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Autore: _browneyes    22/03/2016    0 recensioni
Che Alex Gaskarth abbia sempre amato Jack Barakat e che lui abbia sempre ricambiato, lo sanno tutti.
Certo, poi hanno sempre finto di non esserne a conoscenza e hanno ignorato la cosa, Alex e Jack compresi. E il momento in cui in cui se ne sono finalmente resi conto, ormai, era troppo tardi, o almeno così hanno sempre creduto loro.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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you keep me alive.
 
 
 
 
Che Alex Gaskarth abbia sempre amato Jack Barakat e che lui abbia sempre ricambiato, lo sanno tutti.
Certo, poi hanno sempre finto di non esserne a conoscenza e hanno ignorato la cosa, Alex e Jack compresi. E il momento in cui in cui se ne sono finalmente resi conto, ormai, era troppo tardi, o almeno così hanno sempre creduto loro.
 
 
It's a long way home,
when you're on your own
and your only friends are the traffic lights,
speaking in morse code;
yeah the road is long
and I am tired,
but with you on my horizon,
I will drive until it all breaks down.
 
 
Se lo ricorda bene, Alex, forse anche troppo, il giorno in cui ha provato per la prima volta quella strana sensazione, ‘chè poi questa l’ha tormentato per anni.
Era successo nell’Ottobre dei loro diciassette anni, mancavano un paio di settimane ad Halloween, e, stranamente, a Baltimora quell’anno non faceva freddo. Tirava una brezza leggera, abbastanza per scompigliare la frangetta che Alex si ostinava a portare e che, quel giorno, stava disperatamente tentando, con scarsi risultati, di tenere sotto controllo, calcandosi in testa un beanie nero. Nonostante ciò, però, il sole batteva, non troppo caldo, e il cielo era terso. Erano le due, forse le tre, del pomeriggio e, come sempre, a quell’ora stavano pigramente stravaccati sulla solita panchina al porto, quella vicina all’Hard Rock Cafè. Il loro era un gruppetto straordinariamente abitudinario, ma gli andava bene così; nessuno infatti, né Alex, né Jack, né Rian e nemmeno Zack, avrebbe voluto cambiare nulla, era tutto perfetto. Passavano sempre i loro pomeriggi lì, da anni ormai, ‘chè di stare chiusi in casa a studiare, proprio non ne avevano voglia. E quindi stavano lì, a cazzeggiare e a ridere; spesso si portavano dietro le chitarre e improvvisavano cover dei Nirvana o dei Green Day, oppure provavano a buttare giù qualche accordo e a scrivere le loro, di canzoni; altre volte, invece, se ne andavano in giro per il molo in skateboard, sfidandosi in assurde competizioni, tanto che una volta Zack era finito in mare. Da quel momento, in realtà, avevano lasciato perdere, almeno per un po’ di tempo. Quel giorno stavano lì sotto al sole, come gechi, e parlavano, più o meno, del concerto dei Green Day del mese successivo che non avrebbero proprio potuto perdersi, per nessun motivo al mondo; che poi Rian continuasse a parlare della sua nuova fiamma, Scarlett Lovelace, nonostante nessuno lo stesse ad ascoltare, è un’altra cosa.
Alex, in realtà, non stava ascoltando nessuno, era nel suo mondo, gli occhi persi nel vuoto e una sigaretta in mano che neanche stava fumando. Ad un certo punto l’aveva buttata per terra, nonostante questa non fosse ancora finita, e l’aveva schiacciata con la suola della Vans, rigorosamente nera. Aveva mugugnato qualcosa che somigliava a “torno subito”, seguito da un cenno d’assenso, alquanto noncurante in realtà, da parte degli altri.
Ad Alex, poi, erano bastatati non più di una cinquantina di metri a passo spedito per trovarsi dentro Barnes & Noble e, lì dentro, i suoi piedi s’erano mossi da soli, già sapevano dove dovevano portarlo senza neanche che lui dovesse pensarci.
E, infatti, come al solito s’era trovato nella sezione dedicata ai cd che, si okay, non era fornita come il negozio che c’era sotto casa sua, ma gli andava bene lo stesso. Lì dentro, per lui, era quasi come se il tempo non contasse più nulla, avrebbe potuto rimanerci anche per mesi interi senza farci troppo caso.
Aveva preso in mano tutti i cd, uno dopo l’altro, letto i titoli delle canzoni, canticchiando a mezza voce quelle che conosceva e appuntandosi nelle note del vecchio Samsung quelle che non aveva ancora mai sentito. Poi li aveva ordinati tutti, artista per artista, nel loro ordine cronologico, dal più vecchio a quello uscito da poco, era una cosa che l’aveva sempre rilassato. Era così preso dalla sua attività, che nemmeno s’era accorto di Jack che l’aveva raggiunto nel negozio, sapendo che l’avrebbe trovato lì,  e che gli si stava avvicinando. Infatti, quando questo l’aveva salutato con un “hey”, Alex era quasi saltato in aria, improvvisamente strappato dalle sue fantasie e dal suo universo parallelo.
E, fosse stato un altro, gli avrebbe certamente chiesto di andarsene, ma era Jack e Jack era sempre stato la sua unica eccezione.
Così s’era voltato, con in mano un cd dei Genesis e nell’altra uno dei Pink Floyd, e gli aveva rivolto un mezzo sorrisetto per poi tornare a dedicarsi al suo “lavoro”.
Jack l’aveva guardato assorto e non era proprio stato capace di trattenere una lieve risata divertita; era sempre il solito, Alex, maniaco del controllo e dell’ordine, ma solo per certe cose, la sua stanza incasinata era la prima cosa a dimostrarlo, perfezionista per la maggior parte delle cose che non lo riguardassero, e non c’era nessuno che lo sapesse meglio di Jack. D’altronde, erano amici da una vita intera e non c’era cosa che l’uno non sapesse dell’altro; e, se per il resto del mondo potevano essere incomprensibili misteri, erano dei libri aperti l’uno per l’altro.
Sollevato lo sguardo dall’espositore sul quale aveva appena finito di sistemare i cd che aveva in mano, Alex l’aveva fulminato, fingendo irritazione. E Jack, di fronte a quello spettacolino, aveva riso ancora di più. E, Alex fino a quel momento non ci aveva mai fatto caso, ma l’amico aveva davvero una bella risata, in grado di ridargli un po’ di buonumore; e il modo in cui strizzava gli occhi e gettava indietro la testa, il viso rilassato e le guance rosee, lo rendevano più bello di quanto, in realtà, lui avesse mai notato.
Alex aveva deglutito, tremendamente imbarazzato per via di quei pensieri che gli avevano appena attraversato la testa, immediatamente grato al fatto che, quando lui e Jack più piccoli e stupidi, avevano provato la telepatia, non aveva funzionato. L’altro, comunque, non s’era accorto di nulla.
Alla fine gli si era avvicinato e gli aveva sfilato dalle mani un album dei Guns’n’Roses e l’aveva guardato attentamente, poi aveva spostato la sua attenzione sul Alex, che lo osservava con un’espressione interrogativa. Gran belle labbra, quelle di Alex, aveva notato.
«Se devi prenderne uno, prendi questo. So che non ce l’hai ed è uno dei migliori che abbiano fatto», gli aveva detto.
Nelle tasche Alex, per caso o forse destino, aveva delle banconote spiegazzate pari a quindici dollari, che era il costo esatto del cd.
Lui aveva annuito e, alla fine, aveva deciso di comprarlo.
Mentre stavano facendo la fila alla cassa, aspettando il loro turno, le loro mani s’erano sfiorate per sbaglio. Nulla che non fosse già successo, comunque. Ma, stavolta, eccola lì, la strana sensazione aveva attanagliato Alex per la prima volta; ecco i brividi che l’avevano investito, il vuoto nello stomaco.
 
 
'Cause I can't breathe
without you near,
you keep me safe,
you keep me sane,
you keep me honest.
 
 
A Jack, Alex, non era mai stato indifferente.
Lo sapeva, l’aveva sempre saputo, che i suoi sentimenti nei suoi confronti non erano quelli che avrebbe dovuto provare per un semplice amico.
Se lo ricorda, Jack, il loro primo bacio.
Era il trentuno di Ottobre, la notte di Halloween, ed erano al Ghost, alla festa di Zack, quella che lui era tanto fiero di aver organizzato.
Jack, come gli era stato praticamente imposto, s’era travestito da Spiderman, Zack da Superman, Rian da Ironman e Alex, nonostante si fossero messi d’accordo sui costumi e avrebbe dovuto vestirsi da Batman, era venuto vestito di nero, come al solito, e la faccia truccata da zombie. Inutile dire che Zack se l’era presa, mentre Rian s’era limitato ad alzare le spalle e Jack, invece, l’aveva adorato; gli era sempre piaciuto da matti il bisogno di Alex di essere anticonformista, di distinguersi da tutti, il suo essere imprevedibile, il suo mezzo sorrisetto soddisfatto per via delle espressioni di quelli che lo guardavano.
Jack l’aveva semplicemente adorato, come faceva sempre, alla fine.
Adorava Alex, in tutte le sue sfumature. Quando rideva, mentre suonava la chitarra, il suo entusiasmo per le piccole cose e l’apatia rispetto a quelle realmente importanti, le sue bizzarre manie; i capelli bagnati sotto la pioggia, l’espressione rilassata di quando ascoltava la musica, i sorrisi ebeti e le battute sciocche di quando era ubriaco, le sue mani; le tinte improbabili con le quali si presentava a volte, l’espressione assorta mentre a scuola scarabocchiava sui quaderni tutto tranne gli appunti che avrebbe dovuto prendere, le sue solite Vans semidistrutte, le sigarette lasciate quasi sempre a metà, i pomeriggi che dedicava al nulla, i suoi sogni in grande, il suo anticonformismo; i suoi jeans neri sdruciti e vecchi, i messaggi stranamente profondi che mandava dopo la mezzanotte, i suoi pensieri che raramente condivideva con gli altri, i sorrisini complici che gli rivolgeva, i suoi occhi, le sue espressioni buffe e le trovate improbabili. Si, Jack amava tutto, di Alex.
Quell’Halloween se n’era accorto subito, che qualcosa non andava nell’amico, nel suo atteggiamento, nei suoi occhi; era stato strano ed erano stati insieme poco, rispetto alla norma.
La prima volta che quella sera l’aveva incontrato, Alex stava ordinando una vodka, la terza o forse la quarta della serata; erano passate da poco le nove e mezzo e lui era già quasi ubriaco. Jack, però, non gli aveva chiesto nulla, sapeva bene che se Alex avesse voluto parlarne gliel’avrebbe semplicemente detto. Così s’era limitato a fargli i complimenti per il costume; l’altro aveva alzato le spalle e aveva detto che no, non era niente di che e che il suo, invece, era davvero figo. Allora Jack gli aveva sorriso, una frazione di secondo prima che Rachel Christensen, vestita da fata, arrivasse a trascinarsi di nuovo un seccato Alex sulla pista da ballo.
Jack, dal suo angolo, l’aveva guardato tutta la notte.
La seconda volta nella serata in cui si erano visti, Alex stava ancora ballando, estremamente svogliato, con Rachel, che non l’aveva lasciato un attimo; Jack, invece, era stato trascinato lì da un ubriaco Zack. I due s’erano cercati con gli occhi, gli sguardi intrecciati e le espressioni contrariate.
Alex l’aveva fatto ridere quando aveva alzato teatralmente gli occhi al cielo e gli aveva mimato con le labbra un “salvami”, quasi disperato; Jack gli aveva fatto un cenno con il capo, indicandogli Zack che, ormai, con le sue movenze che volevano somigliare a passi di danza, stava quasi superando i limiti della decenza.
Nessuno dei due era messo bene ed entrambi avrebbero voluto essere ovunque tranne dov’erano in quel momento, e insieme.
La terza volta che l’aveva visto, Jack l’aveva baciato.
Erano nella sua macchina, che ormai era diventata il mezzo di trasporto preferito della banda da quando, poche settimane prima, aveva preso la patente. Avevano già scaricato a casa Zack e Rian, che non aveva fatto altro che parlare della sua ragazza per tutto il viaggio, finché Alex, leggermente più lucido di quanto fosse prima, gli aveva gridato di tacere, e che cazzo. Rian, comunque, era troppo sballato per arrabbiarsi.
Il vecchio pick-up, quasi distrutto ormai, d’altra parte Jack l’aveva ereditati dal nonno e risaliva circa agli anni sessanta, s’era appena fermato davanti la porta di casa di Alex. In radio passavano gli Oasis, Wonderwall. E, ad Alex, quella canzone non era mai piaciuta, ma pazienza; comunque ormai erano arrivati e, inoltre, sapeva che a Jack, invece, piaceva.
Jack e Alex erano rimasti in silenzio a guardarsi , fermi in una frazione indeterminata di tempo, mentre il mondo lì fuori continuava a girare, lontano da loro. Era come se fossero rimasti congelati in quell’istante, gli occhi dell’uno in quelli dell’altro, mentre la voce di Gallagher cantava quella che, secondo Jack almeno, era una delle migliori canzoni d’amore di sempre.
E, magari era stato l’alcool che aveva bevuto, non troppo comunque, forse quella canzone, sparata a tutto volume nel silenzio solitario delle quattro di notte, forse era stato Alex, che era così bello, alla fine Jack s’era fatto coraggio, s’era sporto in avanti e aveva premuto le labbra su quelle sottili dell’amico. Certo, tutto si sarebbe aspettato, tranne che lui ricambiasse il bacio.
Le loro labbra s’erano cercate, rincorse, completate; loro due erano rimasti congelati in un frangente di occhi chiusi, respiri corti e contatto fisico, pelle contro pelle, le mani nei capelli e sulle guance. Quando, alla fine, si erano separati, un po’ a malincuore, Alex aveva un’espressione stralunata e uno dei suoi sorrisi addosso; a Jack tremavano le mani. La radio, ora, stava trasmettendo Lithium dei Nirvana e l’incantesimo era finito, erano tornati alla realtà, nel mondo di tutti gli altri.
Jack era stato il primo a riscuotersi dal suo momentaneo stato di trance e aveva mormorato qualcosa che voleva somigliare a “buonanotte, Alexander”.
Alex aveva sempre odiato essere chiamato con il suo nome per intero; ma, detto da Jack, quel nome assumeva un gusto così piacevolmente adorabile e deliziosamente intimo, che era impossibile per lui non farselo piacere.
Non aveva detto nulla.
Poi, Jack s’era sentito toccare la mano, un tocco timido e leggero, veloce, prima che Alex aprisse la portiera e uscisse, per poi sbattersela alle spalle. E Jack era rimasto a guardarlo finché non era entrato in casa.
Entrambi hanno sempre attribuito la causa di questo bacio all’alcool, non ne hanno mai parlato ‘chè hanno sempre pensato che non fosse stato importante per l’altro, ammesso che se lo ricordasse.
Proprio vero che l’amore rende ciechi, forse anche stupidi.
 
 
You keep me alive,
on the edge of tonight,
chasing tomorrow,
with fire in my eyes,
you're like a siren in the dark,
you're the beat playing in my heart,
you keep me alive,
on the edge of tonight.
 
 
Quando Alex aveva capito di amare Jack avevano vent’anni, già qualche tatuaggio, bottiglie di birra vuote sparpagliate per la stanza, libri che non avevano mai aperto sulle scrivanie, una stanzetta orribile in comune nel dormitorio del college di Baltimora e delle profonde occhiaie.
Erano passati quasi tre anni dal loro primo, e unico, bacio e, da quel momento, Jack nella testa di Alex era diventato un chiodo fisso. Lui stava sempre a chiedersi dove fosse l’amico e che cosa stesse facendo.
E durante la notte, quando questa stava già sfociando nelle prime luci della mattina e loro tornavano dalle feste e Jack crollava subito addormentato, Alex, steso sul letto a castello, lo ascoltava respirare; ed erano quelli i momenti nei quali pensava ancora a quel bacio che fingeva d’aver dimenticato.
Di quella notte, in realtà, non aveva ricordi poi tanto lucidi, ma quello se lo ricordava abbastanza bene da non confonderlo con una qualche allucinazione. No, il ricordo le labbra di Jack sulle sue era fin troppo reale, tanto che quasi ne sentiva ancora il sapore sulla punta della lingua. Dell’accaduto, tuttavia, non ne avevano mai parlato e avevano sempre agito come se non fosse mai successo nulla, nonostante tutte le canzoni che avevano scritto negli anni fossero dedicate all’altro, senza che questo lo sospettasse minimamente.
Alex amava quando la serata finiva per Jack, ma non per lui, quando poteva rimanere da solo, sveglio ad aspettare l’alba, con il respiro regolare dell’amico come colonna sonora; lui era, essenzialmente, una creatura della notte. Andava a dormire quando ormai s’era fatto giorno, alle sei o alle sette, e rimaneva nel suo mondo di incubi per circa tre schifosissime ore, che gli lasciavano segni violacei sotto gli occhi. Poi si svegliava e andava alle lezioni, camminando come un sonnambulo, senza prestare davvero attenzione a nessuna di queste, nonostante i rimproveri di Jack. Però, in fondo, gli andava bene così.
Alex era un tremendo perditempo, sprecava i suoi giorni e le sue notti, ma Jack non era da meno, nonostante facesse tutto per fingere che non fosse così.
Il momento in cui s’era reso conto di essere totalmente e irrimediabilmente innamorato dell’amico era una notte come tante altre.
Erano le tre e mezzo, l’estate stava arrivando e, per il disappunto di Alex, le notti stavano diventando via via sempre più brevi. Alex aveva addosso una canottiera degli Iron Maiden, che aveva rubato dalla pila di vestiti malamente buttati sulla sedia di Jack; lui se n’era lamentato tutta la sera.
Erano appena tornati dall’ennesimo pub, dove erano stati ingaggiati per suonare e, come sempre, s’erano trovati ubriachi subito dopo la fine della loro esibizione. E stranamente, una volta tanto, era Jack ad essere più brillo di Alex.
Infatti s’era lasciato cadere sul pavimento non appena erano rientrati nella loro stanza e si era addormentato di colpo; Alex non era riuscito a fare nulla per smuoverlo da lì e issarlo sul suo letto. Così, alla fine, s’era tolto le sue solite Vans, calciandole via un po’ a casaccio con un’aria sconfitta e vagamente schifata in viso, dovuta alla polvere e ai mozziconi di sigaretta che coprivano il linoleum. Poi s’era sdraiato, cercando di non farci troppo caso, ed era rimasto lì ad ascoltare il respiro di Jack; quella era l’unica cosa al mondo che fosse in grado di rilassarlo per davvero. S’era accesso una sigaretta e aveva chiuso gli occhi e in quel frangente, così, buttato su un pavimento sudicio con Jack accanto, s’era sentito quasi bene, quasi un essere umano, quasi vivo.
Jack si agitava nel sonno, forse stava sognando o forse stava facendo degli incubi; Alex ogni tanto si girava e rimaneva a guardarlo, catturato dal magnetismo del viso dell’amico. Era una cosa che ad Alex era capitato spesso di pensare, il fatto che, per un motivo o per l’altro, loro due erano come magneti, poli opposti ed uguali allo stesso tempo, che non potevano stare separati ma che non riuscivano a stare davvero insieme.
L’alba era arrivata verso le cinque e mazza, circa due ore, quattro sigarette e svariati sospiri dopo.
Jack s’era svegliato con la luce che penetrava dalle tapparelle abbassate solo fino a metà, aveva mugugnato qualche imprecazione irritata mischiata con il sonno e aveva rubato la quinta sigaretta dalle mani di Alex. Lui l’aveva guardato portarsela alle labbra e aspirare, per poi spegnerla, schiacciandola sul pavimento, ancora evidentemente assonnato, ed era rimasto in silenzio.
Jack, poi, s’era voltato e s’era rimesso a dormire, senza neanche darsi la pena di alzarsi per mettersi a letto. Mentre si stava riaddormentando aveva sussurrato: “Alexander”; solo il suo nome, null’altro. Il suo nome, detto come il più intimo dei segreti, come le chiacchere di mezzanotte, come una parola magica da custodire gelosamente.
Il suo nome e nient’altro.
Il suo primo pensiero appena sveglio e l’ultimo nel dormiveglia.
Alex l’aveva guardato sprofondare nuovamente nella fase rem, il cuore troppo veloce e il respiro strano, quasi si stesse soffocando, la testa che urlava.
Ed era stato quando Jack aveva mormorato con quell’assurda e deliziosa intimità il suo nome, era stato allora che Alex aveva capito quello che aveva provato per tutto quel tempo, che forse aveva sempre provato. Alexander William Gaskarth era innamorato di Jack Bassam Barakat e, adesso, l’unico a non saperlo era proprio chi avrebbe dovuto più di tutti.
 
 
Spent my whole damn life
trying to get things right,
and for every one of my mistakes,
you gave me all these chances,
when the roads too long
and I am tired,
you are my horizon,
and I'll drive until it all breaks down.
 
 
La seconda volta che s’erano baciati, Jack stava piangendo come un bambino.
Aveva ventidue anni s’era presentato nell’appartamento che allora condividevano con almeno un’ora e mezzo d’anticipo rispetto a quando sarebbe tornare secondo i suoi programmi; aveva gli occhi rossi e le nocche della mano sinistra spaccate e sanguinanti, il labbro inferiore tremava.
Alex stava seduto davanti alla scrivania, la chitarra fra le mani e un blocchetto pentagrammato davanti, probabilmente stava scrivendo una canzone, che certamente non avrebbe fatto sentire a Jack; lui avrebbe capito tutto.
Davanti a sé, accanto al blocco, aveva una bottiglia di vino rosso, quello economico comprato al supermercato all’angolo della strada per ben quattro dollari; gli faceva anche un po’ schifo, il vino, ma in casa non avevano altro e lui era troppo pigro per uscire.
Quando aveva sentito la porta sbattere, aveva capito subito che qualcosa non andava, Jack non era mai stato uno che perdeva la calma facilmente.
Jack l’aveva guardato e si era avvicinato, aveva preso la bottiglia dalla scrivania, senza neanche cercare di spiare gli scritti dell’altro; s’era buttato a terra, la schiena contro il muro e le labbra attaccate disperatamente al collo della bottiglia. Quel vino gli faceva anche schifo, ma pazienza.
Era stato Alex, allora, a prendere il controllo della situazione, una volta tanto, strappandogli la bottiglia di plastica dalle mani e abbandonandola a caso sul pavimento; poi s’era seduto accanto a lui.
Jack s’era morso il labbro, cercando di non farlo tremare, nel vano tentativo di calmarsi. Ma come si può, si chiedeva, calmarsi dopo una cosa del genere? Quando Alex gli aveva chiesto come stesse, lui aveva detto che, cazzo, stava di merda, non era forse evidente? Aveva quasi urlato, poi s’era sciolto in un pianto distrutto, di quelli proprio da bambini, proprio disperati; si era lasciato abbracciare da Alex e aveva affondato il viso nella sua maglietta nera dei Blink-182. E neanche il suo profumo, in quel momento, era in grado di fargli riacquistare almeno una briciola del suo solito ottimismo.
Tra i singhiozzi, stretto fra le braccia dell’amico, gli aveva confessato che, dannazione, sarebbe diventato padre; padre, lui che non era neanche in grado di badare a sé stesso, lui che a ventidue anni era ancora un fallito che aveva mollato il college e che non sapeva cosa diavola volesse fare con la sua vita, lui che manco la amava, cazzo.
Alex era rimasto in silenzio, non avrebbe saputo cosa dirgli, avrebbe solo voluto urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni per la frustrazione. Così Jack s’era sentito stringere ancora di più dalle braccia dell’amico, che aveva affondato il viso nella sua spalla, forse per soffocare a sua volta la propria volta tutta quella rabbia e quella sofferenza; perché non era dannatamente giusto, perché non doveva capitare al suo Jack. Era una reazione esagerata e ne era consapevole, Alex, ma si sarebbe aspettato proprio tutto, ma non di certo quello, non era pronto a quello.
Jack, a quel punto, aveva iniziato a farneticare su quanto non potesse diventare padre, ‘chè non ne era né in grado né ne aveva voglia, ma non poteva certo tirarsi indietro, no? E continuava a ripetere di essere solo un fallito, uno da nulla, uno che non avrebbe mai potuto farcela.
E sentire questo infastidiva terribilmente Alex, non poteva sopportarlo. Così, alla fine, senza quasi pensarci, aveva sollevato il viso dalla spalla di Jack, aveva preso quello dell’altro fra le mani e poi aveva premuto le labbra sulle sue. L’aveva baciato, soffocando le sue parole. E Jack si sarebbe aspettato tutto tranne questo.
Erano rimasti a guardarsi per qualche attimo, poi, senza dire nulla, con le menti fin troppo lucide e gli occhi dell’uno incastrati in quelli dell’altro. Poi le labbra s’erano ritrovate e quel bacio aveva finito per diventare qualcosa che forse non avrebbe dovuto. Però andava bene così, ‘chè a Jack, con il fiato corto, sembrava di ricominciare a respirare, nonostante tutto.
In un modo o nell’altro erano finiti dal pavimento del salotto alle coperte del letto di Jack, le magliette buttate malamente a terra, presto seguite dal resto dei loro vestiti.
Labbra contro labbra, pelle contro pelle, mani fra i capelli e addosso; Jack e Alex, due cose diverse e, allo stesso tempo, una sola.
 
 
You keep me alive,
on the edge of tonight,
chasing tomorrow,
with fire in my eyes,
you're like a siren in the dark,
you're the beat playing in my heart,
you keep me alive,
on the edge of tonight.
 
 
Quando Alex gli aveva detto di no avevano ventiquattro anni.
Di cose ne erano cambiate tante, erano cresciuti. Jack aveva una bellissima bambina di ormai quasi due anni, Felicity, una futura moglie, un appartamento grazioso e un posto come stagista presso un famoso studio di avvocati, frutto di notti insonni sui libri dopo aver messo da parte la sua chitarra; Alex, invece, si era tagliato e tinto i capelli più volte, era ancora single, viveva nell’appartamento di fronte a quello di Jack, aveva trovato la sua strada nella musica, si esibiva nei locali il sabato sera, ed era una persona decisamente più serena di quanto lo fosse prima.
L’unica cosa a non essere cambiata era quello che provavano l’uno per l’altro ed il fatto che non fossero abbastanza coraggiosi da rivelarlo. Eppure avevano avuto tante occasioni per farlo, eppure l’avevano capito tutti.
Il giorno in cui Jack aveva deciso di farlo, finalmente, era Aprile, forse la fine di Aprile, e la primavera stava arrivando.
Rian e Zack se n’erano appena andati, dopo aver rivolto a Jack un sorrisetto complice che Alex non aveva proprio capito, lasciandoli lì sul molo di Baltimora, ancora sulla solita panchina di dieci anni prima, qualla davanti all’Hard Rock Cafè.
Erano una coppia strana, lui e Alex, però avevano sempre funzionato; quel giorno Jack aveva un completo scuro elegante, era appena uscito dall’ufficio, e Alex aveva i capelli tinti d’azzurro e un giubbotto di pelle. Jacl lo trovava bellissimo.
In quel momento stavo ridendo per qualche messaggio che era comparso sullo schermo del suo IPhone e lui s’era sentito la tensione addosso come mai. Ma non avrebbe dovuto, no? In fondo, nonostante tutto, erano anni che lui e Alex si scambiavano baci, e non solo, di nascosto, si cercavano le mani quando nessuno poteva vederli e si mormoravano sottovoce parole dolci quando nessuno poteva sentirli. Non avrebbe dovuto essere così nervoso.
Quando Alex aveva sollevato lo sguardo, aveva trovato Jack inginocchiato di fronte a lui con una scatolina aperta in mano.
Jack gli stava chiedendo di sposarlo.
Jack, il suo Jack.
Jack, che aveva una figlia e che avrebbe dovuto sposarsi con un’altra persona in Settembre.
Jack gli stava chiedendo di sposarlo.
Ti amo, s’era sentito dire, e proprio perché ti amo voglio sposarti, Alexander, non mi importa di nient’altro.
Alex l’aveva fatto alzare e gli aveva sussurrato all’orecchio che lo amava anche lui, da morire; poi l’aveva baciato, per l’ultima volta.
La cosa che voleva di più, in qual momento, era dirgli che si, l’avrebbe sposato, ma non poteva, non sarebbe stato giusto. Doveva dirgli addio.
Aveva guardato Jack negli occhi e gli aveva detto che lo amava e che avrebbe voluto davvero sposarlo, ma che non poteva, perché lui aveva una figlia e una ragazza e non sarebbe stato giusto.
Gli aveva lasciato un tenero bacio delicato a metà strada fra le labbra e la guancia, poi se n’era andato, quasi di corsa, e l’aveva lasciato lì.
S’era chiuso in macchina e aveva pianto come un bambino; paradossalmente, in radio passava Wonderwall.
Jack era rimasto lì, s’era ficcato la scatolina contenente l’anello in tasca e, una volta tornato a casa, aveva pianto anche lui.
‘Chè sapeva che Alex aveva ragione.
‘Chè per loro, ormai, era troppo tardi.
 
 
You keep me safe,
you keep me sane,
you keep me honest,
you keep me alive.
 
 
Che Alex Gaskarth e Jack Barakat si sono sempre amati, lo sanno tutti. Loro due, forse, sono stati proprio gli ultimi a capirlo e a pensare che fosse troppo tardi. Ed è per questo che hanno passato anni cercarsi, a rincorrersi, a sfuggirsi a vicenda e a riavvicinarsi inequivocabilmente.
Anni di momenti terribilmente imbarazzanti e di sguardi lanciati di nascosto sul pianerottolo di casa o alle feste che Zack ancora si ostina a voler organizzare, stando ben attenti a non farsi mai notare da nessuno. Anni di finta indifferenza davanti agli altri e notti rubate fra le coperte, qualche “ti amo” mormorato a bassa voce di tanto in tanto.
Hanno sempre pensato che per loro fosse troppo tardi, ma non avrebbero potuto sbagliare di più che vedere un finale quasi solamente nel prologo. C’è voluto del tempo per capirlo, anni, ma, alla fine, ci sono arrivati. Hanno capito di essere indispensabili l’uno per l’altro, due poli inseparabili, l’unica ragione rimasta, l’unica cura; finalmente, a ventisette anni, l’hanno capito.
‘Chè, se così non fosse, Jack non avrebbe detto di no all’altare e non sarebbero mai venuti allo scoperto, loro due.
‘Chè, se così non fosse, ora Alex non starebbe andando da Jack per chiedergli di sposarlo.

 
 
 
 
 
 
  
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