere da un orecchio all’altro e chinandosi per prendere il piccolo animale tra le sue forti braccia, sollevandolo all’altezza degli occhi di Akaashi.
 
“Non è adorabile, Akaashi? E’ il cane più simpatico che io abbia mai incontrato. E si è affezionato a me in un batter d’occhio. Nel momento in cui l’ho trovato legato a quel palo-”
“L’hai trovato legato ad un palo?!” lo interruppe il più giovane, incerto su cosa pensare di quella rivelazione. “Vuoi dire che non l’hai comprato? E’ un cane randagio?!” lo guardò incredulo, non volendo credere che il proprio capitano fosse arrivato ad un’azione di tale genere. Era pronto ad affrontare parecchi problemi, ma un cane non era certo uno di questi.
 
“Randagio? Ma no, Akaashi! Non è affatto un cane randagio, era legato a un palo con un guinzaglio, guarda, questo che indossa anche ora. L’ho semplicemente trovato così, e siamo diventati subito amici” concluse dando un lieve bacio sul muso del cagnolino, il quale non aveva smesso di scodinzolare felice dal momento in cui era stato avvolto dall’affetto di Bokuto.
 
Akaashi fece un profondo respiro per riacquistare un briciolo di lucidità. Evidentemente era l’unico a vedere un problema in tutta questa situazione.
“Bokuto-san,” inizio con il tono più tranquillo che riuscì ad emettere. “Hai rubato un cane?”
Tutta la buona volontà del giovane alzatore stava velocemente venendo meno, e cercare di mantenere la calma davanti a Bokuto e a quel suo nuovo animale era sempre più difficile.
 
L’ace, per tutta risposta, sgranò gli occhi e trattenne teatralmente il respiro, nella sua miglior espressione sdegnata.
“Akaashi! Come puoi pensare che io abbia rubato questo cane! L’ho visto un paio di giorni fa fuori da un negozio e mi è sembrato molto giù di corda. L’ho tenuto d’occhio per un po’ e nessuno è venuto a prenderlo, così la sera sono tornato a controllare ed era ancora lì! Non potevo lasciarlo fuori la notte così, tutto solo! Dovevo portarlo via con me!”
Nella sua testa il ragionamento non doveva fare una piega, pensò Akaashi. Ma per sua sfortuna era lui quello ragionevole tra i due.
 
“Bokuto-san, se quel cane era legato con un guinzaglio da qualche parte, vuol dire che qualcuno doveva avercelo lasciato. Qualcuno che magari ora sta cercando disperatamente il suo animale da giorni. Non hai visto per caso un collare con una medaglietta e un indirizzo?” Bokuto scosse la testa. “Ad ogni modo, potrebbe benissimo avere già una casa e una famiglia, quello che hai fatto tu è molto vicino ad un furto.” cercò di parlare nel modo meno accusatorio e gentile possibile, forse in quel modo avrebbe ricevuto una reazione positiva.
 
“Ma sembrava così infelice!” si lamentò Bokuto, anche se, a questo punto, pareva più disposto a dare ragione all’opinione di Akaashi piuttosto che continuare a difendere la sua folle azione. “Te l’ho detto, era lì tutto solo e mi ha fatto tenerezza, non potevo lasciarlo così!”
 
L’alzatore sorrise nel capire di avere il capitano in pugno, vedendo aprirsi davanti a sé le luminose e appaganti porte del trionfo. Un passo e la questione si sarebbe conclusa come aveva programmato, ancora una volta.
“Va bene, hai pensato di salvare un povero cagnolino dalla strada. Ma ora devi assolutamente scoprire se ha un padrone. Potresti tornare nel posto in cui l’hai trovato e chiedere in giro, magari appendere anche qualche annuncio con cui possano rintracciarti. Se vuoi posso darti una mano, non ci sono problemi,”così eviteremmo anche altre tue brillanti idee, aggiunse tra sé, sapendo fin troppo bene cosa aspettarsi.
 
Bokuto non incrociò i suoi occhi e mantenne lo sguardo inchiodato al terreno, ma alzò debolmente le spalle, come per dichiarare che non gli importava veramente molto di riconsegnare l’animale. Ogni singola parte del resto del suo corpo, però, gridava il contrario.
 
Akaashi sapeva che gli serviva solo un’altra piccola spinta per decidersi definitivamente. “È la cosa giusta, Bokuto-san,” osservò con un gentile sorriso, uno di quei sorrisi sinceri che apparivano così di rado sul suo volto.
 
“E va bene,” fu la risposta dell’altro, che ripose il cagnolino a terra, tenendosi sempre saldamente all’estremità del guinzaglio e alzando gli occhi in quelli dell’amico per annuire appena, a conferma che le sue parole combaciavano con i suoi pensieri. “Ma se è così importante, e se sei tanto disponibile ad aiutarmi, meglio cominciare subito. Posso immaginare come si senta il suo padrone dopo aver passato giorni senza questa adorabile creatura” concluse con un sorriso e si incamminò verso l’entrata della casa, guidando il cane dietro di sé.
 
“Ehm, sì certo, ma… Bokuto-san?” lo chiamò Akaashi mentre si affrettava a raggiungerlo. “Ho ancora lo zaino e tutto il cambio in palestra.”
 
L’ace sgranò appena gli occhi e le sue labbra formarono una piccola ‘o’, ricordandosi solo in quel momento della brutalità con cui aveva trascinato il proprio kouhai via dalla scuola.
“È vero, Akaashi! Mi dispiace, colpa mia. Ti posso accompagnare indietro, però. Anzi, ti possiamo accompagnare!” aggiunse con un ampio sorriso, stringendo gli occhi e indicando l’animale ai suoi piedi.
 
L’alzatore sospirò.
Se fosse un sospiro di fastidio o di divertita rassegnazione, Bokuto non sapeva dirlo, ma subito dopo lo vide sorridere ed annuire, stanco ma sereno, così non si fece ulteriori domande. Invece riprese a camminare, restando al passo dell’amico, e i due si diressero nuovamente verso la scuola.
 
Dopo qualche minuto di cammino, Akaashi parlò per primo.
“Bokuto-san, posso sapere come tu possa aver pensato di riuscire a gestire un animale, senza nessuna esperienza e nel bel mezzo del periodo più duro per la squadra? Voglio dire, alla fine ho capito quasi subito che c’era qualcosa di strano, quindi non hai fatto un gran bel lavoro ad occuparti di tutte e due le cose.”
 
Bokuto rimase interdetto per qualche istante per poi scoppiare rumorosamente a ridere, sinceramente divertito dalle osservazioni schiette e senza vergogna tipiche del proprio alzatore.
“Ma Akaashi-kun, lo hai detto tu. Devo imparare ad assumermi certe responsabilità. Sicuramente un cane solo e abbandonato è un utile esercizio. Fa parte dei miei doveri di capitano.”
 
 
 
 
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Allora, piccola nota.
So che la fine è abbastanza insignificante, magari avevate pensato a chissà quale spiegazione per il comportamento di Bokuto, e invece. Almeno avete provato come si deve sentire il povero Akaashi ad avere perennemente a che fare con questo bizzarro individuo!
No, a parte questo, questa idea è nata da uno di quei post su Tumblr in cui danno un paio di battute di un dialogo come prompt, e faceva più o meno così: “Hai rubato un cane?!” “Non aveva l’aria felice!”, da qui, questa one shot poco elaborata su due dei personaggi che più preferisco. La storia è stata costruita intorno a quel suggerimento, quindi non poteva finire in modo diverso, ahaha.
Ad ogni modo, ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fino qui.
Saluti!
   
 
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