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Autore: kou_oniisan01    20/03/2016    2 recensioni
1942, l'anno d'oro del nazismo, l'anno in cui milioni di menti furono manipolate da una spietata propaganda. Riuscirà Nathan, un ragazzo di diciassette anni, a non farsi manovrare dai nazisti e soprattutto a riconquistare la fiducia e l'amore di una ragazza fragile e misteriosa come un fiore dalle mille sfumature?
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Olocausto
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-No....-
Il suo sguardo si era spento, mostrando un volto che sembrava sconsolato e amareggiato per ciò che aveva appena letto; chiuse il diario, lo afferrò con la mano sinistra che fece scivolare lungo tutto il corpo, mosciamente, si appoggiò alla finestra guardando il sole che se ne andava, lasciando un meraviglioso tramonto che illuminava timidamente, con luce soffusa, l’aula di scuola in cui si trovava.
Si mise la mano destra in tasca, non cambiò espressione neanche quando un ciuffo di quei meravigliosi capelli biondi gli cadde sul viso. Poi sogghignò malignamente, mostrando i denti e ridacchiando appena, socchiudendo i felini occhi azzurri che gli adornavano il volto.
D’improvviso si aprì la porta dell’aula, le cerniere arrugginite cigolavano accompagnando l’entrata di una splendida fanciulla dai capelli nerissimi, che parevano essere di velluto, in quanto a bellezza era paragonabile unicamente ad un fiore che sboccia in primavera, un fiore che racchiude l’incanto e l’eleganza di una ragazza dalla pelle chiara e pallida come un giglio e le labbra tinte di un rosso spento che ricordava i petali di una camelia.
Entrando nella stanza, alla vista di quel ragazzo, lei sgranò gli occhi assumendo un’espressione sbalordita e la luce del tramonto le illuminò gli occhi mostrando l’azzurro che li dipingeva.
- Nathan…che ci fai qui a quest’ ora? – la ragazza pronunciò quel nome in maniera acida e non comunicava altro che disprezzo, pareva quasi agonizzante per il solo fatto di doverlo pronunciare.
- La stessa cosa dovrei chiederla a te. - disse stiracchiandosi.
- Nulla, ho dimenticato il quaderno di matematica e non posso fare i compiti senza. – attraversò l’aula velocemente, noncurante del ragazzo che la osservava, giunse all’ultimo banco della terza fila e si chinò per prendere qualcosa che evidentemente non c’era. Raddrizzò lentamente la schiena voltando la testa in direzione di Nathan.
- Ce l’hai tu? – il giovane mostrò spavaldamente il diario che stringeva con la mano sinistra, si distaccò dalla finestra e si diresse speditamente incontro alla ragazza.
- Già… notai che l’avevi dimenticato sotto il banco, pensavo di ridartelo, ma poi il contenuto era troppo interessante. – Si avvicinò ancor più a lei con un sorriso sprezzante che mostrava appena i denti lucidi, tendendole il diario, ma quando la ragazza tentò di afferrarlo ma lui fece in tempo a ritirarlo e con la destra le afferrò la mano.
“Il leone e la sua preda.”
- Sei ebrea. – la ragazza assunse un’espressione di disprezzo e rabbia.
- E ora che vuoi fare?! Denunciami? Vigliacco, piuttosto che vivere con gente come te preferisco morire! Chiama le SS! – la rabbia si tramutò in disperazione che poi sfociò nel pianto; si lasciò cadere a terra con il braccio ancora mantenuto dalla stretta di Nathan. Si accovacciò anche lui.
- No…Andrea io penso di poterti sfruttare in altro modo. – e posò il diario sul grembo della ragazza.
- In cambio del mio silenzio sarai la mia bambolina, farai tutto ciò che ti ordinerò, senza discutere anche se non ti piacerà o sarà imbarazzante, tu patirai senza fiatare. – Andrea sollevò la testa, mostrando un volto devastato dalle lacrime in cui non si rispecchiava altro che rabbia e dolore.
- Ho capito, va bene. – singhiozzò asciugandosi le lacrime con il lembo della manica.
- Ok. Ok. Ora basta piangere, le ragazze che piangono non sono carine per nulla. Domani fermati dopo la scuola, così farai i miei compiti. – si alzò da terra e iniziò a girovagare per la stanza.
- Ma non c’è il rischio che ci scoprano? –
- Basta che stiamo attenti e andrà tutto bene. – Andrea storse il naso.
- E come la mettiamo con i miei genitori? – lo disse in maniera acida e arrabbiata alzando leggermente il sopracciglio sinistro e inarcando verso l’alto il labbro superiore, Nathan rimase allibito e si zittì all’ improvviso ma poi prese fiato e riuscì a controbattere.
- Certo che quando si tratta di rispondere in maniera antipatica ti riprendi in fretta…e comunque non ne ho la più pallida idea, inventa una scusa che regga… tipo che ti sei trovata il ragazzo oppure che stai dando ripetizioni ad un tuo compagno. Sei comunque al corrente del fatto che sono ben disposto ad aiutarti se si tratta di recitare la parte di fidanzato e che nel farlo sono un esperto. – ammiccò.
- Tsk! Il solito marpione, ecco uno dei motivi per cui ti odio! Non devi prenderti troppa confidenza con me solo perché ci conosciamo! Me la sbrigherò da sola! –


Il giorno a venire, dopo la scuola rimasero in classe a svolgere i pochi compiti assegnati, inutile dire che l’umore di Andrea non era dei migliori ma sembrava insolitamente calma e pacata nonostante tutto ciò che stesse accadendo intorno a sé: il trascorrere di nuovo del tempo con Nathan, la morte della tanto amata gattina e poi la guerra…tutte cose che fino a qualche ora prima non le causavano altro che stress.
-Hai portato tutto? – Nathan si mise a cavalcioni sulla sedia circondandone con le braccia lo schienale e appoggiando la testa sulle braccia.
- Sì, sì…dai iniziamo-
- Ah! Non hai capito che i compiti li farai tutti tu? – parlò con fare sfottente sorridendo e ridacchiando sarcasticamente, piegando appena la testa. Andrea inarcò il labbro superiore in segno di disprezzo e alzando il sopracciglio mimò una smorfia, poi prese a scrivere.
- Mi sto divertendo molto a guardarti sgobbare! – sorrise soddisfatto. La ragazza non gli diede corda e pensò solo a risolvere i suoi esercizi di matematica nella maniera più accurata e repentina possibile, anche Nathan rimase sbalordito di quanto fosse brava, la osservava con attenzione fino a rimanerne incantato, l’aveva sempre trovata splendida e ammirevole per l’impegno che ci metteva nel fare qualsiasi cosa…in passato infatti aveva provato a stringere un legame con lei che però, sfortunatamente non andò a buon fine. Si sottrasse per un attimo ai suoi pensieri, perché più di quelli c’erano altre questioni che lo affliggevano, domande a cui solo la ragazza sapeva rispondere.
- Piccola come hai fatto a sfuggire alle SS? – la ragazza alzò il viso e lo fulminò con occhi di ghiaccio, poi lo abbassò nuovamente e riprese a scrivere.
- Proprio ora non ha senso che tu me lo tenga nascosto – lei non emise un fiato e continuò a scrivere indifferente. Nathan iniziò ad alterarsi cambiando anche il tono che passò da dolce ad acido.
- Sei ancora arrabbiata come me per questo piccolo ricatto o c’è qualcos’altro? - Nuovamente non rispose alla domanda, ma questa volta si stropicciò gli occhi come se stesse per piangere, a braccia conserte si mise sul tavolo con la testa raccolta da quelle e iniziò a parlare con tono basso che pareva quasi un mugugno.
- Che idiota che sei…se solo quella volta… - alzò il busto e si mise le mani sul viso coprendolo interamente.
- Sei il peggiore. - Nathan non aveva mai provato tanta vergogna, aveva sempre trovato ignobile far piangere una persona, a maggior ragione se poi si trattava di una ragazza.
- Non mi importa del passato, non mi attacco mica a quello, e per ciò che ho fatto in passato non chiedo scusa a nessuno.
- Andrea espresse con il volto la sua rabbia ma non fiatò, riprese la penna e terminò di scrivere.
- Quanto ti ci vuole ancora? Mi sto annoiando a morte. Muoviti nonnetta! -
- Perché tutta questa fretta? Se non mi avessi distratto continuamente avrei finito prima. Che antipatico. – fece segno di aver terminato mostrandogli il quaderno con gli esercizi.
- Allora metti tutto a posto e copriti, dobbiamo andare in un posto…. – senza fare domande la ragazza si mise il cappotto grigio, si infilò il cappello e i guanti e voltandosi Nathan le prese la mano minuta, aveva la mano liscia e morbida con delle dita lunghe e affusolate, riusciva a sentirla più vicina a sé, credeva di poter quasi comprendere il dolore e l’angoscia che la affliggeva, riusciva quasi a capire cosa significasse essere “diverso” attraverso il calore di quella mano; iniziò a trascinarla per i vecchi corridoi della scuola che ormai erano spettrali, non vi era neanche l’ombra di un professore, nemmeno una donna delle pulizie, a entrambi parve strano che ancora nessuno li avesse cacciati.
Usciti dalla scuola si ritrovarono in una viuzza circondata unicamente da case che formavano un labirinto indistricabile nelle cui strade passeggiava poca gente tra cui ragazzini, compagni di classe dei due, casalinghe indaffarate e anziani. Ad Andrea dava fastidio farsi toccare anche se solo la mano, da un ragazzo, soprattutto in pubblico; aveva già sviluppato in passato un certo fastidio, quasi disgusto nell’avere contatti fisici come abbracciarsi o prendersi per mano con qualsiasi ragazzo che non fosse suo fratello Jacob a cui era molto affezionato.
- Ora basta...lasciami la mano, mi dà fastidio essere toccata mi mette in imbarazzo…e poi i contatti diretti non facevano parte del nostro accordo. –
- No ti sbagli, l’accordo era che tu avresti fatto tutto ciò che ti avrei ordinato senza fiatare, proprio come una bambola, per cui adesso zitta e cammina. – strinse ancora di più la presa, era praticamente avvinghiato alla mano della ragazza, come un bambino in fasce al seno della propria mamma.
- Mi dà la nausea quanto tu possa essere superficiale, io non sono una bambola, ci stiamo solo facendo dei favori a vicenda, involontari nel mio caso, ma a vicenda. –
- Pensala come vuoi, poi i fatti sono questi. – si meravigliava egli stesso di quanto potesse essere cattivo a parole. Nathan stesso a volte pensava che il rapporto tra loro due fosse davvero strano, un rapporto compassione-odio davvero complicato che aveva origini da un gesto ingenuo, più doloroso di un colpo di pistola.
Il vento s’alzò d’improvviso.
Camminando scorsero la figura di due uomini vestiti interamente di nero, con gli stivaloni lucidi e una fascia rossa sul braccio, probabilmente soldati della Gestapo: trattenevano con insistenza un uomo. Cercarono di ignorarli ma poi, quando finirono col ritrovarsi in parallelo con quegli uomini, videro che uno dei due soldati aveva infilato una mano in tasca; strano, vero? Quando si ha davanti un uomo che potrebbe essere potenzialmente pericoloso solitamente si sta in guardia con le mani libere da eventuali intoppi; ma poi notarono che da quel vecchio giaccone nero in cui il soldato aveva infilato la mano stava fuoriuscendo in tutta lentezza e tranquillità una pistola. Con uno scatto repentino Nathan trascinò con sé Andrea in un vicolo buio tappandole la bocca e tenendola ferma con l’altro braccio, riusciva ancora a sbirciare da quel cunicolo e per fortuna nessuno si era accorto di loro. Sentì il respiro di Andrea accelerare, gonfiava e sgonfiava il petto velocemente e si poteva udire anche il rumore di quel respiro frenetico. Lui osservava la scena con un nodo alla gola e la tensione che saliva nel vedere quell’uomo estrarre la pistola completamente dalla tasca, tirare l’estrattore che scorrendo sul carrello produceva un rumore simile ad un “click” e, con la pistola carica, puntare.
Anche non vedendo la ragazza sapeva bene cosa stava accadendo, si scollò dalla bocca la mano di Nathan rivolgendo lo sguardo al ragazzo e parlò con voce soffocata dall’ansia.
- Ti prego fermalo! - Il soldato aveva il dito fermo sul grilletto, come se stesse aspettando l’attimo giusto per sparare.
-Non posso farci niente! Quell’uomo lo ammazzerebbe lo stes…. – Sgranò gli occhi continuando a guardare quell’uomo in divisa illuminato solo da una fioca luce velata, fino ad accorgersi che quello era ben più di un semplice soldato.
Stava per premere il grilletto, era solo una questione di secondi quando poi d’improvviso si udì un fortissimo – Padre! – la persona con la pistola in mano e la giacca nera consumata rivolse lo sguardo verso il ragazzo, poi sussurrò alla figura scura sul cui petto spiccava una stella gialla:
- Ringrazia che c’è mio figlio…- ripose l’arma nel giaccone e si incamminò incontro ai due ragazzi. La tensione svanì tutta d’un tratto, Nathan sciolse la presa che teneva bloccata a lui la fanciulla, però riprese a stringerle la mano.
- Nathan, che ci fai da queste parti? Oh! Vedo che ti sei deciso a portare a casa una ragazza! Sei tutto tuo nonno! – disse sorridendo e guardando la mano del figlio tenere saldamente quella di Andrea; lei tentò di liberarsi dalla presa del ragazzo ma senza successo, la sua di mano rispetto a quella di Nathan era davvero piccola, quella del ragazzo invece era davvero molto grande, sul dorso le vene erano talmente nette che parevano piante rampicanti.
Nathan annuì lietamente, le guance di Andrea si colorarono di un rosso vivissimo e tentò di guardare altrove per l’imbarazzo, portandosi la mano chiusa in un pugno sulle labbra, poi guardò in basso.
- Bene figlio mio, il Führer è sicuramente fiero di te! Lui sente e vede tutto! Perché non ce la presenti meglio al compleanno di tua madre? –
- Va bene padre sarò lieto di portarla a casa nostra sabato durante la festa…però adesso vorrei andare, sai com’è le donne danno un gran daffare! – circondò la ragazza con un braccio unendo quel gesto a un sorriso alquanto arcaico.
- Non c’è bisogno che ti scusi figlio mio, anch’io quand’ero un giovanotto facevo di tutto per tua madre; però ti voglio a casa per l’ora di cena! –
- Sarò puntuale. – Sgattaiolò scortando la ragazza, camminava a passo veloce ma non osò lasciare la mano di Andrea sempre infastidita da quel gesto. Si ritrovarono infine in una villetta costeggiata da alberi a fusto largo e molto alti, con una chioma folta e delle ramificazioni fitte, non vi era ancora alcuna traccia di boccioli, l’inverno stava terminando ma la primavera non dava ancora segno di essersi risvegliata.
Il vento cominciò ad incalzare, diventando più freddo e potente, Andrea tremava ma non voleva darlo a vedere, si sentiva debole quando era costretta ad accettare aiuto da qualcuno, anche se si trattava di un gesto semplice come prendere in prestito un indumento. Nathan si accorse che la manina della ragazza si era fatta alquanto fredda, si voltò, con l’altra mano le prese il polso, la tirò a sé e la abbracciò.
- Così va meglio, principessa? – la ragazza a quel gesto sgranò gli occhi, per il nervoso serrò i denti, mise le mani sul petto di lui e iniziò a spingere in direzione opposta per tentare di liberarsi; spingeva con tutta la forza che aveva in corpo, tutta la forza che quelle esili braccia potessero sopportare, e spingeva serrando i denti.
- Lasciami! Ti odio! Sparisci dalla mia vita! Mi fai schifo! Donnaiolo! Sei solo uno schifoso dalla mentalità perversa! -
- Non paragonarmi a persone del genere. –sgranò gli occhi freddi e in quel momento le strinse ancora di più il polso, per il dolore Andrea converse le dita sul palmo a mo’ di pugno e con il viso assunse un’espressione dolorante, chiudendo appena l’occhio sinistro e abbassando la testa.
Nathan si accorse di starle facendo male, così le lasciò il polso e mollò la stretta ma non si discostò neanche di un millimetro da lei. Le accarezzò la guancia dolcemente, per poi sfiorarle delicatamente il labbro. Sogghignò.
- Non sarà oggi, non sarà domani, ma tanto prima o poi un altro bacio, anche solo uno, riuscirò a rubartelo. –


-Le brillavano gli occhi…non potevo fare a meno di guardarli, ha degli splendidi occhi azzurri. – è ciò che pensò Nathan non appena arrivò a casa. Entrò nella sua stanza, chiuse la porta, non accese neanche la luce tanto era bella la luna che illuminava la stanza, si sbottonò la camicia facendola scivolare lentamente lungo tutto il suo corpo fino a farla cadere a terra, si buttò sul letto a pancia in su con il viso rivolto verso il soffitto tanto poco interessante, e iniziò a pensare.

 

- Ero in classe, stavo ridendo e scherzando con Erik, lui è il mio migliore amico, con lui ho fatto le migliori cavolate della mia vita, se ci ripenso ancora mi viene da ridere…eravamo praticamente circondati da un mucchio di ragazze, ci sentivamo come star del cinema, io e lui a scuola siamo molto popolari, circondati da ragazze, e soprattutto belli: avevamo tutto ma evidentemente a me non bastava. L’unica cosa che mi mancava era lei, forse in realtà era l’unica cosa di cui avevo bisogno, l’unica cosa per me irraggiungibile e che desideravo con tutto il cuore.
Mi scollai di dosso quel mucchio di ragazze, mi feci spazio con lo sguardo di tutti su di me, camminavo lentamente con il batticuore verso quella figura magrolina di spalle di cui potevo osservare solo i lunghi e lisci capelli neri con due ciocche raccolte dolcemente da un nastrino di velluto rosso.
-Ciao Andrea, che stai facendo? – lei si girò rivelandomi il suo splendido e candido viso, era una visione celestiale, una dea dagli occhi azzurri e le labbra carnose e rosse come una camelia.
- Ah ciao…niente sto leggendo un libro. –
- Sul serio? Anch’io amo molto leggere, mi è piaciuto molto Romeo e Giulietta di William Shakespeare. È il mio preferito. – lei mi sorrise teneramente.
- Se ti va potremmo andare insieme in biblioteca e poi magari perché non farci un giretto, l’aria è ancora gradevole. – non era la prima volta che chiedevo ad una ragazza di uscire però con lei era tutto diverso, non era una ragazza normale, per me era speciale.
- Perché no. Va bene dopo la scuola? –
- Ma certo signorina. – lei mi sorrise nuovamente, io ricambiai. Fu il giorno più felice di tutta la mia vita ero finalmente riuscito ad accorciare la distanza tra noi due. Diventammo molto amici, uscivamo insieme spesso ed in classe ormai eravamo diventati inseparabili ed il mio amore per lei cresceva di giorno in giorno però poi…

 

 

Andrea tornò a casa più furiosa che mai, lanciò il cappotto sul divano e si chiuse in camera sbattendo ferocemente la porta. I suoi genitori non erano in casa, l’unico presente era suo fratello maggiore che accorgendosi del malumore della sua sorellina bussò alla porta della camera.
- Andrea sono io… posso entrare? – silenzio. Jacob spalancò la porta, la stanza era illuminata da una luce soffusa, tiepida, che illuminava solo il corpo della ragazza distesa sul letto; Jacob si sedette accanto a lei.
- Sorellina… che ti è successo stavolta? – prese ad accarezzarle i capelli per tranquillizzarla; era ormai un rituale, ogni volta che Andrea era arrabbiata suo fratello le si sedeva accanto e le accarezzava i capelli parlandole tranquillamente.
- Nulla, sono solo stanca. –
- La recitazione non ha mai fatto per te, avanti cos’hai, sono tuo fratello a me puoi dirlo. –
-…- silenzio.
- C’entra di nuovo lui? –
-Sì… - - Che ha fatto stavolta quel pezzente? Se ti tocca di nuovo giuro su nostra madre che lo ammazzo! – iniziò ad alzare la voce per la rabbia, nessuno doveva toccare sua sorella, per lui era il bene più prezioso.
- Lascia stare Jacob, ti ho già detto cosa potrebbe succedere se qualcuno di noi facesse un passo falso…e poi dico davvero non ne vale la pena. – alzò appena la testa dal cuscino, si rannicchiò su se stessa appoggiandosi sull’addome del fratello.
- “Non sarà oggi, non sarà domani, ma tanto prima o poi un altro bacio, anche solo uno, riuscirò a rubartelo”, è così che ha detto, a volte non capisco se io gli piaccia veramente o se sono solo un passatempo…ripensando a quella volta poi…

 

- A primo impatto mi sembrava un ragazzo pieno di sé con la mania per le ragazze però “una persona che legge “Romeo e Giulietta” non può essere cattivo e poi è davvero un bel ragazzo, il suo viso è molto espressivo, e quando sorride appaiono delle simpaticissime fossette sulle guance che gli danno lo sguardo dolce e sereno di un bambino, però allo stesso tempo ha dei tratti molto virili, ad esempio ha la mascella sporgente che non è un tratto comune a tutti i ragazzi di diciassette anni e come se non bastasse ha il fisico di un pugile...” è ciò che pensavo ma in realtà è proprio come appare: egoista.
Quella volta lo stavo aspettando fuori da scuola, mi aveva promesso che saremmo andati insieme in biblioteca e che se avessi voluto avremmo mangiato una torta insieme, l’avrei voluto tanto. Ma all’uscita lui non c’era. Allora pensai “magari è rimasto in classe a rimettere in ordine, vado a dargli una mano”. Ero felicissima, ma poi, quando aprii la porta di quella classe, lui era lì che baciava un’altra ragazza, la teneva stretta a sé. A quel punto mi sentii mancare il fiato, al posto dell’aria nei polmoni avevo le lacrime, erano talmente tante che volevano fuoriuscire ma io cercavo di trattenerle. Lacrime. Non riuscii neanche a chiudere la porta e a muovermi di un centimetro. Nathan girò la testa e mi vide lì che piangevo.
- Andrea perdonami! Non ne avevo l’intenzione, ti giuro! – mi venne incontro, tentò di prendermi la mano, ma io gli diedi la porta in faccia. Scappai correndo per tutto il corridoio, mi sembrava infinito e intanto nella mia testa andava a ripetizione l’immagine di quel bacio. Arrivai al cancello della scuola dove mi fermai, il mio cuore non ce la faceva più, lui mi raggiunse.
- Andrea ho sbagliato, lo so! Ho ceduto ai miei impulsi e mi dispiace! Io ti amo! -
- Parole al vento, idiota, sei solo uno spregevole egoista! -
 le lacrime continuavano a scendermi a vagonate lungo tutta la guancia…

Le presi la mano candida.
- Ti dimostrerò che ti amo. –
La baciai.

Mi baciò.

-Che idiota con quel gesto non ho fatto altro che allontanarla ancor più da me. –

   
 
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