EPILOGO, seconda parte.
Nello stesso momento, a
Ravenna…
Anche per quel giorno stava per calare la notte, una notte
candida e vivida, a causa della neve che era caduta copiosa negli ultimi
giorni, e che continuava a cadere dal cielo con irregolarità anche in quel
momento. Erano quasi le sei di sera del ventisei gennaio del 1851 a Ravenna, e
nonostante il fatto che il nuovo anno fosse iniziato da poco, era già carico di
oscuri presagi.
Neuer guardava dalla finestra di quello che ormai era
diventato il suo studio permanente, in quella squallida stanza del palazzo
dell’Arcivescovo dove si era insediato la prima volta che gli era stata
affidata una missione al nord, ormai più di tredici anni prima. Ormai si era
abituato a quella stanza, che peraltro non era assolutamente di suo gusto, e si
era dovuto sforzare nel corso degli anni per cercare di farsela sentire più
familiare, ma la verità era che non ci era mai riuscito.
Nelle terre pontificie continuava a sentirsi un pesce fuor
d’acqua, e nonostante avesse più volte richiesto il rimpatrio, il permesso non
gli era mai stato accordato. I problemi continuavano a cadere dal cielo allo
stesso modo di quei fiocchi di neve che stavano continuando ad innalzare il
manto nevoso che ricopriva la città da giorni ormai, irregolari ma cospicui.
Poche ore prima, un gendarme era giunto fin nel suo studio
tutto trafelato, violaceo in faccia per il freddo sofferto e tutto sporco e
bagnato, ancora traumatizzato per quello che era accaduto durante la notte
precedente a Forlimpopoli, un piccolo e pacifico paese poco più a sud della
grande Forlì.
A quanto pareva, l’immenso gruppo di briganti che stava
rapidamente devastando e saccheggiando numerosi paesi della Romagna aveva brutalmente
occupato l’intero paesino, seviziando e torturando per ore i nobili del luogo,
dopo averli colti di sorpresa e radunati all’interno del Teatro Comunale, che
quella sera non aveva inscenato alcuno spettacolo, se non quello dei briganti
armati che facevano violenza su alcune ragazze.
Neuer si morse un labbro con rabbia, fino a farsi male.
Continuava ad ignorare i suoi due uomini, che attendevano i suoi comandi e che
se ne stavano seduti poco più indietro, mentre lui non riusciva a smettere di guardare
fuori dalla finestra e di rodersi l’anima senza pace.
Nell’ultimo anno e mezzo, si era creato un immenso gruppo di
fuorilegge armati fino ai denti, che con una violenza inaudita avevano iniziato
a far la voce grossa, fintanto che avevano definitivamente preso il vizio di
mettere a ferro e fuoco interi paesi e piccole città, dopo averle militarmente
occupate per intere nottate ed aver massacrato tutti gli scarsi gendarmi
presenti sul posto. La banda stava rapidamente terrorizzando l’intero popolo, e
le voci si rincorrevano ovunque.
Neuer sapeva per certo che molti nobili venivano uccisi, le
loro donne venivano brutalmente stuprate e seviziate, mentre i briganti
facevano tutto ciò che più gli aggradava, e nessuno poteva far qualcosa per
fermare quell’atroce follia. Si trattava di almeno un centinaio di uomini,
tutti perfettamente addestrati ed armati, capitanati da un soggetto strano;
molti affermavano che si trattasse di un fantasma.
Stefano Pelloni, colui che capitanava l’immenso gruppo
armato, era un individuo ben conosciuto alla legge, ma era stato molto bravo ad
utilizzare le credenze del popolo. Approfittando della sua parentela con
Giovanni Pelloni, il mitico Zvàn sparito chissà dove dopo essere riuscito ad
evadere misteriosamente dalla cella di prigionia di quello stesso palazzo, era
riuscito ad apparire di fronte al popolino come una reincarnazione dello zio,
gridando vendetta contro i nobili e commettendo ogni atroce azione.
Addirittura, si diceva che si divertisse perfino a squartare i corpi delle
vittime della propria furia omicida per sezionarne minuziosamente le interiora.
Terrorizzato, il popolo acclamava ormai il Passatore in tutte
le cittadine romagnole, senza neppure tentare di ostacolare la furia di quel
pazzo e dei suoi scagnozzi ed indicando loro le case dei più ricchi, in modo da
farli sfogare sui nobili. E la catastrofe incombeva sull’intero territorio,
mentre il numero dei paesi barbaramente occupati e devastati saliva di giorno
in giorno.
A Neuer era stato richiesto espressamente, solo poche ore
prima, di mettere fine a tutto ciò. Il lontano pontefice non poteva tollerare
tutto quello che stava accadendo, e voleva che le sue terre fossero subito
riappacificate.
A quel punto, l’ufficiale straniero si lasciò sfuggire un
sorriso carico di amarezza. Per tanto tempo aveva desiderato che gli fosse
tolto ogni potere; non era più riuscito ad apprezzare il suo operato dopo il
primo, grandioso fallimento, quando il nipote dell’ormai defunto Gregorio XVI
l’aveva ingannato.
Il conte Alfonso Cappellari aveva fatto di tutto per farlo
cadere nella sua trappola, e lui c’era caduto dentro senza batter ciglio,
rischiando di far esplodere un’ennesima ondata di violenza in tutto il nord
dello Stato. Eppure, alla fine tutto ciò non era accaduto, e nessuno si era
scomodato da Roma per fargli giungere delle dimissioni o un allontanamento, per
via dell’incapacità dimostrata nel saper gestire una questione spinosa come
quella del brigantaggio. Il vecchio pontefice si era limitato solo a richiedere
le ricerche degli assassini del suo amato nipote, che peraltro non furono mai
trovati, e non aveva inviato più rinforzi al nord, concentrandosi in un
consolidamento del suo flebile potere a sud degli Appennini.
Neuer disponeva di una quarantina di austriaci ben
addestrati, ma decisamente troppo pochi per controllare e presidiare da soli la
città di Ravenna, centro nevralgico del potere pontificio nel nord della
penisola, e non aveva mai ricevuto rinforzi da sud, e neppure da nord, dove
fortunatamente nell’ultimo periodo i suoi compatrioti si stavano imponendo
nelle maggiori città pontificie.
Ormai l’impotenza papale era palpabile, e dopo le varie
insurrezioni e la prima guerra per l’indipendenza dell’Italia condotta dai
piemontesi, alcuni manipoli di soldati austriaci si erano asserragliati
all’interno di Ferrara e di Bologna, con la scusa di volerne mantenere al
meglio il controllo, quando in realtà amministravano già loro il tutto. Eppure,
neppure un soldato era stato mandato in suo soccorso, ed era rimasto ormai solo
a difendere quella grande porzione di territorio che si estendeva tra Bologna e
la costa. Un territorio immenso, pieno di gente ostile e di briganti pazzi e
pericolosi, che lui avrebbe dovuto controllare con una scarsa ottantina di
uomini.
Aveva a disposizione anche una quarantina di soldati del luogo,
su cui però non poteva far troppo leva per la difesa armata della città,
essendo continuamente indisciplinati. Doveva quindi fidarsi solo dei suoi pochi
austriaci.
E in quel momento se ne sarebbe privato di ben due.
‘’Signore’’, mormorò uno dei suoi due sottoposti, in attesa
di ordini.
Neuer si voltò a guardarlo con rabbia, non sopportando chi
interrompeva i suoi pensieri. Era vero che doveva essere trascorsa almeno una
mezzoretta da quando aveva iniziato a riflettere, ma ultimamente si prendeva
sempre più tempo per sé, e i suoi sottoposti dovevano limitarsi ad attendere
pazientemente i suoi comodi.
‘’Dimmi’’, gli ringhiò contro, facendo agitare i due ragazzi
sulle loro sedie.
‘’Non andiamo. Rifiutiamo l’incarico’’, mormorò lo sfacciato,
abbassando però lo sguardo.
‘’Voi andrete ovunque io vi ordinerò. E che questo sia
chiaro. Siete stati affidati sotto il mio comando, e farete tutto ciò che vi
ordino. Intesi?’’, replicò Neuer ad alta voce. Ormai si era irrimediabilmente
inacidito nei confronti di quei due. Pareva che non si rendessero conto che la
piccola, debole e ristretta posizione di comando da ufficiale subalterno che
lui occupava non gli andava a genio e non l’aveva mai richiesta, e che l’aver
accettato a suo tempo di essere dislocato nella penisola italiana era stato il
più grosso sbaglio della sua vita.
Se fosse rimasto nell’immenso Impero Austroungarico, molto
probabilmente in quel momento sarebbe stato ancora un fante semplice e non
avrebbe avuto tutte quelle responsabilità, che per altro a volte continuava ad
affibbiarsi da solo come fosse affetto da una qualche malattia psichica.
Purtroppo, ormai sapeva solo che non voleva più vivere in
quella dannata Ravenna, e che voleva tornare a casa, nella sua terra d'origine.
Non avrebbe potuto tollerare neppure per un mese in più quella situazione
drammatica che lo circondava da tutte le parti.
‘’No… cioè, non andremo. Non lasceremo la città in una simile
giornata, in più con gli spettri che colpiscono qua e là’’, tornò alla carica
il giovane gendarme che aveva espresso i dubbi comuni. Era più insicuro questa
volta, mentre l’altro neppure si azzardava ad alzare lo sguardo da terra o a
muovere le labbra, teso come la corda di un arco.
Neuer strabuzzò gli occhi, suo malgrado, e rischiò per un
attimo di andare su tutte le furie e perdere definitivamente la ragione.
Eppure, pur di non dar di matto di fronte a quei due insubordinati che non
valevano un soldo, decise di inspirare due o tre volte, prima di riprendere la
parola.
In un'altra situazione, li avrebbe fatti incarcerare o
fucilare pubblicamente, ma in quel momento non poteva permettersi di perdere
nessun uomo, neppure il più fifone. E i due lo sapevano, e per questo stavano
cercando di tentare un rifiuto.
‘’Razza di somari che non siete altro, quante volte devo
ripetervi che non esiste alcuno spettro, e che quella banda di pecoroni
montanari sono solo fuorilegge fetenti, che voi due da soli potreste cancellare
dalla faccia della terra con appena qualche tiro mirato di schioppo? Voi
rappresentate l’élite dei gendarmi, siete uomini addestrati fin dalla più
tenera età all’utilizzo delle armi. Siete stati forgiati per combattere,
conquistare, sopprimere e reprimere. Ma fintanto che continuerete a fuggire e a
farvi mettere i piedi in testa da un ragazzino dal volto sfregiato, non potrete
mai farvi valere’’, sibilò poi l’ufficiale, accomodandosi meglio sulla sua
sedia. In quel momento desiderava ardentemente che in città ci fosse stato
qualche suo superiore, in modo da prendersi lui stesso la responsabilità di
quei buoni a nulla, ma purtroppo non era così.
Da quando il Passatore aveva iniziato le sue terribili e
sanguinarie incursioni, qualcuno che tramava nell’ombra non aveva fatto altro
che sfruttare le flebili credenze popolari, per far credere ai civili che
Stefano in realtà fosse quello stesso Zvàn che una decina d’anni prima era
riuscito ad evadere e a fuggire in un modo misterioso, diventando
effettivamente un essere leggendario che non era neppure invecchiato durante
tutti quegli anni. Uno spettro sotto tutti i punti di vista.
Chiunque avesse visto Zvàn tempo addietro, mentre veniva
trascinato in giro per la Romagna in attesa di giungere a Ravenna dove
l’attendeva l’esecuzione pubblica, dopo aver visto in faccia quel demonio del
Passatore giurava con sicurezza che i due avevano lo stesso volto, nonostante
che il secondo avesse una guancia brutalmente sfregiata e non portasse la barba
lunga.
Le varie dicerie, che si erano sparse facilmente anche tra i
pochi gendarmi presenti nelle città, e ovviamente anche a Ravenna, avevano reso
i soldati molto più fragili e impauriti del previsto, sconcertati anche dai
racconti di violenza estrema che provenivano dai paesi militarmente occupati
dai fuorilegge armati.
Neuer sapeva per certezza che quel Passatore assomigliava a
Zvàn solo per un fatto di parentela, essendo un suo giovane nipote, ma non era
facile spiegarlo ai suoi uomini e rendersi credibile, poiché essi tendevano
sempre a pensare che lui volesse sdrammatizzare la questione sono per spingerli
a continuare a mantenere ben saldo il controllo delle Legazioni Pontificie,
lasciandoli quindi in balìa di un qualcosa di sovrannaturale e spietato.
Aveva effettuato più volte delle ricerche di informazioni su
Stefano Pelloni, e aveva scoperto che si trattava di un giovane non ancora
trentenne e già piuttosto disturbato, fuggito durante un trasferimento ad
Ancona, dove avrebbe dovuto scontare ben quattro anni di lavori forzati alla
Darsena per aver rubato dei fucili da caccia.
Eppure, quel giovane fuorilegge fuggitivo era riuscito a
creare una sua banda di briganti, ed aveva sfruttato ogni particolare a suo
favore, ricreandosi un’avvincente storia alle spalle e spargendo il terrore
ovunque, sotto molteplici forme, tramutandosi a tutti gli effetti in una
creatura soprannaturale agli occhi di chiunque. Ma non agli occhi di un maturo
ufficiale austriaco, scaltro ed istruito.
Ad aver dato una mano cospicua al ragazzo in quel folle
progetto era stato un certo Mario, quello stesso uomo che, tredici anni prima,
era riuscito ad evadere dalla cella di prigionia assieme al suo capobanda dopo
aver assassinato brutalmente Aldo, il vecchio bandito delle paludi. A quanto
pareva, il fuorilegge era riuscito a tornare dopo qualche mese sui monti, nella
stessa zona sperduta dove la banda del suo capo, ormai volatilizzato e
introvabile, era stata distrutta, per poi viverci assieme ad una donna e a
qualche figliolo fintato che non aveva iniziato ad istruire il pazzo assetato
di sangue.
Ora, il vecchio Mario era diventato una buona guida per il
Passatore, e si diceva che entrambi si presentassero teatralmente, prima di
iniziare a compiere le varie nefandezze.
Stefano il Passatore era solo uno squilibrato che era riuscito a trovare
un uomo adulto in grado di istruire e di far convogliare tutta la sua pazzia
verso un traguardo inimmaginabile, in quel momento.
‘’Siamo pronti a farci valere, ma non contro delle
mostruosità demoniache. Per quanto mi riguarda, mi rifiuto fermamente di
abbandonare la città durante questa nottata’’, replicò l’insubordinato, ormai
sprezzante. Rifletteva ancora un attimo prima di parlare, ma pareva aver preso
maggior sicurezza di sé.
L’altro compagno non disse nulla e annuì, mentre il primo si
alzava in piedi.
‘’Mi ricorderò di questo affronto. Pregate affinché alla fine
di questa parentesi triste ci sia un altro ufficiale al mio posto, altrimenti
le vostre vite avranno fine di fronte ad un plotone d’esecuzione. Potete
scordarvi anche ogni avanzamento di grado, per sempre’’, mormorò il maturo
ufficiale, lasciando fluire fuori dalle sue labbra quelle parole grevi ma
tranquille. Era sfiancato da quella giornata, e non gli andava più di discutere
con quegli asini fifoni dei suoi sottoposti, che da parte loro si congedarono,
abbandonando la stanza con sfacciataggine.
Solo a quel punto Neuer tornò a mordersi il labbro inferiore,
alzandosi poi dalla sua sedia ed iniziando a passeggiare. Quei suoi due
gendarmi si sarebbero dovuti recare a Forlì prima dell’indomani mattina per
capire come si stava evolvendo la drammatica situazione nei paesi circostanti a
quella grande città, ma a quanto pareva nessuno voleva svolgere quel compito
pericoloso, con incluso un viaggetto notturno per le buie e selvagge campagne romagnole.
Anche quella missione era andata all’aria, in quel momento.
Si vergognava di sé e di non riuscire neppure ad avere il controllo sui suoi
uomini.
Con una forte spinta, Neuer chiuse la porta della stanza,
lasciata aperta ancora da quei due giovani, gli unici che potevano apparire in
grado di compiere un viaggio delicato e che invece si erano ribellati agli
ordini di un superiore, firmando di fatto la loro futura fine. Avrebbe voluto
sbatterli un po’ in gattabuia, ma in quel momento purtroppo c’era bisogno di
ogni soldato, anche il peggiore, poiché non si sapeva in che punto preciso
stessero soggiornando i fuorilegge o verso quale paese o città stessero
puntando, e non era escluso che si stessero muovendo anche verso Ravenna.
Neuer sorrise a quel pensiero, capendo che ciò era
impossibile e che dei briganti non si sarebbero mai azzardati ad attaccare un
boccone così grosso, troppo grosso per loro. Certo che dovette anche
riconoscere il fatto che un centinaio e forse più di gaglioffi armati avrebbe
potuto compiere un cospicuo sacco della città e numerosi danni, se solo quei
cafoni l’avessero voluto.
L’ufficiale sapeva che non poteva contare eccessivamente sui
suoi uomini, sempre pronti a darsela a gambe, e che quindi il pericolo era
davvero da valutare, ma purtroppo non poteva far altro che sperare che quei
pazzi e sporchi banditi se ne stessero lontani dalla grande città, limitandosi
a colpire in maniera repentina e travolgente i paesi minori e circostanti, dove
persino i sacerdoti ormai pareva aprissero le loro porte, assecondando i folli
voleri del Passatore ed indicandogli pure le abitazioni signorili o i luoghi in
cui si nascondevano i nobili.
Non c’era più limite al peggio, se si voleva sopravvivere.
Ed intanto, l’inverno implacabile continuava a dominare il
territorio come una tenaglia, stritolando tutto sotto una morsa di gelo e neve,
impedendo ogni possibile riorganizzazione armata dei gendarmi, che purtroppo
scarseggiavano ovunque nelle città e preferivano darsi alla fuga che
imbracciare il fucile e combattere per lo Stato a cui prestavano servizio.
Non era valsa a nulla neppure la chiamata alle armi per i
giovani civili, che invece di ingrossare le fila dell’esercito pontificio preferivano
attraversare i deboli confini e correre tra le braccia del re piemontese, il folle
che con i suoi progetti suicidi stava richiamando l’attenzione dell’intera
penisola, mantenendola in un fermento costante.
Neuer scrollò lievemente la testa, riconoscendo che solo un
pazzo avrebbe potuto azzardarsi ad affrontare l’Impero Austroungarico nel suo
stesso modo, quando in realtà i suoi possedimenti erano circoscritti ad un
lembo dell’Italia del nord e ad un isola.
Più volte si era ritrovato a pensare che l’impero sarebbe
stato di certo molto più florido se gli imperatori in passato avessero rivolto
i loro sguardi sull’intera penisola italiana, non accontentandosi di tenerla
sotto scacco e cercando invece di sottometterla. Ciò avrebbe offerto
opportunità indescrivibili, donando all’Austria città piene d’arte, tanti porti
e un buon sbocco commerciale al centro del Mediterraneo.
Invece, gli imperatori per secoli avevano da sempre
proseguito la marcia verso est, alla conquista di ciò che lasciava indietro
l’Impero Ottomano, ormai sull’orlo dello sfacelo, accontentandosi si miseri
villaggi montani e di pastori inselvatichiti, molto spesso con culture molto
differenti da quelle dei nuovi conquistatori. Così l’Impero Austroungarico si
era rivelato un vero gigante d’argilla, e sui Balcani le insurrezioni a volte
erano dure e violente, e ciò richiedeva che l’intero esercito fosse sempre
pronto ad intervenire per sedarle.
L’ufficiale sbuffò, stanco di pensare e di fantasticare, e
decise di uscire un po’ da quella stanza e di andare a supervisionare i suoi
uomini, per controllare che fossero tutti fuori a sorvegliare i punti
principali della città e che non stessero bighellonando dentro il palazzo o nel
circondario, come facevano spesso. Si stavano impigrendo parecchio, anche a
causa del freddo gelido che li tormentava ovunque, ma non potevano permettersi
di non svolgere il loro servizio e di stare a riposo tutto il giorno.
Proprio quando stava per abbandonare la stanza, appena dopo
aver aperto la porta che s’immetteva nell’ampio corridoio che conduceva
all’esterno dell’edificio, un ragazzetto quasi gli piombò addosso, tutto rosso
in faccia. Era il ragazzo che portava la corrispondenza, e faceva la spola tra
Ferrara e Ravenna, consegnando lettere e dispacci importanti.
Il giovane cercò di dire qualcosa, ma i denti gli battevano
con forza e pareva sul punto di svenire. Doveva essere giunto da poco al
palazzo.
Conoscendolo di vista, lasciò perdere le parole e consegnò
una lettera a Neuer, continuando a tremare come una foglia.
‘’Vai a cambiarti d’abito e a richiedere un pasto caldo dalla
cuoca, e dille che ti ho mandato io. Ah! Se tutti i miei giovani sottoposti
fossero valorosi e temerari come te, sempre pronti a sfidare le intemperie e il
clima ostile, da quest’ora li avrei già resi tutti generali. Prima o poi,
ragazzo, dovrei farti addestrare. Saresti un bravo gendarme, ne son certo. La stoffa
ce l’hai’’, disse il maturo ufficiale, facendo poi l’occhiolino al giovane.
Il ragazzo annuì, colmo di gratitudine, e si diresse subito
verso le cucine, strofinandosi costantemente le mani rossastre l’una contro
l’altra e lasciando Neuer tutto solo, a fissare la lettera che gli era appena
stata consegnata. Scoprì che portava impresso il sigillo della cancelleria
imperiale, e che quindi doveva essere giunta direttamente da Vienna.
Colmo di agitazione, l’ufficiale tornò rapidamente a
rintanarsi nel suo studio, lasciando però aperta la porta e fiondandosi
direttamente verso la sua scrivania, dove non trovò il coraggio di sedersi
sulla sedia.
Era da tanto, tantissimo tempo che aspettava quella lettera,
dopo tutte quelle che lui stesso aveva scritto e inviato alla volta della
capitale dell’impero, per richiedere il suo rimpatrio. Non poteva più
sopportare di continuare il suo operato in quell’odiosa e pericolosa penisola,
e voleva ritornare assolutamente a casa, e per questo era pure disposto ad
essere declassato a fante semplice, pur di non restare un attimo in più a
Ravenna, e di perdere quel flebile ed inutile comando che aveva portato sulle
sue spalle per un decennio abbondante, ormai.
Quella permanenza in Italia, al servizio papale, sarebbe
dovuta cessare dopo soli pochi mesi, ma a suo tempo i piani di Gregorio XVI per
lui si erano rivelati più elevati, e per questo, dopo aver preso in mano le
redini di un cospicuo manipolo di gendarmi, era giunto nella Romagna, per
combattere e riportare l’ordine.
A volte evitava di guardarsi allo specchio; ogni volta che
vedeva il suo volto riflesso gli sembrava di star osservando un vecchio. I suoi
capelli biondi ormai erano già diventati grigi, e il suo volto era un insieme
irregolare di fossette e rughe, segni tangibili di tutte le preoccupazioni che
l’avevano tormentato e tenuto sveglio durante gli ultimi anni, rendendolo quasi
uno spettro. C’erano giorni in cui non riusciva a mangiare nulla, e notti in
cui non riusciva proprio a dormire.
Ultimamente aveva perso molto peso, e l’appetito gli mancava
sempre, mentre violente emicranie e un malessere fisico generale lo tenevano
spesso sulle spine.
Si era fatto visitare da alcuni tra i più eminenti medici della
città, che gli avevano fornito tutti la stessa sentenza, ovvero che soffriva di
problemi di cuore e che non doveva affannarsi o agitarsi troppo, per non far
aumentare pericolosamente i suoi disturbi.
Ma in quel momento, l’ufficiale sprizzava di gioia e di
speranza, mentre apriva la lettera proveniente dalla sua Patria. Il suo sogno
più grande era quello di poter rivedere Salisburgo, la sua magnifica città
natale, dove tuttora i suoi fratelli vivevano, per poi far rotta verso Vienna e
verso i nuovi, piccoli incarichi che gli avrebbero affidato, incarichi di poco
conto che non gli avrebbero creato ulteriori preoccupazioni e che non avrebbero
dato il colpo di grazia al suo debole cuore, distrutto dalla lunga permanenza
nella penisola italiana. Aveva tanta voglia di ricominciare daccapo.
Però, un istante prima di tirar fuori il foglio scritto dalla
busta, s’intristì e divenne pensieroso, poiché gli tornò alla mente il volto di
una vecchia megera che aveva fatto arrestare tempo addietro dai suoi gendarmi.
Quella vecchia arpia, che turbava spesso i suoi ormai rari
periodi di sonno, si voleva spacciare per cartomante e veggente, vendendo a
caro prezzo le sue orrende e futili stregonerie ai passanti delle strade di
Ravenna, dove costei era giunta in cerca di qualcosa da mangiare durante il
rigido inverno dell’ormai lontano 1838.
Neuer ricordava tutto come se ciò fosse accaduto solo un
istante prima. I suoi uomini erano corsi ad avvisarlo della presenza di questa
pazza sobillatrice, una vera strega, a quel che si diceva, che lanciava
maledizioni e spergiuri contro chiunque si opponesse alla sua presenza. Lui era
voluto intervenire subito e di persona, poiché quando si trattava di
superstizione e di veggenti, il popolo era molto credulone e certe situazioni
andavano trattate con i guanti.
La strega, una vecchia di nome Vanna, che a quanto pareva
proveniva dai monti interni della Romagna, era già pronta ad attenderlo con
sfacciataggine, seduta ai margini della strada che conduceva al porto, sicura
di sé e sorridente, dicendogli che sapeva che sarebbe venuto.
Quando Neuer le aveva detto che era in arresto, lei aveva
sorriso e l’aveva maledetto, dapprima lanciandogli contro alcune parole
irripetibili, per poi sputargli in faccia che l’avrebbe pagata per tutto il
male che aveva fatto ad una sua coppia di amici, e che la sua sarebbe stata una
punizione amara. Infatti, gli aveva predetto che quando sarebbe tornata a
brillare la speranza, sorgendo all’improvviso dopo un lungo ed abbondante
decennio di buio assoluto, la sua vita avrebbe avuto fine nel peggiore dei
modi.
L’ufficiale, che non aveva idea di cosa e di chi si stesse
riferendo la donna, a quel punto aveva sorriso anch’esso, mettendo a tacere la
vecchia con un pugno e affidandola ai suoi gendarmi.
Quando Vanna aveva ripreso a gridare insulti e maledizioni, e
i suoi uomini avevano iniziato a spaventarsi, Neuer aveva imbracciato il fucile
ed aveva ucciso esso stesso la donna, ancora prima di giungere nelle prigioni,
trivellandola di colpi senza provare alcuna pietà per quella vecchia, facendone
poi nascondere il corpo per tutto il pomeriggio di quel giorno per poi farlo
sparire in un canale di scolo durante la notte.
Però, restava il fatto che dopo quel gesto orrendo ed
efferato, e dopo il massacro dei briganti montanari e dei banditi delle paludi,
la sua vita aveva cambiato corso, diventando sempre più cupa.
Di notte, la sua mente era popolata dai volti della gente
povera alla quale aveva tolto la vita, dopo aver ordinato la loro esecuzione, e
a volte gli appariva di fronte lo sguardo folle del conte Alfonso e di quella
vecchia pazza, Vanna, che lo malediceva e gli ripeteva quella truce previsione
della sua vita. E di giorno era tormentato dai fastidi fisici, e una sorta di
depressione costante lo lasciava immerso in una cupezza amara e senza appetito
per la vita.
L’ufficiale scosse la testa, quasi come a cercare di
togliersi dalla mente quei pensieri infingardi che lo stavano rallentando, ed
estrasse la lettera dalla busta, aprendola.
Con mani tremanti, aprì bene il foglio scritto, dispiegandolo
sotto gli occhi, e iniziò a leggere con voracità quelle frasi scritte in
tedesco, saltando rapidamente le frasi di rito e gettandosi a leggere le righe
centrali, dove veniva confermato il fatto che le sue richieste continue erano
state prese in considerazione, ed in virtù della lunga sosta nello Stato della
Chiesa e del lavoro svolto, poteva rientrare in patria, dove avrebbe prestato
servizio come ufficiale nell’esercito austroungarico. La carica non era
specificata, o forse sì, ma la mente di Neuer si era già messa in viaggio verso
la sua Austria.
L’uomo appoggiò la lettera sul tavolo, smettendo di leggere
ma ripromettendosi di completare la lettura quando le emozioni avrebbero smesso
di offuscargli la mente, e la commozione salì fin sul suo viso, arrossandolo,
mentre addirittura alcune lacrime di felicità volevano sgorgare dai suoi occhi.
Appoggiandosi al davanzale della finestra, Neuer si lasciò
sfuggire una risatina felice e compiaciuta, di quelle che non gli erano
sfuggite mai nell’ultimo mogio decennio, fatto solo di problemi e sotterfugi
loschi. Ma ora tutto ciò era già alle sue spalle, e ben presto, già tra poche
ore, si sarebbe dimesso da quella carica ed avrebbe preparato le valigie, per
poi partire alla volta della sua patria già all’indomani mattina.
Non gli importava il fatto di lasciare incustodito il
presidio in città, e non avrebbe atteso l’arrivo del suo sostituto; sarebbe
partito subito, fregandosene del freddo, della neve e dei briganti.
Un sorriso apparve sulle sue labbra striminzite dai lunghi
anni in cui erano rimaste chiuse, a formare un ghigno dispiaciuto che ormai si
era tramutato in un’espressione felice. Gli tornò in mente ciò che gli aveva
predetto la vecchia Vanna, prima che lui la uccidesse brutalmente, e rise
ancora più forte, facendosi beffe di quell’arcigna stupida che si credeva una
veggente. Ora lui era felice, e lo sarebbe stato per sempre, a quanto pareva.
‘’Signore? Tutto a posto?’’, chiese una servetta,
affacciandosi sulla porta con un’espressione sorpresa ben impressa sul volto.
Neuer riconobbe che doveva essere stata richiamata dalle sue
risate, che da tempo non risuonavano tra quelle mura spoglie e dannate, e
quindi represse per un istante la sua felicità per riprendere un po’ di
contegno. Non voleva diventare lo zimbello della servitù, e soprattutto non
voleva che credessero che fosse diventato definitivamente pazzo.
‘’Livia cara, prepara una buona tisana e portami qualche
biscotto. Si deve festeggiare, quando giungono delle rare buone notizie’’,
rispose l’ufficiale alla servetta, che subito si affrettò a dirigersi verso le
cucine, senza aggiungere altro, obbediente come al solito.
Neuer tornò a riprendere in mano la lettera, ed iniziò a
rileggerla dall’inizio e con attenzione, passeggiando per la stanza e cercando
di far passare l’euforia iniziale, che invece continuava a tormentarlo. Decise
quindi di riporre nuovamente lo scritto e di rileggerlo mentre sorseggiava un
qualcosa di caldo e mangiucchiava qualche biscotto secco, visto che in quel
momento la gioia era eccessiva e non gli permetteva di concentrarsi nella
lettura.
Appoggiò la lettera e riprese a passeggiare per la stanza,
con un ampio sorriso ben impresso sul volto. E fu in quel momento di felicità
estrema e tanto attesa che tutto si tramutò in un incubo.
Neuer si accorse tutto ad un tratto che qualcosa non andava,
e le sue mani corsero prontamente al petto, dove si strinsero in una morsa
letale sul cuore.
Un mugugno di dolore fuoriuscì involontariamente dalle sue
labbra, mentre cercava di calmarsi e di riprendersi. Altre volte aveva sofferto
di palpitazioni intense, e le sensazioni forti provate poco prima dovevano avergli
causato qualche problema, però mai aveva sopportato un dolore simile,
lancinante, che gli squarciava tutto il petto.
A quel punto, si mosse a stenti verso la scrivania e gli si
appoggiò, cercando sollievo, ma il dolore aumentò.
L’ufficiale cercò di gridare e di invocare aiuto, mortalmente
spaventato, ma scoprì che non ci riusciva. Gli mancava l’aria e la forza.
Sentiva che il suo volto era ridotto ad una smorfia di
dolore, e un rivoletto di bava sanguigna gli fuoriuscì involontariamente dalle
labbra, che si dischiusero senza emettere alcun suono. E a quel punto si
accorse che il suo cuore batteva solo a tratti, fin a giungere a momenti in cui
non batteva più.
Le forze gli vennero a mancare improvvisamente, e in un
attimo scivolò al suolo, accartocciandosi sul pavimento come un fantoccio,
mentre su di lui cadevano alcuni fogli di carta, tra cui la stessa lettera che
gli era stata consegnata poco prima e che aveva un’importanza vitale.
Tutto era accaduto in così poco tempo che l’uomo non era
riuscito a capacitarsi prontamente di ciò che gli stava succedendo, e
nonostante tutto continuava la sua lotta per riprendere padronanza del suo
corpo, e per un attimo riuscì a stringere tra le sue mani la lettera, quello
scritto che gli assicurava che la sua permanenza in quel luogo sgradito era
finalmente conclusa e che poteva tornare a casa.
La lettera gli rimase come per magia tra le dita, mentre l’ufficiale
batteva la testa contro il gelido pavimento.
Tutto divenne rosso per un istante, e i caratteri scritti
della lettera stessa finirono macchiati dal sangue che fuoriusciva dal naso di
Neuer, rottosi con la botta ricevuta nella caduta verso il pavimento, e l’uomo
fu sconvolto da una fitta lancinante, mentre le sue mani lasciavano scivolar
via il foglio ormai irrimediabilmente macchiato e rovinato.
Solo in quel momento l’ufficiale comprese che per lui non
c’era più via di scampo e che sarebbe morto.
Un rantolo, l’ultimo della sua vita, fuoriuscì dalle sue
labbra dischiuse, mentre con un ultimo movimento involontario il suo corpo si
adagiava in una posizione supina e non voluta.
In quel momento, con la coda dell’occhio l’uomo vide che Livia
era appena rientrata nella stanza, e che lo stava osservando. Non lo guardava
più con paura e timore, come aveva fatto fino a qualche minuto prima, ma lo
stava fissando con indicibile disgusto. Poi, la donna lanciò un grido orrendo e
lasciò cadere a terra la tazzina e i biscotti che aveva appena portato, uscendo
nel corridoio ed iniziando ad invocare aiuto.
Neuer a quel punto sapeva che era troppo tardi, e che il suo
cuore già non batteva ormai più. Non aveva più sensibilità sul suo corpo, e il
suo volto violaceo si era rilassato un poco dallo spasimo finale.
La sua vista si adombrò in un attimo, e non fu più in grado
di vedere o di udire nulla, mentre davanti ai suoi occhi, nel buio eterno
dell’ultimo rimasuglio della sua coscienza, appariva il volto squallido di
Vanna, quella maledetta vecchia, che lo sbeffeggiava. Alla fine, aveva vinto
lei, quell’odiosa strega.
Con l’ultimo barlume di lucidità, Neuer comprese che non
avrebbe mai più rivisto la sua casa natale, la sua Patria, ma che era
praticamente già morto. Eppure, non se la prese; non poteva più provare
emozioni, e la calma e la pace regnavano ovunque nel buio del vuoto eterno in
cui stava rapidamente scivolando.
E, dopo un solo istante ancora, tutto si spense e divenne
ancora più oscuro, non lasciando più spazio alla vita e al rimorso.
Nello stesso istante,
nelle campagne attorno a Ravenna…
Il vecchio Mario stava fissando il suo caro Stefano, il
ragazzo a cui aveva affidato la sua vita.
Il Passatore, che tutti definivano un pazzo sanguinario, in
realtà sapeva anche essere gentile e leale, e i suoi occhi, quando non ardevano
in preda ad una follia sconosciuta a tutti, sapevano esprimere anche dolcezza e
preoccupazione per i suoi uomini.
Nonostante il fatto che il suo volto fosse lievemente
sfigurato, restava la più completa reincarnazione del suo amatissimo Zvàn, quel
grande amico e capobanda di cui aveva perso le tracce all’incirca tredici anni
prima, quando i loro destini si erano divisi nelle periferie ravennati, poco
distante dal punto in cui stavano sostando in quel preciso istante. Da quel
lontano momento in poi, non aveva avuto più notizie del suo amico e capo, e
neppure della contessina Teresa, tanto ben voluta da tutti.
Il vecchio pensava continuamente all’amico, e sperava davvero
che fosse riuscito a ritrovare un po’ di pace assieme alla sua amata, ma il
fatto che non si era più rivisto l’aveva insospettito. Sperò solo che i due
stessero bene, e che magari si fossero allontananti dalla Romagna, ormai in
subbuglio.
Stefano Pelloni, il Passatore, si mise a fissarlo anch’esso
con i suoi occhi scuri e pieni di vita.
‘’Mario, che hai da guardare? Seguimi’’, sospirò il ragazzo,
ormai diventato un uomo completo sotto tutti gli aspetti. Il ventisettenne era
alto e slanciato, forte il giusto per compiere tutte quelle nefandezze che
amava tanto.
‘’A volte mi ricordi davvero tanto tuo zio. E lui mi manca.
Ma sappi che non avrebbe mai accettato tutto ciò che stai facendo’’, rispose il
vecchio, tornando in sella al suo cavallo.
Nonostante i cinquantasei anni compiuti da pochi giorni,
Mario godeva ancora di buona salute ed era ancora piuttosto atletico e
muscoloso. Sperava ardentemente che la sua salute restasse stabile, poiché
aveva una moglie e tre figli da mantenere, e in più non poteva lasciare da solo
il Passatore, che senza il suo aiuto si sarebbe senz’altro rovinato.
Per fortuna, l’uomo aveva mandato la moglie Lina e i tre
ragazzi a Forlì, dov’erano stati accolti dai parenti e dagli amici paterni, che
li avevano avviati prontamente già da qualche mese a dei lavori onesti. Non
poteva permettere che la sua famiglia restasse invischiata nuovamente nella
caduta dei briganti.
‘’Immagino, vecchio. Ma ora, dimentica il mio amato zio e
seguimi, non te lo voglio ripetere un’altra volta’’, mormorò Stefano,
oscurandosi in volto.
Il giovane lo chiamava vecchio solo quando era innervosito, e
quella volta a quanto pareva si stava spazientendo, sbattendogli in faccia la
sua anzianità quasi come se fosse un impedimento per la banda. Il gruppo dei
briganti era poco più avanti, in direzione di Ravenna, e il vecchio brigante
continuava a sconsigliare quella mossa azzardata.
Mario scrollò la testa, negando nuovamente il suo appoggio.
‘’Non attacchiamo le periferie di Ravenna, te l’ho già detto.
Non temere, gli uomini sono ancora sazi da ieri sera’’, disse Stefano
sorridendo, avvicinando la sua cavalcatura a quella di Mario.
‘’Bene, basta commettere follie. Dove stai dirigendo i
briganti, allora?’’, chiese Mario, cercando ancora di dimostrare la forza di un
tempo.
Stefano non era il capobanda, ma solo perché esso rifiutava
formalmente il titolo. Stava di fatto però che l’immenso gruppo di briganti
faceva solo quello che diceva lui, visto che tutti erano terrorizzati a morte
dal suo atteggiamento a tratti folle. Tutti tranne il vecchio Mario, che voleva
cercare ancora, dopo tanti anni, di rimarginare lo squilibrio mentale di
quell’uomo ancora giovane, in modo da poterlo preservare da disgrazie future.
Nonostante il fatto che il Passatore fosse un soggetto
perfido e a tratti molto scortese nei suoi confronti, restava pur sempre tutto
ciò che gli era rimasto del suo vecchio amico Zvàn. E, sempre nel nome di Zvàn,
avrebbe vigilato su suo nipote, cercando di fargli evitare il disastro
assoluto.
‘’A Russi. Andiamo a Russi’’, rispose Stefano, dopo un
attimo. Il giovane, ben piazzato sul suo cavallo, in quel momento sorrideva,
fregandosene della neve che cadeva dal cielo e dal freddo che tormentava tutti
gli altri esseri umani.
‘’A Russi?! No, no! Dobbiamo tornare nell’entroterra, non
possiamo…’’.
‘’Taci. E ora seguimi, vecchio, e smettila di lamentarti. La
decisione è già stata presa’’, disse bruscamente il Passatore, interrompendo
una volta per tutte l’anziano amico.
Mario non si azzardò a dire altro, e deglutendo, vinto e
sconfitto allo stesso tempo, spronò il suo cavallo a seguire quello del suo
capobanda, mentre costui stava ancora sorridendo, guardando il mondo a testa
ben ritta, quasi come se fosse stato una sorta di condottiero imbattibile.
Il vecchio sapeva che soffermarsi a Russi, un piccolo
paesetto poco distante dalla grande Ravenna e dal fulcro della Gendarmeria era
per davvero una follia, soprattutto con quel brutto tempo, ma ormai ci aveva
preso l’abitudine a quelle pazzie e molto spesso era stato costretto ad
ammettere che Stefano aveva la fortuna dalla sua parte.
Quel giovane stava facendo tanta, tantissima strada assieme
alla sua banda, molta di più di quella che erano riusciti a percorrere i suoi
predecessori, più interessati a nascondersi che a combattere una sorta di
guerra per la ricchezza. Il Passatore era insaziabile e sbruffone, e pareva che
provasse un perverso godimento nel saccheggiare e compiere violenze di vario
genere. Inoltre aveva sempre adorato Russi, dove aveva numerosi amici e
protettori.
‘’Hai fame?’’.
Stefano interruppe i pensieri di Mario, porgendogli un pezzo
di pane.
Mario rifiutò con un cortese cenno della testa, comunque
lusingato dal fatto che il ragazzo, dopo essersi imposto, continuasse comunque
a non volersi distaccare da lui.
A fianco di Stefano, Mario si sentiva ancora utile e vivo, e
non solo un uomo ormai attempato e inutile. Era vero che a volte gli mancavano
Lina e i suoi figli, a causa di quella vita spericolata, ma non poteva farci
nulla. Il brigantaggio ormai era la sua vita.
‘’Non temere, mio vecchio amico. Un giorno ci vendicheremo’’,
tornò a dire il Passatore, masticando rumorosamente e puntando il dito verso
Ravenna.
Mario tossicchiò, prima di replicare.
‘’Ci stiamo già vendicando. Non dovresti commettere simili
abomini, Stefano’’.
‘’I nobili ci hanno soppresso per secoli, i gendarmi
stranieri pure. Ora siamo noi, i fuorilegge figli dei più umili uomini di
questa terra a sopprimere loro, a versare il loro sangue e a violentare le loro
figlie. Questa è solo giustizia, ma ancora sogno il giorno in cui avrò tra le
mani il maledetto Neuer, il bastardo che ha osato far del male a mio zio.
Quando Neuer sarà morto per mano mia, allora forse avrò pace… e la violenza
terminerà’’, ringhiò il Passatore, per poi dare di sprone al cavallo, mentre
gli zoccoli dell’animale arrancavano a fatica nella neve.
Mario non replicò e guardò il cielo cupo sopra la sua testa,
mentre la neve continuava a cadere, soffice ed immacolata, con implacabile
insistenza. Sapeva che la vita era sempre precaria, e che poteva accadere di
tutto. Si trovò a sperare che quell’avventura pazza non avesse mai fine, anche
se provava comunque un certo dispiacere per tutte le vittime innocenti della
furia dei briganti. Però, non poteva immaginare la sua vita all’infuori di una
banda di fuorilegge.
Purtroppo, sapeva per esperienza che tutto ha un suo preciso
culmine, e che oltre ad esso non si può andare; oltre a quel culmine imposto su
ogni uomo e su ogni azione umana, c’è solo il buio di un baratro senza fine.
E se il baratro era vicino, Mario non poteva saperlo. Quindi,
non gli restava altro da fare che continuare a stare a fianco di Stefano,
comunque fosse andata a finire quell’avventura spregiudicata.
Accanto a quel ragazzo temerario avrebbe sempre sentito Zvàn
vicino a sé, e perché no, avrebbe potuto immaginarlo lontano da quella terra
stremata e insanguinata, assieme alla sua amata e gentile Teresa e alla loro
masnada di figlioletti, mentre soggiornavano in un Paese da favola dove
l’inverno e la neve non esistevano e la terra era sempre fertile, tutto l’anno…
NOTA DELL’AUTORE
Fine del racconto.
E’ con grande dispiacere che scrivo quest’ultima nota, quando
la prima l’ho scritta nell’ormai lontano 2014.
Questo è stato il primo racconto ‘’serio’’ che ho scritto.
Sono stato felicissimo di averlo offerto a voi e spero che non vi abbia
annoiato e che vi sia piaciuto un poco.
Sono soddisfatto, devo ammetterlo; sono riuscito ad essere
sempre puntuale con gli aggiornamenti, e non ho mai saltato un lunedì in un
anno e mezzo di aggiornamenti frequenti. In più, sono riuscito a scrivere il
racconto così come l’avevo ideato nel lontano agosto del 2014, quando(forse a
causa dell’eccessivo caldo) ho immaginato questa lunga vicenda, che poi ha
preso vita nel tempo come per magia.
In realtà ci ho messo tanto impegno per scriverla e
prepararla. Avevo in testa un progetto ben preciso, che sono riuscito a
realizzare.
Un progetto che è relativamente corretto; come avrete notato,
nel testo ho intrecciato le vite di personaggi realmente esistiti con molti altri
di mia immaginazione. Il Passatore è realmente esistito e tutto ciò che vi ho
narrato su di lui è vero(sono veri anche i fatti di Forlimpopoli, che vi ho
descritto nel testo). Tranne, naturalmente, il fatto che fosse parente con il
nostro Giovanni, frutto della mia immaginazione.
A quel tempo, pochi scrivevano, e ci sono giunte davvero
scarse informazioni sui briganti romagnoli. Solo un po’ sul Passatore, ma solo
perché esso entrò nella Storia e nel folclore romagnolo. Quindi, a volte mi
piace pensare che il nostro Giovanni sia realmente esistito, ma che i pochi
cronisti dell’epoca non ne abbiano mai parlato. La Romagna a quel tempo
pullulava di briganti e fuorilegge, tutti quanti finiti in fretta nel
dimenticatoio, e non sappiamo neppure se Girolamo(il padre di Stefano) avesse dei
fratelli, e se magari uno di essi si chiamasse proprio Giovanni, e che fosse un
brigante. Ok, ok, freno la mia immaginazione J
Ho ‘’giocato’’ a tratti con il fuoco della Storia, quella
vera, senza però modificarne gli eventi. L’ho sfidato, con la mia Teresa,
spirito forse troppo libero per l’epoca. Spero di non essermi scottato…
Come ultima cosa, ci tenevo a precisare che in realtà la fine
del Passatore è vicina. Già un paio di mesi dopo a ciò che vi ho narrato, verrà
scovato grazie ad una segnalazione proprio nelle vicinanze di Russi da
Apollinare Fantini, un sussidiario della Gendarmeria che riuscì, con un po’ di
fortuna, a ucciderlo durante un breve scontro a fuoco. Il suo cadavere fu
portato in giro per le varie città romagnole come monito, spaventando parecchio
il popolo. Da quel momento in poi, entra in crisi il brigantaggio in Romagna,
che aveva raggiunto il suo culmine proprio con il Passatore, e si quieta, fino
a scomparire definitivamente dopo l’Unità.
Vi ringrazio per aver letto questo lungo racconto e queste
lunghe note, ma ci tenevo ad essere chiaro su tutto. Spero che questo lungo
viaggio sia stato gradito dai lettori. Chiedo scusa per aver diviso in due
parti l’epilogo, ma pubblicarlo tutto assieme e in un'unica pagina mi sembrava
folle, vista la lunghezza. Inoltre, non volevo lasciare nulla al caso… e come
avrete notato, ho curato tutti i personaggi che vi avevo presentato nel corso
del racconto, senza lasciarne indietro neppure uno e cercando di mostrare le
situazioni politiche e sociali di ben due continenti, anche attraverso il punto
di vista(per altro leggermente distorto e di parte), di Neuer.
Qualche tempo fa, mi aveva sfiorato l’idea folle(subito
archiviata… forse), di scrivere un seguito del racconto, dove i protagonisti
sarebbero stati i figli della nostra contessina e del nostro brigante, e che si
sarebbe svolto su due continenti. Ma non sono mai stato capace di gestire bene
un seguito, quindi ho messo da parte quella che forse sarebbe stata una pazzia.
Ringrazio nuovamente ed infinitamente S1mo94, GreenWind,
Rossella0806 e Clairy93 per tutto il supporto che mi hanno offerto. Per me sono
stati come compagni d’avventura, quasi santi protettori del racconto. Grazie
per avermi sostenuto con grande impegno ed attenzione, lasciando puntualmente
recensioni e pareri e dimostrandovi realmente interessati alla storia. Il vostro
interessamento alla vicenda mi ha reso davvero molto fiero di questo racconto,
che senza di voi molto probabilmente non sarebbe stato così completo.
Ringrazio anche Letylove31 e Grace Kelly, che oltre ad avere
lasciato qualche recensione mi sono sempre state vicine, e mi han sempre fatto
sapere in privato quel che pensavano della storia.
Ringrazio Steph808, e altri gentili recensori che di tanto in
tanto mi han lasciato anche solo un parere. Grazie!
Ringrazio tutti i lettori ‘’silenziosi’’, se ce ne sono
stati. Beh, se vorrete lasciare un vostro parere conclusivo al tutto, sarò
felicissimo di ringraziarvi di persona.
Questo è solo un racconto, e come tale va preso. Di certo,
non è perfetto. Ogni consiglio e parere è sempre ben accetto!
Grazie infinite a tutti! Presto spero di poter iniziare a
pubblicare un altro nuovo racconto, sempre in questa sezione del sito.
Grazie di cuore a tutti J a presto J