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Autore: alessandroago_94    21/03/2016    7 recensioni
1837, Romagna. Giovanni è un pericoloso brigante, un fuorilegge che terrorizza tutti i nobili romagnoli. Compie furti, rapine e rapimenti, senza farsi molti scrupoli. Ha formato una sua banda di delinquenti, e pare inarrestabile. Non sa cosa sia la pace, lui combatte per sé stesso e per il bene della sua banda, in una terra martoriata dalla povertà, dalla criminalità e dalle continue insurrezioni del popolo, represse nel sangue.
Quando rapisce Teresa, la figlia di un ricco conte, pensa solo al riscatto che pagherà suo padre. Ma passerà un po’ di tempo prima che il riscatto venga pagato. Nel frattempo Giovanni resta invaghito della giovane e seducente contessina, e lei, dopo un iniziale reticenza, lo ricambia, affascinata dalla figura del forte e misterioso brigante. Il problema è che Teresa deve tornare dalla sua famiglia, e deve andare in sposa ad un giovane nobile romano. In un mondo difficile e pieno di pericoli, due persone così diverse, con destini così differenti, riusciranno ugualmente ad amarsi e ad affrontare il percorso pieno di ostacoli che la vita ha predisposto davanti a loro?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: L'Ottocento
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Epilogo, seconda parte

EPILOGO, seconda parte.

 

 

 

 

 

Nello stesso momento, a Ravenna…

 

 

 

 

 

Anche per quel giorno stava per calare la notte, una notte candida e vivida, a causa della neve che era caduta copiosa negli ultimi giorni, e che continuava a cadere dal cielo con irregolarità anche in quel momento. Erano quasi le sei di sera del ventisei gennaio del 1851 a Ravenna, e nonostante il fatto che il nuovo anno fosse iniziato da poco, era già carico di oscuri presagi.

Neuer guardava dalla finestra di quello che ormai era diventato il suo studio permanente, in quella squallida stanza del palazzo dell’Arcivescovo dove si era insediato la prima volta che gli era stata affidata una missione al nord, ormai più di tredici anni prima. Ormai si era abituato a quella stanza, che peraltro non era assolutamente di suo gusto, e si era dovuto sforzare nel corso degli anni per cercare di farsela sentire più familiare, ma la verità era che non ci era mai riuscito.

Nelle terre pontificie continuava a sentirsi un pesce fuor d’acqua, e nonostante avesse più volte richiesto il rimpatrio, il permesso non gli era mai stato accordato. I problemi continuavano a cadere dal cielo allo stesso modo di quei fiocchi di neve che stavano continuando ad innalzare il manto nevoso che ricopriva la città da giorni ormai, irregolari ma cospicui.

Poche ore prima, un gendarme era giunto fin nel suo studio tutto trafelato, violaceo in faccia per il freddo sofferto e tutto sporco e bagnato, ancora traumatizzato per quello che era accaduto durante la notte precedente a Forlimpopoli, un piccolo e pacifico paese poco più a sud della grande Forlì.

A quanto pareva, l’immenso gruppo di briganti che stava rapidamente devastando e saccheggiando numerosi paesi della Romagna aveva brutalmente occupato l’intero paesino, seviziando e torturando per ore i nobili del luogo, dopo averli colti di sorpresa e radunati all’interno del Teatro Comunale, che quella sera non aveva inscenato alcuno spettacolo, se non quello dei briganti armati che facevano violenza su alcune ragazze.

Neuer si morse un labbro con rabbia, fino a farsi male. Continuava ad ignorare i suoi due uomini, che attendevano i suoi comandi e che se ne stavano seduti poco più indietro, mentre lui non riusciva a smettere di guardare fuori dalla finestra e di rodersi l’anima senza pace.

Nell’ultimo anno e mezzo, si era creato un immenso gruppo di fuorilegge armati fino ai denti, che con una violenza inaudita avevano iniziato a far la voce grossa, fintanto che avevano definitivamente preso il vizio di mettere a ferro e fuoco interi paesi e piccole città, dopo averle militarmente occupate per intere nottate ed aver massacrato tutti gli scarsi gendarmi presenti sul posto. La banda stava rapidamente terrorizzando l’intero popolo, e le voci si rincorrevano ovunque.

Neuer sapeva per certo che molti nobili venivano uccisi, le loro donne venivano brutalmente stuprate e seviziate, mentre i briganti facevano tutto ciò che più gli aggradava, e nessuno poteva far qualcosa per fermare quell’atroce follia. Si trattava di almeno un centinaio di uomini, tutti perfettamente addestrati ed armati, capitanati da un soggetto strano; molti affermavano che si trattasse di un fantasma.

Stefano Pelloni, colui che capitanava l’immenso gruppo armato, era un individuo ben conosciuto alla legge, ma era stato molto bravo ad utilizzare le credenze del popolo. Approfittando della sua parentela con Giovanni Pelloni, il mitico Zvàn sparito chissà dove dopo essere riuscito ad evadere misteriosamente dalla cella di prigionia di quello stesso palazzo, era riuscito ad apparire di fronte al popolino come una reincarnazione dello zio, gridando vendetta contro i nobili e commettendo ogni atroce azione. Addirittura, si diceva che si divertisse perfino a squartare i corpi delle vittime della propria furia omicida per sezionarne minuziosamente le interiora.

Terrorizzato, il popolo acclamava ormai il Passatore in tutte le cittadine romagnole, senza neppure tentare di ostacolare la furia di quel pazzo e dei suoi scagnozzi ed indicando loro le case dei più ricchi, in modo da farli sfogare sui nobili. E la catastrofe incombeva sull’intero territorio, mentre il numero dei paesi barbaramente occupati e devastati saliva di giorno in giorno.

A Neuer era stato richiesto espressamente, solo poche ore prima, di mettere fine a tutto ciò. Il lontano pontefice non poteva tollerare tutto quello che stava accadendo, e voleva che le sue terre fossero subito riappacificate.

A quel punto, l’ufficiale straniero si lasciò sfuggire un sorriso carico di amarezza. Per tanto tempo aveva desiderato che gli fosse tolto ogni potere; non era più riuscito ad apprezzare il suo operato dopo il primo, grandioso fallimento, quando il nipote dell’ormai defunto Gregorio XVI l’aveva ingannato.

Il conte Alfonso Cappellari aveva fatto di tutto per farlo cadere nella sua trappola, e lui c’era caduto dentro senza batter ciglio, rischiando di far esplodere un’ennesima ondata di violenza in tutto il nord dello Stato. Eppure, alla fine tutto ciò non era accaduto, e nessuno si era scomodato da Roma per fargli giungere delle dimissioni o un allontanamento, per via dell’incapacità dimostrata nel saper gestire una questione spinosa come quella del brigantaggio. Il vecchio pontefice si era limitato solo a richiedere le ricerche degli assassini del suo amato nipote, che peraltro non furono mai trovati, e non aveva inviato più rinforzi al nord, concentrandosi in un consolidamento del suo flebile potere a sud degli Appennini.

Neuer disponeva di una quarantina di austriaci ben addestrati, ma decisamente troppo pochi per controllare e presidiare da soli la città di Ravenna, centro nevralgico del potere pontificio nel nord della penisola, e non aveva mai ricevuto rinforzi da sud, e neppure da nord, dove fortunatamente nell’ultimo periodo i suoi compatrioti si stavano imponendo nelle maggiori città pontificie.

Ormai l’impotenza papale era palpabile, e dopo le varie insurrezioni e la prima guerra per l’indipendenza dell’Italia condotta dai piemontesi, alcuni manipoli di soldati austriaci si erano asserragliati all’interno di Ferrara e di Bologna, con la scusa di volerne mantenere al meglio il controllo, quando in realtà amministravano già loro il tutto. Eppure, neppure un soldato era stato mandato in suo soccorso, ed era rimasto ormai solo a difendere quella grande porzione di territorio che si estendeva tra Bologna e la costa. Un territorio immenso, pieno di gente ostile e di briganti pazzi e pericolosi, che lui avrebbe dovuto controllare con una scarsa ottantina di uomini.

Aveva a disposizione anche una quarantina di soldati del luogo, su cui però non poteva far troppo leva per la difesa armata della città, essendo continuamente indisciplinati. Doveva quindi fidarsi solo dei suoi pochi austriaci.

E in quel momento se ne sarebbe privato di ben due.

‘’Signore’’, mormorò uno dei suoi due sottoposti, in attesa di ordini.

Neuer si voltò a guardarlo con rabbia, non sopportando chi interrompeva i suoi pensieri. Era vero che doveva essere trascorsa almeno una mezzoretta da quando aveva iniziato a riflettere, ma ultimamente si prendeva sempre più tempo per sé, e i suoi sottoposti dovevano limitarsi ad attendere pazientemente i suoi comodi.

‘’Dimmi’’, gli ringhiò contro, facendo agitare i due ragazzi sulle loro sedie.

‘’Non andiamo. Rifiutiamo l’incarico’’, mormorò lo sfacciato, abbassando però lo sguardo.

‘’Voi andrete ovunque io vi ordinerò. E che questo sia chiaro. Siete stati affidati sotto il mio comando, e farete tutto ciò che vi ordino. Intesi?’’, replicò Neuer ad alta voce. Ormai si era irrimediabilmente inacidito nei confronti di quei due. Pareva che non si rendessero conto che la piccola, debole e ristretta posizione di comando da ufficiale subalterno che lui occupava non gli andava a genio e non l’aveva mai richiesta, e che l’aver accettato a suo tempo di essere dislocato nella penisola italiana era stato il più grosso sbaglio della sua vita.

Se fosse rimasto nell’immenso Impero Austroungarico, molto probabilmente in quel momento sarebbe stato ancora un fante semplice e non avrebbe avuto tutte quelle responsabilità, che per altro a volte continuava ad affibbiarsi da solo come fosse affetto da una qualche malattia psichica.

Purtroppo, ormai sapeva solo che non voleva più vivere in quella dannata Ravenna, e che voleva tornare a casa, nella sua terra d'origine. Non avrebbe potuto tollerare neppure per un mese in più quella situazione drammatica che lo circondava da tutte le parti.

‘’No… cioè, non andremo. Non lasceremo la città in una simile giornata, in più con gli spettri che colpiscono qua e là’’, tornò alla carica il giovane gendarme che aveva espresso i dubbi comuni. Era più insicuro questa volta, mentre l’altro neppure si azzardava ad alzare lo sguardo da terra o a muovere le labbra, teso come la corda di un arco.

Neuer strabuzzò gli occhi, suo malgrado, e rischiò per un attimo di andare su tutte le furie e perdere definitivamente la ragione. Eppure, pur di non dar di matto di fronte a quei due insubordinati che non valevano un soldo, decise di inspirare due o tre volte, prima di riprendere la parola.

In un'altra situazione, li avrebbe fatti incarcerare o fucilare pubblicamente, ma in quel momento non poteva permettersi di perdere nessun uomo, neppure il più fifone. E i due lo sapevano, e per questo stavano cercando di tentare un rifiuto.

‘’Razza di somari che non siete altro, quante volte devo ripetervi che non esiste alcuno spettro, e che quella banda di pecoroni montanari sono solo fuorilegge fetenti, che voi due da soli potreste cancellare dalla faccia della terra con appena qualche tiro mirato di schioppo? Voi rappresentate l’élite dei gendarmi, siete uomini addestrati fin dalla più tenera età all’utilizzo delle armi. Siete stati forgiati per combattere, conquistare, sopprimere e reprimere. Ma fintanto che continuerete a fuggire e a farvi mettere i piedi in testa da un ragazzino dal volto sfregiato, non potrete mai farvi valere’’, sibilò poi l’ufficiale, accomodandosi meglio sulla sua sedia. In quel momento desiderava ardentemente che in città ci fosse stato qualche suo superiore, in modo da prendersi lui stesso la responsabilità di quei buoni a nulla, ma purtroppo non era così.

Da quando il Passatore aveva iniziato le sue terribili e sanguinarie incursioni, qualcuno che tramava nell’ombra non aveva fatto altro che sfruttare le flebili credenze popolari, per far credere ai civili che Stefano in realtà fosse quello stesso Zvàn che una decina d’anni prima era riuscito ad evadere e a fuggire in un modo misterioso, diventando effettivamente un essere leggendario che non era neppure invecchiato durante tutti quegli anni. Uno spettro sotto tutti i punti di vista.

Chiunque avesse visto Zvàn tempo addietro, mentre veniva trascinato in giro per la Romagna in attesa di giungere a Ravenna dove l’attendeva l’esecuzione pubblica, dopo aver visto in faccia quel demonio del Passatore giurava con sicurezza che i due avevano lo stesso volto, nonostante che il secondo avesse una guancia brutalmente sfregiata e non portasse la barba lunga.

Le varie dicerie, che si erano sparse facilmente anche tra i pochi gendarmi presenti nelle città, e ovviamente anche a Ravenna, avevano reso i soldati molto più fragili e impauriti del previsto, sconcertati anche dai racconti di violenza estrema che provenivano dai paesi militarmente occupati dai fuorilegge armati.

Neuer sapeva per certezza che quel Passatore assomigliava a Zvàn solo per un fatto di parentela, essendo un suo giovane nipote, ma non era facile spiegarlo ai suoi uomini e rendersi credibile, poiché essi tendevano sempre a pensare che lui volesse sdrammatizzare la questione sono per spingerli a continuare a mantenere ben saldo il controllo delle Legazioni Pontificie, lasciandoli quindi in balìa di un qualcosa di sovrannaturale e spietato.

Aveva effettuato più volte delle ricerche di informazioni su Stefano Pelloni, e aveva scoperto che si trattava di un giovane non ancora trentenne e già piuttosto disturbato, fuggito durante un trasferimento ad Ancona, dove avrebbe dovuto scontare ben quattro anni di lavori forzati alla Darsena per aver rubato dei fucili da caccia.

Eppure, quel giovane fuorilegge fuggitivo era riuscito a creare una sua banda di briganti, ed aveva sfruttato ogni particolare a suo favore, ricreandosi un’avvincente storia alle spalle e spargendo il terrore ovunque, sotto molteplici forme, tramutandosi a tutti gli effetti in una creatura soprannaturale agli occhi di chiunque. Ma non agli occhi di un maturo ufficiale austriaco, scaltro ed istruito.

Ad aver dato una mano cospicua al ragazzo in quel folle progetto era stato un certo Mario, quello stesso uomo che, tredici anni prima, era riuscito ad evadere dalla cella di prigionia assieme al suo capobanda dopo aver assassinato brutalmente Aldo, il vecchio bandito delle paludi. A quanto pareva, il fuorilegge era riuscito a tornare dopo qualche mese sui monti, nella stessa zona sperduta dove la banda del suo capo, ormai volatilizzato e introvabile, era stata distrutta, per poi viverci assieme ad una donna e a qualche figliolo fintato che non aveva iniziato ad istruire il pazzo assetato di sangue.

Ora, il vecchio Mario era diventato una buona guida per il Passatore, e si diceva che entrambi si presentassero teatralmente, prima di iniziare a compiere le varie nefandezze.  Stefano il Passatore era solo uno squilibrato che era riuscito a trovare un uomo adulto in grado di istruire e di far convogliare tutta la sua pazzia verso un traguardo inimmaginabile, in quel momento.

‘’Siamo pronti a farci valere, ma non contro delle mostruosità demoniache. Per quanto mi riguarda, mi rifiuto fermamente di abbandonare la città durante questa nottata’’, replicò l’insubordinato, ormai sprezzante. Rifletteva ancora un attimo prima di parlare, ma pareva aver preso maggior sicurezza di sé.

L’altro compagno non disse nulla e annuì, mentre il primo si alzava in piedi.

‘’Mi ricorderò di questo affronto. Pregate affinché alla fine di questa parentesi triste ci sia un altro ufficiale al mio posto, altrimenti le vostre vite avranno fine di fronte ad un plotone d’esecuzione. Potete scordarvi anche ogni avanzamento di grado, per sempre’’, mormorò il maturo ufficiale, lasciando fluire fuori dalle sue labbra quelle parole grevi ma tranquille. Era sfiancato da quella giornata, e non gli andava più di discutere con quegli asini fifoni dei suoi sottoposti, che da parte loro si congedarono, abbandonando la stanza con sfacciataggine.

Solo a quel punto Neuer tornò a mordersi il labbro inferiore, alzandosi poi dalla sua sedia ed iniziando a passeggiare. Quei suoi due gendarmi si sarebbero dovuti recare a Forlì prima dell’indomani mattina per capire come si stava evolvendo la drammatica situazione nei paesi circostanti a quella grande città, ma a quanto pareva nessuno voleva svolgere quel compito pericoloso, con incluso un viaggetto notturno per le buie e selvagge campagne romagnole.

Anche quella missione era andata all’aria, in quel momento. Si vergognava di sé e di non riuscire neppure ad avere il controllo sui suoi uomini.

Con una forte spinta, Neuer chiuse la porta della stanza, lasciata aperta ancora da quei due giovani, gli unici che potevano apparire in grado di compiere un viaggio delicato e che invece si erano ribellati agli ordini di un superiore, firmando di fatto la loro futura fine. Avrebbe voluto sbatterli un po’ in gattabuia, ma in quel momento purtroppo c’era bisogno di ogni soldato, anche il peggiore, poiché non si sapeva in che punto preciso stessero soggiornando i fuorilegge o verso quale paese o città stessero puntando, e non era escluso che si stessero muovendo anche verso Ravenna.

Neuer sorrise a quel pensiero, capendo che ciò era impossibile e che dei briganti non si sarebbero mai azzardati ad attaccare un boccone così grosso, troppo grosso per loro. Certo che dovette anche riconoscere il fatto che un centinaio e forse più di gaglioffi armati avrebbe potuto compiere un cospicuo sacco della città e numerosi danni, se solo quei cafoni l’avessero voluto.

L’ufficiale sapeva che non poteva contare eccessivamente sui suoi uomini, sempre pronti a darsela a gambe, e che quindi il pericolo era davvero da valutare, ma purtroppo non poteva far altro che sperare che quei pazzi e sporchi banditi se ne stessero lontani dalla grande città, limitandosi a colpire in maniera repentina e travolgente i paesi minori e circostanti, dove persino i sacerdoti ormai pareva aprissero le loro porte, assecondando i folli voleri del Passatore ed indicandogli pure le abitazioni signorili o i luoghi in cui si nascondevano i nobili.

Non c’era più limite al peggio, se si voleva sopravvivere.

Ed intanto, l’inverno implacabile continuava a dominare il territorio come una tenaglia, stritolando tutto sotto una morsa di gelo e neve, impedendo ogni possibile riorganizzazione armata dei gendarmi, che purtroppo scarseggiavano ovunque nelle città e preferivano darsi alla fuga che imbracciare il fucile e combattere per lo Stato a cui prestavano servizio.

Non era valsa a nulla neppure la chiamata alle armi per i giovani civili, che invece di ingrossare le fila dell’esercito pontificio preferivano attraversare i deboli confini e correre tra le braccia del re piemontese, il folle che con i suoi progetti suicidi stava richiamando l’attenzione dell’intera penisola, mantenendola in un fermento costante.

Neuer scrollò lievemente la testa, riconoscendo che solo un pazzo avrebbe potuto azzardarsi ad affrontare l’Impero Austroungarico nel suo stesso modo, quando in realtà i suoi possedimenti erano circoscritti ad un lembo dell’Italia del nord e ad un isola.

Più volte si era ritrovato a pensare che l’impero sarebbe stato di certo molto più florido se gli imperatori in passato avessero rivolto i loro sguardi sull’intera penisola italiana, non accontentandosi di tenerla sotto scacco e cercando invece di sottometterla. Ciò avrebbe offerto opportunità indescrivibili, donando all’Austria città piene d’arte, tanti porti e un buon sbocco commerciale al centro del Mediterraneo.

Invece, gli imperatori per secoli avevano da sempre proseguito la marcia verso est, alla conquista di ciò che lasciava indietro l’Impero Ottomano, ormai sull’orlo dello sfacelo, accontentandosi si miseri villaggi montani e di pastori inselvatichiti, molto spesso con culture molto differenti da quelle dei nuovi conquistatori. Così l’Impero Austroungarico si era rivelato un vero gigante d’argilla, e sui Balcani le insurrezioni a volte erano dure e violente, e ciò richiedeva che l’intero esercito fosse sempre pronto ad intervenire per sedarle.

L’ufficiale sbuffò, stanco di pensare e di fantasticare, e decise di uscire un po’ da quella stanza e di andare a supervisionare i suoi uomini, per controllare che fossero tutti fuori a sorvegliare i punti principali della città e che non stessero bighellonando dentro il palazzo o nel circondario, come facevano spesso. Si stavano impigrendo parecchio, anche a causa del freddo gelido che li tormentava ovunque, ma non potevano permettersi di non svolgere il loro servizio e di stare a riposo tutto il giorno.

Proprio quando stava per abbandonare la stanza, appena dopo aver aperto la porta che s’immetteva nell’ampio corridoio che conduceva all’esterno dell’edificio, un ragazzetto quasi gli piombò addosso, tutto rosso in faccia. Era il ragazzo che portava la corrispondenza, e faceva la spola tra Ferrara e Ravenna, consegnando lettere e dispacci importanti.

Il giovane cercò di dire qualcosa, ma i denti gli battevano con forza e pareva sul punto di svenire. Doveva essere giunto da poco al palazzo.

Conoscendolo di vista, lasciò perdere le parole e consegnò una lettera a Neuer, continuando a tremare come una foglia.

‘’Vai a cambiarti d’abito e a richiedere un pasto caldo dalla cuoca, e dille che ti ho mandato io. Ah! Se tutti i miei giovani sottoposti fossero valorosi e temerari come te, sempre pronti a sfidare le intemperie e il clima ostile, da quest’ora li avrei già resi tutti generali. Prima o poi, ragazzo, dovrei farti addestrare. Saresti un bravo gendarme, ne son certo. La stoffa ce l’hai’’, disse il maturo ufficiale, facendo poi l’occhiolino al giovane.

Il ragazzo annuì, colmo di gratitudine, e si diresse subito verso le cucine, strofinandosi costantemente le mani rossastre l’una contro l’altra e lasciando Neuer tutto solo, a fissare la lettera che gli era appena stata consegnata. Scoprì che portava impresso il sigillo della cancelleria imperiale, e che quindi doveva essere giunta direttamente da Vienna.

Colmo di agitazione, l’ufficiale tornò rapidamente a rintanarsi nel suo studio, lasciando però aperta la porta e fiondandosi direttamente verso la sua scrivania, dove non trovò il coraggio di sedersi sulla sedia.

Era da tanto, tantissimo tempo che aspettava quella lettera, dopo tutte quelle che lui stesso aveva scritto e inviato alla volta della capitale dell’impero, per richiedere il suo rimpatrio. Non poteva più sopportare di continuare il suo operato in quell’odiosa e pericolosa penisola, e voleva ritornare assolutamente a casa, e per questo era pure disposto ad essere declassato a fante semplice, pur di non restare un attimo in più a Ravenna, e di perdere quel flebile ed inutile comando che aveva portato sulle sue spalle per un decennio abbondante, ormai.

Quella permanenza in Italia, al servizio papale, sarebbe dovuta cessare dopo soli pochi mesi, ma a suo tempo i piani di Gregorio XVI per lui si erano rivelati più elevati, e per questo, dopo aver preso in mano le redini di un cospicuo manipolo di gendarmi, era giunto nella Romagna, per combattere e riportare l’ordine.

A volte evitava di guardarsi allo specchio; ogni volta che vedeva il suo volto riflesso gli sembrava di star osservando un vecchio. I suoi capelli biondi ormai erano già diventati grigi, e il suo volto era un insieme irregolare di fossette e rughe, segni tangibili di tutte le preoccupazioni che l’avevano tormentato e tenuto sveglio durante gli ultimi anni, rendendolo quasi uno spettro. C’erano giorni in cui non riusciva a mangiare nulla, e notti in cui non riusciva proprio a dormire.

Ultimamente aveva perso molto peso, e l’appetito gli mancava sempre, mentre violente emicranie e un malessere fisico generale lo tenevano spesso sulle spine.

Si era fatto visitare da alcuni tra i più eminenti medici della città, che gli avevano fornito tutti la stessa sentenza, ovvero che soffriva di problemi di cuore e che non doveva affannarsi o agitarsi troppo, per non far aumentare pericolosamente i suoi disturbi.

Ma in quel momento, l’ufficiale sprizzava di gioia e di speranza, mentre apriva la lettera proveniente dalla sua Patria. Il suo sogno più grande era quello di poter rivedere Salisburgo, la sua magnifica città natale, dove tuttora i suoi fratelli vivevano, per poi far rotta verso Vienna e verso i nuovi, piccoli incarichi che gli avrebbero affidato, incarichi di poco conto che non gli avrebbero creato ulteriori preoccupazioni e che non avrebbero dato il colpo di grazia al suo debole cuore, distrutto dalla lunga permanenza nella penisola italiana. Aveva tanta voglia di ricominciare daccapo.

Però, un istante prima di tirar fuori il foglio scritto dalla busta, s’intristì e divenne pensieroso, poiché gli tornò alla mente il volto di una vecchia megera che aveva fatto arrestare tempo addietro dai suoi gendarmi.

Quella vecchia arpia, che turbava spesso i suoi ormai rari periodi di sonno, si voleva spacciare per cartomante e veggente, vendendo a caro prezzo le sue orrende e futili stregonerie ai passanti delle strade di Ravenna, dove costei era giunta in cerca di qualcosa da mangiare durante il rigido inverno dell’ormai lontano 1838.

Neuer ricordava tutto come se ciò fosse accaduto solo un istante prima. I suoi uomini erano corsi ad avvisarlo della presenza di questa pazza sobillatrice, una vera strega, a quel che si diceva, che lanciava maledizioni e spergiuri contro chiunque si opponesse alla sua presenza. Lui era voluto intervenire subito e di persona, poiché quando si trattava di superstizione e di veggenti, il popolo era molto credulone e certe situazioni andavano trattate con i guanti.

La strega, una vecchia di nome Vanna, che a quanto pareva proveniva dai monti interni della Romagna, era già pronta ad attenderlo con sfacciataggine, seduta ai margini della strada che conduceva al porto, sicura di sé e sorridente, dicendogli che sapeva che sarebbe venuto.

Quando Neuer le aveva detto che era in arresto, lei aveva sorriso e l’aveva maledetto, dapprima lanciandogli contro alcune parole irripetibili, per poi sputargli in faccia che l’avrebbe pagata per tutto il male che aveva fatto ad una sua coppia di amici, e che la sua sarebbe stata una punizione amara. Infatti, gli aveva predetto che quando sarebbe tornata a brillare la speranza, sorgendo all’improvviso dopo un lungo ed abbondante decennio di buio assoluto, la sua vita avrebbe avuto fine nel peggiore dei modi.

L’ufficiale, che non aveva idea di cosa e di chi si stesse riferendo la donna, a quel punto aveva sorriso anch’esso, mettendo a tacere la vecchia con un pugno e affidandola ai suoi gendarmi.

Quando Vanna aveva ripreso a gridare insulti e maledizioni, e i suoi uomini avevano iniziato a spaventarsi, Neuer aveva imbracciato il fucile ed aveva ucciso esso stesso la donna, ancora prima di giungere nelle prigioni, trivellandola di colpi senza provare alcuna pietà per quella vecchia, facendone poi nascondere il corpo per tutto il pomeriggio di quel giorno per poi farlo sparire in un canale di scolo durante la notte.

Però, restava il fatto che dopo quel gesto orrendo ed efferato, e dopo il massacro dei briganti montanari e dei banditi delle paludi, la sua vita aveva cambiato corso, diventando sempre più cupa.

Di notte, la sua mente era popolata dai volti della gente povera alla quale aveva tolto la vita, dopo aver ordinato la loro esecuzione, e a volte gli appariva di fronte lo sguardo folle del conte Alfonso e di quella vecchia pazza, Vanna, che lo malediceva e gli ripeteva quella truce previsione della sua vita. E di giorno era tormentato dai fastidi fisici, e una sorta di depressione costante lo lasciava immerso in una cupezza amara e senza appetito per la vita.

L’ufficiale scosse la testa, quasi come a cercare di togliersi dalla mente quei pensieri infingardi che lo stavano rallentando, ed estrasse la lettera dalla busta, aprendola.

Con mani tremanti, aprì bene il foglio scritto, dispiegandolo sotto gli occhi, e iniziò a leggere con voracità quelle frasi scritte in tedesco, saltando rapidamente le frasi di rito e gettandosi a leggere le righe centrali, dove veniva confermato il fatto che le sue richieste continue erano state prese in considerazione, ed in virtù della lunga sosta nello Stato della Chiesa e del lavoro svolto, poteva rientrare in patria, dove avrebbe prestato servizio come ufficiale nell’esercito austroungarico. La carica non era specificata, o forse sì, ma la mente di Neuer si era già messa in viaggio verso la sua Austria.

L’uomo appoggiò la lettera sul tavolo, smettendo di leggere ma ripromettendosi di completare la lettura quando le emozioni avrebbero smesso di offuscargli la mente, e la commozione salì fin sul suo viso, arrossandolo, mentre addirittura alcune lacrime di felicità volevano sgorgare dai suoi occhi.

Appoggiandosi al davanzale della finestra, Neuer si lasciò sfuggire una risatina felice e compiaciuta, di quelle che non gli erano sfuggite mai nell’ultimo mogio decennio, fatto solo di problemi e sotterfugi loschi. Ma ora tutto ciò era già alle sue spalle, e ben presto, già tra poche ore, si sarebbe dimesso da quella carica ed avrebbe preparato le valigie, per poi partire alla volta della sua patria già all’indomani mattina.

Non gli importava il fatto di lasciare incustodito il presidio in città, e non avrebbe atteso l’arrivo del suo sostituto; sarebbe partito subito, fregandosene del freddo, della neve e dei briganti.

Un sorriso apparve sulle sue labbra striminzite dai lunghi anni in cui erano rimaste chiuse, a formare un ghigno dispiaciuto che ormai si era tramutato in un’espressione felice. Gli tornò in mente ciò che gli aveva predetto la vecchia Vanna, prima che lui la uccidesse brutalmente, e rise ancora più forte, facendosi beffe di quell’arcigna stupida che si credeva una veggente. Ora lui era felice, e lo sarebbe stato per sempre, a quanto pareva.

‘’Signore? Tutto a posto?’’, chiese una servetta, affacciandosi sulla porta con un’espressione sorpresa ben impressa sul volto.

Neuer riconobbe che doveva essere stata richiamata dalle sue risate, che da tempo non risuonavano tra quelle mura spoglie e dannate, e quindi represse per un istante la sua felicità per riprendere un po’ di contegno. Non voleva diventare lo zimbello della servitù, e soprattutto non voleva che credessero che fosse diventato definitivamente pazzo.

‘’Livia cara, prepara una buona tisana e portami qualche biscotto. Si deve festeggiare, quando giungono delle rare buone notizie’’, rispose l’ufficiale alla servetta, che subito si affrettò a dirigersi verso le cucine, senza aggiungere altro, obbediente come al solito.

Neuer tornò a riprendere in mano la lettera, ed iniziò a rileggerla dall’inizio e con attenzione, passeggiando per la stanza e cercando di far passare l’euforia iniziale, che invece continuava a tormentarlo. Decise quindi di riporre nuovamente lo scritto e di rileggerlo mentre sorseggiava un qualcosa di caldo e mangiucchiava qualche biscotto secco, visto che in quel momento la gioia era eccessiva e non gli permetteva di concentrarsi nella lettura.

Appoggiò la lettera e riprese a passeggiare per la stanza, con un ampio sorriso ben impresso sul volto. E fu in quel momento di felicità estrema e tanto attesa che tutto si tramutò in un incubo.

Neuer si accorse tutto ad un tratto che qualcosa non andava, e le sue mani corsero prontamente al petto, dove si strinsero in una morsa letale sul cuore.

Un mugugno di dolore fuoriuscì involontariamente dalle sue labbra, mentre cercava di calmarsi e di riprendersi. Altre volte aveva sofferto di palpitazioni intense, e le sensazioni forti provate poco prima dovevano avergli causato qualche problema, però mai aveva sopportato un dolore simile, lancinante, che gli squarciava tutto il petto.

A quel punto, si mosse a stenti verso la scrivania e gli si appoggiò, cercando sollievo, ma il dolore aumentò.

L’ufficiale cercò di gridare e di invocare aiuto, mortalmente spaventato, ma scoprì che non ci riusciva. Gli mancava l’aria e la forza.

Sentiva che il suo volto era ridotto ad una smorfia di dolore, e un rivoletto di bava sanguigna gli fuoriuscì involontariamente dalle labbra, che si dischiusero senza emettere alcun suono. E a quel punto si accorse che il suo cuore batteva solo a tratti, fin a giungere a momenti in cui non batteva più.

Le forze gli vennero a mancare improvvisamente, e in un attimo scivolò al suolo, accartocciandosi sul pavimento come un fantoccio, mentre su di lui cadevano alcuni fogli di carta, tra cui la stessa lettera che gli era stata consegnata poco prima e che aveva un’importanza vitale.

Tutto era accaduto in così poco tempo che l’uomo non era riuscito a capacitarsi prontamente di ciò che gli stava succedendo, e nonostante tutto continuava la sua lotta per riprendere padronanza del suo corpo, e per un attimo riuscì a stringere tra le sue mani la lettera, quello scritto che gli assicurava che la sua permanenza in quel luogo sgradito era finalmente conclusa e che poteva tornare a casa.

La lettera gli rimase come per magia tra le dita, mentre l’ufficiale batteva la testa contro il gelido pavimento.

Tutto divenne rosso per un istante, e i caratteri scritti della lettera stessa finirono macchiati dal sangue che fuoriusciva dal naso di Neuer, rottosi con la botta ricevuta nella caduta verso il pavimento, e l’uomo fu sconvolto da una fitta lancinante, mentre le sue mani lasciavano scivolar via il foglio ormai irrimediabilmente macchiato e rovinato.

Solo in quel momento l’ufficiale comprese che per lui non c’era più via di scampo e che sarebbe morto.

Un rantolo, l’ultimo della sua vita, fuoriuscì dalle sue labbra dischiuse, mentre con un ultimo movimento involontario il suo corpo si adagiava in una posizione supina e non voluta.

In quel momento, con la coda dell’occhio l’uomo vide che Livia era appena rientrata nella stanza, e che lo stava osservando. Non lo guardava più con paura e timore, come aveva fatto fino a qualche minuto prima, ma lo stava fissando con indicibile disgusto. Poi, la donna lanciò un grido orrendo e lasciò cadere a terra la tazzina e i biscotti che aveva appena portato, uscendo nel corridoio ed iniziando ad invocare aiuto.

Neuer a quel punto sapeva che era troppo tardi, e che il suo cuore già non batteva ormai più. Non aveva più sensibilità sul suo corpo, e il suo volto violaceo si era rilassato un poco dallo spasimo finale.

La sua vista si adombrò in un attimo, e non fu più in grado di vedere o di udire nulla, mentre davanti ai suoi occhi, nel buio eterno dell’ultimo rimasuglio della sua coscienza, appariva il volto squallido di Vanna, quella maledetta vecchia, che lo sbeffeggiava. Alla fine, aveva vinto lei, quell’odiosa strega.

Con l’ultimo barlume di lucidità, Neuer comprese che non avrebbe mai più rivisto la sua casa natale, la sua Patria, ma che era praticamente già morto. Eppure, non se la prese; non poteva più provare emozioni, e la calma e la pace regnavano ovunque nel buio del vuoto eterno in cui stava rapidamente scivolando.

E, dopo un solo istante ancora, tutto si spense e divenne ancora più oscuro, non lasciando più spazio alla vita e al rimorso.

 

 

 

Nello stesso istante, nelle campagne attorno a Ravenna…

 

 

 

Il vecchio Mario stava fissando il suo caro Stefano, il ragazzo a cui aveva affidato la sua vita.

Il Passatore, che tutti definivano un pazzo sanguinario, in realtà sapeva anche essere gentile e leale, e i suoi occhi, quando non ardevano in preda ad una follia sconosciuta a tutti, sapevano esprimere anche dolcezza e preoccupazione per i suoi uomini.

Nonostante il fatto che il suo volto fosse lievemente sfigurato, restava la più completa reincarnazione del suo amatissimo Zvàn, quel grande amico e capobanda di cui aveva perso le tracce all’incirca tredici anni prima, quando i loro destini si erano divisi nelle periferie ravennati, poco distante dal punto in cui stavano sostando in quel preciso istante. Da quel lontano momento in poi, non aveva avuto più notizie del suo amico e capo, e neppure della contessina Teresa, tanto ben voluta da tutti.

Il vecchio pensava continuamente all’amico, e sperava davvero che fosse riuscito a ritrovare un po’ di pace assieme alla sua amata, ma il fatto che non si era più rivisto l’aveva insospettito. Sperò solo che i due stessero bene, e che magari si fossero allontananti dalla Romagna, ormai in subbuglio.

Stefano Pelloni, il Passatore, si mise a fissarlo anch’esso con i suoi occhi scuri e pieni di vita.

‘’Mario, che hai da guardare? Seguimi’’, sospirò il ragazzo, ormai diventato un uomo completo sotto tutti gli aspetti. Il ventisettenne era alto e slanciato, forte il giusto per compiere tutte quelle nefandezze che amava tanto.

‘’A volte mi ricordi davvero tanto tuo zio. E lui mi manca. Ma sappi che non avrebbe mai accettato tutto ciò che stai facendo’’, rispose il vecchio, tornando in sella al suo cavallo.

Nonostante i cinquantasei anni compiuti da pochi giorni, Mario godeva ancora di buona salute ed era ancora piuttosto atletico e muscoloso. Sperava ardentemente che la sua salute restasse stabile, poiché aveva una moglie e tre figli da mantenere, e in più non poteva lasciare da solo il Passatore, che senza il suo aiuto si sarebbe senz’altro rovinato.

Per fortuna, l’uomo aveva mandato la moglie Lina e i tre ragazzi a Forlì, dov’erano stati accolti dai parenti e dagli amici paterni, che li avevano avviati prontamente già da qualche mese a dei lavori onesti. Non poteva permettere che la sua famiglia restasse invischiata nuovamente nella caduta dei briganti.

‘’Immagino, vecchio. Ma ora, dimentica il mio amato zio e seguimi, non te lo voglio ripetere un’altra volta’’, mormorò Stefano, oscurandosi in volto.

Il giovane lo chiamava vecchio solo quando era innervosito, e quella volta a quanto pareva si stava spazientendo, sbattendogli in faccia la sua anzianità quasi come se fosse un impedimento per la banda. Il gruppo dei briganti era poco più avanti, in direzione di Ravenna, e il vecchio brigante continuava a sconsigliare quella mossa azzardata.

Mario scrollò la testa, negando nuovamente il suo appoggio.

‘’Non attacchiamo le periferie di Ravenna, te l’ho già detto. Non temere, gli uomini sono ancora sazi da ieri sera’’, disse Stefano sorridendo, avvicinando la sua cavalcatura a quella di Mario.

‘’Bene, basta commettere follie. Dove stai dirigendo i briganti, allora?’’, chiese Mario, cercando ancora di dimostrare la forza di un tempo.

Stefano non era il capobanda, ma solo perché esso rifiutava formalmente il titolo. Stava di fatto però che l’immenso gruppo di briganti faceva solo quello che diceva lui, visto che tutti erano terrorizzati a morte dal suo atteggiamento a tratti folle. Tutti tranne il vecchio Mario, che voleva cercare ancora, dopo tanti anni, di rimarginare lo squilibrio mentale di quell’uomo ancora giovane, in modo da poterlo preservare da disgrazie future.

Nonostante il fatto che il Passatore fosse un soggetto perfido e a tratti molto scortese nei suoi confronti, restava pur sempre tutto ciò che gli era rimasto del suo vecchio amico Zvàn. E, sempre nel nome di Zvàn, avrebbe vigilato su suo nipote, cercando di fargli evitare il disastro assoluto.

‘’A Russi. Andiamo a Russi’’, rispose Stefano, dopo un attimo. Il giovane, ben piazzato sul suo cavallo, in quel momento sorrideva, fregandosene della neve che cadeva dal cielo e dal freddo che tormentava tutti gli altri esseri umani.

‘’A Russi?! No, no! Dobbiamo tornare nell’entroterra, non possiamo…’’.

‘’Taci. E ora seguimi, vecchio, e smettila di lamentarti. La decisione è già stata presa’’, disse bruscamente il Passatore, interrompendo una volta per tutte l’anziano amico.

Mario non si azzardò a dire altro, e deglutendo, vinto e sconfitto allo stesso tempo, spronò il suo cavallo a seguire quello del suo capobanda, mentre costui stava ancora sorridendo, guardando il mondo a testa ben ritta, quasi come se fosse stato una sorta di condottiero imbattibile.

Il vecchio sapeva che soffermarsi a Russi, un piccolo paesetto poco distante dalla grande Ravenna e dal fulcro della Gendarmeria era per davvero una follia, soprattutto con quel brutto tempo, ma ormai ci aveva preso l’abitudine a quelle pazzie e molto spesso era stato costretto ad ammettere che Stefano aveva la fortuna dalla sua parte.

Quel giovane stava facendo tanta, tantissima strada assieme alla sua banda, molta di più di quella che erano riusciti a percorrere i suoi predecessori, più interessati a nascondersi che a combattere una sorta di guerra per la ricchezza. Il Passatore era insaziabile e sbruffone, e pareva che provasse un perverso godimento nel saccheggiare e compiere violenze di vario genere. Inoltre aveva sempre adorato Russi, dove aveva numerosi amici e protettori.

‘’Hai fame?’’.

Stefano interruppe i pensieri di Mario, porgendogli un pezzo di pane.

Mario rifiutò con un cortese cenno della testa, comunque lusingato dal fatto che il ragazzo, dopo essersi imposto, continuasse comunque a non volersi distaccare da lui.

A fianco di Stefano, Mario si sentiva ancora utile e vivo, e non solo un uomo ormai attempato e inutile. Era vero che a volte gli mancavano Lina e i suoi figli, a causa di quella vita spericolata, ma non poteva farci nulla. Il brigantaggio ormai era la sua vita.

‘’Non temere, mio vecchio amico. Un giorno ci vendicheremo’’, tornò a dire il Passatore, masticando rumorosamente e puntando il dito verso Ravenna.

Mario tossicchiò, prima di replicare.

‘’Ci stiamo già vendicando. Non dovresti commettere simili abomini, Stefano’’.

‘’I nobili ci hanno soppresso per secoli, i gendarmi stranieri pure. Ora siamo noi, i fuorilegge figli dei più umili uomini di questa terra a sopprimere loro, a versare il loro sangue e a violentare le loro figlie. Questa è solo giustizia, ma ancora sogno il giorno in cui avrò tra le mani il maledetto Neuer, il bastardo che ha osato far del male a mio zio. Quando Neuer sarà morto per mano mia, allora forse avrò pace… e la violenza terminerà’’, ringhiò il Passatore, per poi dare di sprone al cavallo, mentre gli zoccoli dell’animale arrancavano a fatica nella neve.

Mario non replicò e guardò il cielo cupo sopra la sua testa, mentre la neve continuava a cadere, soffice ed immacolata, con implacabile insistenza. Sapeva che la vita era sempre precaria, e che poteva accadere di tutto. Si trovò a sperare che quell’avventura pazza non avesse mai fine, anche se provava comunque un certo dispiacere per tutte le vittime innocenti della furia dei briganti. Però, non poteva immaginare la sua vita all’infuori di una banda di fuorilegge.

Purtroppo, sapeva per esperienza che tutto ha un suo preciso culmine, e che oltre ad esso non si può andare; oltre a quel culmine imposto su ogni uomo e su ogni azione umana, c’è solo il buio di un baratro senza fine.

E se il baratro era vicino, Mario non poteva saperlo. Quindi, non gli restava altro da fare che continuare a stare a fianco di Stefano, comunque fosse andata a finire quell’avventura spregiudicata.

Accanto a quel ragazzo temerario avrebbe sempre sentito Zvàn vicino a sé, e perché no, avrebbe potuto immaginarlo lontano da quella terra stremata e insanguinata, assieme alla sua amata e gentile Teresa e alla loro masnada di figlioletti, mentre soggiornavano in un Paese da favola dove l’inverno e la neve non esistevano e la terra era sempre fertile, tutto l’anno…

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Fine del racconto.

E’ con grande dispiacere che scrivo quest’ultima nota, quando la prima l’ho scritta nell’ormai lontano 2014.

Questo è stato il primo racconto ‘’serio’’ che ho scritto. Sono stato felicissimo di averlo offerto a voi e spero che non vi abbia annoiato e che vi sia piaciuto un poco.

Sono soddisfatto, devo ammetterlo; sono riuscito ad essere sempre puntuale con gli aggiornamenti, e non ho mai saltato un lunedì in un anno e mezzo di aggiornamenti frequenti. In più, sono riuscito a scrivere il racconto così come l’avevo ideato nel lontano agosto del 2014, quando(forse a causa dell’eccessivo caldo) ho immaginato questa lunga vicenda, che poi ha preso vita nel tempo come per magia.

In realtà ci ho messo tanto impegno per scriverla e prepararla. Avevo in testa un progetto ben preciso, che sono riuscito a realizzare.

Un progetto che è relativamente corretto; come avrete notato, nel testo ho intrecciato le vite di personaggi realmente esistiti con molti altri di mia immaginazione. Il Passatore è realmente esistito e tutto ciò che vi ho narrato su di lui è vero(sono veri anche i fatti di Forlimpopoli, che vi ho descritto nel testo). Tranne, naturalmente, il fatto che fosse parente con il nostro Giovanni, frutto della mia immaginazione.

A quel tempo, pochi scrivevano, e ci sono giunte davvero scarse informazioni sui briganti romagnoli. Solo un po’ sul Passatore, ma solo perché esso entrò nella Storia e nel folclore romagnolo. Quindi, a volte mi piace pensare che il nostro Giovanni sia realmente esistito, ma che i pochi cronisti dell’epoca non ne abbiano mai parlato. La Romagna a quel tempo pullulava di briganti e fuorilegge, tutti quanti finiti in fretta nel dimenticatoio, e non sappiamo neppure se Girolamo(il padre di Stefano) avesse dei fratelli, e se magari uno di essi si chiamasse proprio Giovanni, e che fosse un brigante. Ok, ok, freno la mia immaginazione J

Ho ‘’giocato’’ a tratti con il fuoco della Storia, quella vera, senza però modificarne gli eventi. L’ho sfidato, con la mia Teresa, spirito forse troppo libero per l’epoca. Spero di non essermi scottato…

Come ultima cosa, ci tenevo a precisare che in realtà la fine del Passatore è vicina. Già un paio di mesi dopo a ciò che vi ho narrato, verrà scovato grazie ad una segnalazione proprio nelle vicinanze di Russi da Apollinare Fantini, un sussidiario della Gendarmeria che riuscì, con un po’ di fortuna, a ucciderlo durante un breve scontro a fuoco. Il suo cadavere fu portato in giro per le varie città romagnole come monito, spaventando parecchio il popolo. Da quel momento in poi, entra in crisi il brigantaggio in Romagna, che aveva raggiunto il suo culmine proprio con il Passatore, e si quieta, fino a scomparire definitivamente dopo l’Unità.

Vi ringrazio per aver letto questo lungo racconto e queste lunghe note, ma ci tenevo ad essere chiaro su tutto. Spero che questo lungo viaggio sia stato gradito dai lettori. Chiedo scusa per aver diviso in due parti l’epilogo, ma pubblicarlo tutto assieme e in un'unica pagina mi sembrava folle, vista la lunghezza. Inoltre, non volevo lasciare nulla al caso… e come avrete notato, ho curato tutti i personaggi che vi avevo presentato nel corso del racconto, senza lasciarne indietro neppure uno e cercando di mostrare le situazioni politiche e sociali di ben due continenti, anche attraverso il punto di vista(per altro leggermente distorto e di parte), di Neuer.

Qualche tempo fa, mi aveva sfiorato l’idea folle(subito archiviata… forse), di scrivere un seguito del racconto, dove i protagonisti sarebbero stati i figli della nostra contessina e del nostro brigante, e che si sarebbe svolto su due continenti. Ma non sono mai stato capace di gestire bene un seguito, quindi ho messo da parte quella che forse sarebbe stata una pazzia.

Ringrazio nuovamente ed infinitamente S1mo94, GreenWind, Rossella0806 e Clairy93 per tutto il supporto che mi hanno offerto. Per me sono stati come compagni d’avventura, quasi santi protettori del racconto. Grazie per avermi sostenuto con grande impegno ed attenzione, lasciando puntualmente recensioni e pareri e dimostrandovi realmente interessati alla storia. Il vostro interessamento alla vicenda mi ha reso davvero molto fiero di questo racconto, che senza di voi molto probabilmente non sarebbe stato così completo.

Ringrazio anche Letylove31 e Grace Kelly, che oltre ad avere lasciato qualche recensione mi sono sempre state vicine, e mi han sempre fatto sapere in privato quel che pensavano della storia.

Ringrazio Steph808, e altri gentili recensori che di tanto in tanto mi han lasciato anche solo un parere. Grazie!

Ringrazio tutti i lettori ‘’silenziosi’’, se ce ne sono stati. Beh, se vorrete lasciare un vostro parere conclusivo al tutto, sarò felicissimo di ringraziarvi di persona.

Questo è solo un racconto, e come tale va preso. Di certo, non è perfetto. Ogni consiglio e parere è sempre ben accetto!

Grazie infinite a tutti! Presto spero di poter iniziare a pubblicare un altro nuovo racconto, sempre in questa sezione del sito.

Grazie di cuore a tutti J a presto J

 

   
 
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