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Autore: Monique Namie    20/03/2016    17 recensioni
Protagonista di questo breve racconto è Devin, un robot umanoide di ultima generazione, praticamente indistinguibile dagli esseri umani. Devin ripercorre i ricordi del suo periodo più felice, quando ancora lavorava come poliziotto affiancato alla sua partner umana Alandria.
------ Dal testo:
[...]scartabellò tra i vari registri di sistema e finalmente ritrovò la foto che le sue iridi sintetiche avevano immortalato. Capelli rossi, sorriso luminoso, occhi verdi. Constatò che la sua memoria non era più veloce come un tempo: aveva un ritardo di tre bit per secondo. Forse avrebbe dovuto farsi fare un controllo: magari, a sua insaputa, qualche collegamento sinaptico del suo cervello artificiale aveva perso conducibilità. [...]
** NOTA: {Seconda classificata al contest "Scienza e fede" indetto sul forum di EFP}
Prima classificata al contest "Segui il sentiero dorato" indetto sul forum di EFP.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il paleopatologo

Prima classificata
al contest "Segui il sentiero dorato" indetto da Shizue Asahi sul forum di EFP, poi affidato a i love Ace 30 e vincitrice del premio "miglior storia che ha fatto emozionare".
Prompt: Citazione #9 - Addio, uomo di latta! Oh, non piangere altrimenti ti arrugginisci un'altra volta.

Seconda classificata al contest "Scienza e fede" indetto da Hedoniste sul forum di EFP e vincitrice del premio "pregog" per la migliore storia edita.
Pacchetto Scienza (A) - Umano, troppo umano
Tema: intelligenze artificiali, robot e macchine.
Obbligo: uno dei personaggi principali (non neccessariamente il protagonista) deve essere un AI.
Divieto: genere guerra


Note autore
Questa one-shot si può definire uno spin-off di un racconto molto più lungo che sto scrivendo.
Il lasso di tempo preso in considerazione in questo breve testo si può intendere come la parte centrale di due blocchi (prequel e sequel). Il primo l'ho già quasi completamente scritto, il secondo è ancora in via di sviluppo nella mia mente.
La sigla "a.n." che compare nelle date sta per "after nuketion", ossia un avvenimento mondiale di cui parlerò in modo più approfondito quando pubblicherò il prequel.



Un secondo e l’eternità




Città di Weinix

Data locale: 5 marzo 116 a.n. ore 9:01 am.
Meteo: cielo soleggiato.
Temperatura: 32 °C.
Notifica: La deviazione dal percorso breve prestabilito comporterà un ritardo di 1h e 35’.


Il Sole splendeva magnifico sulla città. I grattacieli dai vetri specchiati sembravano in fiamme: in quello più alto, sormontato da un enorme cupola antigravità, Devin ci era stato nei panni di poliziotto in borghese circa cent'anni prima con la sua collega. Il caso per cui lavoravano allora era stato il più complicato della carriera. Quel giorno, Alandria, dopo aver guardato giù in strada dal ventottesimo piano, si era girata e gli aveva sorriso, come se il vuoto e l’altezza l’avessero di colpo rassicurata.
Devin scartabellò tra i vari registri di sistema e finalmente ritrovò la foto che le sue iridi sintetiche avevano immortalato. Capelli rossi, sorriso luminoso, occhi verdi.
Constatò che la sua memoria non era più veloce come un tempo: aveva un ritardo di tre bit per secondo. Forse avrebbe dovuto farsi fare un controllo: magari, a sua insaputa, qualche collegamento sinaptico del suo cervello artificiale aveva perso conducibilità.

Tre bit al secondo: un tempo trascurabile in confronto agli eoni che lo separavano da lei.


Proseguendo con passo lento, superò il quartiere amministrativo e raggiunse l’incrocio più a sud. Lì c’era il bar in cui avevano fatto per la prima volta colazione assieme: il Bku Vega II, come il nome del pianeta che era stato colonizzato l’anno in cui era stata aperta la gestione.
Quando ci passò davanti, si fermò a osservare il proprio riflesso sulla vetrina: nulla di nuovo in lui, non una ruga nel volto, lo stesso fisico magro e agile, gli stessi capelli biondi... Ripensandoci però, forse qualcosa di diverso c’era: non gli riusciva più di sorridere come un tempo. Dava la colpa a quella miscela chimica che gli scorreva sotto la pelle al posto del sangue, sostituendosi alle funzionalità del classico chip emotivo. Era stato creato così: né robot, né umano. Un essere immortale fabbricato con materiali sintetici e, tuttavia, dotato di emozioni così intense da sembrare reali. Ma quanto si possono dire sincere le emozioni create da un meccanismo artificiale? Non sono, in realtà, una mera illusione? Devin, in fin dei conti, era come un computer: un computer molto avanzato e multifunzionale, ma pur sempre dotato di una programmazione creata dall’uomo. Si può forse supporre che anche i computer provino emozioni?


Lui e Alandria avevano iniziato a conoscersi proprio al Bku Vega II; in quel locale, una mattina – precisamente la mattina in cui Devin era entrato in servizio – si erano fermati lì a fare colazione. Non ci voleva una laurea per accorgersi che lei non provava molta simpatia nei suoi confronti. Quello che non gli era chiaro era il motivo, ma di tempo per capirlo ne avrebbe avuto, visto che il capo del dipartimento lo aveva nominato nuovo compagno di squadra della poliziotta.
«Lasciami fare colazione in pace, ragazzino!», gli aveva urlato contro la donna, quando lui le aveva gentilmente sconsigliato di assumere caffeina. Lo chiamava sempre “ragazzino”, come se dentro di sé già fosse a conoscenza del fatto che il suo partner non potesse invecchiare.
«Io non prendo nulla, non ho fame», aveva risposto Devin al robot-cameriere che attendeva l’ordinazione. Quel mucchio di ferraglia arrugginita, con due occhi tondi e neri e le mani scheletriche, si vedeva lontano un miglio che era un elettrodomestico. E Devin lo guardava quasi con compassione, senza immaginare di essergli in qualche modo parente.

Qualche minuto dopo, la vetrina del bar era andata in frantumi e lui si era gettato d’istinto verso Alandria per proteggerla. Il ricordo del dolore lancinante alla schiena, dove lo avevano raggiunto i proiettili, era ancora vivido. Quella volta aveva avuto paura, aveva creduto di morire. Non sapeva ancora di essere una creatura indistruttibile.
Tutto era di nuovo a posto ora. Dopo l’attentato avevano sostituito il vetro e rinnovato gli interni danneggiati, ma il nome del locale era rimasto lo stesso: Bku Vega II. Le piastrelle usurate del marciapiede davanti l’entrata erano l’unica cosa lì attorno che mostrava i segni del tempo.
Quella città era come un vecchio scrigno in cui aveva lasciato a impolverare troppi ricordi. Tornare in quei luoghi familiari era strano; tristezza e gioia si mescolavano dentro di lui. Si chiedeva come facesse a sopportare quella sensazione pressante che pareva volergli schiacciare la cassa toracica a ogni finto respiro. Avrebbe voluto piangere, ma i suoi occhi erano programmati per farlo in un’unica occasione.

Alandria abitava in una villetta nel quartiere nobile a est della città. La notte, Devin se la immaginava rintanata dentro l'osservatorio nell’attico a guardare il cielo stellato, circondata da almeno una decina di robot domestici. Si legava di più alle macchine che agli esseri umani, ma aveva la pessima abitudine di dare ai primi ordini autodistruttivi e riservare ai secondi una malcelata insofferenza.
Si era affezionata molto di più a Devin quando aveva scoperto che era un robot e, paradossalmente, aveva iniziato a preoccuparsi di più per lui proprio quando la sua natura immortale era risultata palese… Come se la vita eterna potesse essere una condanna da compatire. Non c’era niente da fare: Alandria era un’anima complicata, con una personalità piuttosto eccentrica.
Quante volte l’aveva vista alzarsi di malumore la mattina e inveire contro Kevin che apriva le tapparelle seguendo la programmazione che lei stessa aveva prestabilito la sera prima.
«Miseria Kevin! Hai rotto con questi bruschi risvegli! Apri la finestra e buttati di sotto!»
E Kevin si buttava. Qualche attimo dopo, Alandria scendeva al piano terra disperata, pregando perché non si fosse rotto niente.
Il più delle volte Devin osservava in silenzio, affacciandosi dalla finestra della cucina, mentre preparava la colazione.

Quando non aveva nulla da fare, passava la notte appoggiato allo stipite della porta a guardarla dormire. C’era perfezione, grazia e mistero nel viso della sua amica-collega addormentata. Era davvero bella: capelli lunghi tendenti al rosso, fisico attraente, lineamenti dolci che contrastavano con il suo carattere un po' burbero. Abbracciava il cuscino come se fosse stato il suo amante, segno che avrebbe voluto avere qualcuno accanto, ma la sua complessità mentale glielo impediva.

Quanti ricordi può evocare un semplice riflesso sulla vetrina di un locale! Devin lasciò dietro di sé anche il Bku Vega II e proseguì. Attraversò un altro quartiere e raggiunse una grande piazza: al centro si distinguevano i resti del monumento storico eretto in onore del primo viaggio interstellare. Protetto al di là di una recinzione, se ne stava un modello in scala ridotta della nave spaziale Vessel, piegato su di un lato, corroso dal tempo, immobile come una cosa stanca adagiata a terra.
Non aveva mai saputo dare una definizione precisa al rapporto che si era instaurato tra lui e la sua collega; sicuramente non erano semplici amici, ma nemmeno amanti. Li legava un forte sentimento platonico che ogni tanto sfociava nel manifesto - come la sera prima del trasferimento, quando Alandria aveva finto di ubriacarsi. Sì, aveva chiaramente finto, ma Devin era stato al gioco, recitando la parte del compagno premuroso.
La ragazza si era girata improvvisamente verso di sé con un’espressione grave dipinta sul volto, proprio mentre stavano passeggiando vicino ai resti di quello stesso monumento vandalizzato dall’uomo e dalla natura.
«Vorrei essere come te, ragazzino», aveva detto. «In due potremo consolarci a vicenda per l’eternità.» Un singhiozzo aveva interrotto momentaneamente le sue considerazioni e a Devin era parso che i suoi occhi brillassero più del normale sotto la luce dei lampioni a energia tachionica. Poi l'aveva sentita continuare con voce stranamente allegra: «Così non va bene, è come essere innamorati di una stella. La mia esistenza è un solo secondo, se equiparato ai miliardi di anni di vita del Sole.»
Nell’aria c’era una brezza tiepida e rassicurante che sembrava voler tener lontano dai cuori delle persone ogni possibile risvolto negativo.
«Anche la vita di una stella è insignificante, se paragonata a quella dell’universo», le aveva risposto Devin.

Cent'anni dopo, fermatosi nello stesso luogo di allora, cercò tra i video salvati nella sua memoria. E il Sole splendeva magnifico sulla città, sui grattacieli dai vetri specchiati e sul telaio delle auto ricoperte di scintillante vernice intrisa di microcelle fotovoltaiche.
Ancora quei tre bit di ritardo, prima che il file che cercava si aprisse nello schermo mentale.

Andando contro ciò che era scritto nella sua programmazione, quella sera aveva posato le mani sulle guance della ragazza e l’aveva condotta dolcemente verso di lui. Non sapeva il significato di quel gesto che gli era sembrato tanto naturale; l’aveva visto fare nei film e aveva percepito in Alandria disponibilità e desiderio… Tutto ciò che voleva era confortarla, scacciare via le sue preoccupazioni.
La strana trepidazione che Devin aveva provato in quel momento, il sapore vivo delle labbra calde e umide di lei sulle sue sintetiche, il desiderio di poterla condurre ai confini del tempo: tutto si era mescolato in modo confuso, mandando in tilt qualcosa dentro di lui. Poteva, un essere che non era né robot né umano, innamorarsi? Cosa si poteva dire dell’amore, se non che era un imbroglio della mente, causato da qualche reazione chimica facilmente riproducibile anche in laboratorio?

«Addio, uomo di latta! Oh, non piangere altrimenti ti arrugginisci un'altra volta», aveva detto la donna
con nonchalance dopo il bacio.
«Posso accompagnarti a casa?»
«Ti ho appena detto addio, ragazzino», gli aveva risposto lei corrucciando la fronte. «Dovremo rifare le presentazioni e far finta di non conoscerci.» Barcollò pericolosamente di qualche passo facendo scattare i sensi di Devin a un livello di allerta.
«Mi chiamo Devin e appartengo alla classe dei robot», si era presentato lui, avvicinandosi e allungando un braccio per sorreggerla.
«Io mi chiamo Alandria Daukins e sono il miglior agente di polizia del dipartimento di Wenix.»
Aveva scansato la mano che lui le offriva, ma aveva lasciato che la affiancasse e così avevano camminato assieme fino alla vettura di servizio.

Devin superò anche la grande piazza con il monumento. Tutti i file con i ricordi del tempo trascorso con Alandria erano sistemati in modo ordinato in un angolo della sua mente. Non c’era più niente per lui in quella città; era pronto a continuare il suo camino commemorando dentro di sé i bei momenti del passato, perché dimenticare non è una soluzione ammissibile.
Era pronto a partire verso la sua nuova missione: avrebbe conosciuto nuove persone, magari avrebbe trovato un’altra ragazza come Alandria, in grado di scombussolargli i circuiti, e tutto sarebbe ricominciato.

La vita nell’Universo è una coincidenza fortuita che si manifesta con la stessa effimerità della luce di una meteora che solca il cielo. E Devin si sentiva come un nodo fisso, immutabile nel disegno dell’intero cosmo. L’essere una creatura immortale comportava una fortissima sensazione di solitudine: tutti quelli che conosceva, prima o poi, erano destinati a svanire.
Immune alla distruzione per mezzo di qualsiasi dinamica, Devin sopportava senza troppi problemi l’esposizione a temperature pari a quelle di un’esplosione nucleare. Gli era capitato di finire disintegrato, e in quell’occasione aveva perso totalmente coscienza al punto di diventare vuoto, oscuro, morto, completamente annullato. Dopo una buona mezz’ora di stasi le sue polveri avevano iniziato a riaggregarsi e lacrime senza sale avevano iniziato a scendere sul suo nuovo volto. Gli occhi di Devin, per qualche insana motivazione decisa dai suoi creatori, erano programmati per piangere solo durante la rinascita.

«Addio, uomo di latta! Oh, non piangere altrimenti ti arrugginisci un'altra volta»

Sembrava adatta a ogni attimo della sua esistenza, quella frase. Solo che lui non arrugginiva. Si poteva, tuttavia, considerare tranquillamente come un’espressione metaforica: una ruggine invisibile che inibiva la sua volontà di reagire e spegneva lentamente il suo sguardo innamorato.

Se c’era una cosa certa, che non avrebbe necessitato di conferme, quella cosa era che tutto sarebbe ricominciato… Devin avrebbe incontrato di nuovo Alandria. Chissà quanto tempo avrebbe dovuto trascorrere: quanti secoli, quanti sconvolgimenti geologici, quante ere, quanti disordini universali prima di tornare all’inizio del tempo.

Ma il Sole di quella giornata splendente illuminava la città e i grattacieli in un modo che Devin non aveva mai visto prima e i suoi pensieri mutarono trasportati dal corso degli eventi. Sembrava quasi che le insegne pubblicitarie nei pressi del casello per la tratta spaziale Selene-Mars spandessero un’essenza tenebrosa.
«Buongiorno!», lo salutò un uomo sulla sessantina vestito elegantemente e con paio di occhiali AR tra i capelli brizzolati. «Sa dirmi che navetta devo prendere per raggiungere la base orbitante di Nettuno?»
Devin lo guardò distrattamente: «Esiste una base orbitante attorno a quel pianeta?»
«Non in questo tempo», rispose l’altro.
I due si fissarono per qualche istante parlandosi solamente attraverso impercettibili segnali non verbali nascosti dentro i loro occhi. Poi finalmente l’uomo allungò la mano sulla quale teneva un cartellino.
«Ci sono due modi per raggiungere ciò che cerchi. Uno: arrivare alla fine del tempo e sperare che dopo il Big Crunch[1] ci sia un nuovo Big Bang. Due: risolvere quest’equazione…»
Una serie complicatissima di numeri e simboli copriva l’intera superficie del piccolo rettangolino traslucido tra le dita del misterioso individuo.
«Che cosa rappresenta?», chiese Devin.
«Tutto. Dall’apparente caos con cui le foglie cadono in autunno, alla simmetria che lega i filamenti di materia aggregata a livello cosmologico.»


Città di Weinix
Data locale: 5 marzo 116 a.n. ore 11:01 pm.
Meteo: cielo stellato.
Temperatura: 25 °C.
Notifica: La deviazione dal percorso breve prestabilito comporterà un ritardo di 28,82 miliardi di anni[2].



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Glossario:
1- Il Big Crunch è il contrario simmetrico del Big Bang. L’universo inizia a contrarsi finché tutta la materia non finirà per concentrarsi in una singolarità.

2- Attualmente l’età stimata dell’universo è di 13.82 miliardi di anni. Io ho ipotizzato che nel futuro di Devin e Alandria si sia scoperta un’età ancora più vecchia 14,41. Ho scelto di proposito un valore palindromo per rendere il tutto più misterioso.
14,41 (periodo di tempo dal presente al Big Bang) + 14, 41 (periodo dal Big Bang al presente) = 28,82





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"Un secondo e l'eternità" di Monique Namie
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