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Autore: CreepyWolf17    22/03/2016    1 recensioni
Nell'Isola delle Bambole non vive nessuno, a parte il suo guardiano, eppure una presenza inquietante e macabra è disseminata dappertutto: sono le bambole, centinaia, che fanno mostra di sé appese agli alberi., appoggiate ai tronchi o ai sassi.
Nessuno sa con certezza quante siano poichè esse si spostano, cambiano posizione durante la notte...
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Julian abbassò lo sguardo sul canale e sorrise. Eccone un’altra.
Si alzò e, con gioia sempre crescente, scese lungo la sponda per raccogliere la bambola che la corrente aveva portato fino a lui. Fino alla sua isola. Fino a lei.
Osservò compiaciuto il suo nuovo bottino: il bambolotto non era messo male, gli mancava solo un braccio ed era un po’ sporco, ma il vecchio guardiano dell’isola era certo che, dopo una veloce ripulita, sarebbe tornato perfetto. O quasi.
Un po’ barcollando e un po’ appoggiandosi al suo fedele bastone da passeggio, raggiunse la capanna semidistrutta nella quale abitava, al centro dell’isola.
«Eccomi, Monec, sono tornato. Ti ho portato una nuova amica, non sei contenta?» Julian sorrise alla sua preferita, una bambola di pezza priva di occhi e ormai divorata dalle muffe e dai tarli. L’unica che aveva deciso di tenere per sé e di non dare a lei.
Mentre si dava da fare per rendere almeno presentabile la nuova arrivata, continuava a chiacchierare amabilmente con Monec, promettendole che sarebbe riuscito presto a rimediare due bellissimi bottoni per rifarle gli occhi, così che anche lei potesse vederla.
Fuori dalla piccola capanna, il vento agitava le altre. Per chiunque, quello sarebbe stato uno spettacolo macabro e inquietante, ma non per il vecchio Don Julian. Lui amava quei bambolotti. Quelle raccapriccianti bambole mutilate e appese su tutti gli alberi dell’isola. Bambole prive di occhi, braccia, gambe, teste. Impiccate o impalate sui rami, appoggiate ai tronchi, sedute sui sassi.
Finita la pulizia del giocattolo, rimirò soddisfatto il lavoro appena eseguito.
«Sì, così può andare, non trovi, Monec?». Guardò la sua preferita come aspettandosi una risposta e le sorrise dolcemente: nemmeno oggi voleva parlare con lui, chissà quale torto le aveva fatto.
Mentre rimuginava su cosa aveva fatto per far arrabbiare a tal punto la sua amica, afferrò una corda e, fischiettando, uscì dalla capanna, avviandosi con passo sicuro verso un frassino piuttosto malconcio, esattamente davanti alla casupola. Con mano veloce e sicura legò un’estremità della corda intorno al ramo più basso, mentre annodò l’altra fino a ricavarne un piccolo cappio, al quale appese la bambola.
Sorrise. Un lavoro proprio ben fatto. Lei ne sarebbe stata felice.
Decise quindi, come ogni volta che trovava un nuovo regalo per lei, di rincasare presto e di aspettarla davanti alla finestra, insieme alla sua Monec. Così fece. E, quando il vecchio pendolo ammaccato alle sue spalle rintoccò la mezzanotte, la vide. Eccola.
Sotto al frassino comparve, a piccoli passi, una bambina sui 7-8 anni, i lunghi capelli e il vestitino fradici d’acqua. Dava le spalle alla casa.
La piccola si alzò sulle punte e, allungando più che poteva le esili braccine, afferrò la bambola e iniziò a strattonarla per liberarla dal cappio. Dopo alcuni scossoni più forti degli altri, la testa di plastica cedette e si staccò dal corpo, ma la bambina non sembrò preoccuparsene più di tanto. Strinse la bambola al petto e, lentamente, si girò verso la capanna.
Julian trattenne il fiato: non l’aveva mai vista in volto. Desiderò ardentemente aver cercato quei bottoni per rifare gli occhi a Monec.
Non appena la bambina si voltò completamente, il vecchio guardiano non riuscì a trattenere un grido di puro terrore: il viso della bambina era decomposto e gonfio d’acqua, ricoperto in più punti da viscide alghe nerastre. Le orbite, prive dei bulbi oculari, erano due pozzi neri di disperazione.
La bambina sorrise di un sorriso macabro e sorto, che le lacerò la pelle delle guance, facendola assomigliare ad un inquietante Joker. Allungò la mano e, tendendo l’indice, indicò la bambola che sedeva accanto a Julian, il quale iniziò a scuotere allarmato la testa: «Lei è mia! A te ho dato tutto, non puoi prenderti anche lei! È.. è.. mia.»
L’espressione della bimba divenne cupa e all’improvviso spalanco la bocca in un urlo agghiacciante che le squarciò definitivamente il volto.
Julian serrò gli occhi terrorizzato, coprendosi le orecchie con le mani e pregando come non faceva da anni.
Quando ebbe il coraggio di riaprire gli occhi, sussultò: lei era lì, davanti a lui, la pelle marcia e lacerata della bocca che penzolava. La bambina indicò ancora una volta la bambola accanto al guardiano e questa volta, con enorme riluttanza, gliela consegnò.
Lei gliela strappò dalle mani e, strascicando i piedini nudi e bagnati sul pavimento, uscì nel bosco.
Julian, nonostante lo shock, si decise a seguirla.
La vide raggiungere la sponda del canale dove, solo quel pomeriggio, aveva trovato il bambolotto.
La vide immergersi nel mare.
La vide sorridere, mentre stringeva tra le braccia la sua Monec.
La vide scomparire sotto la superficie increspata dell’acqua.
Esattamente dove aveva recuperato il suo cadavere, l’anno prima.
Julian sospirò, ma cosa poteva farci? Quella era la sua isola e quelle erano le sue bambole.
Prima di rientrare, si voltò un’ultima volta a contemplare quello spaventoso scenario. Bambole prive di occhi, braccia, gambe, teste. Impiccate o impalate sui rami, appoggiate ai tronchi, sedute sui sassi. Quella era la sua casa. La loro casa. L’Isla de las Munecas.
L’Isola delle Bambole.
   
 
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