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Autore: marte96    21/03/2016    1 recensioni
E sicuramente una congiura, e la parte comica, perché in fondo mia cara Tiamar pensi sempre di avere l’obbligo morale di trovare una parte comica a qualunque situazione, e che la congiura arriva, parte e finisce solo ed esclusivamente per causa tua.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Titolo: Ci sono due birre vuote sul tavolo (ancora)
Personaggi: Tiamar (la protagonista),lui ( il suo ex ragazzo, il nome non viene mai pronunciato: sarebbe il pianista) Fabio e Francesco, Sacco (simpatico soprannome di un mio amico) , Dante amico proprietario di casa 
Generi: Sentimentale,Slice of Life, malinconico
Rating: verde
Avvertimenti: Questo è realmente accaduto, e se mai una delle persone coinvolte lo debba leggere spero che trova di puro gradimento letterario.
Introduzione/Presentazione: Una serata a casa di amici, si suona si balla, ci si diverte e ci sono anche pensieri che non riescono ad andare via.
 

Sei appena entrata in casa di Dante, lentamente ti levi il cappotto.
Sei nel salone e la prima cosa che vedi sono le birre abbandonate sul tavolo.
Sorridi pensando con quanta velocità diventano vuote.
C’è ancora un goccio, bevi.
Ti si avvicina Francesco dicendo “Sono proprio forti sta sera eh!” ruoti la testa e finalmente la musica ti colpisce: è pungo in piena faccia e non puoi fare nulla per evitarlo. Praticamente non l’avevi notata, il flusso incessante dei tuoi non-pensieri era stato troppo intenso,(perché è questo che stavi pensando: nulla) è un dono speciale che hai sempre avuto. Sorridi “Certo Fra, sono sempre fortissimi” e c’è la tua immagine riflessa in un enorme specchio, eppure non ti riconosci. Sei allegra e vestita carina, ti sei anche truccata per l’occasione. Diciamocelo, non sei niente male sta sera. Guardi ancora nello specchio, e lo vedi, Lui è al piano: riesci quasi a percepire la toccata (così saggiamente calibrata) dalle sue dita. Ricordi nitidamente quella volta in cui eravate nudi, e lui aveva insistito così tanto nel voler suonare dopo aver fatto l’amore che avevi vinto la stanchezza e l’avevi seguito nel salotto. Pensandoci adesso eravate stati due incoscienti, nudi nell’atrio di casa, dove la prima cosa che vedi entrando dalla porta è esattamente il pianoforte. Ma nulla aveva avuto importanza in quel momento, c’era solo lui e il suo piano che riempivano la stanza, la terra, l’universo. Con infinita cautela ti eri avvicinata, quasi spaventata da così tanta bravura ( e lo eri, lo sei, lo sei sempre stata di lui, di Sacco, di Fabio, di Esp di Francesco… di tutti loro che hanno un dono così prezioso che da solo risplende, un dono che quando uniscono all’unisono quasi acceca per quanto è bello) avevi poggiato il seno alla sua schiena, come un bambino che spia ti nascondevi tra i suoi biondi capelli color del grano, non volevi interromperlo. Si girò verso di te con quegli occhi grandi, enormi. Interi boschi che sembrano fagocitare tutto quello che toccano: ti frugano nell’animo e quando pensi di aver vinto ogni paura, riescono a trovare nuove follie nella tua mente.

Chi si perde dentro il bosco è perduto.

Il contrasto con il sorriso ti ha sempre, SEMPRE, allucinato.

Un raggio di sole in piena faccia, la nascita di ogni cosa nell’universo, la creatura più dolce, allegra, sensibile e bella.
Bella, bella, bella. Come solo la vita sa essere. Perfetta come l’idea di perfezione. Ma che ne sapete voi. Cose come quel sorriso a umani come noi non è dato vedere.
Il dispiegarsi della soddisfazione di un Dio che mostra alla sua eterna compagna il mondo che per suo diletto ha creato.

Un mondo di note e tasti.

Bianco e nero.

Avevi allungato una mano, piccola ed incerta sulle sue, in modo delicato senza pesargli, poi l’altra, e avevate suonato assieme: tu spostavi con leggerissimi movimenti della mano la sua, portandola prima verso i bassi, medi, alti, e poi ancora e ancora.
Come fare l’amore, ancora.

Qualcosa nella tua anima si è incrinato, sembrate così vicini nello specchio. Ci sono anni luce tra voi, e pensare che c’è tempo in cui vi siete aggrappati uno all’anima dell’altro, senza ritegno senza permesso. Ed era anche piacevole, prima che si riducessero a brandelli. La tua immagine è ancora nello specchio, peccato che non ti rispecchi molto. Perché la vedi chiarente: sorride e si muove a tempo, (balla?) sembra così divertita.
Ma tu sei ancora lì, con la birra in mano.
 Lo stai guardando, il piano è l’unico strumento che senti, e sei piuttosto sicura di vedere gli altri che suonano, ma è come se ci foste solo voi due. Siete soli: in molteplici sensi.
 Quando urti Fabio ti riunisci a te stessa, perché ha l’assoluta capacità di leggerti dentro e non vuoi assolutamente che veda la ragazza con la faccia triste e la birra in mano. Vi guardate e ridete. Ora che sei di nuovo in te, ora che a ballare sei solo tu, beh sei più lenta, più concentrata, hai l’insensata paura di non andare a tempo, prima era più semplice, prima seguivi solo il piano, ora come d’improvviso ti rendi conto che ci sono almeno due chitarre e tre percussioni, improvvisamente non senti più il piano. Si alza e ti guarda, ed è solo di sfuggita solo qualcosa su cui lo sguardo si pone, forse non ti ha visto sul serio. Anche tu l’hai visto, ma qualcosa dentro di te ti ha salvato: infatti non lo hai guardato d’avvero ma i tuoi occhi per quel breve lasso di tempo si sono sforzati di vedere una galassia lontana lontana. Ti sei salvata e lo sai, peccato che la tua anima si sia congelata all’istante, come presa da mille steli di ghiaccio.
 Vai fuori, a prendere aria sul balcone e vedendo gli altri ti accorgi essere l’unica senza felpa: fa freddo? E’ una domanda che si perde nei pensieri, tu il freddo non lo senti, e non senti la tristezza, non senti la stanchezza; è mezzanotte. Non senti nulla e sorridi, e tutti ridono “Il cavolo?” “Il cavolo no!!” sono parole che recepisci le ascolti interessata ma non arrivano al tuo cervello, e sei partecipe lo vedi perché ti vedi. Come un film, hai la percezione di te dal di fuori, e ti chiedi: cosa stanno dicendo? E ridi perché è esattamente quello che si aspettano. Ridi, non alle loro battute, non hai loro giochi.
Ridi di te.
Di come ti sei ridotta, di come eri un anno fa e di come hai paura di restare per sempre.
C’è una ragnatela intorno a te, passato presente e futuro si confondono.
Ti confondono.
Ecco perché quando è tempo di andare via e lo saluti con due finti baci sulla guancia vorresti chiedergli “sei arrabbiato con me?” la tua anima ti salva ancora una volta, e sorridi di nuovo, ma non lasci trapelare la domanda che leggera come spuma del mare si deposita in un angolo della mente, e proprio come spuma: sparisce. E’ andato via, e non nascondi il sollievo a Sacco che per un secondo ti ha rivolto lo sguardo corrucciando la fronte, sorridi di nuovo per non farlo preoccupare più del dovuto, quasi ti fa male la mandibola per tutti quei sorrisi finti.
Però quando tuo padre tarda ad arrivare, e sono andati tutti via, la sensazione di quei finti baci che sono la convenzione sociale del saluto italiano ti restano nella testa.
Li scacci.
 Poi però torni a casa e nel letto...  
Chiudi gli occhi, e come accade da molto tempo a questa parte, sai cosa vedrai, non hai dubbi. Quando chiudi gli occhi la prima immagine che vedi è lui. Dura una frazione di secondi, dura giusto il tempo di un salto nel vuoto, un battito di cuore.
Uno sbattere di ciglia nell’arco dell’eternità.
E poi sono mille pugnali conficcati nello stomaco.
E' sicuramente una congiura, e la parte comica, perché in fondo mia cara Tiamar pensi sempre di avere l’obbligo morale di trovare una parte comica a qualunque situazione, e che la congiura arriva, parte e finisce solo ed esclusivamente per causa tua.
   
 
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