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Autore: Amatus    21/03/2016    4 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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Lasciare il Branco
 

All stories are about wolves. All worth repeating, that is. Anything else is sentimental drivel. …Think about it.
There's escaping from the wolves, fighting the wolves, capturing the wolves, taming the wolves.
Being thrown to the wolves, or throwing others to the wolves so the wolves will eat them instead of you. Running with the wolf pack. Turning into a wolf.
Best of all, turning into the head wolf. No other decent stories exist.  

Margaret Atwood, The Blind Assassin.

 

 

I

Le voci del campo si perdevano ormai lontane. L’unico rumore che la accompagnava era quello dei suoi passi, pesanti ma rapidi che affondavano nel fango.
I cespugli le si impigliavano nei vestiti e la graffiavano, il sudore a contatto con l'aria fredda e umida della serata le gelava la pelle. Ma niente contava ora. Era libera e niente al mondo l’avrebbe convinta a tornare indietro.
La giornata era stata fredda e piovosa e la notte si preannunciava peggiore. Lena rimpianse in quel momento il suo mantello nuovo, che era rimasto dimenticato, nel suo aravel. Se fosse tornata indietro per recuperarlo qualcuno sicuramente l’avrebbe notata, e avrebbe fatto domande. Lena non era brava a mentire, avrebbe senza dubbio destato sospetti.
C’era della poesia però nel pensare a quel bel mantello foderato di pelliccia di fennec all’asciutto e al caldo nel baule, era un po’ come un custode grigio negli anni successivi ad un flagello: dimenticato presto, inutile, ai margini della storia. Era quello il destino a cui Lena aspirava, e sorrise a quel pensiero. Ma subito la rabbia, come un lampo le illuminò i pensieri. Imprecò realizzando che Tallis probabilmente se ne sarebbe appropriato, come di tutto il resto, d'altronde. Prese a camminare più velocemente a correre quasi, la rabbia la spingeva e mascherava la fatica. Ogni passo che la allontanava dal campo le dava la sensazione di poter allontanare anche tutta la rabbia, il dolore e i soprusi della sua giovinezza.
La notte aveva coperto le sue tracce finora ma presto sarebbe arrivata l’alba e le forze iniziavano ad abbandonarla. Ora che l’eccitazione per la fuga svaniva e la rabbia scemava, la fatica iniziava farsi sentire prepotente. 
Scelse un albero su cui arrampicarsi non sembrasse troppo difficile con le poche forze a sua disposizione, e come giaciglio individuò un ramo robusto e stabile. Si addormentò all'istante e sognò, cosa che non le accadeva da tempo immemorabile.
Nel sogno si aggirava in una città che non aveva mai visto, in tutta onestà Lena non aveva mai visitato una vera città. Aveva visto da lontano qualche villaggio al limitare delle foreste, ma non aveva mai camminato tra le vie e le case degli shem'len. 

Eppure il sogno le sembrò del tutto credibile. Lei camminava con passo fiero e sicuro per una via angusta, fiancheggiata da palazzi imponenti le cui facciate di pietra e legno erano finemente intagliate e intarsiate di ematite e vetriolo blu.
Sentiva chiaramente che era la strada a guidarla, non aveva facoltà di scelta nel percorso, ma questo non la faceva sentire in trappola o impedita, non sapeva dove stava andando ma camminava sicura. Una presenza alle sue spalle la osservava, una bestia, un segugio o forse un orso. Non poteva vederne lo sguardo ma lo sentiva feroce e questo per qualche motivo la faceva sentire al sicuro anziché spaventarla. La strada terminava bruscamente con una maestosa porta di pietra, gli intagli su questa formavano una figura incerta, forse un uomo, forse un animale rampante, ad un tratto esattamente al centro dell'unico occhio visibile apparve una luce intensa e spettrale. La porta si stava aprendo e la bestia alle sue spalle si preparava ad attaccare, ma chi? 
“Fen'len! Fen’len! Che ci fai lì? Vieni giù!”
Una voce la trascinò fuori dal sogno e per un attimo la paura rischiò di farle perdere l’equilibrio. Nella confusione tra il sonno e la veglia infatti, si era manifestato improvviso il timore che la fuga facesse parte del sogno e che, aprendo gli occhi, avrebbe riconosciuto le assi del vecchio aravel trovandosi di nuovo in trappola. 
Con un riflesso fulmineo riuscì ad aggrapparsi al ramo e a riposizionarsi saldamente cavalcioni su di esso. Ritrovata la stabilità, poté permettersi di guardarsi intorno e capire a chi appartenesse quella voce. 
Guardando in basso, riconobbe Valais che la osservava con una smorfia divertita. 
“Che ci fai qui? Questo posto è fin troppo lontano, anche per te! Scendi, Galenon vorrà parlarti “
Conosceva Valais, era inutile discutere con lui, era uno sciocco presuntuoso, sarebbe stato meglio seguirlo e parlare con Galenon, anche se la cosa la spaventava un po'.
Si ricordava dell'ultima volta che aveva discusso con Valais, dovevano essere passati all’incirca 10 anni. Quello sciocco per ingraziarsi la nuova guardiana avrebbe fatto di tutto e quella volta Lena lo aveva sentito raccontare menzogne riguardo Ar’Galen, il vecchio guardiano che a quel tempo era morto da poco. La discussione, a mala pena iniziata, era finita con loro due che si picchiavano nella polvere. Qualche giorno dopo Valais, che non aveva apprezzato un occhio nero fin troppo visibile, aveva fatto in modo di incontrarla lontana dal campo con alcuni suoi amici. Il punto di forza di Lena era la velocità, chi si era allenato o battuto con lei, sapeva bene di non poter sconfiggere ciò che non riusciva a colpire. Inoltre, testarda come pochi, non si arrendeva facilmente allo sfinimento prendendo il suo rivale per stanchezza quando non riusciva a superarlo in agilità.
Quel pomeriggio in quattro la attendevano in una radura lontana dal campo e ciascuno di loro sapeva cosa aspettarsi. Riuscirono a bloccarla e Valais poté avere così la sua rivincita, la rivincita di un vigliacco. Da quel giorno Lena non aveva più rivolto la parola a nessuno di loro, cosa nient’affatto semplice, in un clan ridotto all’osso in cui si contano poco più di una ventina di giovani e non più 60 persone in tutto.
Da quel giorno soprattutto, aveva iniziato a portare sempre con sé le sue zanne. 
“Allora Figlia del Lupo ti sei persa? “ Lena lo guardò di traverso senza aprire bocca. 
“Non importa, se non parlerai con me lo farai con Galenon. Ti consiglio di non farlo innervosire, mancano solo pochi giorni al consiglio e dobbiamo affrettarci. Non abbiamo tempo da perdere con gente come te.”
Il piccolo accampamento era ormai smontato, le tende erano ripiegate e Galenon stesso si stava occupando di disperdere i resti del bivacco. 
“Da’len che ci fai così lontana dal campo?” Chiese l'anziano ma Lena non rispose e tenne lo sguardo basso. 
“Quando ieri abbiamo lasciato il campo tu eri lì, devi aver camminato tutta la notte! I tuoi vagabondaggi ti hanno portato in un posto pericoloso, siamo vicini ai villaggi degli shem'len lo sai?”  Lena annuì senza cambiare la sua posa.

Menia, si arrabbiava sempre così tanto per quel suo atteggiamento.
“Non sei più una bambina e ci tieni ad essere trattata di conseguenza, quindi smetti di comportarti come se lo fossi ancora!” Le ripeteva di continuo e ovviamente aveva ragione. Come sempre. Una stretta al cuore le fece quasi mancare il respiro, non doveva pensare a lei, non ancora, era ancora troppo vicina e la ferita era troppo recente.

Le parole dell'anziano la strapparono alla fitta di dolore: “Cosa devo fare con te da'len? Non ho soldati o esploratori a cui affidarti, dovrai tornare indietro da sola.”
“Non tornerò! Ho lasciato il campo di mia volontà e non tornerò indietro.”
Quella che sarebbe dovuta suonare come fermezza, risuonava alle orecchie stesse di Lena come il capriccio di un bambino troppo testardo.
“Che sciocchezze bambina, non sai che il mondo è in subbuglio? Maghi e templari si danno battaglia nei villaggi e nei boschi, i signori degli uomini hanno abbandonato ogni pudore e ormai si combattono a viso aperto. Ogni strada è un campo di battaglia, neanche questi boschi sono ormai sicuri. Non è il momento migliore per uno dei tuoi colpi di testa.” 
Cercare di rispondere con fermezza non aveva prodotto i frutti sperati, Lena quindi optò di nuovo per un silenzio scontroso, sperando che l'urgenza della missione l’avrebbe presto liberata da quell'interrogatorio. Pazienza, Menia avrebbe avuto qualcosa in più da rimproverarle. 
“Da’len” disse invece Galenon, “Non posso lasciar vagare da sola una come te in un posto così pericoloso, finiresti senza dubbio per cacciarti nei guai”. 
“Oh! La Figlia del Lupo sa senz'altro difendersi da sé, ha le sue zanne e i suoi artigli.” La voce di un esploratore raggiunse forse per sbaglio le loro orecchie, mentre gli altri ridacchiavano sotto i baffi dandosi di gomito.

-Come essere ancora nell’aravel dei bambini. Finchè rimarrò con loro non cambierà mai niente-, pensò Lena.
Galenon lanciò all’esploratore uno sguardo gelido e disse: “Lena verrà con noi.”
“Non può! La nostra è una missione di vitale importanza, finirà per mettersi nei guai o ci farà scoprire, e in ogni caso attirerà su di noi la cattiva sorte.” Ora era il turno di Valais di comportarsi in modo infantile. A Lena ricordava quei bambini costretti da un adulto a condividere il giocattolo preferito e questo la divertiva non poco.
“Così ho deciso. Due lame in più ci faranno comodo, i sentieri sono pericolosi in questi tempi. Vuoi forse discutere con me, da’len?”
Galenon la stava difendendo, era una sensazione nuova per Lena, Nessuno aveva più preso le sue difese da quando il vecchio Ar’Galen era morto. Forse per questo motivo non seppe reagire alla proposta, pensò semplicemente che sarebbe potuta fuggire in qualunque momento e che in fondo la carovana aveva la sua stessa destinazione. 
Il suo piano era semplice quanto vago: avrebbe raggiunto il conclave, avrebbe cercato i custodi grigi, si sarebbe arruolata e avrebbe servito uno scopo fino alla fine dei suoi giorni. Quando aveva lasciato il campo si era ripromessa di seguire le tracce della piccola delegazione fin nei pressi del tempio degli shem'len, ovviamente lei non conosceva la strada. Evidentemente però la notte precedente si era avvicinata troppo ed era stata scoperta.
A pensarci bene era piacevole poter passare le notti umide che la separavano dalla meta, vicino ad un bivacco piuttosto che al freddo su un albero, e magari se avesse avuto fortuna avrebbe trascorso qualche ora in una tenda. Poi il suo sguardo si posò su Valais, il viaggio non sarebbe stato poi così semplice. 
Il manipolo si mise in movimento, Galenon apriva la strada seguito da Valais ancora immusonito per la decisione dell'anziano, lei seguiva Valais senza sollevare lo sguardo da terra, dietro di lei una cacciatrice copriva le tracce del gruppo, l’altro esploratore era invece da qualche parte a fare da vedetta per il gruppo.  L'aria era pesante, nessuno parlava, ciascuno perso dietro i propri dissapori. 
La missione di quella delegazione era effettivamente molto delicata. Da mesi le comunicazioni tra Clan si erano fatte più frequenti, Lena si era spesso chiesta il perché di così tanti messaggeri e all’improvviso era stato annunciato quel viaggio. La guardiana aveva messo al corrente il clan di quanto stava accadendo: la Chiesa aveva perso il potere che per anni aveva sopito le tensioni fra maghi e templari, arrivavano notizie di città distrutte dalla magia e di circoli interi annientati da templari corrotti. La Divina, nel tentativo di riportare un poco di ordine in quel mondo consumato dal caos, aveva indetto un sacro concilio invitando templari e maghi a deporre le armi e a sedersi attorno ad un tavolo. A quel punto i vari clan dalish che si erano a lungo interrogati su quale potesse essere il proprio ruolo, avevano deciso di inviare ciascuno una piccola delegazione nei pressi del tempio in cui si sarebbe tenuto il conclave, cercando di ottenere quante più informazioni possibile. I dalish erano abituati da tempo immemore ad osservare con timore i grandi eventi che sconvolgevano il mondo degli uomini, come  halla che mantengono sempre un occhio vigile ed un orecchio teso a percepire i movimenti dei lupi, così i dalish sanno di doversi aspettare il peggio dai mutamenti dei comportamenti degli uomini e di dover essere sempre pronti.

Il conclave si sarebbe tenuto in un villaggio chiamato Haven, tra le Montagne Gelide, l'incontro dei clan dalish si sarebbe tenuto nei pressi e probabilmente qualcuno sarebbe stato mandato a spiare gli umani.
Lena sapeva che i custodi grigi sarebbero stati presenti, quella era un’occasione imperdibile.
Il viaggio durò ancora un paio di giorni, giorni di lunghi silenzi per Lena. Era abituata ad essere guardata con circospezione e disprezzo ma essere costretta a passare così tanto tempo con così poche persone era difficile anche per lei. Aveva sempre detto a se stessa di non aver bisogno di nessuno, ma questo poteva dirlo con maggior convinzione quando Menia e Tallis nonostante tutto erano con lei. Avrebbe scambiato il calore di quel fuoco per una carezza, un sorriso o anche solo uno sguardo di Menia. E nonostante Tallis sapesse essere davvero irritante a volte, nessuno la faceva divertire come lui, nessuno la infiammava come lui sapeva fare, nessuno sapeva farle riconoscere la sua stessa forza meglio di Tallis. Lena quella sera dopo tre lunghi ed estenuanti giorni di marcia, avrebbe solo voluto il tepore di una voce amica. Ma anche Menia e Tallis infine l’avevano tradita, era di nuovo sola, come quando Ar’Galen era morto e l’unico conforto in cui poteva sperare era il sonno.
Galenon si sedette accanto a lei, mentre tutti gli altri come al solito erano seduti dall’altra parte del fuoco.
“Da’len, siamo quasi arrivati, domani saremo nei pressi Haven.” Lena annuì continuando a guardare verso le fiamme, combattendo con il fumo che le bruciava gli occhi.
“Molti clan si sono dati convegno, dalish da ogni parte del Thedas. Molti hanno usanze diverse dalle nostre, molti clan vivono vicino al mare, altri tra le montagne, alcuni addirittura commerciano con gli uomini ed hanno grandi conoscenze.Tutti loro sono la tua gente.”
Lena che inizialmente non riusciva a capire l’intento di quel discorso, a quelle ultime parole credette di vedere qualcosa dietro le parole dell’anziano. Distogliendo lo sguardo dal fuoco lo guardò dritto negli occhi
“Da’len, hai la possibilità per la prima volta di conoscere altri clan. Magari a questo ti ha portato la tua via, il tuo sentiero forse ti porta lontana dal clan in cui sei nata, non per questo smetteresti di essere una di noi.” E dopo un lungo momento di pausa aggiunse: “Ar’Galen era saggio e aveva visto in te qualcosa che con la sua morte si è eclissato. Forse hai solo bisogno di seguire la tua strada. Tutti hanno diritto di essere felici”
Lena lo guardava ormai ad occhi sgranati, sorpresa e colpita. Non riusciva a comprendere se quelle parole fossero l’ennesimo sopruso o finalmente un gesto gentile da parte di qualcuno del suo clan. Galenon voleva scacciarla o davvero metterla in salvo?
“Lena, vai a dormire ora, domani sarà una lunga giornata, loro tre faranno i turni di guardia questa notte, prendi una tenda.”
Nessuno la chiamava più con il suo vero nome da moltissimo tempo e come se fosse nuovamente immersa nei giorni lontani dell’infanzia, si alzò obbediente e entrò in tenda augurando all’anziano la buona notte.
 
 

 


II
 
I primi clan iniziavano ad arrivare e la radura si riempiva di parole antiche, vuote, inespressive che suonavano alle sue orecchie come un vecchio corno di guerra sfiatato. Le parole antiche poi si mescolavano con le nuove dando vita ad un impasto posticcio e svilente per lui che era costretto ad ascoltarle. I suoni e gli odori erano stonati e non facevano altro che farlo sentire fuori posto, lontano da casa, e come se non bastasse in tutta questa confusione gli era impossibile riposare.

Ma se c’era una cosa che davvero trovava intollerabile era la luce. La luce gli feriva gli occhi come il primo giorno in cui li aveva aperti su questo nuovo mondo. Gli sembrava che niente fosse davvero delineato e definito, i contorni delle cose gli sfuggivano. L'emicrania era ormai una compagna costante e inopportuna. A volte, come gli abitanti di un villaggio che sorge nei pressi di un torrente, non notano il rumore che fa questo nel suo scorrere, così il suo mal di testa diveniva una presenza dimenticabile. Altre volte invece era potente e intollerabile come in quel momento.
Aveva voglia di dormire e di allontanarsi da tutto quello dando così sollievo alla testa, ma non sarebbe riuscito ad addormentarsi in questo stato. Raccolse il suo piccolo fardello e si allontanò dalla radura.
Sapeva di non poter stare via troppo a lungo, entro sera tutte le delegazioni dei clan sarebbero arrivate e aveva bisogno di raccogliere tutte le informazioni possibili.
Doversi mescolare tra questi primitivi era per lui insopportabile, tronfi nella loro ignoranza usavano storie e parole come i bambini che giocano ad indossare i vestiti degli adulti. Solo che per loro non era un gioco e si gloriavano anzi dell’immagine che avevano di loro stessi ma che ai suoi occhi appariva così ridicola da spingerlo a disprezzarli.
Avrebbe preferito mescolarsi con i servitori e con gli elfi delle enclavi ma doversi inchinare ad un umano andava oltre tutto ciò che era pronto ad imporsi.
Camminare lo avrebbe aiutato a rilassarsi e a lasciare andare la mente, e se anche non avesse funzionato senza dubbio lo avrebbe stancato, rendendo più facile e piacevole il suo riposo.
Dormire e sognare lo faceva sentire meno solo, ritrovava le voci, gli odori e le luci a lui familiari, poteva rilassarsi e pensare lucidamente solo nel sogno. Durante la veglia il suo unico pensiero era potersi addormentare e tornare, seppure per poco e in un modo del tutto peculiare, a casa.
Questa volta non doveva essere lontano dal suo obiettivo, voci affidabili dicevano di aver visto il ladro nei dintorni, era sicuramente attirato da tutto quel trambusto che gli umani stavano creando. Il ladro cercava ciò che invece lui rifuggiva, avrebbe pagato anche per questo, momento per momento.
Ormai era ad un passo dal riuscire nella sua impresa ma qualcosa dentro di lui continuava a ripetergli che la vittoria era lontana, che sarebbe rimasto bloccato in questo limbo per sempre, scontando così gli errori e la superbia. Sarebbe morto da solo, lontano dal suo amato mondo, circondato da bestie inconsapevoli e accecato da quel dolore lancinante alla testa.
Ma riconosceva in questi suoi pensieri i sussurri subdoli della paura e della disperazione. Non avrebbe ceduto.
Avrebbe dato qualunque cosa in quel momento per sentire il calore di una mano amica, per essere abbracciato e consolato, per lenire un poco quel profondo senso di solitudine così disarmante.
Ma non era il tempo della consolazione, questo era il tempo per la battaglia, e ogni buon soldato sa seppellire infondo al cuore passione ed amore per alimentare con queste il furore nella lotta e la sete di vittoria. Una volta al sicuro, può togliere l’armatura e iniziare ad accudire la sua passione per la bellezza, la delicatezza e lo stupore per quel mondo che ha salvato, sacrificando per un po’ la parte più bella di sé.
La sua lunga camminata lo aveva portato lontano dall’accampamento e ormai si approssimava la notte. Era tempo di tornare indietro, non poteva permettersi di perdere una sola parola, non poteva lasciarsi sfuggire il ladro un’altra volta. Era ora di mettere fine a tutto quello.
Fece per tornare sui suoi passi, quando un rumore attirò la sua attenzione.  In lontananza poteva scorgere una delegazione che, probabilmente in ritardo, cercava di raggiungere il concilio. Avrebbero dovuto percorrere la stessa strada.

Rimase quindi in silenzio nascosto dal gioco di ombre dell’ultima luce della sera e dalla vegetazione piuttosto fitta. Era a malapena riuscito a calmarsi, non avrebbe rinunciato a qualche attimo in più di pace percorrendo la strada con quel manipolo di primitivi. 
Rimase a guardarli mentre sfilavano davanti al suo nascondiglio, li avrebbe seguiti a breve distanza. Il piccolo gruppo era formato da un anziano e tre giovani elfi. Le due giovani femmine portavano delle armi e camminavano aprendo e chiudendo la piccola carovana, i due maschi, il giovane e l'anziano erano invece disarmati. 
Guardandoli sfilare non era certo a chi di loro dovesse essere rivolta maggiormente la sua pietà. Era peggiore la condizione dei due diplomatici arroganti e convinti di poter parlare per l'antico popolo, o quella delle due guerriere, ridotte alla funzione per la quale erano probabilmente state cresciute, niente di più di quell'arco o di quei pugnali di cui si armavano. 
Vite inutili, non degne di essere vissute. Se solo avessero avuto modo di percepire la mediocrità della propria condizione, forse avrebbero sperimentato la forza redentrice della disperazione. Ma erano ottusi e sarebbero macerati nella propria supponenza. 
Tornato al campo trovò i fuochi accesi e un gran fermento. 
Scelse un posto accanto al fuoco abbastanza defilato da non essere disturbato ma non troppo da non riuscire ad ascoltare le chiacchiere di anziani ed esploratori. 
Dopo qualche ora, la discussione stava finalmente entrando nel vivo, la luce del fuoco era quasi piacevole ai suoi occhi e il mal di testa si era fatto lieve. 
Durante la serata alcune voci in particolare attrassero la sua attenzione. Provenivano da un gruppo di tende non lontane dal suo bivacco, non riusciva a comprendere il motivo del contendere ma era chiaro che si stava consumando un’accesa discussione.
Si mise attentamente in ascolto.
“Galenon, non può rimanere qui. Hai voluto portarla con noi, ma ora?  Non può girare tranquillamente per il campo, non dovrebbe essere vista qui, finirà senza dubbio per portare disgrazia a questo consiglio e a noi in particolare.”
“Da’len, sai che lei non apprezza la compagnia, basterà lasciarla stare e non ci accorgeremo neanche della sua presenza, finirà per passare le sue giornate nei boschi, come al solito.”
“Ma la Figlia del Lupo non può essere vista in un posto come questo.”
“Valais, sai che quel soprannome non ha significato fuori del nostro clan, se cercherai di trattarla come una di noi, cosa che a quanto pare ti risulta difficile, nessuno oserà trattarla diversamente, in segno di rispetto.”
“E i suoi vallaslin? Se qualche anziano dovesse riconoscerli? Se dovessero sapere che abbiamo portato ad un consiglio una consacrata a Fen’Harel? In molti potrebbero prenderlo come un oltraggio, contesterebbero le nostre buone intenzioni, e metterebbero in dubbio la nostra parola.”
 
Solas era sconvolto, quali altre aberrazioni avrebbe dovuto conoscere in quel mondo mal nato? Vallaslin in onore di Fen’Harel? Qualcuno era stato marchiato da quei sudici tatuaggi, in onore del Lupo! Alle sue orecchie quelle parole stridevano drammaticamente. La testa improvvisamente iniziò a pulsare con nuovo impeto, credeva di impazzire, si alzò in fretta raccolse le sue poche cose e si allontanò dal campo. Non importava cosa avrebbe perso, non poteva sopportare la presenza di quei barbari per un solo istante in più. Rimpianse i suoi poteri ancora una volta, avesse potuto polverizzare in un solo colpo quei cani rabbiosi lo avrebbe fatto, con grande soddisfazione e con poco rimorso.
Camminando, l’aria fresca raffreddò i suoi propositi incendiari, ringraziò di non avere avuto i suoi poteri. Secoli di storia non gli avevano ancora insegnato a controllare i suoi istinti. Avrebbe trovato un altro modo, per il momento voleva solo addormentarsi e sognare. Magari allontanandosi un po’ di più dall’accampamento di quei dalish, non avrebbe sopportato una loro interferenza nei suoi sogni.

 


Ho ripreso la revisione di questa storia, ho il dubbio che mi troverò ad inserire un capitolo in più, ma non lo so ancora con certezza, vedremo. Intanto i capitoli rivisti si potranno distinguere grazie ad una citazione di apertura.
A chi passa di qui per la prima volta: grazie per il tempo che dedichi a questa storia! Questa la mia prima storia pubblicata e posso dire con emozione di essere giunta fino alla fine, quindi quella che hai tra le mani, con i suoi alti e i suoi bassi, è una storia completa. Non è una storia di grandi pretese e so che ha molte pecche, ma spero ti possa far compagnia per un po'.
Enjoy!

 

 

 

 

   
 
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